L’U.R.S.S.
di Stalin
L'U.R.S.S. di Stalin
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La lotta tra Stalin e Trockij
Alla morte di Lenin (‘24), si trovarono di fronte Stalin
(segretario del partito dal ‘22) e Trockij, nelle cui
mani era il destino del paese.
Trockij e la rivoluzione permanente
Trockij era il capo dell’Armata Rossa, e godeva di
grande prestigio nell’URSS, avendo salvato il paese
durante la guerra civile.
Egli teorizzava la rivoluzione permanente, cioè l’idea di
portare avanti la rivoluzione in tutti i paesi
occidentali in cui fosse forte la classe operaia. Si
trattava, per Trockij, di una scelta senza alternative:
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se la rivoluzione si fosse fermata alla sola Russia o alla
sola fase della dittatura del proletariato, sarebbe
stata tradita. Per questo, dopo la guerra civile
l’Armata Rossa continuò la sua espansione a est, ma
fu fermata in Polonia; contemporaneamente, in
Germania e in Italia il biennio rosso veniva sconfitto.
Stalin e il socialismo in un solo paese
Viceversa, Stalin (anche a seguito delle sconfitte di
Trockij, della liquidazione dei comunisti cinesi ad
opera del Kuomintang, della sconfitta del movimento
operaio in Europa) riteneva che il compito del
Comintern fosse la difesa dell’URSS, patria del
socialismo 
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Perciò Stalin si impegnò a rafforzare la dittatura del
proletariato, cioè il partito e il suo apparato
organizzativo. Il PCUS divenne, sotto Stalin, sempre
più chiuso, forte, accentratore, in modo da potere
controllare saldamente il paese.
Stalin voleva industrializzare, pianificare, riarmare
l’URSS e successivamente, se i tempi lo avessero
permesso, esportare la rivoluzione (rivoluzione “per
tappe”).
Nel decennale della Rivoluzione (1927) Trockij cercò di
fare sollevare il paese contro la burocratizzazione
operata da Stalin: fu però sconfitto, espulso dal
partito e dall’URSS. In Messico fondò la Quarta
Internazionale, ma venne denunciato dalla
propaganda stalinista come traditore e, infine,
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assassinato nel 1940. L'U.R.S.S. di Stalin
La politica stalinista
Stabilmente al potere, Stalin rafforzò gli aspetti
totalitari del regime: il PCUS coincideva, in sostanza,
con la volontà del suo capo; era privo di qualsiasi
dialettica interna; Stalin stesso favorì un vero e
proprio “culto della personalità”.
In politica estera, Stalin stabilì rapporti di buon
vicinato con la Germania nazista, la quale poté
ricostruire la Wermacht sul suolo russo fornendo in
cambio all’URSS materiali e tecnologie. Si trattò di
un asse tra i paesi emarginati dopo Versailles.
All’interno, Stalin abbandonò la NEP e diede avvio ad
una politica economica interamente pianificata per la
rapida industrializzazione del paese:
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vennero varati, dal 1929, i piani quinquennali, che
prescrivevano gli obiettivi produttivi da raggiungere
nei vari settori: attraverso una vera e propria
industrializzazione forzata, che consisteva nello
spostamento obbligato di milioni e milioni di sovietici
nelle zone fino a quel momento non sfruttate,
soprattutto per quanto riguarda le materie prime
(Urali, Siberia, Estremo Oriente),

nel giro di quattro anni la produzione industriale
raddoppiò, crescendo in modo incredibile: l’industria
pesante e bellica produsse aeroplani, automobili,
trattori, macchine utensili che prima non esistevano
in URSS
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Al termine del secondo piano quinquennale (1937),
l’URSS è la seconda potenza industriale del mondo,
autosufficiente sul piano produttivo e commerciale,
grazie alle sue sterminate risorse: mentre tutto il
mondo occidentale e capitalista iniziava la ripresa
dopo la crisi del ‘29, l’URSS aveva imboccato una via
totalmente opposta, proponendosi come modello di
pianificazione integrale e di isolamento
internazionale.
Anche tutta l’attività agricola si svolgeva nelle aziende
collettive di stato (i kolchoz), segnando così la fine dei
kulaki.
Tutto ciò non avvenne senza terribili costi umani:
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Il terrore staliniano
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Di questa industrializzazione forzata fecero
innanzitutto le spese i kulaki, i contadini proprietari:
di un milione di famiglie, almeno il 30% furono
deportate, il resto costrette a forza nella
collettivizzazione dopo che i loro beni venivano
espropriati o distrutti: rifiutare, significava la
fucilazione.
La scomparsa dei kulaki e dei contadini medi causò la
fine della millenaria civiltà contadina russa e del suo
ceto dirigente.
Più in genere, la strada dell’industrializzazione passava
attraverso l’eliminazione fisica di milioni di uomini e
la distruzione di ogni diritto umano e civile: ogni
opposizione, effettiva o solo potenziale, veniva
stroncata.
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U.R.S.S. e Germania hitleriana sono accomunate
dall’avere costruito un universo concentrazionario:
un sistema di reclusione in campi di concentramento
e l’eliminazione di intere categorie della popolazione
(con motivazioni diverse: l’inferiorità razziale la
Germania, l’edificazione del socialismo l’URSS).
A differenza dei lager nazisti (volti allo sterminio si
scala industriale), quelli stalinisti erano destinati non
solo alla reclusione ma anche alla rieducazione: cioè
alla distruzione della personalità dei reclusi,
sospettati di dissenso, per rieducarli ai valori della
rivoluzione socialista.
Nacque così , a partire dal 1923, l’Amministrazione
Generale dei Lager, la cui sigla era GULAG: un
sistema totalmente segreto fatto di prigioni e campi di
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lavoro.
I gulag in URSS
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Le purghe staliniane
Tra il ‘37 e il ‘38 il terrore staliniano raggiunse l’apice:
il periodo è noto come le Grandi Purghe, che
eliminarono tutti i dissidenti, i nemici politici di
Stalin e tutto il gruppo che aveva fatto la rivoluzione
con Lenin.
Tra le vittime illustri vanno ricordati Zinov’ev e
Kamenev (trotckisti), nonché Bucharin, una delle
menti teoriche più lucide della rivoluzione d’ottobre,
contrario alla pianificazione e favorevole alla NEP.
Attraverso il potenziamento della polizia politica e una
legislazione d’emergenza, il terrore, la delazione e la
paura divennero un metodo permanente di governo.
Solo nel 1939 Stalin dichiarò concluse le Grandi
Purghe: i morti furono milioni.
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