LA NOTTE DELL’ATTACCO L'operazione militare decisa quaranta minuti prima della scadenza dell'ultimatum, su consiglio dell'intelligence Pioggia di cruise su Bagdad Obiettivo: uccidere Saddam Attacco all'alba, meno intenso di quanto si prevedesse Il figlio del raìs incita alla jihad contro gli aggressori BAGDAD - L'attacco scatta alle 5,35 (le 3,35 in Italia), quando a Bagdad albeggia. Un'ora e mezza dopo la scadenza dell'ultimatum di Bush, sulla capitale irachena suonano le sirene di allarme e cadono le bombe. CONTINUA Forti esplosioni e fuoco di contraerea in vari punti della città. cruise Tomahawak lanciati dalle navi da guerra americana e da due sottomarini che si trovano nel golfo Persico e nel mar Nero. Ai raid partecipano caccia F117 "Stealth", invisibili ai radar. Gli attacchi vanno avanti ad ondate: l'obiettivo è Saddam Hussein e l'alta dirigenza irachena. La Casa Bianca vuole colpire i rifugi della leadership di Bagdad. In questo momento, rivelano a Washington, l'obiettivo delle operazioni è quello di "decapitare il regime". La decisione di attaccare, presa quaranta minuti prima della scadenza dell'ultimatum in un vertice alla Casa Bianca durato quasi quattro, è basata su informazioni dei servizi segreti che segnalano movimenti di leader iracheni, e dello stesso Saddam Hussein, nella zona epicentro dei raid. Secondo fonti dell'amministrazione Usa, il direttore della Cia George Tenet e i capi del Pentagono hanno detto a Bush che ritardando l'azione si sarebbe potuta perdere un'opportunità di centrare l'obiettivo Saddam. CONTINUA E' un tipo di attacco inatteso, sia per l'ora sia per l'intensità inferiore al previsto. La fase massiccia della guerra all'Iraq, denominata "colpisci e terrorizza" ("shock and awe"), non è ancora cominciata. Ma l'obiettivo finale è chiaro, come spiega un'ora dopo l'inizio dell'operazione: "Accetteremo solo la vittoria". Questa prima fase, invece, è tutta concentrata sulla capitale. La contraerea è stata in funzione per un quarto d'ora circa, mentre sulla periferia meridionale della città si levava una colonna di fumo nero: un grande incendio nei pressi delle rive del fiume Tigri. Poco prima delle 6 (ora italiana) suona il cessato allarme, ma mezz'ora dopo altri missili cadono su Bagdad. Alle 7 il nuovo cessato allarme. Secondo il ministero dell'Informazione di Bagdad, in questo primo attacco sono rimasti uccisi dieci iracheni, non si sa se militari o civili. CONTINUA La radio dà la notizia dell'attacco: "I malvagi, i nemici di Dio, della patria e dell'umanità hanno fatto la stupidaggine di aggredire la nostra terra e il nostro popolo". Sempre alla radio, prima , tocca al figlio di Saddam Hussein rivolgersi ai suoi compatrioti chiamandoli alla jihad contro gli Usa e i loro alleati: "Dio ci protegga dall'aggressore - dice Dio protegga il nostro leader, l'Iraq sta cominciando a rispondere all'aggressore". (20 marzo 2003) IL DISCORSO DI BUSH ALLA NAZIONE WASHINGTON - Questo è il testo del discorso rivolto stanotte in tv alla nazione dal presidente degli Stati Uniti, George Bush: "Miei concittadini, a quest'ora le forze americane e della coalizione sono impegnate nelle prime fasi dell'operazione militare intesa a disarmare l'Iraq, a liberare il suo popolo ed a difendere il mondo da un grave pericolo. Su mio ordine, le forze della coalizione hanno cominciato a colpire bersagli selezionati di rilevanza militare, per menomare la capacità di Saddam Hussein di muovere guerra. Queste sono le fasi iniziali di quella che sarà una campagna ampia e concertata. CONTINUA Oltre 35 paesi stanno dando un sostegno cruciale, dall'utilizzo delle basi navali ed aeree alla collaborazione con i loro servizi informazione e logistici, al dispiegamento di reparti di combattimento. Ciascun paese in questa coalizione ha scelto di sostenere l'onere e di condividere l'onore del servizio della nostra difesa comune. A tutti gli uomini e donne delle forze armate degli Stati Uniti attualmente in Medio Oriente: la pace di un mondo tormentato e le speranze di un popolo oppresso adesso dipendono da voi. Questa fiducia è ben riposta. I nemici che affrontate dovranno conoscere la vostra bravura ed il vostro coraggio. Il popolo che voi liberate riconoscerà lo spirito di onore e decoro delle forze militari americane. In questo conflitto, l'America affronta un nemico che non ha rispetto per le convenzioni di guerra o le norme morali. Saddam Hussein ha posizionato le truppe irachene e le loro attrezzature in zone civili, nel tentativo di servirsi di uomini, donne e bambini innocenti come scudi per le sue forze militari: un'ultima atrocità contro il suo popolo. CONTINUA Voglio che gli americani e tutto il mondo sappiano che le forze della coalizione compiranno ogni sforzo per evitare di fare del male ai civili innocenti. E sarà necessario il nostro impegno convinto per aiutare gli iracheni a realizzare un paese unito, stabile e libero. Siamo arrivati in Iraq con rispetto per i suoi cittadini, per la loro grande civiltà e per la fede religiosa da loro praticata. Noi non abbiamo alcuna ambizione in Iraq, tranne eliminare un pericolo e restituire il controllo di quel paese al suo popolo. "So che le famiglie dei nostri militari pregano perchè tutti coloro che prestano servizio tornino sani e salvi e presto. Milioni di americani pregano con voi, per l'incolumità dei vostri cari e per la protezione degli innocenti. "Per il vostro sacrificio, avete la gratitudine ed il rispetto del popolo americano, e potete stare certi che le nostre forze torneranno a casa non appena il loro lavoro sarà compiuto. CONTINUA "Il nostro paese entra controvoglia in questo conflitto, tuttavia il nostro scopo è sicuro. Il popolo degli Stati Uniti ed i nostri amici ed alleati non resteranno alla mercè di un regime fuorilegge, che minaccia la pace con armi di sterminio. Noi affronteremo ora quella minaccia con il nostro Esercito, con l'Aeronautica Militare, con la Marina, con la Guardia Costiera ed i Marines, per non doverla affrontare più tardi con i vigili del fuoco e la polizia ed i medici nelle strade delle nostre città. Adesso che questa guerra è arrivata, l'unico modo per limitarne la durata è usare la forza con decisione. E io vi assicuro, questa non sarà una campagna di mezze misure, non accetteremo altra conclusione che non sia la vittoria. CONTINUA Miei concittadini, i pericoli che incombono sul nostro paese e sul mondo saranno superati. Noi supereremo questo momento di pericolo, e porteremo avanti il lavoro della pace. Difenderemo la nostra libertà. Porteremo la libertà ad altri. E vinceremo. Che dio benedica il nostro paese e tutti coloro che lo difendono" (20 marzo 2003) LA RISPOSTA DI SADDAM Il leader iracheno alla nazione: "Sfoderate le spade" "L'Iraq vincerà, viva la Jihad, viva la Palestina" Saddam: "Il piccolo Bush è un criminale" Stanco, provato, per la prima volta con gli occhiali "Dal presidente Usa un crimine contro l'umanità" CONTINUA ROMA - "L'Iraq vincerà". A circa tre ore di distanza dal discorso televisivo del presidente americano George W. Bush, è la volta di Saddam Hussein, che in tenuta militare è comparso davanti alle telecamere ed ha esortato il suo Paese ad una risposta immediata e dura ai bombardamenti americani sull'Iraq. Espressioni forti, quelle usate dal raìs: "sfoderate le spade", "tenete il grilletto premuto e continuate a sparare", ma anche "il piccolo Bush è un criminale", con continue invocazioni e ripetuti "Dio è grande" e "viva la nostra nazione vittorosa". Un Saddam diverso dal solito: il leader iracheno è apparso stanco, provato, invecchiato. Per la prima volta ha indossato gli occhiali, ed ha letto il proprio proclama da fogli scritti, di fronte ad un popolo abituato invece ad un raìs più agguerrito, sigaro fra le mani e discorsi a braccio. CONTINUA "Amiamo la pace e combatteremo per questo" ha detto Saddam, "il male non prevarrà e l'Iraq vincerà. Gli iracheni saranno vittoriosi nel nome di Dio, dunque sfoderate le vostre spade e continuate a combattere finché il nemico invasore non sarà sfinito". Ha definito l'attacco "un crimine vergognoso contro l'umanità", insistendo sul "piccolo" Bush, e chiamando il presidente americano "un criminale" che "ha sottovalutato gli appelli alla pace". Poi, il richiamo al "popolo coraggioso" e all'"esercito eroico", che "sapranno resistere all'invasore". E la conclusione, con un appello alla "guerra santa” : "Vinceremo noi, con l'aiuto di Dio. Lunga vita all'Iraq, viva la Jihad, viva la Palestina". (20 marzo 2003) I MISSILI DELL’ATTACCO Il vice ammiraglio Kelly: "I cruise di questo primo attacco sono partiti da quattro incrociatori e due sottomarini" I missili lanciati da sei unità Usa In azione anche le forze australiane WASHINGTON - I missili cruise Tomahawk lanciati prima dell'alba contro la leadership irachena sono partiti da sei unità della U.S. Navy,quattro incrociatori e due sottomarini. Lo ha detto il vice-ammiraglio americano John Kelly, comandante della portaerei "Abraham Lincoln" e coordinatore della flotta navale degli Stati Uniti nel Golfo. CONTINUA Il vice-ammiraglio Kelly ha indicato che tutte le unità coinvolte in questa operazione sono americane e ha aggiunto che "l'azione continua". Non è chiaro quanti missili siano stati lanciati: varie fonti hanno citato numeri diversi, una decina, una ventina, anche una quarantina. Nessuna fonte ufficiale ha fornito una cifra precisa. Il vice-ammiraglio Kelly ha però indicato che, di tutti i missili lanciati, uno solo ha fallito "la transizione dal lancio al volo" ed è andato perduto. All'attacco hanno anche partecipato aerei F-117, che non si sa da dove siano partiti. Giornalisti a bordo della 'Lincoln' hanno visto, questa mattina, ora del Golfo, levarsi in volo aerei dalla portaerei, ma se ne ignora la missione. In azione anche le forze australiane, che hanno cominciato a partecipare a operazioni di combattimento in Iraq. Lo ha affermato oggi il primo ministro John Howard. "Le nostre forze - ha detto Howard in una conferenza stampa - hanno cominciato operazioni di combattimento e di appoggio. Gli aerei FA-18 Hornet hanno cominciato operazioni sopra l'Iraq, stanno effettuando missioni di scorta a carri cisterna e ad aerei da ricognizione". CONTINUA L'Australia ha inviato 2.000 effettivi nel Golfo, incluse truppe scelte Sas, aerei da combattimento e navi da guerra, malgrado i sondaggi mostrassero e mostrino una forte opposizione alla guerra fra la popolazione. L'operazione "Colpisci e terrorizza", non sarà lanciata prima di 12 ore, cioè prima del calare della notte sull'Iraq: lo indicano fonti militari anonime citate, in modo concorde, dalle tv americane. Le stesse fonti avvertono, però, che la prima fase vera e propria della campagna "Libertà dell'Iraq" potrebbe anche partire più tardi, comunque "nelle prossime 48 ore". L'azione della scorsa notte è stato un attacco mirato alla leadeship irachena, "per decapitare il regime". (20 marzo 2003) ESERCITI A CONFRONTO FORZE COALIZIONE FORZE IRACHENE SOLDATI 225.000 soldati americani 45.000 soldati britannici SOLDATI 389.000 soldati di cui 80 mila della Guardia Repubblicana Tra 44.000 e 60.000 inquadrati in reparti paramilitari e delle forze di sicurezza 650.000 i riservisti CONTINUA CARRI ARMATI 800 carri armati M1 Abrams Usa 600 M2/M3 Bradley Usa 120 carriarmati Challenger britannici 150 Warrior inglesi CARRI ARMATI Tra 1.800 e 2.000 carriarmati utilizzabili inclusi 500-600 T-72 di fabbricazione sovietica Più di 3.000 veicoli armati MISSILI 1000 missili Tomahawk in dotazione alla Marina americana Centinaia di razzi antimissile Patriot MISSILI Circa 50 missili Al-Samoud 2 Un numero imprecisato di missili Ababil-100 Qualche dozzina di missili Scud ELICOTTERI 700 elicotteri inclusi gli AH-64 Apache e gli AH-1 Cobra 400 elicotteri da trasporto inclusi gli UH-60 Black Hawk, i CH-47 Chinook e CH-53 Sea Stallion CONTINUA ELICOTTERI 100 elicotteri d'attacco di fabbricazione sovietica 275 elicotteri da trasporto AEREI 100 aerei britannici tra cui Tornado, Harrier e i jet da attacco Jaguar 500 caccia statunitensi fra cui gli F-14, F-15, F-16, F/A-18, F-117, AV-8 e A-10 30 cacciabombardieri inclusi i B-52, B-1B and B-2 Decine di migliaia di bombe e missili fra cui bombe guidate da satellite e bombe guidate da laser CONTINUA AEREI Circa 300 aerei da combattimento inclusi Mirage F1 di fabbricazione francese e Mig 29, Mig 25, Mig 23, e Mig 21 di fabbricazione sovietica NAVI 6 portaerei americane ed 1 britannica dislocate nel golfo Persico NAVI Nove navi e 2000 marinai oltre ad un numero sconosciuto di mine e di missili antinavi Silkworm BASI AMERICANE 1-TURCHIA Incirlik - Da qui partono gli aerei Usa e britannici che pattugliano la no fly zone dell'iraq settentrionale 2-BAHREIN Quartier generale V Flotta - Pattuglia il Golfo Persico e l'Oceano Indiano Shaikh Isa - Base aerea, ha avuto un ruolo chiave durante la guerra del 1991 3-GIBUTI Camp Lemonier - Campo di stazionamento 4-DIEGO GARCIA Ospita i bombardieri B-2 e B-52 5-OMAN Seeb International Airport - Equipaggiamento militare, aerei da rifornimento e da trasporto Thumrait - Base per la sorveglianza e il soccorso aereo. Supporto all'attacco aereo e terrestre 6-EMIRATI ARABI UNITI Al Dhafra - Base dello squadrone di rifornimento aereo 7-ARABIA SAUDITA Principe Sultan - Base aerea, ospita 72 velivoli tra cui gli aerei spia RC-135 e U-2 e i caccia F-15 e F-16 8-KUWAIT Camp Commando - Quartier generale della First Expeditionary Force dei marines Ahmed al Jaber - Base aerea con F-15, F-16 e A-10 Thunderbolt Camp Doha - Quartier generale della Terza Armata 9-QATAR Ul-Udeid - Hangar per 100 aerei. Può ospitare fino a 10.000 soldati Camp As Sayliyah - 33 depositi con materiale bellico 10-LE PORTAEREI Mar Mediterraneo - Roosevelt e Truman Golfo Persico - Constellation, Kitty Hawk, Lincoln LA ZONA DEL CONFLITTO L’IRAQ LE DIFESE DI BAGDAD Costringere i marines alla guerra casa per casa per provocare un alto numero di perdite la difesa è costruita su tre anelli, con un totale 120.000 uomini L’anello esterno Due divisioni di fanteria della guardia repubblicana e commandos L’anello centrale Tre divisioni della guardia repubblicana con 700 carri armati t-72 L’anello interno 20.000 uomini dei corpi speciali della guardia repubblicana con armi leggere per la guerriglia urbana saddam al comando dell’aviazione e della difesa missilistica BAGDAD MAPPA ATTACCO Invasione di terra dal Kuwait Mezzi corazzati Bradley, elicotteri Apache e soldati verso il nord dell'Iraq. Marine e forze speciali verso est, in direzione di Bassora e dei pozzi petroliferi Invasione di terra dal Kurdistan 20.000 uomini (4 divisione di fanteria e truppe speciali) verso Bagdad. E' previsto un ponte aereo dal Kuwait per trasportare le truppe Usa in caso la Turchia non conceda le basi Raid aerei intensi e precisi concentrati su Bagdad. la prima notte dell'intervento dovrebbero cadere più ordigni che non nell'intera operazione Desert Storm del 1991. Nove ordigni su dieci saranno di precisione (Jdam e missili a guida laser) LE BASI ITALIANE Gli otto obiettivi degli Usa in Iraq Gli otto obiettivi indicati dal segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, durante la conferenza stampa alla Casa Bianca del 21 marzo 2003. 1) “Mettere fine al regime di Saddam Hussein colpendolo con forza tale da rendere ben chiaro agli iracheni che lui e il suo regime sono finiti”. 2) “Identificare, isolare e alla fine eliminare le armi di sterminio irachene, i loro vettori, i siti di produzione e le reti di stribuzione”. 