Fratelli di Gesù Libri Sapienziali Nelle nostre Bibbie un terzo blocco di libri va sotto il titolo di "libri sapienziali” Comprende Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoèlet, Cantico dei Cantici, Sapienza e Siracide. In realtà due di essi, Salmi e Cantico, sono di genere e contenuto diversi rispetto agli altri cinque propriamente sapienziali. Libri Sapienziali Per "sapienza" qui si intende sia l'elementare buon senso attento alle situazioni della vita e proteso alla sua buona riuscita, sia la ricerca del senso profondo della realtà, della ragione ultima che permette di cogliere e vivere le finalità più nobili dell'esistenza. Libri Sapienziali Da sempre, in Israele come altrove, gli uomini hanno sviluppato una propria tradizione sapienziale per tentare di penetrare i misteri dell’universo e dell’uomo. Così nascono i maestri di sapienza che si propongono di schiudere la realtà al suo senso più profondo: parlano della grandezza di Dio, dell’abilità del semplice artigiano, della scaltrezza di chi stringe affari, della prudenza nella vita pratica … ma l’obiettivo è sempre lo stesso: individuare la ragione profonda e la trama nascosta dietro gli eventi della vita. Libri Sapienziali In Israele la sapienza inizia con le prime tradizioni patriarcali. Trasmessa quindi oralmente, si insinua negli scritti dell’Antico Testamento, dove assume dimensione religiosa e monoteistica. Proverbi Il libro dei Proverbi è il più antico tra i testi della letteratura sapienziale d’Israele. La letteratura “sapienziale” è una ricca espressione in tutto l’Oriente antico. Contiene massime destinate alla formazione culturale e pratica degli scribi del re. Nello stesso tempo esprime la dottrina tradizionale sulla retribuzione: ogni azione ha la giusta sanzione, il bene fatto è remunerato con il premio e il male con il castigo. Proverbi Nel grande prologo premesso al libro dei Proverbi (1-9), la sapienza divina parla come una persona; essa è presente in Dio dall’eternità e opera insieme a lui nella creazione (soprattutto 8,22-31). Il libro dei Proverbi si compone di 31 capitoli ed è generalmente suddiviso in nove collezioni ovvero costituito intorno a due raccolte: la prima (10-22,16), intitolata “Proverbi di Salomone” (375 proverbi), la seconda (25-29), introdotta con “ed ecco ancora alcuni proverbi di Salomone che trascrissero gli uomini di Ezechia” (128 proverbi). Insegnamento I detti e le sentenze, le esortazioni e i consigli che compongono il libro dei Proverbi si pongono in un quadro sapienziale di ordine pratico, si pongono come strade da seguire per una crescita interiore e comportamentale nelle questioni concrete della vita. Quindi l’insegnamento che viene impartito non è di ordine astratto, ma prende forma in una serie di comportamenti concreti, attraverso i quali esso può diventare effettivamente il principio ispiratore della vita. Obiettivo Il punto di partenza dell’obiettivo del libro dei proverbi è il discernimento che serve a capire chi e che cosa si deve fare per dare senso e pienezza alla propria vita. Il discernimento si applica nella totale libertà lasciata ad ognuno di noi di scegliere la strada da seguire nel mettere in essre qualsiasi iniziativa (libero arbitrio). Giobbe L’opera è anonima, ma certamente attribuibile ad un autore colto e raffinato, che ha saputo raggiungere con questo libro una delle vette più alte della letteratura universale. Giobbe Il libro si snoda in 42 capitoli come un dramma della fede, il tema attorno al quale ruota tutto il libro è la sofferenza dell’innocente. La dottrina sula retribuzione viene messa in crisi nel libro di Giobbe. Giobbe è un giusto prima premiato e poi duramente provato. Nel dialogo con tre suoi amici, che rappresentano le ragioni della sapienza tradizionale, Giobbe sostiene che la sofferenza del giusto costituisce una profonda ingiustizia; i suoi amici al contrario lo considerano un peccatore giustamente punito. A Giobbe non resta che appellarsi a Dio, al quale chiede conto del suo comportamento razionalmente ingiustificabile. Dio interviene non per dare spiegazioni, ma per invitare Giobbe all'umiltà di fronte a un problema che supera la capacità di comprensione