I CARNEVALI DI OFFIDA E CASTIGNANO CARNEVALE Il Carnevale rappresenta un momento di divertimento sfrenato, spensieratezza, eccesso. Secondo un vecchio proverbio latino (Semel in anno licet insanire = “una volta all’anno è lecito far pazzie”) il Carnevale è inteso come rituale di liberazione, con l’attuazione dei temi del “mondo alla rovescia” e del “paese di Cuccagna”. ORIGINI Tradizionalmente le origini del carnevale si fanno risalire a feste e culti pagani dell’antica Roma, principalmente ai Saturnali che si svolgevano a Dicembre in onore del dio Saturno. I Saturnali avevano un carattere “carnevalesco” in quanto in essi si sperimentavano la rottura dell’ordine costituito e lo scatenamento del caos: durante la festa cessava l’autorità di Giove, il dio garante dell’ordine, e subentrava Saturno, dio della “primordialità”: ci si mascherava, si banchettava e ci si scambiava doni; gli schiavi per tutta la durata della festa erano liberi e, a simboleggiare il rovesciamento dell’ordine, venivano invertiti i ruoli di servo e padrone. Il senso della festa consisteva nell’instaurazione di una libertà assoluta: era permesso fare anche ciò che di norma era vietato. Solo con il Cristianesimo tuttavia si può iniziare a parlare di Carnevale vero e proprio: l’origine della festa infatti, oltre che nelle reminiscenze delle tradizioni pagane, va ricercata nell’istituzione, con il Concilio di Nicea del 325 d.C., della Quaresima un periodo di 40 giorni da dedicare alla penitenza, con preghiere e digiuni, in preparazione alla solennità della Pasqua. Il contrappeso della Quaresima quindi forgia il nostro Carnevale, che si definisce nei suoi tratti fondamentali nel Medio Evo. Infatti per sentire meno il sacrificio delle privazioni cui si andava incontro con la Quaresima, ci si abbandonava alle sfrenatezze del Carnevale, che come periodo festivo inizia il 17 Gennaio (S. Antonio Abate) e ha il suo culmine nell’ultima settimana di scatenati festeggiamenti che si conclude con il Mercoledì delle Ceneri, primo giorno quaresimale. ETIMOLOGIA CARNE (LE)VARE = CARNEVALE dal latino oppure CARNE VALE = ADDIO ALLA CARNE significa che in quei giorni era consentito mangiare cibi grassi e fare baldoria, facendo riferimento al contrario obbligo quaresimale di astenersi dal mangiare carne e digiunare in alcuni giorni della settimana. Carnevale = periodo di riso, godimento e abbondanza VS Quaresima = periodo di tristezza e astinenza Questa contrapposizione che un tempo appariva ben definita oggi è in realtà smorzata perché prima nella Quaresima si osservava strettamente il digiuno (anche per motivi economici) mentre oggi le cose sono alquanto cambiate. CARATTERI FONDAMENTALI MASCHERAMENTO E TRAVESTIMENTO: ci si maschera da “altri da sé” e si perde volontariamente la propria individualità. Attraverso l’irriconoscibilità i mascherati abbandonano ogni comportamento formale e si sentono liberi di dare sfogo a pulsioni e istinti normalmente repressi. ASPETTO LIBERATORIO: FUNZIONE ESSENZIALE DEL CARNEVALE ECCESSO: nella baldoria carnevalesca tutto viene accettato e si oltrepassano i limiti della norma quotidiana. ROVESCIAMENTO: inversione dei ruoli naturali e sociali (uomini/donne; ricchi/poveri; “re del carnevale”). In realtà le regole civili, più che rovesciate, sono sospese. Per questo il carnevale si associa alla follia, alla sregolatezza, allo scatenamento del caos, che viene infine riconosciuto, ridotto e regolato. Oggi la situazione è molto ridimensionata, ma nello spirito di base resta simile a quanto detto. Il disordine carnevalesco, il caos e la mancanza di regole, rimangono elementi distintivi sempre validi, ma non più in termini sconfinati: si cerca sempre di mantenere alcuni limiti e di non sfociare nella degenerazione. Oggi il carnevale è visto come un’occasione di divertimento nel senso pieno della parola: ballare tutte le sere fino a non poterne più, mascherarsi cercando di essere il più originale, mangiare e bere fino all’eccesso, e dimenticare