3) “Dare la caccia, catturare e condurre fuori dal Paese terroristi che hanno trovato un rifugio sicuro in Iraq”. CONTINUA 4) “Raccogliere informazioni riservate che ci consentano di individuare reti terroristiche a loro collegate in Iraq e fuori”. 5) “Raccogliere quante più informazioni possibile sulla rete globale coinvolta in attività riguardanti le armi di sterminio”. 6) “Mettere fine alle sazioni e portare subito aiuto umanitario, cibo e medicinali agli sfollati e ai cittadini iracheni bisognosi”. 7) “Proteggere i campi petroliferi e le risorse dell'Iraq, che appartengono al popolo iracheno, e di cui avranno bisogno per sviluppare il loro paese dopo decenni di incuria del regime”. 8) “Aiutare il popolo iracheno a creare le condizioni per una transizione rapida verso un autogoverno rappresentativo che non sia una minaccia per i suoi vicini e che si impegni a garantire l'integrità territoriale del paese”. La lettera di Michael Moore il regista di "Bowling for Columbine" scrive a George W. Bish "Per favore, caro presidente mandi in Kuwait le sue figlie" di MICHAEL MOORE Caro Presidente Bush, e così è venuto il giorno che lei chiama "il momento della verità". Sono lieto di sentire che questo giorno è finalmente arrivato. Perché, glielo devo proprio dire, essendo sopravvissuto per 440 giorni alle sue bugie, non ero sicuro di poterne sopportare ancora. Ho anch'io alcune piccole verità da condividere con lei: CONTINUA 1) Non c'è nessuno in America che sia felice di andare alla guerra. Esca dalla Casa Bianca e cerchi in qualsiasi strada d'America almeno cinque persone felici di andare ad uccidere gli iracheni. Non li troverà. Perché? Perché nessun iracheno è mai venuto qui a uccidere uno di noi. 2) La maggioranza degli americani ovvero quelli che non hanno mai votato per lei non ha perso la testa. Sappiamo bene cosa affligge le nostre vite quotidiane: due milioni e mezzo di posti di lavoro persi da quando lei si è insediato sulla poltrona presidenziale, la borsa diventata ormai un gioco crudele, la benzina a due dollari. Bombardare l'Iraq non risolve nessuna di queste questioni. 3) L'intero mondo è contro di lei, Signor Bush. E tra di loro metta anche i suoi compatrioti Americani. 4) Il Papa ha detto che questa guerra è sbagliata, che è un peccato. Il Papa! Quanto ci vorrà prima che lei realizzi che è solo in questa guerra? Naturalmente, non la combatterà personalmente. Lascerà che altri poveri disgraziati lo facciano al posto suo, proprio come lei fece ai tempi del Vietnam. Si ricorda, vero? CONTINUA 5) Dei 535 membri del Congresso, solo uno ha un figlio o una figlia nelle forze armate. Se vuole difendere l'America, per favore invii ora le sue due figlie in Kuwait. E lo stesso facciano tutti i membri del Congresso che abbiano figli in età da militare. 6) Certo, i francesi possono anche essere dannatamente noiosi. Ma non ci sarebbe stata l'America se non fosse stato per i francesi, per il loro aiuto nella guerra rivoluzionaria. La smetta di pisciare sui francesi e li ringrazi. Ma sorrida, questa guerra non durerà a lungo perché non saranno poi tanti gli iracheni pronti a sacrificarsi per Saddam. Si impegni nella vittoria, sarà un bel viatico per le prossime elezioni. Mantenga viva la speranza! Uccida gli iracheni che rubano il nostro petrolio!!! Suo, Michael Moore (21 marzo 2003) LA MORTE NEGLI OCCHI di CLAUDIO MAGRIS dal Corriere della Sera - 22 marzo 2003 L’imperatore Francesco Giuseppe, scrive Joseph Roth, nella Marcia di Radetzky , nostalgica e struggente epopea dell’impero absburgico, non amava le guerre, perché sapeva che si perdono. Il saggio e vegliardo imperatore sapeva dunque che tutti perdono la guerra, anche chi alla fine si crede vittorioso; il volto della guerra è la sconfitta; alla sera che cala su ogni battaglia si addice il “Miserere”, non il “Te Deum”. CONTINUA A scrivere quelle parole, nella Marcia di Radetzky , non era un pacifista amante di cortei, assemblee e digiuni, bensì un soldato che aveva fedelmente combattuto per la sua patria e per il suo imperatore nella Prima guerra mondiale, che amava le bandiere e l’odore di sego delle caserme e che - proprio perché aveva visto i grandi massacri e gli entusiasmi, anche generosi ma ingenui e sprovveduti, che avevano spianato loro la strada esaltando a priori la guerra - conosceva direttamente la bestialità, la banalità, l’insensatezza, la melmosa e sanguinosa pacchianeria della guerra e del suo fascino. Joseph Roth, devoto agli stendardi e ai gradi della sua armata e smascheratore dell’idolatrica febbre bellica, non è un caso isolato: spesso si impara a conoscere - e a rifiutare - la faccia mortale e oscena della guerra non solo e non tanto nelle pagine di ideologi pacifisti che non sanno cosa essa sia e donde nasca e tragga la sua terribile seduzione, CONTINUA quanto dalle pagine di chi fa i conti con la sua realtà, con le sue motivazioni, talora con la sua necessità, ma sapendo concretamente che essa è il male. Se si leggono le grandi pagine di Servitù e grandezza della vita militare di de Vigny, si tocca con mano la desolazione della guerra più che in tanti slogan pacifisti. Per tanti anni il no al conflitto è stato spesso viziato da faziosità ideologica. Ora però è solo un ondice di realismo politico. La morte negli occhi e l'incoscienza di chi soffia sul fuoco Il saggio Francesco Giuseppe indulgeva alle parate militari per rinviare il più possibile il momento di trasformare la simmetria di quei soldati in fila nel caos del macello. CONTINUA Per tanti anni, il no alla guerra, sempre sacrosanto, è stato spesso viziato da faciloneria e faziosità ideologica che lo rendevano sospetto di gregaria superficialità - il piacere di ripetere acriticamente formule generiche - e di settarismo. Anche negli ultimi mesi, le meritorie mobilitazioni di piazza contro l’arroganza, l’ipocrisia e la superficialità con la quale l’attuale governo degli Stati Uniti preparava questa guerra, hanno peccato di faziosità, levando giustamente la loro voce contro la politica dell’attuale governo americano, ma non levandola contro ben peggiori crimini di altri regimi imperanti in altri Paesi: non si sono viste, purtroppo, bruciare bandiere di Stati in cui si lapidano le adultere o si decapitano gli omosessuali. Questa parzialità è estremamente pericolosa perché indebolisce la causa della pace e la stessa contestazione dell’attuale politica del governo americano, CONTINUA confondendola con uno stolto e aprioristico antiamericanismo che non ha nulla a che vedere con la pace e la guerra. La giusta critica alla politica di Bush sembra talora distorta in una dissennata equidistanza fra Bush e Saddam, come se fosse la stessa cosa essere cittadini statunitensi e sudditi o schiavi dell’attuale regime di Bagdad. La guerra in Iraq è un errore disastroso non perché Saddam Hussein, vivo o morto che sia, meriti rispetto, ma perché non si può bombardare Palermo per eliminare i delinquenti mafiosi, perché altri Paesi magari alleati dell’Occidente hanno regimi altrettanto sciagurati quanto quello ora agonizzante in Iraq, perché nessuno Stato può ergersi a giudice e a poliziotto del mondo e soprattutto perché non è lecito essere apprendisti stregoni e mettere in moto un processo che potrebbe provocare inimmaginabili reazioni a catena, pericolose per l’attuale equilibrio del nostro mondo. CONTINUA Chi comanda, democraticamente o tirannicamente, è spesso giulivamente e ottusamente convinto di tener sotto controllo il gioco cui dà inizio. Lo erano i governanti nel ’14, ancora dopo l’attentato di Sarajevo, persuasi che tutto si sarebbe risolto con qualche guerricciola locale e incapaci di pensare che stavano mettendo in movimento un macello immane, “l’inutile strage” - come la chiamò il Pontefice di allora, Benedetto XV - ovvero il suicidio d’Europa. Per un analogo processo psicologico, probabilmente anche