Siena, 1284 – Avignone, 1344
Presentazione curata dall’insegnante
MENIN MARISTELLA
Duccio di Buoninsegna (Siena, 1255 circa – 1318 o 1319) è stato
un pittore italiano, tradizionalmente indicato come il primo maestro della scuola
senese.
L'arte di Duccio aveva in origine una solida componente bizantina, legata in
particolare alla cultura più recente del periodo paleologo (la famiglia
dei Paleologi fu l'ultima dinastia a governare l'Impero Bizantino), e una notevole
conoscenza di Cimabue (quasi sicuramente il suo maestro nei primi anni di
attività), alle quali aggiunse una rielaborazione personale in senso gotico,
inteso come linearismo ed eleganza transalpini, una linea morbida e una
raffinata gamma cromatica.
Col tempo lo stile di Duccio raggiunse esiti di sempre maggiore naturalezza e
morbidezza e seppe anche aggiornarsi alle innovazioni introdotte da Giotto,
quali la resa dei chiaroscuri secondo una o poche fonti di luce, la
volumetria delle figure e del panneggio, la resa prospettica. Il suo capolavoro,
ovvero la Maestà del Duomo di Siena, è un'opera emblematica dell'arte
del Trecento Italiano.
Il 15 aprile 1285 venne commissionata a Duccio la
cosiddetta Madonna Rucellai, dalla Compagnia dei Laudesi. La
tavola fu realizzata per la Cappella Bardi della chiesa di Santa
Maria Novella a Firenze.
La tavola venne detta "Rucellai" perché a partire dal 1591 venne
collocata nella contigua Cappella Rucellai, prima di approdare
agli Uffizi.
In questa opera è raffigurata la Madonna col Bambino in maestà,
fiancheggiati da sei angeli. L'opera si ispira alla Maestà del
Louvre di Cimabue, dipinta circa 5 anni prima, tanto che a lungo
venne creduta un'opera di Cimabue e tale errata attribuzione fu
sostenuta a lungo, anche dopo il ritrovamento del documento di
allogazione (1790).
Questa "maestà" è un'opera chiave nel percorso dell'artista, dove la
solida maestosità e l'umana rappresentazione di Cimabue viene
incrociata con una maggiore aristocraticità e raffinatezza, con un
contenuto umano ancora più dolce. Inoltre l'opera è caratterizzata
da motivi decorativi di origine gotica, come il capriccioso orlo dorato
della veste di Maria che disegna una complessa linea dal petto fino
ai piedi, le bifore e trifore gotiche del trono ligneo e il mantello della
Vergine non più "intriso" di crisografie bizantine, ma ammorbidito da
pieghe morbide e cadenti. Sono soprattutto questi elementi gotici
che segnano un ulteriore distacco dal maestro Cimabue, che rimarrà
ancora ancorato alla tradizione bizantina.
Madonna
Rucellai, Uffizi,
Firenze
GOTICO pittura
Duccio di Buoninsegna (1255--1317 ca) e la
scuola senese
–– Formazione artistica di derivazione
bizantina
–– Minore attenzione alla spazialità rispetto
a Cimabue e Giotto
–– Grande attenzione a fluidità delle linee e
armonia dei colori
–– Madonna Rucellai 1285
Prospettiva del trono solo decorativa
Schienale ammorbidito dalla stoffa
Invece grande attenzione per la veste e il
suo risvolto dorato che disegna una linea
sinuosa che percorre il corpo
È un’opera giovanile, lo stesso tema sarà
ripreso nella Maestà del Duomo di Siena
La Maestà realizzata per l'altare principale del Duomo
di Siena risale al 1308-1311, come testimoniato dalla
documentazione scritta che ha permesso di risalire al
contratto (1308) ed una cronaca locale che testimonia il
passaggio dell'opera dalla bottega del maestro al Duomo
(1311).
La Maestà è il capolavoro di Duccio, nonché una delle
opere più emblematiche dell'arte italiana. Restò esposta
nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878,
mentre oggi è conservata presso il Museo dell'Opera
metropolitana del Duomo.