dell'uomo. La risposta di Dio, prima in silenzio, ridà vita e speranza. Qoèlet Questo scritto sapienziale è attribuito a Salomone, figlio di Davide(1,1). Secondo la più probabile spiegazione il termine Qoèlet designa una funzione: indica colui che parla nella assemblea (qahal, in greco ekklêsìa, da cui deriva il titolo latino e italiano, Ecclesiaste, trascrizione della Bibbia greca), cioè il “Predicatore”. Qoèlet Qoèlet è chiamato “figlio di Davide e re di Gerusalemme” (cf. 1,12) e, benché il nome non sia scritto, questo personaggio è certamente identificato con Salomone al quale il testo fa chiara allusione: 1,16 (cf. 1Re 3,12; 5,1011; 10,7) oppure 2,7-9 (cf. 1Re 3,13; 10,23). La remunerazione Il problema di Qoèlet è lo stesso di Giobbe: il bene e il male sono legati a una remunerazione sulla terra? E, come quella di Giobbe, così la risposta di Qoèlet è negativa, perché l’esperienza contraddice tutte le soluzioni proposte (7,25-8,14). La sovranità di Dio Qoèlet però è un uomo che gode di ottima salute e non cerca come Giobbe il perché della sofferenza; constata l’inutilità della felicità e si consola centellinando le gioie modeste che può offrire l’esistenza (3,12-13; 8,15; 9,7-9). Diciamo piuttosto che egli tenta di consolarsi, perché in realtà rimane profondamente insoddisfatto. Il mistero dell’aldilà lo tormenta senza che riesca a intravedere una soluzione (3,21; 9,10; 12,7). Ma Qoèlet è un credente e, se lo sconcerta il modo con cui Dio regge le sorti umane, afferma che Dio non deve rendere conto a nessuno (3,11.14; 7,13), che bisogna accettare dalla sua mano le prove come le gioie (7,14), che bisogna osservare i comandamenti e temere Dio (5,6; 8,12-13). Il senso della della vita Il Qoèlet dà una lezione sul distacco dai beni terrestri e, negando la felicità dei ricchi, prepara il mondo a udire: “beati voi poveri” (Lc 6,20) Siracide Il libro del Siracide fa parte della Bibbia greca, ma non figura nel canone ebraico. È dunque uno dei libri deuterocanonici accolti dalla chiesa cattolica. Autore Il libro del Siracide prende nome dal suo autore, un ebreo di Gerusalemme chiamato Gesù figlio di Sirach, un maestro di sapienza. In greco il libro si chiamava “Sapienza di Gesù figlio di Sira”. Il libro è una sintesi dell'insegnamento rivolto a un vasto pubblico, piuttosto agiato e colto. La sua sapienza risente molto della tradizione religiosa di Israele, ma è aperta agli stimoli della modernità. La sua preoccupazione maggiore riguarda le virtù fondamentali, la fede per esempio, ma anche l'elemosina. Origine I due terzi circa di questo testo ebraico sono stati ritrovati nel 1896 nei frammenti di diversi manoscritti del medioevo provenienti da una vecchia sinagoga del Cairo. Più recentemente, piccoli frammenti sono venuti alla luce in una grotta di Qumran e nel 1964 è stato scoperto a Masada un lungo testo nel quale sono contenuti i capitoli 39,27-44,17, in una scrittura degli inizi del I secolo a.C. Contesto storico La Palestina era allora appena passata sotto il dominio dei Seleucidi, nel 198. L’adozione di costumi stranieri, l’ellenizzazione, è favorita da una parte della classe dirigente e presto Antioco Epifane (175-163) vorrà imporla con la forza. Ben Sira oppone a queste minacciose novità tutta la forza della tradizione. Egli è uno scriba che unisce l’amore della sapienza a quello della legge. E’ ardente di fervore per il tempio e le sue cerimonie, molto rispettoso del sacerdozio, ma si è anche alimentato ai libri santi, i profeti e specialmente gli scritti sapienziali. Egli stesso ha voluto dare l’istruzione della sapienza a coloro che la cercano (33,18; 50,27; cf. il prologo del traduttore). Il rispetto dell’Alleanza Ben Sira, in questa storia sacra, mentre mette in rilievo la nozione di alleanza, non dà per così dire spazio alcuno alla speranza in una salvezza futura. E’ vero che nella preghiera di 36,1-17 ricorda a Dio le sue promesse e gli domanda di aver pietà di Sion e di riunire le tribù di Giacobbe. Ma questa espressione di nazionalismo profetico è una eccezione nel Siracide. Da vero saggio sembra che anch’egli si sia rassegnato alla situazione umiliante ma tranquilla, a cui il popolo era stato ridotto: