Scuola dell’INFANZIA “G. DOZZA” La Pelle Pelle bianca come la cera Pelle nera come la sera Pelle gialla come il limone Pelle arancio come il sole . Di nessuno puoi fare a meno, Per disegnare l’arcobaleno. Chi un solo colore amerà Un grigio sempre avrà. Per leggere le fiabe fai clic sulle icone GUERRA E PACE NEL PAESE DELLE RANE Nel paese delle rane, le rane rosse e le rane blu non vanno d’accordo. “Le migliori siamo noi!”; “non è vero, siamo noi!”. Quando il sole scaldava troppo, le rane smettevano di litigare. Non c’era più acqua nello stagno. Per rinfrescarsi c’è una sola cosa da fare: coprirsi di fango dalla testa ai piedi. “Così si sta meglio!” Ma … quali sono le rane rosse …. e quali sono le rane blu? “Facile, le migliori siamo noi!” “Non è vero, siamo noi!” “Staremo a vedere ……” ed è subito guerra nel paese delle rane, “Urrà! Abbiamo vinto noi!” “Solo perché avevamo il sole negli occhi!” All’improvviso ecco la pioggia! Le rane saltano e sguazzano dalla gioia. Ma …. sorpresa! L’acqua lava via il fango e ogni rana ritrova il suo colore. Quelle che hanno vinto sono rosse e blu, come quelle che hanno perso. Ma ecco arrivare delle rane strane, metà rosse e metà blu. “Che cosa vengono a fare?” Vengono a festeggiare lo stagno ritrovato e la PACE ritrovata fra le rane rosse e le rane blu. Fiaba dall’ITALIA Fai clic sulla rana COME VENNE LA PIOGGIA Quando il mondo venne creato la pioggia non esisteva. Gli animali erano preoccupati e si riunirono a gruppi per invocare la pioggia lanciando le loro voci verso il cielo. Provarono per primi gli animali più grandi come gli elefanti e gli ippopotami con i loro barriti, poi i leoni con i loro ruggiti…, ma la pioggia non venne. Toccò allora agli animali un po’ meno possenti come le giraffe e le zebre, e a quelli più piccoli come gli aironi, i conigli e i topi, ma il cielo era occupato a giocare con le nuvole e non aveva tempo di mandare la pioggia. Per ultime toccava alle rane. Tutti gli animali le pregarono di gridare verso il cielo il loro bisogno di acqua. Le rane non aspettavano altro per mettersi a gracidare e così presero a cantare tutte insieme in modo così assordante che il cielo che stava riposando si svegliò arrabbiato e chiese alle rane di smetterla, ma le rane risposero che avrebbero taciuto solo se fosse caduta la pioggia. E così il cielo mandò giù tanta di quell’acqua che le rane finalmente tacquero contente. Fu così che le rane pur così piccole, ma tutte unite, riuscirono dove gli animali più grandi e potenti avevano fallito. Da allora le rane negli stagni, si credono padrone dell’acqua, e continuano a gracidare per chiedere la pioggia. LEGGENDA BANTU’ Fai clic sul leone IL DRAGO DELLA PIOGGIA Al tempo dell'imperatore Yu... molto e molto tempo fa, vicino ai monti Huo, in Cina, c'era un piccolo villaggio, e in quel villaggio viveva un prode cacciatore di nome Li Jing, che se ne andava tutto il giorno per boschi e per valli, inseguendo lepri e cervi. La Cina è molto vasta, così accadde che Li Jing, un giorno, non si accorse di essersi allontanato troppo dal villaggio, e il buio della notte lo sorprese. Li Jing continuò a camminare cercando la via per ritornare, ma continuò a vagare un passo dopo l'altro inutilmente. Finalmente vide una luce lontana e cercò di raggiungerla, correndo nella notte nera. Ed ecco, si trovò davanti ad un palazzo ornato di molte lanterne, con un grande portone laccato di rosso vermiglio. Bussò, e venne ad aprire un servo che s'inchinò e disse: “Onorevole ospite, i giovani padroni sono partiti, ma la signora loro madre ti riceverà subito. Li Jing entrò e fu ricevuto da una nobile dama elegantemente vestita di bianco e di nero, e con i piedi così piccoli che per camminare doveva appoggiarsi alle sue cameriere. “Benvenuto, benvenuto” - mormorò la dama. “La mia modesta casa è tua, e la cena che ti offro non è degna di te”. Per di più può capitare che i miei figli, tornando a casa, facciano un gran rumore, perciò ti prego di perdonarli, se disturberanno il tuo sonno. E dopo che l'ospite ebbe mangiato e bevuto tè verde, la dama gli fece preparare un comodo letto coperto di trapunte di seta. Il cacciatore si era appena addormentato, quando un forte rumore lo svegliò. Qualcuno stava bussando alla porta, e appena il servo corse ad aprire una voce di tuono disse: :”È ora di far piovere su queste montagne, sui villaggi intorno e nelle