Duccio di Buoninsegna (1255--1317 ca)
–– Maestà del Duomo di Siena 1308--1311 ca
Pala d’altare
Ancora una volta cerca l’effetto cromatico più che quello volumetrico. Si tratta di una grande
tavola (425x212 cm) a due facce, anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo un
discutibile intervento ottocentesco che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello
originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in
trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro.
La Maestà del Duomo di Siena era la pala d'altare della Cattedrale senese, dipinta tra il 1308 e il 1311
dall'iniziatore della scuola senese Duccio di Buoninsegna.
L'opera si trova oggi collocata nel Museo dell'Opera Metropolitana del Duomo di Siena, dopo essere stata
esposta nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878.
Si tratta di una grande tavola (425x212 cm.) a due facce.
Il lato principale, quello originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine
con Bambino in trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. Tra questi si
riconoscono inginocchiati in primo piano i quattro santi protettori di Siena (Sant'Ansano, San
Savino, San Crescenzio e San Vittore), mentre ai due lati sono raffigurate le due sante protettrici in
piedi (Sant'Agnese e Santa Caterina d'Alessandria), avvolte da manti con un panneggio di linee
nervosamente spezzate, che ricordano i goticismi della Madonna Rucellai.
Il retro era invece destinato alla visione del clero, e vi sono rappresentate
26 Storie della Passione di Cristo, divise in formelle più piccole, uno dei più
ampli cicli dedicati a questo tema in Italia. Il posto d'onore, al centro è dato
dalla Crocifissione, di larghezza maggiore e altezza doppia, come anche la
formella doppia nell'angolo in basso a sinistra con l’Entrata a Gerusalemme.
In varie scene Duccio diede prova di essere aggiornato rispetto alle
"prospettive" dei fondali architettonici di Giotto, ma in altre deroga
volontariamente alla raffigurazione spaziale per mettere in risalto particolari che
gli premono, come la tavola apparecchiata nella scena dell’Ultima cena (troppo
inclinata rispetto al soffitto) o come il gesto di Ponzio Pilato nella Flagellazione,
che è in primo piano rispetto a una colonna nonostante i suoi piedi poggino su
un piedistallo che è collocato dietro.
Duccio non sembra quindi interessato a complicare eccessivamente le
scene con regole spaziali assolute, anzi talvolta la narrazione è più efficace
proprio in quelle scene dove un generico paesaggio roccioso tradizionale lo
libera dalla costrizione della rappresentazione tridimensionale.
Duccio di
Buoninsegna
(ca. 1255,
Siena - 1319,
Siena),
“L’ultima
Cena” dal
retro della
parte centrale
della
“Maestà”,
1308-11,
Tempera su
tavola, 50 x
53 cm, Museo
dell’Opera del
Duomo,
Siena
Duccio di
Buoninsegna:
Maestà - La
Flagellazione
1308-11
Maestà - Scene della Passione
Museo dell’Opera del Duomo, Siena
Duccio di Buoninsegna “Maestà”- Scene della passione di Cristo-Museo dell’Opera del
Duomo di Siena-(1308-1311)-
Maestà- Presentazione al Tempio
La predella dal lato rivolto ai fedeli presentava
alcune storie dell'infanzia di Cristo, nelle quali
la protagonista è Maria, alternate a figure
di Profeti (Isaia, Ezechiele, Salomone, Malachi
a, Geremia, Osea)
Nella Maestà si ravvisa tutto il realismo dei volti dei personaggi di cui
era capace Duccio, nonché l'ormai acquisita capacità di disegnare cose
e personaggi secondo i canoni giotteschi della prospettiva diretta (non
più l'antiquata prospettiva inversa di Cimabue ripresa da Duccio fino a
fine Duecento). Le vesti hanno un panneggio voluminoso, i chiaroscuri
sono resi con un'attenzione per la provenienza delle fonti di luce,
tendenze anch'esse ereditate da Giotto.
L'opera spicca anche per la profusione di dettagli e decorazioni: dagli
intarsi marmorei del trono, o alla fantasia fine del drappo sullo schienale
dello stesso trono, dalla capigliatura degli angeli agli ornamenti delle
sante. La coesione di elementi di matrice fiorentina con il realismo
figurativo propri di Duccio, il tutto impreziosito da una cura estrema
per il particolare, fanno di quest'opera uno dei capolavori
del Trecento italiano.
