Nome: Ubicazione: Proprietà: Datazione: Villa Del Bene Volargne (Dolcé) Stato Italiano XIV secolo circa Notizie storiche: In assenza di riscontri documentari, le origini di villa Del Bene non possono che essere sondate attraverso le testimonianze materiali : l’impianto architettonico e le tracce di affreschi. La casa dominicale ha una struttura composita. Gli Interventi cinquecenteschi ne hanno mascherato l’assetto originario, ma non ne hanno intaccato l’impianto. Poiché sporadicamente si rintracciava a Verona la tipologia della casa veneziana fra il Trecento e il Quattrocento, è possibile ipotizzarne una datazione trecentesca teoria avanzata da una “Relazione storica” dell’archivio della Soprintendenza di Verona ( probabilmente del 1950-60 circa): lo facevano ritenere tracce di “archetti ogivali” emersi sul muro interno della loggia (probabilmente in seguito alla caduta parziale degli affreschi a causa delle devastazioni belliche del novembre del 1944); cioè la conformazione arcaica,lunga e stretta, del vano centrale e la simmetria delle stanze laterali, da cui si deduce che l’originaria casa aveva un prospetto lievemente asimmetrico, come si nota nella facciata opposta (verso l’orto/giardino) che presenta una trifora centrale,corrispondente al vano passato e due finestre ai lati. Inoltre ci spingono indietro nel tempo anche le tracce di affreschi sulla loggia e sul vano scala,sotto le pitture cinquecentesche. La casa veneziana era essenzialmente una domus per mercatores (o casa-fondaco)caratterizzata dalla Presenza di magazzini al pianterreno ai lati dell’androne, Inevitabilmente la casa dominicale doveva riprendere la funzione commerciale. È dunque assai probabile che la costruzione di tale edificio sia da attribuire ad una famiglia in rapporto con la città lagunare di origine trentina, nel tre-quattrocento infatti furono soprattutto i commercianti trentini, attivi nel commercio del legno a stringere rapporti con quello veneziano. Attratti dal polo urbano veronese non solo per ottenere prestigio nel patriziato scaligero ma anche per ottenere una collocazione baricentrica nello scacchiere commerciale veneto-padano. Il primo riscontro documentario attestante l’esistenza dell’edificio di Volargne è del 153839che a quel tempo apparteneva al rampollo Bartolomeo Malfatti (era infatti indispensabile per la legittimazione sociale ed era un chiaro segno di adesione all’etica aristocratica). Intorno al 1538 però la funzione residenziale-dominicale vu fu uno stato di declino: la ragione principale della decadenza era tuttavia un’altra : l’edificio doveva essere adattarsi non più ai mercatores ad un nuovo status-sociale. Collocazione e contesto E' la più orientale delle ville della Valpolicella ed è uno dei migliori complessi cinquecenteschi dell'intero territorio veneto. Sorge lungo l'antica strada Tridentina, a pochi metri dal fiume Adige, al quale è collegata da un viale, un tempo alberato. La famiglia Del Bene, originaria di Rovereto, acquisì beni a Volargne a partire dal 1538. Nel 1551, data incisa sul portale d'ingresso, la villa dovette essere conclusa nelle sue forme attuali. Giovanni Battista Del Bene Discendente da una famiglia di commercianti trentini affermatisi intorno alla metà del Quattrocento.Il suo avo Benone,partitosi da Grezzana di Valpantena,era attestato a Rovereto dagli anni Venti del Quattrocento. Egli era dedito al commercio del legname,dei tessuti,del cuoio e della carne intorno alla metà del secolo era già ben introdotto nell’elitè sociale roveretana. La posizione economica della famiglia enne consolidata dal figlio Bonomo,che tentò con successo la scalata sociale all’interno del patriziato veronese riuscendo a ottenerne la cittadinanza nel 1494. Nel suo insieme l’ascesa familiare dei Del Bene aveva seguito un itinerario comune a quello compiuto da altre famiglie provenienti dalla Vallagarina fra Quattro e Cinquecento. Infine i Del Bene ottennero