JACOPONE DA TODI
Doris Nátia Cavallari
USP
Trabalho para fins
didáticos sem fins
lucrativos
JACOPONE DA TODI
Jacopo de’
Benedetti
nacque
intorno al
1236 a
Todi
JACOPONE DA TODI
E morì nel
convento di S.
Lorenzo di
Collazzone
(fra Perugia e
Todi) nel 1306
VITA
JACOPONE DA TODI
Studiò diritto a Bologna, poi ritornò
nella sua città dove fu avvocato e
notaio.
Nel 1268, durante una festa, gli morì
la moglie, in seguito al crollo del
pavimento della sala, e Jacopo
scoprì, sotto le eleganti vesti di lei,
uno strumento di penitenza, il
cilizio. Sconvolto Jacopo
abbandonò ogni cosa, professione,
parenti, amici, distribuì ai poveri
ogni suo avere e visse per dieci
anni vita di penitente. Le sue
penitenze sono piuttosto
esasperate, assurde.
Dopo 10 anni fu ammesso
nell’ordine francescano (era
partidario degli Spirituali) e qui
studiò teologia e compose le sue
laudi.
JACOPONE DA TODI E LO SPIRITO DI
LIBERTÀ
Probabilmente nato nel XII secolo, lo
"Spirito di Libertà" si diffuse in Europa
nel secolo successivo, con dottrine che
facilmente si integravano nella mistica
tradizionale; il fermento religioso era
vivo nell'alto Medioevo, ma spesso
fioriva con gruppi spontanei che la
Chiesa poteva non riconoscere o
ostacolare, al fine di evitare deviazioni
dalla regola, sbandi anarchici dal
controllo dell'ordine ufficiale.
Nel 1311, il movimento fu quindi accusato
di eresia dal concilio di Vienna,
nell'ambito della condanna dei
"begardi", corrispondenti agli italiani
"bizzochi" (cioè penitenti al di fuori della
Chiesa ufficiale), tra i quali le idee del
Libero Spirito avevano preso piede.
La dottrina del Libero Spirito, al di là delle
posizioni moderate o estremiste dei vari
gruppi, insisteva su un momento
ascetico iniziale di mortificazione,
digiuno, povertà
Da http://www.iacoponetodi.it/it
materiale e spirituale: il processo
portava infine all'indiamento, cioè
il raggiungimento di Dio e la totale
identificazione con lui. Dunque
l'anima doveva annullarsi per poi
fondersi con Dio: a questo punto
era impeccabile, ferma in una
sorta di paradiso sulla terra. Idea
che non rientrava più
nell'ortodossia cristiana e non
poteva esser accettata dalla
Chiesa.
Iacopone da Todi condusse la vita del
bizzoco per circa dieci anni, quindi
era probabilmente venuto a
contatto con le idee dello Spirito
della Libertà. In particolare alcune
laude appaiono influenzate dalla
dottrina:
Povertat'è null'avere
e nulla cosa poi volere
e onne cosa possedere
en spirito de libertate...
BONIFACIO VIII
Benedetto Caetani, nato ad
Anagni nel 1235, fu eletto Papa
col nome di Bonifacio VIII, il
giorno della vigilia di Natale del
1294 dal Conclave radunatosi
nel Castelnuovo di Napoli, in
base alla costituzione di
Gregorio X sull'elezione
pontificia, dieci giorni dopo il
"gran rifiuto" di Celestino V.
Il suo papato durò dal 1294-1303
Il primo, vero e proprio, atto
politico di Bonifacio VIII fu
quello di ratificare il trattato
(precedentemente vergato da
Celestino V) tra Carlo II e
Giacomo II d'Aragona, in base
al quale la Sicilia si sarebbe
riunita al regno angioino.