medici e scienziati avrebbero riso di chi avesse loro detto, alla fine della guerra, che poteva scatenarsi un’epidemia di influenza capace di mietere ancor più vittime della stessa guerra, come accadde di fatto con la spagnola. Ciò che spaventa, oggi, è l’incoscienza con cui si soffia sul fuoco di un vulcano. CONTINUA In quel senso, il movimento pacifista - con le sue dimensioni stupefacenti per tutti, per gli avversari come per i fautori della guerra - rappresenta un possente antidoto, un reale elemento di speranza. Al di sopra di deleterie strumentalizzazioni politiche e retoriche settarie, inevitabilmente presenti in un movimento così vasto e variegato, quest’ultimo rappresenta, per la prima volta, una reale forza politica, che rivela una precisa intelligenza della nuova, mutata situazione in cui si trova il mondo e una precisa volontà di affrontarla. Per mezzo secolo, la guerra fredda tra i due blocchi aveva bloccato ed eliminato, per l’Europa e l’Occidente, la possibilità stessa di qualsiasi guerra; i conflitti si combattevano, sanguinosamente e criminosamente, altrove, in corpore vili , in altri continenti. Ora quella situazione si è sbloccata, con l’indecoroso sfacelo del mondo comunista crollato per osteoporosi, ma si è sbloccato tutto, anche la possibilità delle guerre. CONTINUA Alle alleanze necessariamente rigide e mutabili della guerra fredda sta subentrando un periodo nuovo, di alleanze instabili e mutevoli, di nuove conflittualità, di nuovi problemi. Crollato il rigido sistema bipolare, si ritorna a una specie di situazione come quella precedente la prima Guerra mondiale; le grandi e piccole potenze si sono liberate dalla tutela dei due arbitri e la soluzione possibile per i loro problemi torna a essere la guerra. Quest’ultima - che pareva ipotizzabile solo nella forma di un’apocalisse nucleare globale - torna a essere, tradizionalmente, una eventualità “normale”, la continuazione della politica con altri mezzi, come diceva Clausewitz, come è sempre avvenuto e come potrebbe tornare ad accadere. CONTINUA Con la differenza che la dimensione globale ormai assunta da ogni problema e gli spaventosi mezzi di distruzione ormai a disposizione di ogni staterello o perfino di un’organizzazione terroristica possono trasformare ogni conflitto, anche locale, in una miccia che faccia saltare il mondo. I milioni e milioni che contestano questa guerra sono coloro che si rendono meglio conto di questo pericolo e vogliono stornarlo. È confortante che siano tanti, che siano una forza, una reale potenza politica. Non sono astratti utopisti, ma politici realisti; non assomigliano più a sgangherati contestatori, ma piuttosto a quegli ordinati soldati avversi alla guerra che piacevano a Joseph Roth e al suo imperatore. Claudio Magris I PRIMI PRIGIONIERI AMERICANI Si tratta di quattro uomini e una donna, tutti americani Bagdad: "Li abbiamo catturati nel sud del paese" Cinque soldati in mano a Saddam Al Jazeera mostra i prigionieri Gli Usa chiedono alle tv di non mandare in onda il filmato .E nessuno dei grandi network trasmette quelle immagini NASSIRIYA (IRAQ DEL SUD) - Sono in cinque. Quattro uomini e una donna. Uno di loro viene dal Kansas, un altro dal New Jersey, tre dal Texas. Bagdad dice di averli catturati appena scesi da un elicottero nei pressi di Al Chibaich, una città del sud del paese. Hanno i volti impauriti. E ferite al volto, alle gambe, al torace. CONTINUA Rispondono meccanicamente alle domande pressanti degli intervistatori della tv. Le immagini choc dei primi americani caduti in mano irachena arrivano dalla tv satellitare Al Jazeera, che ha ripreso quelle trasmesse dalla tv di Bagdad. E sono un pugno allo stomaco dell'America, tanto che il ministro della Difesa Usa Donald Rumsfeld chiede ai network statunitensi di non mandarle in onda. Un appello che i media americani raccoglieranno. Poche ore prima della messa in onda del filmato il vicepresidente iracheno Taha Yassin Ramadan aveva annunciato la cattura di alcuni soldati alleati, annunciando che sarebbero stati "mostrati presto in televisione". E così è stato. Quattro dei cinque militari catturati sono ripresi seduti, alcuni con ferite al volto o fasciature alle braccia e alle gambe. Uno invece è sdraiato su un lettino, la mano sul fianco, il viso sanguinante. Complessivamente, però, non sembrano in gravi condizioni. CONTINUA Le telecamere li riprendono in primo piano, soffermandosi sui particolari solo per mostrare fasciature e ferite. Una voce fuori campo - ma si intravede più volte un microfono della tv irachena - li interroga con tono duro. Per esempio chiede: "Allora, il popolo iracheno vi ha ricevuto con i fiori o con i kalashnikov?". "Scusi, non capisco", risponde uno dei prigionieri. Ad un altro viene chiesto: "Perchè sei venuto in Iraq". E lui risponde: "me lo hanno ordinato". Tutti comunque appaiono visibilmente spaventati. Uno in particolare, che dice di chiamarsi James Reily, trema. In precedenza la tv del Qatar aveva rilanciato altre immagini, altrettanto drammatiche, nelle quali venivano mostrati i cadaveri di almeno dieci militari americani caduti in battaglia. Il Pentagono, però, parla di 12 militari "tra prigionieri e morti". E dunque conferma, oltre ai cinque catturati e mostrati in tv, l'uccisione di soli 7 soldati.Sono immagini che fanno parte della "propaganda irachena", ha commentato a caldo Rumsfeld, secondo il quale mostrare i prigionieri in tv è una "violazione della convenzione di Ginevra". Il capo del Pentagono ha chiesto poi al regime di Bagdad di "trattare bene gli uomini catturati, come noi facciamo con i loro prigionieri". CONTINUA E dalla parte opposta l'Iraq ha assicurato che con gli uomini e le donne catturate adotterà un comportamento in linea con il diritto internazionale. "Tratteremo i prigionieri - dice il ministro della difesa Sultan Hachem Ahmed - secondo la convenzione di Ginevra". Ma dal ministro della Difesa americano è arrivata anche una precisa richiesta ai media del suo paese, vale a dire non mandare in onda le immagini dei prigionieri e dei morti che tutti noi abbiamo invece visto in tv. "Chi lo farà - ha detto Rumsfled, farà una cosa deplorevole". Così le televisioni statunitensi si sono adeguate al "consiglio", che è anche il primo episodio dichiarato di censura in questa guerra, e non hanno mostrato al pubblico i visi dei militari catturati e i cadaveri di quelli uccisi. L'unica a trasmettere un brevissimo spezzone del filmato è stata la Cbs, proprio durante un'intervista al segretario alla Difesa. (23 marzo 2003) LA PACE AGLI OSCAR All'esterno proteste e tafferugli dei manifestanti pro o contro la guerra. Interviene la polizia Da Almodovar a Michael Moore tanti discorsi per la pace Ma il conduttore Steve Martin e Nicole Kidman ricordano anche i soldati impegnati al fronte LOS ANGELES - L'atmosfera è quella prevista alla vigilia: all'esterno, niente passerella e interviste alle star in arrivo, sostituiti da opposte manifestazioni pro o contro la guerra; all'interno sobrietà, discorsi più seri del solito, spille con la colomba per la pace sulla giacca di molti protagonisti, appelli pacifisti da parte di molti vincitori. CONTINUA Da Pedro Almodovar a Chris Cooper, vincitore della statuetta come miglior attore non protagonista, fino al regista di documentari Michael Moore. Manifestanti pro o contro. Invece delle consuete dichiarazioni delle star, sul celebre tappeto rosso, lo spazio antistante al Kodak Theatre sorvegliato con straordinarie misure di sicurezza - è dominato dai manifestanti, pro e contro la guerra. Ci sono stati anche tafferugli, la polizia è intervenuta, ha compiuto alcuni fermi. Ma, restando all'esterno, la protesta più singolare è stata quella della coppia Tim Robbins-Susan Sarandon: sono arrivati infatti in auto elettrica, per