campagne. Tutto deve essere compiuto entro stanotte, non si discute!” Poi il visitatore se ne andò, e Li Jing sentì la signora che si lamentava:” Povera me, i miei figli sono troppo lontani per avvertirli. Come faremo?” – “Potremmo chiedere aiuto all'ospite” - rispose il servitore, e aggiunse: “Sembra un uomo forte e coraggioso.” La dama mandò dunque a chiamare il cacciatore, e gli disse: “Devi sapere che non sei in una casa di uomini, ma di draghi: questo, infatti, è uno dei tanti palazzi del dio della pioggia, il Grande Drago che vive in fondo al mare. Il Grande Drago ha il corpo di un semente, quattro corte zampe, un grande muso e dalla bocca escono fiamme. Lui annuncia i temporali sputando fulmini e tuoni. I miei figli sono i suoi messaggeri, e spetta loro far cadere la pioggia sulle campagne e i boschi, sui monti e le risaie. Stanotte, però, non potranno obbedire agli ordini del nostro padrone, perché sono lontani. Non vorresti prendere il loro posto come drago della pioggia?” – “Signora” rispose Li Jing, “io sono soltanto un cacciatore, ma se mi insegnerai come fare, ti aiuterò volentieri”. “È facile” spiegò la dama, “dovrai soltanto montare sul mio cavallo bianco e reggerti forte alla sua criniera. Quando lui si fermerà e batterà tre volte lo zoccolo, prendi una sola goccia d'acqua dalla fiasca legata alla sella, e spruzzala in aria”. Li Jing montò sul cavallo bianco e lui galoppò verso l'alto, fin sulle nuvole, finché non si fermò e batté tre volte lo zoccolo, proprio come aveva detto l'elegante dama. Allora il cacciatore guardò giù. E quando vide che si trovava sopra il suo villaggio, dove non pioveva da mesi, e dove i contadini non riuscivano più a coltivare il riso perché le risaie si erano prosciugate, pensò: “La terra è così arida che una sola goccia non basterà di certo”. Così spruzzò in aria venti gocce e il cavallo tornò indietro di volata. Appena sceso nel cortile del palazzo, però, Li Jing si vide venire incontro la dama, che piangeva e singhiozzava a più non posso: ”Ospite, cosa hai fatto! L'acqua contenuta nella fiasca è magica, una sola goccia corrisponde ad un palmo di pioggia, e tu ne hai spruzzate venti! È caduta tanta pioggia da spazzare via ogni cosa!” Li Jing si inginocchiò e batté la fronte a terra per il dispiacere e la vergogna. ”La colpa non è tua, ma mia, che ho chiesto ad un uomo di svolgere un compito destinato alle creature del Cielo. Tu hai solo cercato dì aiutarmi, perciò voglio farti un regalo. Ecco due dei miei servi: se lo desideri saranno tuoi”. Batté le mani, e dal corridoio di destra arrivò lentamente un servo anziano, dall'aspetto gentile e sorridente. Dal corridoio di sinistra, invece, sbucò di corsa un servo robusto, dall'aria rabbiosa e cupa. Terrò con me il servo robusto e dall'aria rabbiosa, perché è più adatto ad un fiero cacciatore”. Li Jing uscì dal portone vermiglio insieme al servo e dopo pochi passi si voltò indietro: l'uomo non c'era più. E anche il palazzo era scomparso. Il cacciatore, sfregandosi gli occhi pensò che fosse stato tutto un sogno. Quando tornò al villaggio lo trovò tutto allagato da venti palmi d'acqua e pianse amaramente, perché capì che non aveva sognato e che era sua la colpa di quell'alluvione. Il cacciatore e gli altri abitanti si misero al lavoro e, faticando a lungo, resero di nuovo fertile il terreno; così i contadini ripresero a coltivare il riso lavorando nelle risaie e poterono di nuovo indossare i loro grandi cappelli di paglia per proteggersi dai raggi del sole. Fiaba dalla CINA Fai clic sul drago LE AVVENTURE DI UN CANGURINO “Ciao amici, io sono un cangurino e mi piace tanto stare nel marsupio che si trova sulla pancia della mia mamma. La mia mamma ha tantissimi amici e tutti insieme brucano l’erba dei prati. Io bevo ancora il latte della mia mamma e, pensate la comodità, per mangiare non devo neppure uscire dalla mia speciale casetta. Ora che sono già un po’ grandicello e posso guardarmi intorno, mi diverto davvero molto. Una mattina, mentre mamma mi portava a spasso e mi faceva vedere tutte le cose della prateria, abbiamo incontrato un animale buffo e un po’ impacciato: io credevo che fosse una talpa, ma mamma mi ha spiegato che era un’echidna e che anche lei ha davanti una borsa nella quale stanno i suoi figli quando sono piccoli. Avevo appena salutato la piccola echidna quando, sopra ad un albero, vediamo due orsacchiotti