BONIFACIO VIII
Nella bolla Clericis laicos, emessa
nel 1296, minacciò di
scomunicare i laici che avessero
imposto tasse agli ecclesiastici,
senza il consenso della Chiesa di
Roma. In Germania e in
Inghilterra i sovrani si
uniformarono a tale
disposizione; in Francia, invece,
il re Filippo il Bello emanò due
editti contrari, con
l'approvazione dei vescovi
francesi.
Davanti a tale irrigidimento, che
avrebbe potuto portare a
Bonifacio VIII gravi ripercussioni
economiche, autonomistiche e
politiche, il pontefice fece
retromarcia, autorizzando il re a
riscuotere le imposte del clero
solo in casi di emergenza.
Anche in Italia Bonifacio VIII avrebbe
dovuto fare i conti con l'ostilità di
alcuni membri dell'aristocrazia
romana, in particolare con la
famiglia Colonna: i due cardinali
Giacomo e Pietro dichiararono
nulla la sua elezione e montarono
contro il papa un'opposizione sia
da parte del popolo che del clero,
che si estese anche all'ordine degli
Spirituali Francescani, il cui
portavoce, Jacopone da Todi,
inveì contro Bonifacio VIII
chiamandolo "novello anticristo".
Jacopone lottò contro l'esercito
papale, ma fu catturato dai suoi
eserciti nel 1298,nel suo rifugio
alla Rocca Palestrina. Lui fu
incarcerato, scomunicato e rimase
in prigione fino alla morte del
papa.
Da:
http://www.racine.ra.it/lcalighieri/Giubileo/bonif
acio_viii.htm
O papa Bonifazio
Jacopone scrisse
durante la priogionia
(1298-1303) questa
epistola in versi,
ardente supplica a
papa Bonifazio VIII
perché lo liberi dalla
scomunica, ma fa, al
tempo stesso una
dignitosa e forte
affermazione della
propria innocenza e
della propria inalterata
e autentica professione
di vita cristina.
Bonifacio VIII invia Carlo di Valois
in delegazione dalle fazioni
guelfe", 1301, miniatura di scuola
fiorentina - Roma, Biblioteca
Apostolica Vaticana
O papa Bonifazio
O papa Bonifazio,
eo porto el tuo prefazio
e la maledezzone
e scommunicazione.
Con la lengua forcuta
m’hai fatta esta feruta:
che co la lengua ligne
e la piaga ne stigne;
ca questa mia ferita
non pò esser guarita
per altra condezione
senza assoluzïne.
Per grazïa te peto
che me dichi: “Absolveto”,
e le altre pene me lassi
finch’io del mondo passi.
Puoi, si te vuol provare
e meco esercetare,
non de questa materia,
ma d’altro modo prelia.
Si tu sai sì schirmire
che me sacci ferire,
tengote bene esperto,
si me fieri a scoperto:
c’aio dui scudi a collo,
e s’io no i me ne tollo,
per secula infinita
mai non temo ferita.
El primo scudo, sinistro,
l’altro sede al deritto.
Lo sinistro scudato,
un diamante aprovato:
nullo ferro ci aponta,
tanto c’è dura pronta:
quest’è l’odïo mio,
ionto a l’onor di Dio.
O papa Bonifazio
Lo deritto scudone,
d’una preta en carbone,
ignita como fuoco
d’uno amoroso ioco:
lo prossimo en amore
d’uomo enfocato ardore.
Si te vòi fare ennante,
puo’lo provar ’n estante;
e quando vol’ t’abrenca,
ch’e’ co l’amar non venca.
Volentier te parlara:
credo che te iovara.
Vale, vale, vale,
Deo te tolla onne male
e dìemole per grazia,
ch’io el porto en leta fazia.
Finisco lo trattato
en questo loco lassato.
JACOPONE DA TODI
La poesia e il rapporto con la scienza
 La scelta umile del dialetto umbro popolare nelle laudi, è
accompagnata comunque dal bagaglio intellettuale del poeta:
termini attinti dal latino ecclesiastico, dal gergo giuridico, e dalla
lirica d'amore arricchiscono l'opera di Iacopone, insieme alla
tensione espressiva unica e a varie scelte originali, come quella della
drammatizzazione.