spera in una futura liberazione, ma questa sarà la ricompensa della fedeltà alla legge, non tanto l’opera d’un Messia salvatore. Sapienza Il libro si presenta come opera di Salomone, chiaramente indicato, escluso il nome, in 9,78.12; in greco il testo si intitola “Sapienza di Salomone”. L’autore si esprime come un re (7,5; 8,9-15) e si rivolge ai re come a colleghi (1,1; 6,1-11,21). Comunque l’autore è certamente un ebreo, pieno di fede nel “Dio dei padri” (9,1), fiero di appartenere al “popolo santo”, alla “stirpe senza macchia” (10,15), un ebreo però ellenizzato. Sapienza L’autore si rivolge in primo luogo agli ebrei, suoi compatrioti, la cui fede è scossa dal prestigio della civiltà alessandrina: lo splendore delle scuole filosofiche, lo sviluppo delle scienze, il richiamo delle religioni dei misteri, dell’astrologia, dell’ermetismo, oppure l’attrattiva dei culti popolari. L’uso di certi riguardi dimostra che ricerca anche l’ascolto dei pagani per portarli a Dio, colui che ama tutti gli uomini. Questo intento è però secondario; il libro risulta molto più un’opera di difesa che una iniziativa missionaria. Ruolo della Sapienza La prima parte del libro delinea il ruolo della sapienza nel destino dell’uomo e mette a confronto la sorte dei giusti e degli empi durante la vita terrena e dopo la morte (cap.1-5). Una seconda parte (cap.6-9) espone l’origine e la natura della sapienza, e i modi per poterla ottenere. In una terza parte (cap.10-19) viene magnificata l’opera della sapienza e di Dio nella storia del popolo eletto, insistendo unicamente, se si esclude una breve introduzione che si rifà alle origini, sul momento fondamentale di questa storia, e cioè la liberazione dall’Egitto; una lunga digressione (cap.13-15) contiene una serrata critica contro l’idolatria. Contenuto L’Autore non è né un filosofo né un teologo, ma semplicemente un saggio israelita. Come i suoi predecessori, esorta alla ricerca della sapienza: essa viene da Dio, si ottiene con la preghiera, è la fonte delle virtù e procura ogni bene. Superando le loro vedute, egli annette alla sapienza le ultime acquisizioni della scienza (7,17-21; 8,8). Il problema della retribuzione, che tanto preoccupava i saggi, riceve con lui una soluzione. Approfittando delle dottrine platoniche sulla distinzione tra anima e corpo (cf. 9,15) e sulla immortalità dell’anima, egli afferma che Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità (2,23), che questa incorruttibilità, che assicura un posto presso Dio, è la ricompensa della sapienza (6,18-19). Ciò che succede in questo mondo non è che una preparazione all’altra vita, dove i giusti vivranno con Dio e gli empi saranno puniti (3,9-10). L’autore non allude a una risurrezione corporale. Sembra tuttavia lasciar spazio alla possibilità d’una resurrezione dei corpi in una forma spiritualizzata, venendo così a conciliare la nozione greca di immortalità e le dottrine bibliche, orientate a una resurrezione corporale (Daniele). Come per i suoi predecessori, la sapienza è un attributo di Dio. E’ questa sapienza che ha ordinato tutto fin dalla creazione e che guida gli avvenimenti della storia. Cantico dei Cantici Poiché, per tradizione, Salomone aveva composto dei cantici (1Re 5,12), è stato attribuito a lui questo che è il cantico per eccellenza, da cui il titolo del libro (1,1). Il Cantico dei Cantici o semplicemente Cantico è scritto in ebraico. È composto da 8 capitoli contenenti poemi d'amore (con alcune implicite allusioni erotiche) in forma dialogica tra un uomo e una donna. L’Amore L’Amore è visto come un valore della creazione (cf. Gen 2,18-24) e pertanto esaltato. Del poema sono protagonisti due innamorati, che si cercano e si smarriscono, per poi ritrovarsi a cantare le gioie dell'amore monogamico. Nella tradizione giudaica e cristiana il Cantico è stato spesso commentato in senso allegorico, a significare le alterne vicende del rapporto religioso tra Dio e Israele o tra Cristo e la Chiesa, ma anche tra Cristo e il singolo cristiano. Salmi Il libro dei Salmi è una raccolta dei cantici e delle preghiere che Israele ha elevato al suo Dio lungo tutta la sua storia. La tradizione vide in Davide l'iniziatore