sottolineare la loro distanza dalla "guerra del petrolio". Ciclone Michael Moore. Ma il più irruento, come prevedibile, è stato il regista vincitore per il miglior documentario con Bowling for Columbine: nel suo discorso ha dichiarato che "viviamo in tempi fittizi, in momenti in cui c'è un presidente fittizio che viene eletto, e che ci manda in guerra per ragioni fittizie". La conclusione è ad effetto: "Vergogna!" ha urlato più volte, con la platea divisa tra applausi e fischi.CONTINUA Colombe della pace. Tanti i divi che hanno ostentato, già all'esterno del teatro, lo spillino contro la guerra: tra loro Pedro Almodovar, Adrien Brody, Kathy Bates, Brendan Fraser. Altri, come la giovane attrice Kate Hudson, hanno salutato facendo con la mano il segno della pace. Discorsi anti-bellici. Il primo applauso contro il conflitto è arrivato dopo quasi due ore di cerimonia. A provocarlo è stato l'attore messicano Gael Garcia Bernal: "Sono convinto che se Frida (la pittrice protagonista dell'omonimo film, ndr) fosse qui, sarebbe anche lei contro la guerra". Ancora più esplicito Almodovar: "Dedico questo premio a tutti quelli che stanno alzando la loro voce per la pace, per la democrazia e per la legalità internazionale". Ancora, da sottolineare le parole di Chris Cooper ("nei tempi agitati in cui viviamo, auguro a tutti la pace") e quelle del regista giapponese Hayao Miyazaki, premiato per il miglior film d'animazione col suo Spirited away: "Mi dispiace molto di non poter gioire appieno a causa della tragedia della guerra in Iraq". CONTINUA Solidarietà ai soldati. Il conduttore Steve Martin ha concluso la cerimonia ricordando i ragazzi al fronte: "Ragazzi, questa serata è per voi". Prima, il comico si era esibito in una battuta di non eccessivo buon gusto sui paesi europei contrari al conflitto: "Tutti hanno appoggiato la mia presentazione di quest'anno, a eccezione di Francia e Germania". Mentre i militari impegnati nel Golfo sono stati citati anche da Nicole Kidman, in lacrime dopo aver ricevuto la statuetta come miglior attrice: "L'11 settembre molti hanno perso i loro cari e nella guerra altre persone ne perderanno. Che Dio li benedica". (23 marzo 2003) LA LUNGA GUERRA Troppo ottimistiche le previsioni della vigilia ora si temono i combattimenti casa per casa a Bagdad Guerra lunga, resistenza inattesa il Pentagono cambia i piani dal nostro inviato ALBERTO FLORES D'ARCAIS NEW YORK - A cinque giorni dall'inizio delle operazioni militari contro l'Iraq, quella che nei piani americani più ottimisti doveva essere una campagna rapidissima - 72 ore - incontra le prime difficoltà. Nella prima domenica di guerra dodici soldati americani (tra cui una donna) sono ufficialmente dichiarati "dispersi", cioè morti o fatti prigionieri. CONTINUA Sia pure fiaccato da bombardamenti che come ha chiarito il generale Myers "non hanno precedenti", l'esercito iracheno non si è sfaldato e non si è arreso in massa, anzi inizia a difendersi con maggiore vigore. Tra i possibili scenari previsti dai piani di attacco americani il primo (guerra lampo di tre giorni e crollo immediato del regime) e il secondo (uccisione di Saddam o golpe "interno" dei generali iracheni) non si sono verificati. Sulla sorte del raìs di Bagdad continuano le speculazioni, ma anche gli analisti della Cia sembrano convinti che sia non solo ancora in vita ma in grado di controllare, attraverso i suoi figli, la struttura militare del regime. Al Pentagono sono ancora convinti che la caduta del regime è questione di pochi giorni e che Bagdad presto capitolerà sotto il fuoco congiunto dei massicci bombardamenti e dell'arrivo delle truppe di terra. Ma di fronte a una resistenza irachene non prevista anche i piani americani vengono aggiornati. CONTINUA BAGDAD - La battaglia per la conquista della capitale rappresenta ovviamente il nodo decisivo di questa guerra. Cinque giorni di bombardamenti, migliaia di missili Cruise e di potenti ordigni di nuova generazione hanno raso al suolo o reso inabitabili i sontuosi palazzi di Saddam, le caserme delle élite della Guardia repubblicana e gran parte della capacità della contraerea: ma tutto questo non è stato sufficiente come spinta alla resa. Più la guerra va avanti più i generali americani si stanno convincendo che Bagdad andrà conquistata definitivamente con le truppe di terra. LA GUERRIGLIA URBANA - Il pericolo maggiore per i soldati americani in marcia verso Bagdad restano le divisioni della Guardia repubblicana, le meglio equipaggiate e le più motivate a combattere per lo stretto legame con il regime e con il partito Baas al potere. Alcune unità della Guardia - particolarmente addestrate alla guerriglia urbana sono però pronte a combattere in "abiti civili": con il duplice scopo di essere meno identificabili da parte del nemico e di guidare (e controllare) la popolazione. La guerriglia urbana, la battaglia corpo a corpo nelle strade della capitale è proprio quello che al Pentagono vogliono evitare. L'ASSEDIO - Per non farsi coinvolgere in una guerriglia - che prevede anche attacchi suicidi di kamikaze sul modello palestinese - la via più semplice per i militari americani è quella dell'assedio: continuare a bombardare dall'alto Bagdad e circondarla per tagliare rifornimenti di armi e di cibo, riducendo allo stremo l'esercito iracheno (ma anche la popolazione civile). Il rischio è quello di un assedio troppo prolungato nel tempo, che avrebbe inevitabili contraccolpi politici (e un disastro umanitario) sia sul piano internazionale che su quello dell'opinione pubblica americana. MORTI E PRIGIONIERI - Un'azione prolungata nel tempo rischia di aumentare sensibilmente il numero di morti e prigionieri. Anche se negli ultimi mesi una martellante propaganda (soprattutto televisiva) ha preparato il pubblico americano ad una guerra "lunga" (lo ha ripetuto ieri lo stesso Bush) e che dà come inevitabili (al contrario del Kosovo) un certo numero di morti tra i soldati Usa, il ritorno delle prime bare dall'Iraq creerà inevitabili polemiche anche negli Stati Uniti. CONTINUA I sondaggi che danno a Bush un consenso ancora alto, attorno al 70 per cento, possono rapidamente cambiare e che l'umore nel paese verso il proprio "comandante in capo" non sia più quello del dopo 11 settembre lo dimostrano le decine di manifestazioni che ormai ogni giorno si svolgono nelle città americane. SADDAM - La sorte del dittatore iracheno resta una delle grandi incognite di questa guerra. Anche se fosse morto il problema per gli americani è quelo di riuscire a provarlo "senza ombra di dubbio" al popolo iracheno e al mondo intero. Altrimenti rischia di diventare - come Bin Laden - un altro pericoloso fantasma. ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA - Bush e l'amministrazione americana hanno iniziato questa guerra contro e nonostante l'opposizione delle Nazioni Unite perché ritengono di avere il diritto del "colpo preventivo" contro uno Stato che ha sviluppato "armi di distruzione di massa, chimiche e batteriologiche in grado di colpire direttamente gli Stati Uniti". CONTINUA Per ora di queste armi non si è trovata traccia, né sembra che gli iracheni abbiano intenzione di usarle (sempre che le abbiano ancora). E' possibile che siano nascoste vicino Bagdad nella parte di paese ancora sotto lo stretto controllo del regime. Se però non dovessero essere trovate la credibilità di Bush e dell'amministrazione americana subirebbe un grave colpo. (24 marzo 2003) TROVATE FORSE ARMI CHIMICHE La notizia della Fox, ma il Pentagono è cauto L'impianto sarebbe a Najaf, a sudovest della capitale "Forse trovate armi chimiche" Indagini sul deposito misterioso Bombardate nella notte Bagdad e Mossul WASHINGTON - Forse trovato un deposito di armi chimiche a sud di Bagdad. Anche se il Pentagono è cauto. Secondo la tv americana Fox, il ministero della Difesa Usa ha confermato che un grande deposito che servirebbe per fabbricare armi chimiche e biologiche è stato trovato a An Najaf, città 160 chilometri a sud della capitale. CONTINUA La notizia è di quelle che fanno il giro del mondo in pochi minuti. Il possesso di armamenti non convenzionali da parte del regime di Baghdad e il pericolo che tali armi possano cadere nelle mani della rete terroristica internazionale rappresenta il motivo fondamentale per il quale secondo la coalizione guidata dagli Stati Uniti il regime di Saddam Hussein rappresenta una minaccia per il mondo e va disarmato. Ma il fatto che lo stesso Pentagono sia cauto lascia intendere che la famosa prova principale della colpevolezza di Saddam, la "smoking gun" (pistola fumante) non sia così certa. Il Pentagono giudica "prematura" la notizia diffusa dalla Fox. "Le informazioni della stampa sono premature recita un comunicato del Comando centrale Usa, letto dal portavoce James Cassella - Stiamo verificandoalcuni siti che ci interessano". Tutto ha origine da un articolo pubblicato da un giornalista del quotidiano israeliano Jerusalem Post, che si trova al seguito delle forze angloamericane entrate in territorio iracheno. Il comando centrale Usa non conferma. Tuttavia ammette che l'esercito sta interrogando "uno o due" Nella notte, Fox ottiene la conferma da un "alto ufficiale" del Pentagono che spiega che si tratta di una fabbrica di "dimensioni considerevoli" e che il direttore dell'impianto è sottoposto a interrogatorio. L'impianto sarebbe circondato da una rete elettrica e sarebbe stato camuffato in modo da ingannare eventuali ricognizioni aeree. Per quanto riguarda le notizie dal fronte, tra ieri pomeriggio e questa mattina pesanti bombardamenti hanno colpito la periferia di Bagdad e la contraerea irachena è entrata in azione con grande intensità anche nella città del nord di Mossul. Un missile è caduto sulla riva est del fiume Tigri nella capitale. Alle 3 locali gli alleati anglo-americani hanno pesantemente bombardato la capitale irachena sia al centro sia a sudest, vicino al quartier generale dell'aeronautica irachena. Bombardieri americani B-52 sono partiti a ondate successive dalla base di Fairford, nell'Inghilterra occidentale. CONTINUA Ma aumenta anche il numero delle vittime tra gli anglo-americani e ci sono i primi prigionieri tra i marines. Un portavoce del comando centrale alleato nel Qatar annuncia che nella battaglia di Nassiriya vi sono poco meno di 10 morti, 12 dispersi, tra morti - i cui corpi sono nelle mani degli iracheni - e . A costoro vanno aggiunti due militari britannici dati per dispersi nel sud dal ministero della Difesa di Londra. E sono emersi anche attriti tra l'Australia - che partecipa alla campagna in Iraq con 2.000 uomini e mezzi aeronavali - e il comando Usa sulle regole di ingaggio che nel caso australiano danno ai piloti la discrezionalità di ignorare o meno un ordine di bombardamento se giudicano che possano colpire obiettivi civili. L'equipaggio di un cacciabombardiere Hornet, secondo un portavoce della difesa australiano, ha rifiutato ieri di colpire un obiettivo assegnato dal comando Usa perchè non era "verificabile". (24 marzo 2003) LA VERA GUERRA Così la Casa Bianca sperava di vincere inviando in anticipo le forze speciali La vera storia dei piani di attacco di BOB WOODWARD QUANDO, mercoledì scorso, il presidente Bush e i maggiori esponenti della national security apprendevano dalle ultime informazioni della Cia che Saddam Hussein e altri importanti esponenti del governo iracheno avrebbero trascorso la notte in una sede a sud di Bagdad, i dirigenti riuniti per analizzare quelle informazioni erano al corrente di un segreto anche più importante. Come previsto dal piano ufficiale, approvato dal presidente e designato con la sigla "Oplan 1003 V", la guerra con l'Iraq era già incominciata CONTINUA . Poco più di due ore prima, alle 13 ora di Washington, 31 gruppi operativi speciali - trecento uomini circa - col favore della notte, invadevano la parte occidentale e meridionale dell'Iraq. Raggiungendo piccoli contingenti delle forze speciali e gruppi paramilitari della Cia che già si trovavano in Iraq, queste truppe si sono distribuite sul territorio per tagliare le vie di comunicazione e occupare posti d'osservazione. Dovevano evitare i rischi più temuti dall'amministrazione Bush: il ricorso degli iracheni ad armi chimiche o biologiche, un'aggressione a Israele con i missili Scud, la distruzione dei pozzi petroliferi. Il piano prevedeva una "finestra" di 48 ore d'anticipo, per consentire alle forze speciali di svolgere la loro missione prima dell'inizio ufficiale della guerra, inizialmente previsto per venerdì con massicci attacchi aerei contro Bagdad e altre città. CONTINUA Mercoledì nel corso di una riunione di tre ore nell'Ufficio Ovale, il presidente e i suoi stretti collaboratori hanno di fatto dato inizio alla guerra in gran segreto. Poi tutto ha subito un'accelerazione: sulla base delle informazioni presentate dal direttore della Cia George Tenet, il presidente ha ordinato i bombardamenti sul complesso di Dora Farm di Bagdad, per tentare di uccidere Saddam Hussein e gli altri maggiori esponenti del governo iracheno. E giovedì ha deciso di accelerare di 24 ore le operazioni delle truppe di terra. I PIANI Queste decisioni hanno modificato un piano nato già nel gennaio 2002, quando il Segretario alla difesa Donald Rumsfeld e il capo del Comando centrale, generale Tommy Franks, hanno iniziato a elaborare l'attacco. Nei 14 mesi seguenti sono state preparate una ventina di versioni del piano: le divergenze fra Rumsfeld e Franks hanno portato a continue revisioni. CONTINUA Franks proponeva di impegnare molte forze di terra, mentre Rumsfeld insisteva per un'impostazione radicalmente diversa, con meno forze di terra e una partecipazione molto maggiore di truppe speciali. Solo ai primi di settembre è stata messa a punto quella che doveva essere la versione definitiva del piano. Ma a quel punto le insistenze del segretario di Stato Colin Powell hanno convinto Bush a cercare nelle Nazioni Unite il sostegno internazionale. I negoziati al Consiglio di Sicurezza e le successive attività degli ispettori Onu sono andati avanti per quasi sei mesi. Questa "long diplomacy", pur non prevista dagli americani, ha concesso a Rumsfeld e a Franks il tempo necessario per dispiegare le forze nell'area del Golfo Persico. IL D-DAY La versione del piano messa a punto a gennaio restringeva a quattro giorni l'intervallo tra l'inizio dei bombardamenti aerei e la campagna terrestre: un mutamento radicale rispetto alla guerra del Golfo del 1991, quando gli aerei bombardarono l'Iraq per 38 giorni prima che le forze di terra entrassero in Kuwait. CONTINUA Ma a febbraio ci fu un'altra modifica: Franks ebbe l'idea di dare inizio alla guerra dispiegando segretamente forze speciali in Iraq. All'inizio il presidente esitò ad accettare: si era impegnato ad annunciare pubblicamente l'inizio della guerra. Ma i vantaggi della missione erano tali che alla fine si convinse. Così è stato: il D-Day giorno dell'ingresso in Iraq delle truppe operative speciali è stato infine fissato per mercoledì, sette ore prima che scadesse l'ultimatum a Saddam. Poi si sarebbe passati al bombardamento aereo A-Day - e all'offensiva di terra - G-Day -. In perfetto orario mercoledì forze speciali Usa, accompagnate dai più esigui contingenti britannici e australiani, sono penetrate in territorio iracheno. Ma subito dopo il piano è stato modificato un'altra volta. Perché? Due ore e mezzo dopo l'ingresso di truppe in Iraq, Tenet si è presentato alla Casa Bianca: portava notizie su Saddam Hussein e spiegava che si poteva tentare di eliminarlo subito. CONTINUA TENTARE IL COLPO Superati i