 Forse proprio a Iacopone si deve il primo esempio di Lauda
drammatica, o dialogata: una delle sue laudi più famose "Donna de
Paradiso", è un intreccio di voci che si soffermano sull'umana
sofferenza della Madonna, la sua intesa materna e carnale con il
figlio crocefisso.
 L'interesse negli studi teologici è in apparente contraddizione con la
polemica tipica degli Spirituali dell'ordine francescano nei confronti
della scienza: in realtà l'oggetto della contestazione non è l'istruzione
in sé, ma il desiderio di gloria legato alla fama di cultura. Quindi la
critica di Iacopone si concentra contro tutto ciò che cancella
l'umiltà, pilastro della vita dei francescani anche nell'ambito dello
studio.

Da http://www.iacoponetodi.it/it
JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
Metro
Schema di ballata (x x, a b, b x,
tutti settenari; la rima si ripete
uguale nelle strofe II e III (-e
so); quella b (-are) nelle strofe
I e II; assonanza, come
succede spesso in Jacopone ai
vv. 3-5 e 21-23; rima siciliana
(éso—iso) ai vv. 15-17. Anche a
livello metrico dunque un
intreccio fra il registro
“popolare” ( le assonanze) e
procedimenti tipici della poesia
cortese (le rime-refrain e la
rima siciliana)...
Da ASOR ROSA, A. La poesia del
Duecento e Dante. Firenze: La
Nuova Italia, 1974, p.77
Il concetto del giubilo d’amore si
trova già in Bernardo di
Ventadorn. ...è l’amore che
rende buono il canto, dice
Bernardo; è il giubilo che obbliga
l’uomo a cantare, dice jacopone.
Il motivo non per nulla si ritrova
nello Stil Novo e in Dante, ma
mentre Jacopone esclude,
teoricamente, la nozione stessa
di una mediazione (la cultura
evidentemente), negli stilvovisti e
in Dante l’accento poggia
pariteticamente sui due aspetti:
amore e sua trascrizione partica
(“Amore ha fabricato ciò ch’io
limo”, Cavalcanti; “...e a quel
modo/ ch’è [Amore] ditta dentro
vo significando” , Dante).
Da ASOR ROSA, A. La poesia del Duecento
e Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
p.77
JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
O iubelo de core,
che fai cantar d'amore!
Quanno iubel se scalda,
sì fa l'omo cantare;
e la lengua barbaglia, (5)
non sa que se parlare;
drento no 'l pò celare
(tant'è granne!) el dolzore.
Quanno iubel c'è aceso,
sì fa l'omo clamare; (10)
lo cor d'amor è apreso,
che no 'l pò comportare;
stridenno el fa gridare
e non virgogna allore
Quanno iubelo à preso (15)
lo core ennamorato,
la gente l'à 'n deriso,
pensanno el so parlato,
parlanno esmesurato
de que sente calore. (20)
O iubel, dolce gaudio,
ch'è' drento ne la mente!
Lo cor deventa savio,
celar so convenente;
non pò esser soffrente(25)
che non faccia clamore.
Chi non à custumanza
te reputa empazzito,
vedenno esvalianza
com'om ch'è desvanito. (30)
Drent'à lo cor firito,
non se sente de fore
JACOPONE DA TODI
O iubelo de core
La lauda si sviluppa parallelamente su
due assi: l’esperienza intimamente
vissuta e ciò che ne appare al di
fuori.
Vista dall’interno, la gioia mistica
espressa dalla metafora del cuore
che si infiamma sempre più (vv.
3,9,15), è presentata come
un’esperienza intima e profonda
(v.22) da condurre alla perdita di
contatto con il mondo (vv. 31,12)
Nelle sue manifestazioni esterne si
presenta come uma progressione
verso la follia, che trapassa dal
cantare (v.4 al balbettare (v.5), dal
gridare (vv.10 e 13) al non provare
alcuna vergogna (v. 14) e al
diventare oggetto di scherno (v. 17)
dal “far clamore” (v. 26) all’apparire
impazzito (vv. 27-30).
