Palazzo Mirto
Casa Professa
Santuario S. Rosalia
PalazzoAbatellis
1 giugno 2012: Palermo
Alunni
4^ C – 4^ E
Sala degli Arazzi
1^ tappa: Palazzo Mirto
Museo di se stesso
Palazzo Mirto è un palazzo storico di Palermo.
E' ubicato nel centro storico della città, alla Kalsa, la cittadella fortificata
realizzata dagli arabi nel X secolo. La zona ebbe grande sviluppo nel XV e
XVI secolo per la realizzazione di case e chiese, commissionate dalle ricche
famiglie di mercanti che vi si erano insediate fin dal Duecento quando,
lasciate le città di origine (Genova, Pisa, Amalfi) erano arrivate in Sicilia.
Una di queste case, appartenuta ai Resolmini di Pisa, passerà ai Filangeri
venendo a costituire il nucleo più antico di Palazzo Mirto e poi ai Lanza
Filangieri Principi di Mirto, da cui prende nome il palazzo. I Filangeri sono
ricordati ancora oggi come la più importante famiglia normanna in Sicilia e
nel Mezzogiorno d’Italia, dello stesso ceppo dei Sanseverino e dei Gravina,
tutti discendenti da un capostipite comune, il leggendario cavaliere Angerio,
delle stirpe dei Duchi di Normandia, che venne in Italia al seguito di Tancredi
d’Altavilla e di cui se ne ha menzione già nel 1069.
Portale d’ingresso
Il ramo siciliano deriva da Abbo Filangeri, vivente nel XIII secolo. Primo
della casata ad essere investito del titolo di Principe di Mirto fu
Giuseppe Filangeri e De Spuches, nel 1642. Si ricordano anche i Filangeri
Principi di Cutò, avi materni dello scrittore Giuseppe Tomasi di
Lampedusa.
Nel 1830 Vittoria Filangeri, ultima del suo nome, si univa a Ignazio
Lanza Branciforte, conte di Raccuja. I loro discendenti hanno abitato il
palazzo ininterrottamente fino al 1982, quando l’ultima erede della
famiglia, Donna Maria Concetta Lanza Filangieri di Mirto donò il
palazzo alla Regione Siciliana per costituirne un museo per volontà
testamentaria del fratello Stefano Lanza Filangeri.
Le strutture più antiche dell’edificio risalgono al XIII secolo ma, dopo le
fasi costruttive della fine del Cinquecento e del Seicento, l’edificio subì
una radicale trasformazione. Altri rifacimenti si susseguirono lungo
tutto il corso del XIX secolo fino a giungere alle forme attuali.
L’interno del primo piano è arredato con magnificenza. Perfetto
esempio delle residenze dell’aristocrazia palermitana, il palazzo
custodisce arredi che vanno dal Seicento all’Ottocento.
Numerosi i lampadari di Murano, i pannelli laccati di Cina, gli orologi,
le porcellane, e gli arazzi. Come in molte residenze coeve, vi è un fumoir
arredato alla cinese con il pavimento in cuoio. Gli ambienti di
rappresentanza recano dipinti sulle pareti e sui tetti e girano intorno ad
una terrazza, arredata da una fontana rocaille e decorata da un tromp
l’oeil di un giardino.
Nell'Ottocento una ristrutturazione degli ambienti del secondo piano
porterà alla creazione di un grande appartamento per la vita privata
della famiglia, che da quel momento utiizzerà il primo piano solamente
per la rappresentanza.
.
2^ tappa: Palazzo Abatellis
Sede della Galleria Regionale
Il Palazzo (fine del XV secolo), opera di Matteo Carnilivari all’epoca attivo a
Palermo in cui attendeva ai lavori di palazzo Aiutamicristo, splendido esempio
d’architettura gotico-catalana, era la residenza di Francesco Abatellis (o Patella),
maestro Portulano del Regno.
Senza eredi, l’Abatellis dispone che il palazzo rimanga alla moglie, e che alla
morte di essa vi venga fondato un monastero di donne sotto il titolo di Santa
Maria della Pietà.
Quindi nel maggio 1526 un gruppo di suore dell’ordine domenicano,
provenienti dal Monastero di Santa Caterina, si trasferirono nel palazzo.