Duccio (di Buoninsegna) - Maestà: Cristo Appare sulla strada per Emmaus
MaestàAnnunciazione
1308-11
MaestàScene della Passione.
L’Entrata di Cristo a
Gérusalemme
Il grande complesso pittorico venne allogato a Duccio di Buoninsegna il 9 ottobre
1308 da Jacopo de' Marescotti, l' "Operaio" del Duomo di Siena, per la decorazione
dell'altar maggiore. La stesura pittorica della pala, con tecnica a tempera su tavola,
copriva entrambi i lati (recto e verso), compresi predella e coronamento.
Oggi l'impianto è smembrato, e gran parte dei dipinti ad esso appartenenti è
custodita nel Museo dell'Opera del Duomo. Diversi comparti della predella e del
coronamento sono stati trasferiti all'estero in vari musei e collezioni (pubbliche e
private), mentre alcuni sono andati perduti.
L'intero impianto glorificava la Vergine: La Madonna col Bambino in trono – la
"Maestà" – venerata da santi ed angeli, era collocata al centro; nella predella, sette
comparti con raffigurate le storie sull'infanzia di Gesù, intercalati da sei immagini di
Profeti; nel coronamento, sette (o forse otto) narrazioni sulla Madonna, tutte relative
al "dopo" della crocifissione di Cristo.
Nella zona centrale della parte a tergo erano rappresentati ventisei episodi
sulla "Passione"; nella predella, dieci storie relative ai contatti pubblici di
Gesù; nel coronamento, altre storie di Cristo, relative alle "Apparizioni" dopo
la "Resurrezione". Appare abbastanza verosimile che i pannelli dello stesso
coronamento fossero sormontati da piccole cuspidi raffiguranti gli angeli, per cui ne
sarebbero anche stati identificati alcuni di essi (busti).
Lo smembramento del polittico avvenne il 1° agosto del 1771: la tavola principale, prima
del taglio, comprendeva undici assi lignee (pioppo, 7 cm. di spessore) riunite, come
supporto del prospetto, alle quali ne erano state aggiunte altre di spessore assai più
piccolo (1 cm.) raffiguranti le "storie della Passione".
Ai sei tagli verticali (sette pezzi), in corrispondenza delle stesse "storie della passione",
seguì il sezionamento per separare le due stesure pittoriche (recto e verso), una delicata
operazione destinata a provocare seri danneggiamenti, che rovinò il viso ed il manto
della Madonna nel prospetto, per la disattenzione dei segatori che per due volte persero
il controllo della sega lasciandola fuoriuscire in quei punti.
Le due facciate vennero poi ricostituite disgiuntamente ed esposte, dopo una breve
sosta in un locale attiguo al duomo, nelle cappelle del Sacramento e di Sant'Ansano.
Dal giorno dello smembramento dell'intero complesso pittorico, i vari elementi
appartenenti al coronamento ed alla predella che via via venivano stoccati in sacrestia,
dato l'alto valore e la scarsa sorveglianza, sparirono e, solo più tardi si seppe che
finirono presso collezionisti stranieri. Fortunatamente la stessa sorte non toccò alle
tavole principali ed alle formelle che rimasero a Siena e, nel 1878, vennero trasferite nel
Museo dell'Opera del duomo.
A causa dello smembramento complessivo, nonché della totale scomparsa delle cornici,
a cui vanno aggiunte le troncature di gran parte di pannelli riguardanti il coronamento, è
oggi assai difficile fare una esatta ricostruzione dell'originaria struttura, tanto più
quella relativa alla successione delle raffigurazioni nella parte alta.
Maestà del
Duomo di
Siena 1308-1311 caIpotetica
Ricostruzione
della parte
frontale
Maestà del
Duomo di Siena
1308--1311 caIpotetica
Ricostruzione
del retro
La pala aveva
anche
una predella dipinta
su tutti i lati (la
prima conosciuta
nell'arte italiana) e
a coronamento dei
pannelli cuspidati
con Scene della
vita di
Maria (fronte)
e Episodi postmortem di
Cristo (retro):
queste parti non
sono più a Siena ed
alcune di esse si
trovano in collezioni
e musei esteri.
