Patrioti Pugliesi nel Risorgimento Politico Italiano Risorgimento Il Risorgimento è il periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana conseguì la propria unità nazionale, riunendo in un solo nuovo Stato, il Regno d'Italia, gli Stati preunitari. Gli storici, tendono a stabilire l'inizio del Risorgimento, come movimento, subito dopo la fine del dominio Napoleonico quando si riunì il Congresso di Vienna nel 1815 e il suo compimento fondamentale con l'annessione dello Stato Pontificio e lo spostamento della capitale a Roma nel febbraio 1871. Il Risorgimento italiano si svolse tra contraddizioni e all’insegna di valori che in diverse parti dell’Italia assunsero significati diversi. L’impresa dei Mille fu vissuta con ansia e con trepidazione dai liberali pugliesi, che raccolsero fondi a favore di G. Garibaldi e arruolarono diversi volontari. Ma l’unità d’Italia, nonostante l’entusiasmo dei liberali, lasciò la maggioranza della popolazione se non indifferente almeno in uno stato di misurato ottimismo, perché molti erano convinti che alla caduta della monarchia borbonica sarebbe seguito uno stato d’anarchia Il 21 ottobre 1860 tutti i cittadini pugliesi di età superiore ai ventun anni furono chiamati alle urne per esprimersi sull’annessione delle province meridionali al Regno d’Italia. Visto che il voto era praticamente palese, vinsero i favorevoli all’annessione. Il malcontento dei contadini verso il governo centrale esplose in tutto il Mezzogiorno sotto forma di insurrezione armata. Furono occupati molti Comuni pugliesi dai contadini, da molti sbandati del disciolto esercito borbonico e da perseguitati politici: tutti accumunati dall’odio per i Savoia e per gli odiati galantuomini che si erano finti democratici per continuare a spadroneggiare. Il governo centrale preoccupato di quanto stava accadendo, specie in Capitanata, inviò un corpo di spedizione militare agli ordini del generale Enrico Cialdini, il quale nel secondo semestre del 1861 attuò una feroce e sanguinaria repressione, cacciando via gli insorgenti dalle città occupate e relegandoli sui monti e nel fitto delle boscaglie. I rivoltosi si aggregarono in bande più o meno numerose dando vita ad un fenomeno eversivo di vaste proporzioni tale da essere definito “grande brigantaggio” Nel 1862 si registrò l’apparizione dei primi briganti sulla Murgia dei trulli e si unirono anche delle bande Lucane, che fondendosi con quelle locali formarono gruppi consistenti. Lo scopo di queste bande era quello di seminare panico fra la popolazione ,ma soprattutto tra le autorità. Il brigantaggio nella Murgia dei Trulli resse fino a quando non venne ucciso il suo capo carismatico, il sergente Pasquale Romano di Gioia del Colle, che era arrivato ad arruolare decine di migliaia di seguaci, dispersi poi in piccole bande criminali. Nato da una famiglia di pastori, Pasquale Domenico Romano si arruolò nell’esercito borbonico dove intraprese una brillante carriera, ammirato dai suoi concittadini che lo appoggiarono nella battaglia del 28 luglio 1861 quando irruppe in Gioia del Colle con la sua banda e costrinse i Piemontesi ad abbandonare la città. Romano fu protagonista di altri episodi che portarono la sua banda a distruggere masserie di liberali ed ex Garibaldini della zona delle Murgie baresi seminando il panico e facendo strage tra i “Traditori del Popolo meridionale”. Quando il 4 gennaio 1863 venne intercettato nei boschi nei pressi della natia Gioia del Colle, la sua eroica resistenza fu vana, infatti i Piemontesi lo uccisero. Si dice che prima dell’ultimo respiro riuscì a gridare: “Evviva O REE” ( riferendosi a Francesco II) Il suo corpo spogliato della divisa borbonica fu caricato sopra un mulo ed esposto in Gioia del Colle per un’ intera settimana. Un altro brigante pugliese noto per il calibro delle sue gesta è il religioso Papa Ciro che fondò la setta dei Decisi e spadroneggiò per oltre 15 anni nella zona di Francavilla d’Otranto ( oggi Francavilla Fontana). Al termine delle scorribande Don Ciro si rifugiava sulle vicine alture e in alcune grotte della Murgia pugliese tra cui la più paurosa è proprio quella che porta il suo nome“ caverna del Brigante Papa Ciro”, dove si nascosero anche altri briganti. Si tratta di una tipica cavità naturale di sbocco di una antica canalizzazione carsica che si apre sul bordo della gravina, in territorio di Martina Franca. Non furono poche le donne che trovarono posto a vario titolo all’interno delle bande. Vi erano le fiancheggiatrici, le compagne al seguito ( per lo più mogli o fidanzate) e le combattenti: autentiche brigantesse che arrivarono a prendere le redini della banda se il capo di cui erano compagne, cadeva in combattimento o fra le mani del “nemico”. A differenza di