Furono necessari numerosi adattamenti per renderlo adeguato alle
esigenze della vita monastica e le diverse ali furono frazionate per
realizzare celle e corridoi. Inoltre all’esterno le finestre furono
modificate e furono tolte le colonnine intermedie e, a volte, anche certi
elementi decorativi.
Il palazzo prende allora il nome di "Monastero del Portulano".
Durante la notte tra il 16 e il 17 aprile 1943 il palazzo venne colpito
durante un bombardamento aereo e crollarono la loggia, il porticato,
tutta l’ala sud-ovest e la parete della torre ovest. Le autorità decisero
allora di provvedere al suo restauro e di trasformare il palazzo in
"Galleria d’Arte per le collezioni d’arte medievale". La Soprintendenza ai
Monumenti affidò all’architetto Mario Guiotto e successivamente
all’architetto Armando Dillon i lavori di consolidamento e di restauro.
Questi lavori furono ultimati a metà 1953 e fu allora chiamato Carlo
Scarpa per curare l’allestimento e l’arredamento della Galleria che venne
aperta al pubblico il 23 giugno del 1954.
Il palazzo ha subito vari restauri e solo il 12 novembre 2009 il museo è
stato riaperto.
Conservando il lavoro di Scarpa sono state riviste e create nuove ali (le
nuove sale verde e rossa) ai piani superiori compresa una terrazza sul
tetto.
Nelle splendide sale della galleria hanno trovato posto le opere
provenienti da acquisizioni, donazioni ed incameramenti dei beni degli
enti religiosi soppressi (1866). Prima di questa sede le opere facevano
parte della Pinacoteca della Regia Università e, dal 1866 in poi, delle
collezioni del Museo Nazionale di Palermo, divenuto Museo Regionale
in seguito al trasferimento delle competenze sui beni culturali dallo
Stato alla Regione Siciliana, in virtù dello statuto.
Al piano terra si trovano, fra i tanti manufatti tutti d’altissimo livello
qualitativo: le opere lignee ad intaglio del XII secolo, le sculture del
Trecento e del Quattrocento fra cui alcune di Antonello Gagini cme
l'Annunciazione e Ritratto di Giovinetto e di Domenico Gagini come la
Madonna del latte, le maioliche dipinte a lustro metallico dei secoli XIV
e XVII, il Busto di gentildonna di Francesco Laurana conosciuta come
Eleonora d’Aragona e le tavole dipinte di soffitti lignei.
Nella sala II, si trova lo straordinario grande affresco del Trionfo della
morte (databile con ogni probabilità agli anni 1445 e seguenti),
proveniente da Palazzo Sclafani ed è esposto nella ex-cappella con una
illuminazione dall'alto di grande impatto visivo. La morte, su un cavallo
scheletrico, irrompe in un giardino e semina scompiglio con frecce letali
tra i giovani gaudenti e nobili donzelle, dopo aver disseminato le
gerarchie terrene, laici e religiosi, papi e imperatori, i cui corpi ormai
giacciono esanimi, risparmiando quasi per beffa il gruppo di miserabili e
derelitti che pure la invoca.
Una piccola sala ove è posta un’anfora ispano-araba del tipo Alhambra ci
conduce al loggione del primo piano
Al primo piano l’opera di maggior rilievo è, senza dubbio, l’Annunziata
di Antonello da Messina (XV secolo). Opera di assolutezza formale,
considerata una autentica "icona" del rinascimento italiano, è collocata
nella sala X conosciuta come sala dell'Antonello. La Vergine è colta
nell'istante supremo dell’Annunciazione (l'angelo le sta di fronte ma è
invisibile). Il gesto della mano, il trapezio del manto, la politezza delle
forme e lo sguardo magnetico, esaltano la figura restituendole una
astratta bellezza. Nella stessa sala, a fianco ad essa sono collocate altre
opere di Antonello: le tavole con le immagini di tre Dottori della Chiesa
che costituivano le cuspidi di un polittico andato disperso.
Prima di imbattersi nella sala dedicata ad Antonello, all’interno delle
sale del piano nobile della Galleria Regionale si possono ammirare
“L’ultima cena” del pittore catalano Jaume Serra, il “Salone delle croci”,
dove trovano posto la croce dipinta da Pietro Ruzzolone e quella del
Maestro di Galatina e la collezione della pinacoteca di provenienza per la
maggior parte da chiese e dai conventi della città, con opere quali la
“Madonna dell’Umiltà” di Bartolomeo Camulio (sala VII) l'incoronazione
della Vergine di Riccardo Quartararo (sala XI) e i dipinti cinquecenteschi
di Antonello Crescenzio.