Simone Martini, indicato talvolta anche come Simone
Senese (Siena, 1284 circa – Avignone, 1344), è stato un pittore e miniatore
italiano, considerato indiscutibilmente uno dei maestri della scuola senese e
sicuramente uno dei maggiori e più influenti artisti del Trecento italiano, l'unico in
grado di contendere lo scettro a Giotto. La sua formazione avvenne,
probabilmente, nella bottega di Duccio di Buoninsegna.
Simone Martini nacque a Siena nel 1284 circa. I primi segni di attività artistica risalgono
al 1305-1310 circa, quando il giovane Simone aveva circa 20-25 anni.
La prima opera datata di Simone Martini è la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena,
affresco dipinto nel 1312-1315 (ritoccato nel1321) nella sala del Consiglio del Palazzo
Pubblico di Siena, dove si trova tutt'oggi.
Il grande affresco (970x763 cm) è una sorta di omaggio alla Maestà del Duomo di
Siena di Duccio di Buoninsegna, dalla quale riprende l'impostazione (Maria e il
Bambino al centro seduti su un trono, teoria simmetrica di santi ai due lati con in primo
piano i protettori della città), l'uso di una fonte di luce unica per la resa dei
chiaroscuri, l'uso di una prospettiva diretta piuttosto che inversa, e
l'angolazione variabile con cui sono rappresentati i personaggi (da frontali ad
altamente profilati), caratteristiche quest'ultime che Duccio stesso aveva ripreso da
Giotto. Anche il realismo figurativo e persino le fisionomie di molti santi rimandano
all'opera di Duccio.
Maestà, 1315, affresco.
Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo
Tuttavia in quest'opera Simone mostra di differenziarsi in maniera decisa
dalla pittura a lui precedente.
La Madonna è più austera, aristocraticamente distaccata e non guarda lo
spettatore. Tutti i volti hanno un realismo mai visto prima, da quello di Maria a
quello dei santi anziani. Le dita delle mani sono differenziate ingentilendone il
tocco.
Le aureole sono rese in rilievo con la novità della punzonatura (stampigliatura di
motivi a rilievo tramite la pressione di "punzoni"), che rimandano all'oreficeria
senese del XIV secolo, uno dei campi artistici più vicini alla cultura gotica
francese dell'epoca. Il trono è reso con le caratteristiche del gotico raggiante e
anche il baldacchino da cerimonia rimanda a un gusto cortese di sapore
transalpino.
La gamma cromatica di Simone, affascinato dagli smalti e dalle oreficerie
d'oltralpe, è più ampia e dotata di velature e passaggi più morbidi. Anche la
disposizione dei santi non segue una successione paratattica come in Duccio, ma
corre invece lungo delle linee diagonali parallele che convergono in profondità
dando un'illusione spaziale in prospettiva di sapore giottesco. Del tutto assente è in
Simone quell'horror vacui che sembra caratterizzare la Madonna duccesca: nella
Maestà di palazzo pubblico ritroviamo altresì ampie porzioni di cielo azzurro.
Diverso è anche il carattere delle due Maestà: eminentemente religiosa quella di
Duccio, carica di significati morali e civici quella di Simone, commissionata dal
governo dei Signori Nove in Siena.
Duccio di Boninsegna-Maestà, Museo
dell'Opera metropolitana del Duomo, Siena
• Simone Martini è un artista molto sensibile e raffinato, rappresentante della
pittura senese.
• E’ considerato un maestro del gotico, con la sua raffinatezza nei contorni e per la
preziosità del colore.
• Nella Maestà egli dipinge le figure attraverso una chiara profondità spaziale,
abbandonando definitivamente le rigide regole della pittura bizantina.
 Egli dipinge le figure in maniera raffinata, attraverso il
disegno di armoniose linee curve e l’utilizzo di splendidi
colori, facendo risultare i personaggi realistici ed eleganti.