altre regioni meridionali che possono vantare diverse figure, la Puglia “produsse” una sola brigantessa. Si chiamava Elisabetta Blasucci, veniva da Ruvo di Puglia ed era la donna di Giovanni Liberatore, un capobanda lucano. Gli episodi di vera e propria lotta civile, tra invasori piemontese e nostalgici borbonici, desta una certa impressione. La verità è che il brigantaggio trae origine da un profondo disagio socio-economico: fu soltanto la guerra dei poveri esasperarti dalle dure condizioni in cui erano costretti a vivere. Giuseppe Massari, presidente della commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento nel 1862, affermò che il brigantaggio non è altro che “la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie”. Tanti patrioti meridionali hanno dato il loro contributo perché il valore della Libertà e dell’Indipendenza nazionale si affermasse. Moltissimi i Pugliesi che per amor di Patria subirono condanne a morte, l’esilio e il carcere. Tra questi ricordiamo: Nicola Mignogna (Taranto 1808-1870): dal 1836 fece parte della Giovane Italia di cui presiedeva il comitato napoletano, partecipò a Napoli ai moti del 1848, fu processato e nel 1855 fu condannato all'esilio perpetuo del regno delle Due Sicilie. Nel 1860 si arruolò tra i Mille; Giuseppe Garibaldi lo definì "uomo puro", tanto da nominarlo tesoriere della spedizione. Mignogna partecipò alla sollevazione della Basilicata. Poi accompagnò i Mille fino al Volturno e prese parte ai combattimenti con la 7ª compagnia comandata da Benedetto Cairoli. Nel 1860 fu nominato proto-dittatore della Basilicata insieme a Giacinto Albini. Giuseppe Libertini (Lecce 1823-1874): iscritto alla Giovine Italia e seguace di Mazzini, partecipò ai moti del 1848 organizzando il comitato rivoluzionario nella terra d’Otranto. Con il colpo di Stato di Ferdinando II che revocava la Costituzione concessa mesi prima,gli eventi precipitarono e Libertini dovette darsi all’esilio e successivamente riparò a Carfù e di lì a Londra per sfuggire insieme ai suoi principali collaboratori alle gravi condanne detentive con cui si erano chiusi i processi relativi ai fatti del ’48. Fu eletto deputato nel 1961, ma poi lasciò, deluso dallo sviluppo postunitario del Risorgimento . La città di Lecce lo ricorda con un monumento eretto nella piazza a lui intitolata. Salvatore Morelli (1824-1880) di Carovigno (Br), giurista mazziniano, si affiliò alla <<Giovine Italia>>. Di idee socialiste e liberatorie, più volte in carcere per i moti del 1848 (bruciò l’immagine di Ferdinando II nella piazza della città natale) e per aver collaborato con Carlo Pisacane alla preparazione della spedizione di Sapri. Giuseppe Fanelli (1827-1877) è nato a Napoli da famiglia martinese. Suo padre era il dotto Lelio Maria Fanelli di Marina Franca. Mazziniano, di idee socialiste, amico di Giuseppe Mazzini e di Carlo Pisacane con cui intrattenne una corrispondenza sulla spedizione di Sapri del 1857, in cui maturò un dissenso polemico con Giovanni Nicotero , futuro ministro dell’Interno con la Sinistra storica. Partecipò ai combattimenti contro i Francesi per la Repubblica Romana nel 1849, fianco a fianco di Garibaldi e Mazzini, e ne difese la sua Costituzione. A Roma ritornò nel 1867 dopo essere stato ferito nella battaglia di Bezecca . Fu tra gli organizzatori della spedizione dei Mille con viaggi tra Lugano, Genova, Firenze. Nino Bixio lo definì “l’eroe di Calatafimi”. Giunto a Napoli, col grado di colonnello , organizzò una legione di Cacciatori del Vesuvio con Pateras. Giuseppe Fanelli doveva essere candidato al Parlamento nel Collegio di Martina Franca-Maglie, ma alle elezioni nel 1865 la galantomia gli preferì il milanese Carlo Cattaneo, il filosofo positivista del Federalismo italiano, protagonista delle Cinque giornate di Milano ( 17- 23 marzo 1848). Fanelli fu poi eletto a Monopoli. Un non senso dell’epoca . Ma non era una questione personale perché le sue idee socialiste, che coniavano Giustizia e Libertà, lo portarono ad altre scelte ed a diverse e sofferte interpretazioni non disgiunte da uno spirito azionista forte ed indomito, fin alla sua vicinanza all’anarchico Michele Bakunin e alla fattiva azione internazionalista in diverse città spagnole e italiane, a Napoli in modo particolare dove fu anche Consigliere Comunale. Non fu un entusiasta degli esiti dell’unità d’Italia così come si era organizzata. Questi eroi pugliesi erano tutti spinti verso la stessa meta che fu l’aspirazione della loro vita:”Libertà e Giustizia”,due importanti valori che informeranno i principi della Costituzione repubblicana del 1948 e che ci auguriamo vengano sempre rilanciati e condivisi dal pensiero e dall’azione di tutti gli Italiani che credono nell’idea di Nazione, libera e Giusta.