tutto il resto. I comportamenti carnevaleschi, che trascendono ogni singolo ambito storico e sociale, sembrano indicare l’esistenza di tratti permanenti nei gruppi umani, impegnati ad esprimere interessi vitali in forme simili: mascherarsi, invertire l’ordine delle cose, insultarsi, bere e mangiare smodatamente, rappresentare scene violente. OFFIDA: è situata sulle colline tra i fiumi Tronto e Tesino a 293 metri s.l.m. CASTIGNANO: ha una posizione in declivio tra il fiume Tesino e i torrenti Chifente e Acquachiara, ai piedi del Monte dell’Ascensione (475 metri s.l.m.) - VICINANZA (9 km) - CARATTERISTICHE TERRITORIALI SIMILI - POSIZIONE GEOGRAFICA, COLLINARE MA PROSSIMA ALLA COSTA - BELLEZZE ARTISTICHE E PAESAGGISTICHE Questi due paesi hanno subito nel tempo vicende diverse ma sempre all’interno degli stessi quadri storici generali: INSEDIAMENTI DELLA CIVILTA’ PICENA (VI-III sec. a. C.) SVILUPPO NELL’ETA’ MEDIOEVALE ALLEATE DELLA CITTA’ DI FERMO NELLE LUNGHE LOTTE CONTRO ASCOLI (dal XIII al XVI sec.) GOVERNO DELLO STATO PONTIFICIO FINO ALL’UNITA’ D’ITALIA (1860), quando fu stabilita la nuova suddivisione amministrativa delle Marche, con Offida e Castignano incluse nella provincia di Ascoli Piceno. ORIGINI E STORIA DEL CARNEVALE OFFIDANO E CASTIGNANESE Non si può indicare con una data precisa quando siano nati i carnevali di Offida e Castignano. I primi documenti che ne testimoniano l’esistenza risalgono al 1500, anche se si crede che i festeggiamenti siano iniziati in un periodo assai precedente. PRIME DOCUMENTAZIONI: STATUTI DI OFFIDA DEL 1524: si legge che era vietato amministrare la giustizia nel giorno del giovedì grasso e del Mercoledì delle Ceneri STATUTO DI CASTIGNANO DEL 1580: non poteva essere esercitata la giustizia durante il Mercoledì delle Ceneri e i due giorni precedenti Il carnevale rimase vivo e sentito per tutto il XVI sec. e andò sempre più sviluppandosi ed affermandosi nella tradizione locale e nei costumi della cittadinanza offidana e castignanese. Tipiche erano le commedie burlesche recitate all’aperto nelle piazze oppure nei teatri, le feste, i balli e soprattutto le mascherate. Ognuno si adattava come poteva, secondo la propria creatività e le proprie disponibilità economiche: la povera gente si copriva il viso con fuliggine o farina mentre chi poteva permetterselo realizzava maschere sfarzose. Ricchi o poveri, l’importante era soddisfare la voglia di divertimento prima del periodo quaresimale. PARTICOLARITA’ DEL CARNEVALE DI OFFIDA LA VESTE: LU GUAZZARO’ Lu guazzarò è una tunica bianca lunga fino alle ginocchia che veniva usata nei tempi passati dai contadini e dagli artigiani per lavorare, e adesso è diventata la veste che si indossa ad Offida per carnevale. Il guazzarò da semplice tunica di tela rozza si è poi arricchito di strisce rosse e di altri colori cucite sulla stoffa, di disegni personalizzati, di cinte e fazzoletti rossi. Non si conosce con precisione il significato della scelta del colore rosso (qualcuno sostiene che venga dal rosso del vino). Lu guazzarò si metteva sopra i vestiti normali per evitare di sporcarli con i lanci di fuliggine, farina, olio sporco e uova marce che usavano farsi a carnevale. È quindi un costume dalle origini semplici, e proprio per questo è stato scelto come simbolo: è una veste democratica e permette a tutti di partecipare ai divertimenti carnevaleschi. IL CANTO: “ADDIO NINETTA ADDIO” Questo canto è diventato quasi “l’inno ufficiale” del carnevale offidano, e viene cantato da parecchi anni in varie occasioni, sia dagli anziani che dai giovani. La nascita di questa canzone è da far risalire al periodo risorgimentale. In Italia all’epoca delle guerre d’indipendenza (1848-1870) nacquero molti canti aventi per tema i sentimenti nostalgici e il dolore, ma anche la fierezza e la dignità dei soldati. Dopo la fine delle battaglie alcuni di questi motivi si diffusero un po’ dappertutto. Fra questi l’“Addio del volontario” o “Addio mia bella addio” rimase