Da ARMELLINI,G. E COLOMBO, A. La letteratura
italiana. Antologia. Duecento e Trecento. Vol. I.
Bologna:Zanichelli, 1999, p. 105
JACOPONE DA TODI
Questo parlare/ cantrare/gridare
diventa allora um crescente
atto d’umiltà e un modo di
esercitare la caritas, secondo la
concessione di San Bernardo,
uno dei maestri di Jacopone e
che pregava: “ colui il quale,
preoccupato di non perdere il
suo bene, non lo partecipa, lo
dissolve e distrugge
nell’egoismo. Per S. bernardo,
la solidarietà umana, l’unità
dei compagni di viaggio nel
cammino dell’esistenza
attraverso il tempo e l’eterno,
esige la predicazione...
La carità, che non permette
all’uomo di salvarsi da solo è...
la ragione e la sostanza stessa
dell’umiltà. L’umiltà, infatti,
si manifesta realmente solo come
comunicazione: l’incarnazione
del cristo... Rappresenta lo
svolgimento esemplare di
questo tema: l’umiltà del Dio
che s’incarna trova la sua
ragione nell’amore per gli
uomini...” (Lazzari apud ASOR
ROSA, A. La poesia del Duecento e
Dante. Firenze: La Nuova Italia, 1974,
p.75)
JACOPONE DA TODI
O Segnor, per cortesia
Non solo per eccesso e sovrabbondanza di amore verso Dio
Jacopone invoca su di sé ogni male, non solo per distaccarsi
dal corpo e concepire quell’odio del mondo che condizione
prima di rinovamento del mistico amore, ma anche, come
spiega alla fine, per espiare quei peccati coi quali anch’egli,
come ogni peccatore ha crocefisso Cristo, amore supremo.
Jacopone invoca su di sé ogni infermità, poi di essere
abbandonato da tutti, colpito da ogni sorta di sciagura, sia in
questa vita, sia dopo la morte. È un crescendo di fantasie
cupe, scandite con un ritmo implacabile, un desiderio di
atroce dissolvimento, che sfocia sul grido di dolore e
pentimento, più umanamente persuasivo, dell’ultima
quartina (Pazzaglia, p. 153)
Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
O Segnor, per cortesia
manname la malsanìa!
A me la fevre quartana
la contina e la terzana,
la doppia cotidiana
co la grande etropesìa.
A me venga mal de denti,
mal de capo e mal de ventre,
a lo stomaco dolor pungente
e’n canna la squintania;
mal de occhi e doglia di fianco
e l’apostema al canto manco
tiseco me ionga el alco,
e d’onne tempo la frenosia.
Aia ‘l fegato rescaldato
la milza grossa, el ventre enfiato;
lo polmone sia piagato
con gran tossa e parlasìa.
A me venga le fistelli
con migliaia di carboncelli,
e li granchi siano quelli
che tutto ripien ne sia.
A me venga la podagra,
mal di ciglia sì m’aggrava,
la dissinteria sia piaga
e l’emorroide a me se dia.
A me venga el mal del asmo,
iongasece quel del pasmo;
como al can me venga el rasmo
ed en vocca la grancìa.
Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
A me lo morbo caduco
de cadere en acqua e’n foco,
e ià mai non trovi loco
ch’eo afflitto non ce sia.
A me venga cechitate,
muteza e sordetate,
la miseria e povertate,
e d’onne tempo attrapparìa.
Tanto sia el fetor fetente,
che non sia null’om vivente,
che non fuga da me dolente
posto en tanta enfermarìa.
En terrebele fossato
che Regoverci è nomenato,
loco sia abbandonato,
da onne bona compagnia.
Gelo granden, tempestate
fulgure, troni e oscuritate:
non sia nulla avversitate,
che non me aia in sua bailia.