che ci guardano con molta attenzione. La mamma mi spiega che non si tratta di orsacchiotti bensì di koala e che anche il koala, appena nato, vive in una soffice borsa simile a quella dove sto io. Quando è più grandicello invece, preferisce stare aggrappato al dorso della mamma. Questa mattina siamo andati al fiume. Mentre stavo bevendo vedo uno strano uccello … nuotare nell’acqua. Mamma mi spiega che non è un uccello, è un mammifero e si chiama ornitorinco. L’ornitorinco ha un becco che farebbe invidia a tutti gli uccelli del mondo, depone anche le uova e le cova … solo che, alla fine, quando i piccoli sono, nati li allatta, ed è proprio per questo è un mammifero. Alzo gli occhi e vedo un canguro su di un albero e chiedo alla mamma di insegnarmi a salire sugli alberi. La mamma però mi fa notare che questo canguro non proprio come noi: ha zampe anteriori molto più robuste delle nostre, ed è per questo che riesce a fare una cosa tanto bella come salire sugli alberi. Lo strano canguro è un nostro lontano cugino e si chiama canguro arboricolo. Che splendida mattina! Uccelli bellissimi e multicolori cantano nel bosco lungo al fiume; io passeggio accanto alla mia mamma e guardo tutte le cose attorno a me pieno di stupore e ammirazione”. STORIE DALL’AUSTRALIA Fai clic sui canguri STORIA DEI COLORI Tanto tempo fa, il pappagallo non aveva i colori: era tutto grigio e le sue penne erano corte come quelle di una gallina bagnata. Gli dei litigavano sempre: litigavano perché il mondo era assai noioso con due soli colori. Ed era motivata la loro ira, poiché solo due colori si alternavano nel mondo: uno era il nero che comandava la notte, l'altro era il bianco che camminava di giorno, il terzo non era un colore, era il grigio che dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero troppo. In una riunione giunsero all'accordo di rendere i colori più lunghi perché fosse allegro il camminare e l'amare di uomini e donne. Uno degli dei prese a camminare per pensare meglio, e tanto pensava, che sbatté contro una pietra ferendosi la testa da dove ne uscì sangue. Il dio, dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo sangue e vide che era di un altro colore, diverso dai due colori e andò dagli altri dei, mostrando loro il nuovo colore che chiamarono "rosso": era il terzo che nasceva. Un altro degli dei cercava un colore per dipingere la speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo e lo mostrò all'assemblea degli dei che gli misero il nome "verde" , era il quarto che nasceva. Un altro cominciò a grattare forte a terra. "Che fai?" gli chiesero gli altri dei. "Cerco il cuore della terra" rispose rivoltando la terra da ogni lato. Dopo un po' trovò il cuore della terra, lo mostrò agli altri dei che chiamarono "caffè", era il quinto colore. Un altro dio salì in alto. "Vado a guardare il colore del mondo" disse, e si mise a scalare e scalare una montagna fino alla cima. Quando arrivò ben in alto, guardò in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come fare a portarlo. Allora rimase a guardare per un bel po', finché il colore non gli si attaccò agli occhi. Discese come poté, a tentoni e andò all'assemblea degli dei. "Porto nei miei occhi il colore del mondo", E "azzurro" chiamarono il sesto colore. Un altro dio stava cercando colori quando sentì che un bambino rideva; si avvicinò con cautela e gli prese la risata, lasciandolo piangente. Per questo si dice che i bambini improvvisamente ridono e improvvisamente piangono. Il dio portò la risata del bambino e misero nome "giallo" al settimo colore. A quel punto gli dei che erano ormai stanchi, andarono a dormire, lasciando i colori in una cassetta buttata sotto un albero. La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa. Così nacquero tanti nuovi colori. Quando tornarono gli Dei si accorsero che i colori non erano più sette, ma molti di più e guardarono la cassetta. "Tu hai partorito i colori, tu ne avrai cura e così dipingeremo il mondo". E salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciare i colori: così l'azzurro rimase parte nell'acqua e parte nel cielo; il verde cadde sugli alberi e sulle piante; il caffè, che era il più pesante, cadde sulla terra; il giallo, che era un risata di bambino, volò fino a tingere il sole; il rosso giunse sulla bocca degli uomini e degli animali che lo mangiarono, colorandosi così di rosso. Il bianco