dubbi sulla legalità dell'azione e sulle possibile conseguenze per la popolazione civile, Bush e i suoi hanno deciso che valeva la pena di tentare il colpo: nel giro di poche ore, gli F 1178A hanno lanciato sul complesso Dora Farm bombe da 2.000 libbre, seguite da una raffica di missili Cruise lanciati dalle navi da guerra. Alle 22.15 il presidente ha annunciato che la guerra era incominciata. La mattina dopo, Franks ha anticipato di 24 ore le operazioni di terra. Il massiccio attacco delle divisioni terrestri è iniziato quella sera, il 21 marzo. (Copyright Washington Post - La Repubblica Traduzione di Elisabetta Horvat) (24 marzo 2003) L’IMBOSCATA DEGLI IRACHENI La trappola scatta all'improvviso al ponte sul Tigri Sette morti nella battaglia di Nassiriya L'errore di un ufficiale provoca la strage dei marines dal nostro inviato LEONARDO COEN DOHA - Non c'è stata battaglia, solo una carneficina. Sette morti, cinque prigionieri, tra cui una donna, molti feriti: "La colpa è di un giovane ufficiale che ha sbagliato strada, ha confuso quella più sicura e ha imboccato quella che lo ha portato all'imboscata, alle porte di Nassiriya".CONTINUA Il generale John Abizaid è desolato, ma è costretto a dare una spiegazione comunque logica per quella che sinora è la peggiore delle sconfitte subita dalla Coalizione. Non è tutto. C'è anche l'umiliazione delle "ignobili immagini" trasmesse dalla tv irachena e riprese da Al Jazeera e da tanti altri network europei. Con la tv del Qatar il generale è molto arrabbiato e non lo nasconde nemmeno al briefing. Per forza. I cadaveri sono stati portati via dagli iracheni insieme ai prigionieri ed ammassati in una stanzetta di chissà quale prigione in chissà quale località del centro Iraq.Il generale reprime a fatica la rabbia: dice di non sapere dove siano stati rinchiusi i marines catturati. L'intelligence ci starà già lavorando sopra. L'agguato scatta lungo una strada alberata, vicino a Nassiriya, nella provincia di Dhiquar. La città si trova a 375 chilometri sud est da Bagdad, è un nodo strategico perché c'è un ponte che scavalca l'Eufrate e punta a Al Kut, sul Tigri: di qui passa la ferrovia principale del Paese, che porta alla capitale irachena, e una delle due grandi autostrade che collegano il sud a Chi si assicura queste vie di comunicazione ha di fatto il controllo di mezzo Paese. C'è euforia, tra i marines, i loro generali hanno promesso un'avanzata fulminea: "Saremo a Bagdad molto presto". E vuol fare molto presto anche il giovane ufficiale che comanda una colonna di sei camion coi rifornimenti per la prima linea del Settimo Cavalleggeri: è il reggimento che guida le avanguardie della Terza Divisione dei marines. Sembra un servizio di routine.All'improvviso, si scatena l'inferno. Un reparto della Guardia Repubblicana - i "feddayn" di Saddam, come li chiama il generale Abizaid - fa strage. Le unità americane più vicine sentono i colpi, tentano di intervenire. Salvano una trentina di commilitoni, rimasti feriti. Più avanti, 500 iracheni appoggiati da 8 carri armati e parecchi mortai fermano per qualche ora la corsa di 5000 marines. Attaccano a piccoli gruppi: sono formazioni irregolari, "gente che non ha più nulla da perdere, perché troppo coinvolti col regime di Saddam Hussein. Hanno avuto l'ordine di rimanere dietro il fronte e di condurre azioni di sabotaggio e agguati, Talvolta fingono di arrendersi, perché eseguono alla lettera le istruzioni dei volantini gettati nei giorni scorsi. Da lontano sembrano civili. Poi, aprono il fuoco. E' una tattica da guerriglia del deserto: combattere violentemente in più punti, immobilizzando ed isolando le unità della Coalizione. Ma gli iracheni usano anche altri trucchi: mascherare soldati da civili, in modo che gli alleati s'avvicinino senza intenzioni ostili e possano essere colti di sorpresa. Oppure concentrare civili intorno a postazioni d'artiglieria così da impedire l'intervento degli aerei per "bonificare" le aree da occupare. In questo modo rallentano l'avanzata. Quel che è successo ieri a Nasiriya e, più in grande stile, a Nayaf, dove la divisione Medina delle Guardie Repubblicane deve cercare di respingere i marines e tenerli oltre l'Eufrate, in attesa del grande caldo annunciato nei prossimi giorni. (24 marzo 2003) IL FRONTE CURDO Il fronte settentrionale della guerra all'Iraq Qui l'obiettivo sono i gruppi integralisti Sui monti del Kurdistan caccia agli amici di Al Qaeda I curdi sono divisi in varie fazioni in lotta fra loro Il taxi-bomba kamikaze sulla strada per Khurmal dal nostro inviato MARCO ANSALDO SULEYMANIA - L'aereo scarica una prima bomba. Poi due. Tre. Quindi una pioggia di missili si abbatte sulle teste degli alberi che cingono la montagna. Un boato. Una nuvola di fumo nero si sprigiona dal basso e avvolge l'aria non lontano dai villaggi di Khurmal e Halabja. CONTINUA Dieci minuti dopo, nuovo sorvolo e stessa scena. E ancora l'atmosfera si impregna di fuliggine e calore. Il primo pomeriggio sulla zona intorno ai monti Shinerwe. Laggiù si nascondono gli integralisti curdi del gruppo Ansar al Islam, i "compagni dell'Islam" che l'America accusa di appoggiare Al Qaeda. Non è il primo attacco, questo. Già due giorni fa l'offensiva era stata massiccia, con sessanta guerriglieri uccisi. Ma questa volta il bombardamento è insistito, quasi continuo. Gli aerei in volo sanno che il sostegno a terra adesso è assicurato, e che la loro azione sarà presto aiutata dalle truppe. Nel vicino aeroporto di Bakraio, lontano pochi chilometri da Suleymania, sono atterrati quattro velivoli con la bandiera a stelle e strisce. Il primo sbarco degli americani sul Kurdistan iracheno. Non mancheranno molte ore, e le truppe speciali Usa saranno pronte ad arrampicarsi sugli impervi Shinerwe per saldare i conti con Ansar al Islam, il gruppo bollato da Colin Powell nel suo rapporto all'Onu come "alleato di Bin Laden". CONTINUA Vista dal fronte settentrionale, la guerra dell'Iraq non ha soltanto come obiettivo Saddam Hussein, ma appare lo spunto per regolare i conti anche con altri gruppi più o meno in linea con la centrale Al Qaeda. La zona del Kurdistan orientale che fa capo a Suleymania, controllata non per intero dagli uomini dell'Unione patriottica curda (Upk) guidata da Jalal Talabani, è zeppa di queste formazioni. Attorno ai monti Shinerwe e all'impenetrabile villaggio di Beyara dove Ansar al Islam domina incontrastata, almeno altri due gruppi si spartiscono l'area. Uno è rappresentato dal Komala Islami Kurdistan (la società islamica curda), l'altro dal Jamiat e-Islami. Tutti e tre a ridosso della frontiera con l'Iran, che qui dista un pugno di chilometri, sono da svariati anni la spina nel fianco dei curdi di Talabani, i quali vogliono dare di sé un'immagine presentabile all'estero e non offuscata da associazioni che plaudono agli attentati dell'11 settembre. CONTINUA I curdi integralisti però non mollano la presa. Da settimane in questa zona si temeva un attentato, e due giorni fa l'attacco c'è infine stato, con l'uccisione del cameraman australiano Paul Moran, saltato a un posto di blocco assieme a tre guerriglieri dell'Upk per un taxi-bomba guidato da un kamikaze lanciato sul posto di blocco che porta a Khurmal. Ma l'arrivo delle truppe speciali Usa sembra mirato a fare definitivamente piazza pulita di Ansar al Islam: assieme ai militari compaiono svariati consiglieri, agenti della Cia probabilmente, pronti a dare direttive e tempi dell'offensiva già da stanotte sul villaggio di Beyara. Più a ovest, il fronte curdo è impegnato invece totalmente contro gli iracheni di Saddam. La zona di Mosul ieri è stata interessata da una lunga serie di attacchi. Nella città dei pozzi petroliferi tuttora in mano al regime i combattimenti sono stati aspri, e hanno anche toccato - con l'arrivo di qualche