Glie demonia enfernali
sì me sian dati a ministrali,
che m’esserciten li mali,
c’ho lucrati a mia follia.
Enfin del mondo a la finita
sì mi duri questa vita,
e poi la sceverita,
dura morte me se dia. Alegome en
sepoltura
ventre de lupo en voratura,
e l’arliquie e cacatura
en espineta e rosarìa.
Jacopone da Todi
O Segnor, per cortesia
Alegome en sepoltura
ventre de lupo en voratura,
e l’arliquie e cacatura
en espineta e rosarìa. Li
miracul po’la morte:
chi ce ven aia le scorte,
e le vessazione forte
con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode
mentuvare,
sì se deia stupefare,
co la croce sé signare
che rio scontro no i sia en via.
Segnor mio, non è vendetta
tutta la pena c’ho detta:
chè me creasti en tua diletta
e eo t’ho morto a villania.
Jacopone da Todi
Il senso del contrasto morale atteggia tutto per antitesi e
contraddizioni, che sono cosí accostamenti di espressioni
contrastanti per tono, come di termini di significato contrario.
La stessa sintassi jacoponica, che costituisce indubbiamente una delle
maggiori difficoltà del testo, è prova di una psicologia inquieta e
combattuta: la prevalenza della coordinazione asindetica sulla
subordinazione, che dà un andamento spezzato all'espressione e i
cambiamenti di costruzione denunciano la continua reazione morale
del poeta di fronte al suo oggetto: è mescolato sempre alla visione
un giudizio che modifica e altera l'espressione; biasimo,
indignazione, disprezzo sono palesi nello stesso atteggiarsi della
frase.
Da http://www.pubblicascuola.it/Pagine/index31.html
Jacopone da Todi
La poesia di Jacopone è tutta dominata da interessi e problemi psicologici: lo
attesta il linguaggio, spesso assai ricco di termini astratti, di natura appunto
psicologica e riferentesi alla vita dello spirito, e povero invece di termini
concreti e riguardanti le cose materiali. Certe espressioni hanno un
significato pregnante, nascono da un complesso lavorio interno e ne sono il
segno e il risultato. Un linguaggio cosiffatto è quello di uno spirito librato in
un'atmosfera rarefatta, preoccupato del problema della propria perfezione,
continuamente tendente verso l'alto, e insieme attento ai propri movimenti,
non in modo riflesso e non con l'interesse distaccato e prevalentemente
estetico dello psicologo moderno, ma con un senso vigile, direi quasi
esasperato, della responsabilità morale che accompagna quei movimenti. Ciò
risulta evidente dal comparire di termini e frasi di una concretezza talvolta
brutale: sono espressioni di dispregio per sé medesimo, o di aborrimento per
il, peccato, che rivelano quale acuto senso Jacopone abbia del contrasto tra
la perfezione a cui aspira e la realtà della sua vita e del mondo. Il termine
energico, grossolano, plebeo è cercato con l'evidente scopo di dar forza
all'espressione, e ciò accade sopra tutto nella prima sezione del laudario
iacoponico, che contiene, come si è detto, riflessioni sul peccato, sulla vanità
delle cose terrene, sulla morte. Nell'insistenza sul tono violento e sui termini
spregiativi si coglie l'odio e direi quasi il rancore contro il mondo e le sue
brutture. A volte, per es. nello sviluppo dato al tema, pure tradizionale, della
contemplazione della morte, il particolare orrendo è rilevato con grossolana
ironia, e sono usate espressioni di immediata efficacia rappresentativa
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
«Donna del Paradiso,
lo tuo figliolo é preso
Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide
Che la gente l’ allide
(lo batte- latinismo);
Credo che lo s’ occide,
Tanto l’ò flagellato»
«Como essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?»
«Madonna, ello è traduto,
Iuda si ll’à venduto;
Trenta denar’ n’à avuto,
Fatto n’à gran mercato».