La Sala XIII, accoglie una serie pregevolissima di dipinti fiamminghi
databili fra il XV e XVI secolo, la perla della raccolta è sicuramente il
trittico Malvagna di Jan Gossaert. Si tratta di un'opera miniaturista dove
vengono rappresentante una Madonna col bambino tra angeli, Santa
Caterina d'Alessandria e Santa Dorotea, mentre sul retro del pannello si
trova la stemma della famiglia dei Lanza. Altro capolavoro della sala
fiamminga è la Deposizione di Jan Provost.
Nelle ultime sale (XV, XVI e XVII) di questo piano sono esposti dipinti di
Vincenzo da Pavia, Jacopo Palma il vecchio, le tele a carattere
mitologico quali "Andromeda liberata da Perseo" del Cavalier d’Arpino e
"Venere ed Adone" di Francesco Albani e le opere più significative del
manierismo di marca Michelangiolesca, con dipinti di Giorgio Vasari,
Girolamo Muziano e Marco Pino.
I nuovi spazi museali (sala verde e sala rossa) si snodano su due piani,
presentano una significativa raccolta del tardo manierismo siciliano,
della pittura seicentesca e del realismo. Non è stato possibile visitarli
poiché vista l’età dei discenti si rischiava di annoiarli.
Si auspica che tale visita sia stata solo un imput per far ritorno
all’Abatellis in un’età più avanzata onde scoprire l’effettiva valenza della
galleria.
3^ tappa: Chiesa del
Gesù
Casa Professa
Foto: a b c d e f g
h jk l m
I visitatori della Chiesa del Gesù (Casa Professa dei Gesuiti),
nell'osservare le linee severe e poco appariscenti della facciata che
domina Piazza Casa Professa non immaginano quali meraviglie si
offriranno alla loro vista appena varcata la soglia: ogni parete, ogni
arcata, ogni spazio si presenta, infatti, ricoperto da una fitta trama di
ornamenti policromi, in un rincorrersi di marmi mischi, stucchi, statue
e affreschi. La Chiesa, sorta sui resti di preesistenti edifici di culto, tra il
XVI ed il XVII Sec. assunse la ricchissima veste barocca che ancora oggi
si può ammirare. La Cupola del tardo seicento, il transetto, parte della
volta e alcune cappelle, seriamente danneggiate durante i
bombardamenti dell'ultima guerra, sono state sottoposte ad accurato
restauro. I Gesuiti vollero esaltare la grandiosità della loro sede
chiamando ad abbellirla alcuni tra i più illustri artisti dell'epoca, tra cui
ricordiamo i Serpotta, Gaspare Serenario, Antonio Grano, Ignazio
Marabitti, Pietro Novelli, Gioacchino Vitagliano. La Chiesa è rimasta
chiusa a lungo per lavori di recupero e conservazione. Riaperta ai fedeli
ed all'ammirazione dei visitatori da poco tempo, offre interessati
gioielli d’arte anche negli ambienti più nascosti del complesso quali la
Sagrestia, il serpottiano Oratorio del Sabato e la Cripta.
4^ tappa: Villa Niscemi
dal 1987 sede di rappresentanza del Comune di
Palermo
Villa Niscemi è stata acquistata dal Comune di Palermo nel 1987 per
farne la sua sede di rappresentanza
Le origini della villa risalgono al XVI secolo, e sono da individuare in
una robusta torre agraria, di base quadrata, messa evidentemente a
controllo e difesa di una importante tenuta agricola e collegata con altre
torri vicine, in particolare con quella del monte Pellegrino, fra le più
importanti dell'agro di Palermo.
Intorno a questa torre si estese poi un ampio baglio e nel corso del
Settecento venne in proprietà, attraverso una donazione, dei principi
Valguarnera di Niscemi, antica e nobilissima famiglia siciliana, risalente
a Pietro d'Aragona; esso fu profondamente trasformato, assumendo la
forma di una vera e propria villa di campagna, destinata sia alla
villeggiatura dei proprietari, sia alla sovrintendenza della vasta tenuta
che ancora la circondava.