del genere innico in Israele. Ecco perché l'intera raccolta, pur avendo autori diversi, gli è attribuita. Luogo di nascita dei salmi è il culto, praticato prima nei diversi santuari sparsi nel paese e poi nel tempio di Gerusalemme. La raccolta La raccolta esprime l'intera gamma dei sentimenti di un popolo verso il suo Dio. Vi si trovano: gli inni di lode a JHWH per le sue opere grandiose, la creazione e la salvezza (cf. Sal 8; 19; 29; 113-118; 136); i canti di ringraziamento sia del singolo sia della comunità per il pericolo scampato (cf. Sal 18; 30; 34...); le suppliche individuali (cf. Sal 3; 5; 6; 7; 22...) e collettive (cf. Sal 74; 80...) in caso di necessità; le confessioni dei peccati e le richieste di perdono (cf. Sal 32; 51...); le istruzioni di tipo sapienziale (cf. Sal l; 112; 127...); i canti del pellegrinaggio al tempio (cf. Sal 15; 24; 84; 95; 120-134); le celebrazioni della regalità di JHWH (cf. Sal 24; 47; 93; 96; 97; 98; 99...); le preghiere per il re (cf. Sal 2; 20; 21; 44; 72; 110...). Non mancano salmi che ripropongono la storia passata come riflessione sulla condotta divina e motivo a ulteriormente sperare (cf. Sal 78; 105; 106...). Numerazione Rispetto al testo originale ebraico, la numerazione dei Salmi nella traduzione greca chiamata dei LXX e nell'antica traduzione latina detta Vulgata è differente, in quanto queste ultime riuniscono in un solo salmo i Sal 9 e 10 e i Sal 114 e 115, mentre dividono in due parti il Sal 116 e il Sal 147. Da ciò deriva che la numerazione del testo greco e latino, che è quella adottata nella liturgia della Chiesa, è per larga parte del salterio diminuita di una unità in confronto all'ebraico. Salmi e Culto Salterio è la raccolta dei canti religiosi di Israele. Sappiamo, d’altra parte, che cantori figuravano tra il personale del tempio e, sebbene essi siano esplicitamente menzionati solo dopo l’esilio, è certo che sono esistiti dall’inizio. Si celebravano le feste di JHWH con danze e cori (Gdc 21,1921; 2Sam 6,5.16). Secondo Am 5,23, i sacrifici erano accompagnati da canti e, poiché il palazzo reale aveva i suoi cantori sotto Davide (2Sam 19,36) e sotto Ezechia, secondo gli annali di Sennàcherib, anche il tempio di Salomone dovette avere i suoi come tutti grandi santuari orientali. Infatti, salmi sono attribuiti ad Asaf, ai figli di Core, a Heman e a Etan (o Jedutun), che sono tutti cantori del tempio preesilico secondo le Cronache. La tradizione, che attribuisce a Davide molti salmi, fa risalire a lui anche l’organizzazione del culto, compresi i cantori (1Cr 25), concordano in questo con i testi antichi, nei quali appunto si parla di Davide che danza e canta davanti a JHWH (2Sam 6,5.16). Valore Spirituale Bastano poche parole, tanto la ricchezza religiosa dei salmi è evidente. Sono stati le preghiere dell’Antico Testamento, in cui Dio stesso ha ispirato i sentimenti che i suoi figli devono avere nei suoi riguardi e le parole di cui devono servirsi rivolgendosi a lui. Sono stati recitati da nostro Signore e dalla Vergine, dagli apostoli e dai primi martiri. La chiesa cristiana ne ha fatto, senza modifiche, la sua preghiera ufficiale. Senza modifiche: queste grida di lode, di supplica o di ringraziamento, anche se strappate ai salmisti in circostanze tipiche della loro epoca e della loro esperienza personale, hanno una risonanza universale, poiché esprimono l’atteggiamento che ogni uomo deve avere di fronte a Dio. Senza modificarne le parole, ma con un considerevole arricchimento del senso, nella nuova alleanza, il fedele loda e ringrazia Dio che gli ha rivelato il segreto della sua vita intima, che l’ha riscattato con il sangue del suo Figlio, che gli ha infuso il suo Spirito, e, nella recita liturgica, ogni salmo termina con la dossologia trinitaria del Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. Le suppliche antiche diventano più ardenti dopo che la cena, la croce e la risurrezione hanno insegnato all’uomo l’amore infinito di Dio, l’universalità e la gravità del peccato, la gloria promessa ai giusti. Le speranze cantate dai salmisti si realizzano; il Messia è venuto; egli regna in Israele e tutte le nazioni sono chiamate a lodarlo. Fratelli di Gesù