Non a caso fu scelta la Vergine come soggetto
della prima impresa decorativa del nuovo Palazzo:
si voleva testimoniare la speciale devozione che i
senesi hanno avuto, in ogni tempo, verso la
Madre Celeste e che ogni anno si rinnova da
tempo immemorabile attraverso la celebrazione
della Festa più amata e famosa del mondo: il
Palio.
La Madonna è posta al centro della
figurazione, assisa su un trono regale ed è
circondata dai Santi. Inginocchiati in primo piano
due angeli le porgono cesti di fiori, mentre i Santi
senesi le presentano suppliche affinchè protegga
la sua antica città. La Vergine rassicura gli
interlocutori, vigilerà su Siena, ma ad una
condizione:
"Diletti mei ponete nelle menti/che li devoti vostri
preghi onesti/ come vorrete voi faro co(n)tenti/ma
se i potenti ai debili fien molesti/gravando loro o
con vergogne o danni/le vostre oration non son
per questi/ne per qualunque la mia terra inganni"
Si tratta quindi di un primo richiamo a quel "Buon
Governo" che poi diverrà impegno costante per gli
amministratori cittadini.
Simone Martini-Maestà del
Palazzo Pubblico di Sienaparticolare
Le sale storiche di Palazzo Pubblico a Siena, affrescate da figure illustri
della storia dell’arte come Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti
Cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di San Francesco d'Assisi .
La Cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di San Francesco d'Assisi fu affrescata
in tre fasi, su un arco di tempo che va dal 1313 al 1318 circa.
Il ciclo di affreschi descrive le Storie di Martino, vescovo di Tours. Sui lati delle tre
vetrate sono riportati, da sinistra a destra, busti di santi cavalieri, santi vescovi e
pontefici, e santi eremiti e fondatori di ordini. Sugli intradossi dell'arcone di ingresso
sono riportati altri 8 santi a figura intera, questi ultimi realizzati durante l'ultima fase dei
lavori, nel 1318.
Simone Martini
Investitura di San Martino (dettaglio dei musici),
Cappella di San Martino, Basilica inferiore di san
Francesco d'Assisi
Basilica
Inferiore.
Navata.
Parete
meridionale
Prima
campata da
est.
La cappella
di san
Martino.
Basilica Inferiore.
Navata. Parete
meridionale.
Prima campata da est.
La cappella di san
Martino.
La prima cappella della
parete sud è dedicata a
san Martino ed è
decorata sulle pareti e
sull'arcone della volta
con Storie di san Martino
di Tours affrescate nel
secondo decennio del
Trecento da Simone
Martini. L'arco d'ingresso
mostra otto Santi a figura
intera, mentre altri Santi
figurano negli sguanci
delle finestre.
Storie di San Martino (selezione), ca 1316-18, affresco. Assisi, Chiesa inferiore della Basilica di San Francesco
Simone Martini –
Rinuncia di san Martino alle armi,
particolare
 Durante i lavori Simone Martini si
poté confrontare con altri maestri
fiorentini di scuola giottesca, Giotto
compreso, allora attivi nel cantiere
assisiate. Simone si aggiornò in
alcuni elementi, quali la solida
intelaiatura architettonica
Simone Martini- Sogno di San Martino, 1316-18.
realistica e il gioco illusionistico
di luci ed ombre con attenzione
alle vere fonti di luce. Negli 8 santi
a figura intera del 1318, gli ultimi
dell'intero ciclo, è evidente anche
l'acquisizione delle ricche
volumetrie giottesche.
 Tuttavia Simone non si adeguò
passivamente alla scuola fiorentina,
anzi è chiara una divaricazione tra il
suo modo di dipingere e quello
giottesco a partire dallo stesso tema
dei dipinti: non le storie di un santo
popolare come San Francesco, ma
un raffinato santo cavaliere, del
quale Simone sottolineò alcuni
aspetti cortesi della leggenda
Per esempio nella famosa scena
dell' Investitura di San Martino,
l'azione è ambientata in un
palazzo, con i musici di corte
magnificamente abbigliati e con un
servitore con tanto di falcone da
caccia in mano. Il contesto di
Simone è più fiabesco e
assolutamente notevole è lo studio
realistico dei costumi e delle pose;
l'individuazione fisionomica nei
volti (soprattutto in quelli
naturalistici dei musici) non ha pari
in tutta la pittura dell'epoca, Giotto
compreso.