Quest'ultima sarebbe stata smembrata nel 1799, quando, essendo
giunto a Palermo Ferdinando di Borbone insieme alla moglie Maria
Cristina, in fuga da Napoli a causa della rivoluzione, il principe di
Niscemi, insieme ad altri nobili suoi vicini, quali il marchese Vannucci,
il principe Malvagna, il duchino di Pietratagliata e il marchese Ajroldi,
si offrì di donare parte delle proprie terre al re, affinchè i vari
appezzamenti, tutti riuniti, potessero formare tutt'attorno, e ai piedi
del monte Pellegrino, un vasto parco che costituisse riserva di caccia
per il sovrano e oasi di pace per la consorte.
La donazione fu poi trasformata, per volere del re, in un acquisto per
censuazione, con canone, tuttavia, quasi irrisorio, mentre la vicina
casina dei Lombardo, "alla cinese", veniva acquistata per essere adibita
a casino di caccia e di feste private.
Il fondo rimasto aggregato alla villa Niscemi doveva diventare poi
l'attuale parco, per intervento soprattutto del principe Corrado e della
principessa Maria Favara che, verso la fine dell'Ottocento, vi misero
mano con indubbio gusto, conservando almeno qualcosa del
precedente impianto, come la fontana, il cancello sul parco della
Favorita, la Coffee-House e dando all'insieme l'impronta romantica e
anglosassone, ma anche ariosa e mediterranea, che tutt'ora lo
caratterizza. Personaggi molto conosciuti della belle epoque
palermitana, tanto da avere ispirato a Giuseppe Tommasi di Lampedusa
gli indimenticabili personaggi di Tancredi e Angelica, Corrado e Maria
Valguarnera intervennero notevolmente anche sugli interni della villa,
portandola a uno stato che da allora ha subito scarse modificazioni.
5^ tappa: Santuario Santa
Rosalia
Santa Rosalia è identificata dal popolo fedele con il Monte
Pellegrino, il promontorio che sembra nascere dal mare e da li
dominare e proteggere Palermo.
Il Monte Pellegrino è stato sempre luogo di culto sia per i pagani
che per i cristiani. Il suo nome richiama S. Pellegrino, martire
durante la persecuzione di Valeriano.
S. Rosalia giunse sul Monte Pellegrino
dai monti della Quisquina, primo suo
eremitaggio. Quale luogo della sua
dimora Rosalia scelse l’antica chiesa
bizantina, costruita addosso una
roccia, che in epoca cartaginese era
stata scalpellata in modo da farne una
grande edicola dall’inconfondibile
struttura di altare punico”.
Sul Monte Pellegrino Rosalia occupava
il suo tempo nella lettura della parola
di Dio, nella preghiera e nella
contemplazione
“alternandole con
qualche lavoro manuale e con
l’accoglienza caritatevole sia dei pastori
della campagna che di tutti quelli che
venivano dalla città per raccomandarsi
alle sue preghiere ed essere da lei
confortati.
Qui il 4 settembre del 1170 circa si
addormentò nel Signore e, tra il
compianto di una grande folla salita
dalla città, le fu data sepoltura, come di
consueto, nella grande grotta contigua”.
(Paolo Collura)
La presenza di una comunità di
francescani fin dal 1550, detta dei
Romiti del Montepellegrino, e
guidata da fra Girolamo Lancia
Rebiba, ispirato dalla vita solitaria
di S. Rosalia, è testimonianza di
quanto il culto di Santa Rosalia
fosse vivo sul monte ancor prima
del 1624. Di questa comunità fu
superiore anche quel S. Benedetto
da Sanfratello, detto il Moro (15261589), che fu il primo ad iniziare, e
sin dal 1585, le ricerche del corpo di
santa Rosalia nella grotta.
Le reliquie della Santa furono
rinvenute il 15 luglio del 1624 nel
luogo indicato da tale Girolama La
Gattuta, là dove, Rosalia, apparsale
in visione, le aveva detto di scavare.
Salottino alla cinese
Salotto Giallo
Salone del
Baldacchino
Terrazzo con fontana rocaille
Particolare di un tetto
Il cortile interno
La facciata principale del palazzo
Opere lignee del XII sec.