il diploma di nobiltà nel 1522 dall’imperatore Carlo V. Lo schema interno PIAN TERRENO: ai lati dell’androne si trovava la zona adibita ai MAGAZZINI , caratteristica tipica della casa-fondaco. I locali, quindi erano riservati all’immagazzinamento delle merci e alle transazioni economiche(i contratti venivano infatti stipulati in un “CAMERINO TERRENO”); PRIMO PIANO: zona residenziale,attestata dal ritrovamento in essa di tracce di affreschi. Il vano centrale è lungo e stretto (m 4,30 x 13,40); si può riscontrare, inoltre un asimmetria delle stanze laterali (larghe m 4,20 quelle a est e m 5,40 quelle a ovest). Gli spazi e gli annessi rustici esterni La villa presenta la sequenza cortile-casa-orto,tutta disposta parallelamente all’asse stradale, per rispondere a esigenze di vigilanza “signorile” del transito viario (per tale scopo sarà eseguita l’annessione di una torretta cilindrica). Il complesso si articola, dunque in tre spazi scoperti: due curtivi e un orto. Tutt’intorno il fondo contava 70-80 campi. APPRODO FLUVIALE IL CORTILETTO D’INGRESSO: permette l’accesso alla casa, funge da ZONA-FILTRO tra la via Tridentina e lo spazio abitativo. Vi si affaccia un prospetto tripartito (derivante dalla struttura interna dei vani). È ornato con sfere di pietra collocate sopra l’alto muro di cinta. SECONDO CORTILE: vi si accede dal piccolo cortile d’ingresso, attraverso un PORTALE, in bugnato rustico, con arco a raggiera sormontato da una sfera in pietra. Ampliato, nel 1538-1539, e trasformato in una vera e propria corte, che dieci anni dopo venne definita CURIA, termine che indica il suo ruolo di baricentro delle funzioni e delle relazioni sociali della villa: il luogo d’interscambio tra mondo urbano e rurale. Qui vi si trovano le stalle e un forno. LOCALE-FORNO: dedicato alla bachicoltura, uno dei settori dominanti dell’economia trentina STALLE o STABULAE: caratterizzate da soffitti a volta con lunette e finestre a bugne rustiche. Potevano ospitare più di venti cavalli. Lungo il perimetro venne, poi, edificata una TORRE COLOMBAIA: si collega sulla sinistra alla casa dominicale,ed è simbolo della raggiunta ricchezza si erge alta e imperiosa. È traforata al piano terra da un’insolita loggia a tre arcate in bugnato rustico. In alto si distinguono quattro MERLATRURE ANGOLARI (simile ad un emblema araldico), che alludono alle strutture fortificate dell’età feudale, come a rivangare un passato nobiliare dei Del Bene. Era uno spazio eminentemente residenziale, anche se l’attico era adibito all’allevamento dei colombi , come dimostra la presenza della camera da letto dei signori al piano intermedio. IL giardino È elemento eminentemente domenicale assieme al cortiletto d’ingresso. L’orto-girdino ancora conserva l’ubicazione nascosta degli orti 3-400centeschi, doveva essere tenuto, almeno in parte, (come si può desumere sulla traccia della documentazioni settecentesche) a POMARIUM: doveva essere cioè uno spazio protetto dov’erano coltivati, oltre ad ortaggi, erbe e piante medicinali, alberi da frutto destinati ai consumi d’elite della famiglia signorile ( il che non significa che non fosse considerato un giardino anche “da diletto”). Notizie sul Palazzo Nel 1564 Giovanni Battista del Bene e il nipote ed erede Marco hanno trasformato la casa-fondaco in un palazzo che sembrava fabbricato ex novo. Cardini del mutamento,oltre alla risistemazione del secondo cortile, furono l’edificazione del portico-loggia sul primo cortiletto e la revisione stilistica del prospetto sulla via Tridentina. Per quanto riguarda la REVISIONE STILISTICA della facciata esterna, alle vecchie aperture a ogiva vennero sostituite ampie finestre archi-travate, vennero costruiti due balconcini con balaustre a doppio fuso che si protendono verso lo spazio aperto, come segno di ostentazione del decoro familiare. Nel “portico a loggia” c’e il raddoppiamento ritmico delle arcate superiori (più piccole rispetto a quelle