impresso nella memoria e nei cuori degli offidani, che presero a cantarlo per carnevale. Il canto si diffuse facilmente per il suo ritmo cadenzato e orecchiabile, e il termine “mia bella” fu sostituito dal nome “Ninetta”, nome semplice e dolce, che può essere inteso come un omaggio a tutte le donne di Offida. LE CONGREGHE Le congreghe possono essere definite come il “motore” dell’organizzazione festiva del carnevale offidano. Ciò che accomuna i componenti di ogni congrega è l’amicizia e spesso la parentela. Ogni congrega, per essere definita tale, deve avere una banda musicale, un suo stendardo con il nome del gruppo e il suo simbolo, un inno che la contraddistingue, uno statuto scritto e un suo specifico significato, oltre a una maschera o divisa caratteristica. I nomi delle varie congreghe e i temi che trattano possono evocare, con metafore e doppi sensi, i piaceri inerenti al sesso, al vino e al cibo oppure spiritose rivalità con altre congreghe. La realtà delle congreghe offidane è in continua evoluzione e spesso negli ultimi anni se ne formano di nuove ad animare in modo sempre crescente l’atmosfera carnevalesca. Le congreghe più famose e più antiche sono quella del Ciorpento (1948) e quella della Ciuvetta (1968). LU BOV FINT (IL BOVE FINTO) È una delle manifestazioni più caratteristiche del carnevale offidano, di cui costituisce una delle attrattive maggiori. La festa si svolge il venerdì grasso e consiste nella scatenata corsa in massa dietro il simulacro di un bue, trasportato a turno da uomini che corrono per le vie del paese per un intero pomeriggio, fino alla sua simbolica uccisione. Origini La storia locale ha conservato pochi documenti su questa festa, e le notizie sulla sua origine sono piuttosto vaghe. È storicamente documentato che un tempo si desse la caccia ad un bue vero, che, secondo la tradizione, era donato come omaggio dai signori ricchi della città o dal comune alla popolazione meno abbiente, che si divertiva nel rincorrere l’animale per le vie del paese prima che venisse ucciso. Le sue carni poi, si dice, venivano distribuite gratuitamente ai poveri per festeggiare il carnevale. Secondo alcuni si tratta invece della rievocazione di antiche corride introdotte dagli spagnoli con la loro dominazione in Italia. Questa ipotesi però sembra piuttosto fantasiosa, anche perché nella mentalità comune si è abituati ad associare la “corrida” solo ed esclusivamente alla Spagna, mentre invece la tauromachia era molto praticata anche in Italia, fin dai tempi dei Romani al Rinascimento e oltre. Le giostre e cacce coi tori furono uno spettacolo popolare che ebbe grande fortuna e successo in tutta Italia. A Venezia ad esempio fin dal XII sec. a carnevale si svolgevano lotte fra cani e tori, che più spesso erano tori castrati, cioè buoi, e cacce di tori in libertà. La domenica di carnevale poi veniva distribuita ai carcerati la carne cotta dei buoi uccisi. Soprattutto dopo la metà del 1700 questi giochi raggiunsero una strepitosa popolarità, che durò fino al 1800, quando furono proibiti per motivi di ordine pubblico e sicurezza. Anche la Chiesa inoltre manifestò la sua ostilità verso questo genere di lotte, che mietevano vittime fra le bestie e fra gli uomini. Per aggirare i divieti, considerati eccessivi verso una forma di spettacolo che appassionava e entusiasmava il pubblico, si pensò di far correre nelle piazze, anziché tori come citato nei decreti, buoi e vacche. Nonostante l’opposizione dei Papi quindi le tauromachie continuarono ad attrarre gli spettatori in tutta Italia fino ad ottocento inoltrato. Nel territorio delle Marche poi, sappiamo che a Fermo, a Fabriano e nel maceratese si praticava il cosiddetto “gioco dello steccato”, che consisteva nella lotta, in un recinto innalzato in piazza, tra un toro e giostratori vestiti di bianco e rosso, aiutati da cani mastini. Oltre alle giostre di questo tipo si eseguiva inoltre spesso anche la caccia al toro, che si svolgeva nella piazza aperta e nelle vie