e il nero già esistevano. Gli dei lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finivano, ed alcuni di essi spruzzarono gli uomini; per questo vi sono persone di diversi colori e di diverse opinioni. Allora, gli dei, per non dimenticarsi dei colori e perché non si perdessero, cercarono un modo per conservarli; stavano pensando come fare quando videro il pappagallo. Lo presero e gli attaccarono i colori e gli allungarono le piume affinché ci stessero tutti. E così il pappagallo prese tutti i colori. Ancora oggi se ne va in giro, nel caso che gli uomini si dimenticassero che molti sono i colori e le opinioni, e che il mondo potrebbe essere allegro, se tutti i colori e tutte le opinioni avessero il proprio spazio". (Fiaba dell’America Latina) fai clic sul pappagallo GLI ALBERI AMICI C’era una volta un grande bosco dove vivevano tanti alberi, diversi tra loro, ma tutti bellissimi. C’era il faggio alto e superbo con il tronco che sembrava una colonna: quando qualcuno gli passava vicino gli faceva un inchino. La grande quercia con le sue fronde copriva lo spazio fino a sembrare una gigantesca casa, abitata da scoiattoli che si nutrivano con le sue ghiande. L’abete tutto verde, osservava i suoi amici con uno sguardo timido, ma pronto a proteggere chi si sedeva sotto le sue fronde. Il tiglio, che a primavera si ricopre di fiori profumati, invitava alla festa la natura appena risvegliata. Il castagno imponente, alto e saggio, in autunno offriva in dono le sue deliziose castagne. Tutti gli alberi erano felici di vivere insieme, anche se erano diversi tra loro, abitavano nello stesso bosco e questo bastava per essere amici. Un giorno nel bosco arrivò un uomo. Guardò attentamente gli alberi e pensò: “Sono meravigliosi, ognuno con le sue caratteristiche, uno diverso dall’altro, ma tutti ugualmente importanti e utili”. L’uomo disse a voce alta: “La settimana prossima qui ci sarà una festa, il bosco diventerà un parco per i bambini e voi alberi sarete il regalo più bello che faremo loro. Potranno giocare vicino a voi e respirare aria pulita”. A queste parole gli alberi erano tutti eccitati e contenti. L’uomo guardò gli alberi ancora un istante prima di andarsene e aggiunse: “Daremo un nome al parco, sì il nome di uno di voi, ma saranno i bambini a deciderlo il giorno della festa. Ciao alberi, ciao”. La guardia forestale se ne andò, lasciando gli alberi pieni di emozione. Il bosco sarebbe diventato un parco per i bambini. Ma … a questo punto gli alberi cominciarono a litigare. Disse il castagno: “I bambini chiameranno il bosco ‘Parco del castagno’ ne sono sicuro”. La quercia disse: “Non credo proprio che lo chiameranno così. Io sono la grande quercia sui miei rami scorazzano tutti gli scoiattoli del bosco e sono la più vecchia di tutti voi: sono certa lo chiameranno ‘Parco della quercia’!” l’abete allora si arrabbiò: “Io sono l’albero più bello, sono sempreverde, e d’inverno i bambini mi decorano e divento l’albero di Natale! Si chiamerà ‘Parco dell’abete!” Il tiglio scrollando i suoi rami disse: “Vi siete dimenticati di me, vero? Tutti adorano il mio profumo, sono sicuro che i bambini lo chiameranno ‘Parco del tiglio’!” i cinque alberi continuarono a litigare fino a notte fonda, ognuno convinto di essere migliore dell’altro. L’amicizia che li legava da tanto tempo sembrava finita. Povero bosco, non c’era più pace. Passò il tempo e giunse il giorno della festa. Vennero tanti bambini e il bosco si riempì di tante voci festose. Gli alberi osservavano dall’alto quello che accadeva. Venne il momento di dare il nome al parco, gli alberi trattennero perfino il fiato. “Questi alberi sono tutti speciali, ognuno di loro ha qualcosa di unico che lo rende bellissimo. Ma hanno qualcosa in comune: sono tutti alberi dello stesso bosco e così abbiamo deciso che il parco si chiamerà ‘PARCO DEGLI ALBERI AMICI’ e il simbolo sarà un grande albero formato da un ramo di abete, uno di quercia, uno di castagno, uno di faggio e uno di tiglio. Saranno tanti rami diversi che comporranno un unico albero, perché tutti sono importanti e se ne mancasse uno di loro non sarebbe lo stesso bosco”. Gli alberi a quelle parole scoppiarono in una risata: erano diversi ma ognuno ugualmente importante e speciale. Da quel giorno i Cinque alberi non litigarono più e tornarono ad essere amici come prima. 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