mortaio - Kalak, l'ultimo posto di blocco utile ai giornalisti per controllare da più vicino possibile lo stato del fronte.CONTINUA Bombardamenti pesanti pure nella vicina Kirkuk, dove l'aeroporto è stato oggetto dell'offensiva comune di curdi e americani, interessati ad assicurarsi una postazione strategica e ricca di munizione e bunker sotterranei, giudicata come decisiva per controllare l'Iraq del nord. Anche qui le truppe speciali americane vengono segnalate in azione. Persino la periferia a sud di Erbil, "capitale" curda a 300 chilometri da Bagdad, è lambita dai bombardamenti. Nelle ultime ore un contrattacco iracheno ha portato i curdi a difendersi. Il fronte del nord comincia a risentire pesantemente della mancanza di un ariete di sfondamento costituito dai soldati turchi, secondo il piano originario del Pentagono. La battaglia per il controllo di Mosul e Kirkuk è appena cominciata, e il braccio di ferro tra americani e curdi da una parte, e iracheni dall'altra per garantirsi l'area dei pozzi, deve anzi affrontare l'incognita dell'esercito di Ankara in attesa al di là della frontiera, ma pronto a piombare oltre confine non appena ne scorgerà l'occasione. (24 marzo 2003) Le immagini proibite di VITTORIO ZUCCONI IL BIANCO degli occhi enormi della sergente americana prigioniera illumina la verità della guerra. Non un pilota di jet abbattuto e tumefatto alla Cocciolone, ma una donna, texana come Bush, un semplice meccanico in divisa a 24 mila euro lordi l'anno, è il primo volto che ha portato lo shock and awe, lo sbigottimento e il terrore, nelle case degli americani illusi dalle favole della liberazione pulita e senza sangue. Tutto va bene sul fronte orientale, ci rassicura Bush tornando dal suo week end nello chalet di montagna, "la battaglia sarà dura", ma il settimo cavalleria è nei sobborghi di Bagdad e le bombe cadono puntuali sulla città. CONTINUA Saddam è cotto, il piano avanza "lento ma sicuro" e le armi di distruzione di massa, quelle per le quali siamo andati a conquistare l'Iraq, saranno presto e sicuramente trovate. Ma intanto la prima domenica di guerra è una bloody sunday, una giornata maledetta - e dunque per la prima volta onesta - di sangue, di torture, di soldati impazziti, di cadaveri che rompono lo show asettico e incruento. Bush avverte gli iracheni: "Mi aspetto che i prigionieri siano trattati con umanità, così come facciamo noi con i prigionieri che abbiamo catturato. Altrimenti, chi maltratterà i prigionieri sarà trattato da criminale di guerra". Per l'America in casa la guerra è cominciata ieri. Quel video è la bomba di Saddam su Washington. Per questo è visto pochissimo, qui sul fronte interno, poche immagini censurate e subito ritirate. E solo dopo molte ore la Cnn ha mostrato qualche breve spezzone. La maggior parte delle sequenze grand guignol che gli iracheni hanno filmato e che il network arabo Al Jazeera ha diffuso in tutto il mondo non sono ancora passate. Bush ha detto di non averle viste, perché lui ci racconta di non guardare la guerra in tv, ma mente. CONTINUA I generali del Pentagono le hanno seguite "con le mascelle serrate". Gli anchor delle reti tv, invocando il dovere professionale, le hanno avidamente osservate in privato, anche a costo di "vomitare" come Paula Zahn di Cnn, signora ingualcibile dei contenitori di fluff, aria fritta del mattino. Ma ai cittadini, ai contribuenti che pagano il soldo dei 12 disgraziati uccisi in un'imboscata, dei cinque genieri meccanici del Terzo Fanteria caduti nelle mani degli iracheni perché il sottotenente che li guidava "ha sbagliato strada", non sono stati fatti vedere. Soltanto chi possiede collegamenti Internet ad alta velocità ha potuto guardarli, in uno dei siti sciacallo che subito hanno messo on line il filmato. È stato fatto per pudore dei parenti a casa, per rispettare quel minimo di decenza che persino le televisioni occasionalmente ancora hanno e perché un Donald Rumsfeld terreo ha sfidato la luce dei riflettori al mattino della domenica senza lo scudo del fondotinta per chiedere alle tv di non mandare in onda quelle sequenze "ripugnanti" di cadaveri in uniforme americana. CONTINUA Le tv, per ora, hanno ubbidito, non hanno mostrato neppure l'interrogatorio dei cinque fanti prigionieri e di quella donna con l'occhio bianco e terrorizzato. È pudore, certamente, quel black out, ma è molto di più. È la paura che, nel ribrezzo e nella rabbia suscitati dalle sequenze dei morti e dei prigionieri, il pubblico americano ritrovi il senso dell'orrore, riscopra il prezzo di avere violato il tabù della guerra. È rispetto per le famiglie dei parenti, ma è anche l'ansia di perdere, nella battaglia finale per Bagdad che sta per cominciare, il consenso di una generazione X allevata nel mito delle nuove guerre playstation senza morti, come in Kosovo. "Sembra che questa guerra vada avanti da tanto tempo - diceva ieri sera Bush tradendo l'ansia di farla finita presto - e invece è solo l'effetto di tutto quello che vediamo alla televisione". Proprio lui, che ci aveva appena detto di "non guardare la guerra in tv". È umana delicatezza, ma è soprattutto calcolo politico. CONTINUA I sondaggi della vigilia dicevano che il vasto e sottile sostegno all'invasione sarebbe crollato in proporzione inversa al numero di morti: e i morti cominciano ad arrivare. Bush e i suoi registi di politica interna, Karl Rove e Andy Card, che guardano alle elezioni del 2004, quelle per le quali il soldato Bush combatte, ricordano come Clinton pagò l'umiliazione della Somalia, quando l'elicottero Black Hawk fu abbattuto e i cadaveri dei marines furono trascinati nella polvere di Mogadiscio. Il morale, bisogna tenere alto il morale del fronte interno, perché la sindrome del Vietnam si annida in ogni body bag per i caduti. I generali Usa, che per bocca del futuro viceré dell'Iraq liberato, il generale Abizaid di origine araba, accusano al Jazeera di "disgustosa insensibilità", rabbrividiscono quando vedono il sergente Assan Akbar della 101esima parà lanciare tre bombe a mano nella tenda dei comandanti, uccidendone uno e ferendone 15. CONTINUA Tutti gli ufficiali superiori di oggi hanno fatto il Vietnam e ricordano il segreto terribile del fraggin', quando gli uomini si ammutinavano e ammazzavano i loro ufficiali a colpi di fragmentation bomb, di bombe a mano, per non andare in battaglia. Gli anchor di tutte le reti assumono la voce da cronache funebri, ora che la faccia vera della guerra è apparsa e non è più soltanto il comodo tiro al bersaglio sul dead man walking, il morto che cammina Saddam. E c'è un'altra verità impronunciabile e spaventosa, dietro lo shock and awe, lo sgomento e il terrore che ha preso Bush, Rumsfeld, Cheney l'Uomo Invisibile, alla vista del videotape e alle notizie della sorprendente resistenza di questi iracheni. È la paura che i colpi di coda del regime scatenino il mostro latente dentro questa guerra: l'odio razziale per gli arabi, che la favola bella della democrazia tipo esportazione con aiuti umanitari dovrebbe nascondere. Le torture ai prigionieri possono scatenare quell'odio anti islamico, anti arabo che a fatica si è finto di controllare dopo l'11 settembre. CONTINUA Era un musulmano nero, il sergente che ha fragged i suoi comandanti. Sono musulmani e arabi, quelli che hanno filmato e mostrato i cadaveri e i prigionieri. "Adesso è diventato un fatto personale", è scappato detto a un artigliere della 101esima prima che la regia militare tagliasse il collegamento. Se i carcerieri e gli aguzzini dei prigionieri americani riusciranno a far scattare la trappola della rabbia e dell'odio razziale, quella, e non le introvabili bombe chimiche, diventerebbe la vera arma di distruzione di massa nella crociata tra l'Islam dei fanatici e la Cristianità dei missili Cruise. (24 marzo 2003)