Sculture del Trecento e Quattrocento
maioliche dipinte a lustro metallico
Domenico Gagini: Madonna del latte
Antonello Gagini: Ritratto di Giovinetto
Il Busto di gentildonna di Francesco Laurana
conosciuta come Eleonora d’Aragona
Antonello Gagini: L’annunciazione
Domenico Gagini: La Madonna del
riposo
Sculture famiglia gaginiana
Sculture famiglia gaginiana
Il Trionfo della morte proveniente Palazzo Sclafani
An fora ispano araba del tipo Alhambra
Madonna dell’Umiltà” di Bartolomeo Camulio
“L’ultima cena” del pittore catalano Jaume Serra
Pale e trittici di scuola siciliana
Pale e trittici di scuola siciliana
Pale e trittici di scuola siciliana
L'incoronazione della Vergine di Riccardo Quartararo (sala XI)
Pale e trittici di scuola siciliana
“Salone delle croci”, dove trovano posto la croce dipinta da
Pietro Ruzzolone e dipinti di scuola siciliana
Pale e trittici di scuola siciliana
“Salone delle croci”, dove trovano posto la croce dipinta dal Maestro di Galatina
“Salone delle croci”, dove trovano posto dipinti di scuola siciliana
Salone di Antonello da Messina: L’Annunciazione e i padri della Chiesa
Trittico Malvagna di Jan Gossaert detto Mabuse iniz. Sec. XVI
dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.
Deposizione di Jan Provost
dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.
dipinti di scuola fiamminga del XV e XVI sec.
“Madonna con il Bambino in Gloria tra i
SS. G. Battista e Rosalia”, dipinto su tela,
Pietro Novelli, in Monrealese, prima met
sec. XVII.
dipinti di scuola manierista e barocca del XV e XVI sec.
La facciata
Il transetto e l’abside
Con marmi mischi,
sculture in marmo
ed in stucco
Cappella del Sacro Cuore di Gesù
Cappella del Crocifisso ligneo
Cappella dei SS Martiri
Particolare presbiterio
lato sx
La volta
Cappella di S. Rosalia, affresco
Le cappelle
"La Sacra Famiglia"
di Antonio Grano (1660-1718).
Nella lunetta stucchi di
Procopio Serpotta (1679-1755).
Stucchi serpottiani
Affreschi sulle volte
e sulle vele
1857 ca., opera di Gian Maria
Benzoni
Particolare scultoreo
Cappella di
Sant’Ignazio di Loyola
Cappella DX del transetto con
sull'altare "San Francesco Saverio"
di Federico Spoltore.
Sant’Agata
Cappella di S. Rosalia
Cappella di Sant’Anna "Gioacchino
e Anna in preghiera chiedono un
figlio“.
Cappella di Sant’Anna "Giocchino
ed Anna che ringraziano Dio per
aver dato loro la figlia Maria.
La Madonna di
Trapani, Gagini
(1478-1536)
Nicchia di Abgail e Davide
con il pane e vino simboli
eucaristici. In alto Cristo che
benedice affiancato da Luca e
Matteo.
Abside: " Il Sacerdote Achimelech offre
i pani sacri a Re Davide" di Gioacchino
Vitaliano (1669-1739).
In alto la Santa Vergine con Giovanni e Marco.
Particolare
Nell'Abside, sopra l'ingresso che
conduce alla Sagrestia il gruppo
scultoreo che rappresenta "La
Trinità" di Giocchino Vitagliano.
Gruppo scultoreo dell'abside
di Gioacchino Vitagliano (1669-1739):
"Abigail, donna saggia, placa con doni
le ire di Re Davide che vuole uccidere
suo marito Nabal."
Affresco del catino
dell'abside principale.
Angeli in stucco
fiancheggiano le
ampie finestre.
Molti affreschi delle navate
laterali vengono attribuiti
ad Antonio Grano (1660-1718)
Cappella dell'Immacolata
Concezione
Il pulpito del 1646
in marmi mischi
sul lato destro
mediano della
navata centrale
Agli ornamenti delle navate lavorarono
Giacomo Serpotta (1656-1732)
ed il figlio Procopio (1679-1755)
Particolare della parete
di fondo dell'aula
I volontari della Casa di Don Orione
che ci hanno ospitato a pranzo
Si ringrazia la sig. Aquino Barbara per le foto messe a disposizione.
L’ins. Graziella Pappalardo ne ha curato la presentazione
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