«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
(mi è giunta la pena)
Cristo figlio se Mena,
como è annunzïato».
Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figliol se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».
«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’ eo te pòzzo mustrare
como a torto è accusato».
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege, (29)
secondo la nostra lege
contradice al senato».
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
«Prego che mm’entennate,
(m’intendiate –intendiate il mio dolo
di madre)
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».
«Traìan for li latruni,
che sian soi compagnuni;
che spine s’ encoroni
che rege ss’è clamato!».
O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi,
figlio, co' non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ sì lattato?»
(48)
«Madonna, ecco la Croce,
che la gente l’aduce
(che la gente porta)
ove la vera luce deve essere levato».
(52) «O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
come tu poniari
chi non há in sé peccato?»
(fare attenzione al nesso croceinnocenza, nucleo dottrinale
della passione de della
redenzione)
(60) «Soccurre, piena di doglia,
ca ’l tuo figlio se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».
«Se i tollet’ el vestire,
lassatelme vedere,
com’ em crudel firire
tutto l’ ò ensanguenato».
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
(con un chiodo l’hanno traffitta)
tanto lo’n cci ò ficcato
L´altra manno se prende,
ennella Croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno
e clavallanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».
(76) «Et eo comenzo el corrotto
(lamento funebre);
figlio, lo meo deporto (gioia),
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?
Meglio averiano fatto
ch’el cor m’ avesser tratto,
ch’ ennella Croce è tratto,
stace descilïato!»
(straziato)
«O mamma, ove si’ venuta
mortal me dai feruta,
cà ’l tuo planger me stuta,
che ’l veio sì afferato».
(Il tuo pianto m’uccide perché è così
angosciato)
«Figlio, ch’eo m’aio anvito
(figlio io ne ho ben ragione per
piangere)
figlio, pat’ e mmarito!
Figlio, chi tt’à ferito?
Figlio, chi tt’à spogliato?»
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
«Mamma,
perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve ei mei compagni
ch’ al mondo aio acquistato».
«Figlio questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo m’ esce ’l fiato.
C’ una aiam sepoltura,
(Che abbiamo un’unica sepoltuta)
figlio de mamma scura (infelice),
trovarse en afrantura
(che si trovano nella stessa
sofferenza)
mat’ e figlio affocato!» (ucciso)
(104)
«Mamma col core afflitto,
entro le man te metto
de Ioanni, meo eletto;
si atuo figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate:
tollita en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core sì à furato». (111)
(traffitto dal dolore)
«Figlio, t’ alma t’ è scita,
(è uscita da te)
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita, (disperata)
figlio attossecato! (avvelenato)
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a chi m’ apiglio?
Figlio, pur m’ ai lassato!
Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à ’l mondo,
figlio, così sprezzato?
Figlio dolze e placente
(dolce e piacente – bello )
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
malamente trattato.
Ioanni, figlio novello,
mort’è lo tuo fratello:
ora sento ’l coltello
(metonimia per ferita)
(131) *che fo profetizzato.
Che moga figlio e mate
d’ una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mate e figlio impiccato!»
(appeso alla croce, crocefisso
* che fo profetizzato. – riferimento alla
profezia di Simeone che visto Gesù
bambino, aveva detto: ”Quanto a te
Maria, il dolore ti colpirà come
colpisce una spada) Luperini, p.39
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Scelte stilistiche
Stuta e lagni – questi termini usati da
Cristo sono forme popolari,
famigliari
Crucifige, rege, lege sono latinismi,
sono di derivazione colte.
Invece sputa, latruni, cumpagnuni
fanno parte del lessico realistico di
impronta popolare.