inferiori, infatti, alle quattro arcate del portico ne corrispondono otto sulla loggia). La LOGGIA, (in relazione alla funzione di alloggiamento che la casa ricopriva), era concepita anche come atrio o aula di rappresentanza: la sua ampiezza in profondità (m 12,70 x 4,80) la rendeva simile a un luogo privilegiato della convivialità e dei ricevimenti; funzioni che almeno in parte deve aver ricoperto, stante la parziale inadeguatezza della SALA MEDIANA passante. Questa,infatti, aveva una conformazione lunga e stretta, poco corrispondente alle esigenze cinquecentesche del vivere signorile. Sul lato interno della loggia e sul vano scala corre il frammento di un fregio a girali vegetali, intercalato da un tondo con motivo a stella, sul lato est del vano scala, inoltre, i girali sono interrotti da un riquadro incorniciante un clipeo con Madonna e il Bambino . L’iconografia dei girali rimanda a formule ornamentali convenzionali all’interno di una pratica architettonica artigianale, oltre il XIV sec. L’inadeguatezza di questa sala è testimoniata,inoltre, dai dipinti che vi sono sulle pareti, raffiguranti storie dell’Apocalisse. Tuttavia, proprio qui spicca il sigillo della funzione di pubblica rappresentanza che la stessa sala deteneva: vi compare dipinto sul sovrapporta, una figura alata reggente il corno doganale (omaggio alla Serenissima) , e un altro riferimento politico appare nel riquadro dell’Assedio a Gerusalemme,dove la rappresentazione dei nemici di Dio nelle vesti di guerrieri turchi è certamente un’allusione alla guerra veneto-turca ( il ricordo del disastroso scontro della Prevesa del 1538 era ancora vicino). Tutto ciò testimonia il sentimento del tempo di ansia di purificazione religiosa e di tensioni spirituali e profetiche. Il portale È contrapposto al portale posto sulla via Tridentina. Edificato per l’esibizione di insegne familiari, poiché fungeva, oltre che da ingresso delle casa , da una sorta di “PORTA DELLO STATO veneto, quindi destinato ad una rappresentatività”. Il portale è caratterizzato da un’enfatizzazione dei temi mantovani e di Giulio Romano: -mescolanza di spunti linguistici aggiornati (parti rustiche e levigate) a incertezze formali. -Sgrammature proporzionali (l’arco a tutto sesto ha proporzioni tozze). Tre sono gli elementi fondamentali in cui si condensa il messaggio: •La testa barbuta in chiave d’arco: legata all’interpretazione religiosa, d’ispirazione biblico ermetica, dell’intero arco. Infatti, non ha la tipica espressione grottesca che caratterizza i mascheroni del ‘500: ha delle fattezze umane, un’ espressione serena e la bocca semiaperta. Esso andrà identificato nel Cristo-Verbo, la Parola incarnata, l’annuncio che si diffonde fra gli uditori; • la piramide di cinque gradini: sovrasta la testa. Si rifà all’architettura, soprattutto funeraria, cinquecentesca (a partire dall’ambito raffaelesco e giulioromanesco) e rappresenta un clima di riformismo che si esprimeva anche attraverso un simbolismo ermetico. • disco di pietra: posto sulla sommità. La giustapposizione tra la struttura quadrangolare della piramide e la circolarità del disco in pietra che la sormonta, simboleggia, su un piano generale, il passaggio dal terreste al celeste, dall’umano al divino, in cui il divino è espresso attraverso il simbolismo solare (il disco-Sole). Ma anche assimilazione del Cristo-Dio al Sole, tipica delle tradizioni platoniche. Tuttavia, è proprio l’interpretazione del disco-Sole con il Sol Iustitiae che ci consente di agganciare il portale agli affreschi interni dell’Apocalisse, pervasi da una forte attesa del giudizio finale. Inoltre, il fatto che il Cristo-Verbo coincide con la chiave d’arco simboleggia una concezione di Cristo come substentaculum omnium. Rilievo fotografico Paticolari del loggiato: L’ingresso al cortile La torretta a ridosso della facciata Particolare dell’affresco Bibliografia: motore di ricerca google Gori Graziella 4ep