principali della città con un bue legato ad una lunga fune. I giochi e le cacce coi tori erano quindi molto diffusi e amati nelle nostre zone, e carnevale era uno dei momenti più adatti per metterli in campo, data la grande euforia e il divertimento che suscitavano. Per quanto riguarda Offida, possediamo due lettere del 1819 mandate dalla polizia di Ascoli, in cui si dà l’autorizzazione ad eseguire la caccia al bue, ma rispettando regole precise di igiene e ordine pubblico. Fino al 1819 quindi la caccia si dava a un bue vivo. Quando sia avvenuto il passaggio dall’animale vero a quello finto non si sa con precisione. Si sa però che le giostre e le cacce con i tori furono proibite nelle Marche dal nuovo governo italiano nel 1860, per ragioni di sicurezza, igiene e avversità verso scene così violente. Evidentemente gli offidani non volevano rinunciare a questa tradizione e pensarono bene di mantenerla, trasformando solo il protagonista della caccia, il bue, da vero a finto, senza con questo far scemare il divertimento. La caccia al bove finto conobbe poi dei periodi di pausa, probabilmente a causa della scarsa partecipazione popolare. La manifestazione fu ripresa dall’Opera Nazionale Dopolavoro sotto il fascismo. La festa “risorta” ha da subito esaltato gli offidani, soprattutto i giovani, e da allora non è stata più abbandonata. ASPETTI COMUNI: I FUOCHI RITUALI La sera del martedì grasso, dopo giorni di frenesia, libertà ed eccessi, il carnevale finisce e avviene la sua espulsione ritualizzata distruggendo immagini che lo rappresentano, nella maggior parte dei casi bruciandole in roghi e falò. A OFFIDA E CASTIGNANO DUNQUE IL MARTEDÌ SI SVOLGONO PROCESSIONI NOTTURNE SIMILI CHE VEDONO L’UTILIZZO DI QUESTI “FUOCHI RITUALI”: I VLURD E LI MOCCULE. Fin dall’inizio della sua storia il genere umano ha attribuito al fuoco un carattere sacro e ha praticato vari culti del fuoco, che si esplicavano in antichi riti che lo vedevano come elemento distruttivo o benefico. Ancora oggi si riesce a scorgere un significato profondo nelle varie manifestazioni di carattere collettivo che hanno a che vedere con il fuoco, anche se con il passare del tempo la simbologia originale si è inevitabilmente trasformata. Il complesso simbolismo del fuoco si esprime in una estesa fenomenologia di cerimoniali pubblici. Questa realtà è fatta di feste cicliche a cadenza annuale o di riti episodici, rinvenibili seppur in misura diversa in tutta l’area mediterranea. Qualunque sia la forma del rito, il fuoco è stato considerato promotore della crescita dei raccolti e del benessere dell’uomo e delle bestie, stimolandoli positivamente o allontanando i pericoli e le calamità che li minacciano. DUE TEORIE: TEORIA SOLARE: I fuochi venivano accesi in terra a imitazione del sole e le feste del fuoco erano cerimonie magiche che, secondo il principio della magia imitativa, dovevano assicurare la provvista necessaria di luce solare agli uomini, agli animali e alle piante. TEORIA DELLA PURIFICAZIONE: Con le feste del fuoco si volevano bruciare e distruggere tutte le influenze dannose, concepite sia in forme materiali (streghe, demoni, ecc.) che immateriali (infezioni, ecc.). I FUOCHI DI CARNEVALE I fuochi di carnevale sono fuochi ciclici stagionali, che traggono origine dai lavori dei campi intesi a mondare la terra e ad immunizzarla in un tempo che precede la primavera. Essi avevano un indubbio carattere agrario e svolgevano una funzione propiziatrice in rapporto all’arrivo della bella stagione. Oggi i festeggiamenti carnevaleschi nei quali il fuoco rappresenta un elemento essenziale sono diffusi in molte regioni italiane, e vengono ancora caricati di un significato purificatorio, sia dagli studiosi che da coloro che vi partecipano: vengono fatti l’ultimo giorno di carnevale proprio per simboleggiare la purificazione dagli eccessi compiuti e rappresentano la fine di un ciclo di baldoria e dissipazione, con il conseguente inizio di un ciclo più raccolto in vista