Da notare anche l’intonazione della
voce di Cristo, dall’alto non solo
della croce, ma di un mondo ormai
lontano da questo terreno,
appartiene a una dimensione
soprannaturale.
struttura sintattica – prevalenza
della coordinazione,
specialmente per assindeto.
riccorenza dell’asindeto .
uso quasi ossessivo del
vocativo anaforico figlio. (33
volte nel dialogo fra madre e
figlio). Cristo, a sua volta,
ripete tre volte il vocativo
Mamma. L’anafora e
l’iterazione creano il pathos
della lauda.
 frasi esclamative col verbo
all’infinito
 lessico fra il dotto e il popolare
allo stesso tempo (latinismi nel
discorso del Nunzio e della
folla e locuzini quotidiane in
quelle di Cristo e della
madonna)

Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Jacopone sposta l’attenzione della
figura di Cristo a quella di
Maria, rappresentata come
una madre che grida la sua
disperazione per la morte del
figlio. Maria viene chiamata
donna, madonna, piena di
doglia, dolente e mamma..
La rappresentazione di Maria
come mamma addolorata e di
Gesù come uomo agonizzante
(c’è un unico punto in cui
l’autore si riferisce a Cristo
come Dio) fornisce gli aspetti
umani della passione.
Abbiamo un uomo e una donna che
soffrono come qualsiasi altro
essere umano. Si veda qui
l’influenza francescana che
valorizza gli aspetti umani delle
situazioni.
L'itinerario che porta a Dio è un
cammino di amore e di dolore, una
lotta aspra e continua contro le
tentazioni del mondo e i bassi
appetiti della natura umana
(Casella).
Anche la posizione apparentemente
più rigoristica, quella mistica,
appare in realtà solo un mondo
intellettuale particolare di
impostare i rapporti tra cultura e
natura/esistenza.
Jacopone da Todi
Donna del Paradiso
Al centro dell’attenzione stanno l’umana sofferenza della Madonna e la
sua intesa materna e carnale con il figlio crocefisso. L’esperienza
della morte di Cristo non è glorificata astratamente, ma
rappresentata come estrema condizione del dolore umano: la
radicalità di Jacopone qui non determina un’esaltazione della
natura divina morente, ma amplia al massimo il campo dell’umanità
sua e dei suoi rapporti. La madre Maria è lo specchio terreno e il
fulcro di questo legame dei due misteri della Passione e
dell’Incarnazione: con perfetta consapevolezza teologica e dottrinale,
e non certo per rozza intuizione di sentimenti, come è stato spesso
ritenuto, Jacopone fonde nella figura della Madonna i due termini
coinvolti nel grande mito cristiano. Ella è il doppio terreno di Cristo
(cfr.vv. 132-135 - Che moga figlio e mate/ d’ una morte afferrate,/
trovarse abraccecate/ mate e figlio impiccato), con la sua purezza, e
perciò degna di un rapporto di fusione con Dio, e con la sua
sofferenza; ed è un modello di umanità redenta, segnata dalla svolta
definitiva della Passione e affidata alla continuità della lezione
evangelica (cfr.vv. 104-111 e 128 sg). L’aspetto ‘teatrale’ è conforme
alla volontà francescana di messaggio cristiano e di partecipazione
popolare ad esso... (Romano Luperini)
JACOPONE DA TODI
La poesia di Jacopone testimonia una
continua e tormentosa battaglia
nell’animo suo, nella ricerca di una
fusione mistica con Dio, che è un
morire a se stessi e al mondo. Solo
attraverso l’abominio e l’odio di sé,
del suo corpo, della sua anima, della
vita intera, solo mediante questa
totale distruzione e suprema
disperazione egli pensava di potersi
liberare dalla natura umana misera e
peccaminosa e giungere al vero,
supremo amore di Dio, una
travolgente, inebriante esperienza
mistica. Jacopone tendeva a questa
assoluta e lacerante solitudine, a non
essere più un io, povero grumo di
orgoglio, egoismo e passione; era
pessimista di fronte al mondo che
non vedeva come armoniosa
creazione di Dio, ma insozzato e
corrotto dal peccato, pessimista
davanti agli uomini che sentiva
incapaci d’ amare.” (Pazzaglia, p.152)
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