 Nel 1330 Simone tornò a lavorare al Palazzo Pubblico di Siena, affrescando nella sala del
Mappamondo, sul lato opposto della Maestà di circa quindici anni prima, lo
straordinario Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi, per celebrare la presa
dei castelli Sassoforte e Montemassi da parte del condottiero assoldato dai senesi. In
questa famosa opera in cui si mescolano un'ambientazione fiabesca con un acuto senso
della realtà, il condottiero è una metafora della potenza senese, non un ritratto realistico,
e il paesaggio circostante ha un valore simbolico, con elementi tipici della guerra
(steccati, accampamenti militari, castelli), senza alcuna figura umana.
 Ma alcuni ritengono, che l'opera in questione sia un rifacimento quattrocentesco di un
originale perduto di Simone Martini.
Simone Martini - Guidoriccio da Fogliano, 1330, affresco,
340 x 968 cm. Siena, Palazzo Pubblico
L'ultima opera del periodo senese di Simone Martini è un vero e proprio capolavoro, la
raffinatissima ed enigmatica Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita, eseguita
assieme al cognato Lippo Memmi nel 1333 per uno dei quattro altari della crociera
del Duomo di Siena. La tavola, firmata e datata dai due autori, è oggi visibile
agli Uffizi di Firenze.
È questa una delle opere più vicine al gotico transalpino e
alle sue raffinatezze che l'Italia abbia conosciuto. L'immagine
si svolge tutta in un raffinato gioco di linee sinuose in
superficie (nonostante il suggerimento spaziale affidato al
trono disposto obliquamente). La Vergine si ritrae chiudendosi
il manto, in una posa che è in bilico tra paurosa castità e
altera ritrosia. L'angelo ha un movimento slanciato,
concentrato sul messaggio che sta consegnando alla Vergine.
Al di là della bellezza dell'introspezione psicologica dei due
personaggi, la tavola è impreziosita da particolari di rara
bellezza, come il vaso dorato e i gigli che invadono il centro
della scena, i ramoscelli di olivo tenuti in mano dall'angelo e
sulla sua testa, la fantasia a quadri scozzesi del manto
svolazzante dell'angelo, le penne di pavone sulle sue ali, il
rovello gotico del manto dell'angelo e del bordo dorato di
quello della Vergine.
La particolarità della rappresentazione sta nella
raffigurazione della Madonna nelle vesti di una gran dama,
in un’atmosfera da corte principesca, che dà all’immagine
nel suo complesso una carattere quasi pagano.
Simone Martini
Annunciazione, 1333particolare
Annunciazione, 1333, tempera su tavola, 184 x 210 cm.
Firenze, Galleria degli Uffizi
•
•
Soggetto dell’opera.
L’Arcangelo Gabriele annuncia alla Vergine
la volontà divina porgendole, inginocchiato,
un ramo d’ulivo. A sinistra compaiono
Sant’Ansano, uno tra i patroni di Siena e
Santa Massima, sua madrina.
•
La Madonna, che stava leggendo il libro che
tiene con la mano sinistra, appare intimidita
dall’annuncio dell’angelo, ritraendosi col
busto.
•
Il trono dove siede appare prezioso.
•
Il pittore rappresenta la scena come fosse un
fumetto; le parole pronunciate dall’angelo,
in rilievo dorato sono:
“Ave gratia plena dominus tecum”
(“Ti saluto piena di grazia, il Signore è con
te”)
•
•
•
Il vaso di gigli rappresenta l’Immacolata
concezione.
•
La stile pittorico di Simone Martini è
elegante e raffinato, il colore è l’elemento
più importante.
•
Il fondo della tavola è dorato.
•
La veste dell’angelo è a sua volta dorata, ma
riesce a distinguersi dallo sfondo.
•
L’opera è molto raffinata, le vesti sono ricche
ed eleganti e la luce è limpida e dorata.
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Simone Martini