della Pasqua. I roghi sarebbero quindi dei riti di passaggio, delle cerimonie a chiusura di un ciclo, rese in forma drammatica dalla collettività. I VLURD DI OFFIDA I vlurd sono fasci di canne secche riempiti di paglia e tenuti insieme da legacci di vimini, a cui viene dato fuoco. Vlurd è un termine dialettale reso in italiano con “bagordi”, che deriverebbe dal vocabolo “bigurdo” o “bigordo” con cui nel Medioevo si indicava una giostra cavalleresca che si svolgeva nelle strade dei castelli. Al calar della sera poi la manifestazione era illuminata dalle fiamme dei fasci di canne accesi, che, in senso traslato, vennero chiamati con lo stesso nome della giostra. La festa che seguiva i fatti d’arme della giostra ha dato origine ai significati attuali (fare stravizi, baldoria). È documentato che i vlurd esistevano già nel 1814, e sono stati interpretati come l’ultima eco di un tipico baccanale, rito orgiastico dell’antichità proprio del culto del dio Bacco, che, portato a Roma dai greci, fu abolito per decreto del Senato poiché aveva raggiunto un livello di immoralità tale da non poter essere più praticato. LI MOCCULE DI CASTIGNANO Li moccule sono lunghe canne che, spaccate ed allargate nella sommità con particolari tecniche, con una candela all’interno danno vita a delle lanternine di forma romboidale, coperte esternamente da spicchi di carta velina di vari colori. Non si sa quando sia nato l’uso antico di portare in processione li moccule a Castignano, perché non si hanno documenti scritti che possano dirci qualcosa al riguardo. È documentato comunque che nel 1800 a Roma, sempre il martedì grasso, si svolgeva una festa simile, chiamata “festa dei moccoletti”. Nella festa romana però i moccoletti, a differenza de li moccule castignanesi dalla forma più elaborata, consistevano in semplici candele, e il gioco era cercare di spegnere i moccoli altrui. La stessa costumanza è attestata per le Marche settentrionali e per il maceratese, quindi l’uso di candele di vario tipo chiamate generalmente “moccoli” per celebrare suggestivi riti a conclusione del carnevale era piuttosto comune e diffuso in una vasta zona dell’Italia centrale. CONCLUSIONI Ogni evento festivo “tradizionale” che si manifesta nella contemporaneità non può essere portatore di valori e significati identici a quelli per cui è nato o per cui è stato ripetuto nel corso del tempo, in quanto per comprendere un fenomeno festivo è necessario prima di tutto considerarlo come un evento che esprime messaggi attuali e connessi con la realtà della comunità. I significati attribuiti a molti usi tradizionali perciò mutano e si trasformano con il passare del tempo e con il cambiare della società. Esaminando i culti del fuoco e assegnando loro funzioni purificatorie o sacre in modo acritico si rischia di dare l’impressione che simili pratiche siano perpetrate nel tempo, da attori sociali diversi, per le stesse identiche ragioni per le quali erano nate, senza rendere conto esaustivamente della loro permanenza odierna. Nel corso dell’indagine ho cercato di individuare i significati conferiti alle sfilate dei vlurd e de li moccule dalle comunità di Offida e Castignano. Le fiaccolate e i roghi finali sono perciò risultati essere dei contesti performativi di cui si serve la società per esprimersi, e il fuoco rituale è stato interpretato con la sua funzione celebrativa di una “continuità sociale”. La permanenza odierna delle fiaccolate può essere interpretata considerando tali performance rituali come dei mezzi di cui si avvalgono le comunità che le mettono in scena per confermare la loro identità. Grande importanza inoltre viene conferita attualmente alle dimensioni del falò, così come al numero di vlurd o moccule che lo alimentano; si mira a prolungarne la durata, per amplificare gli effetti scenografici ed estetici e per accrescere il divertimento, ma anche e soprattutto perché i falò sembrano essere una metafora delle stesse comunità che li praticano e che vi si identificano.