Leggere e pensare Auschwitz.
Dio, la Storia, il Male, la Colpa
Il titolo recita: leggere e pensare Auschwitz. E poi tra parentesi: Dio, la storia,
il male, la colpa. Perché queste tematiche?
Perché, io penso, non è sufficiente studiare Auschwitz, non è sufficiente
studiare il nazismo o l’antisemitismo, non è sufficiente questo approccio.
Bisogna avere il coraggio di pensare Auschwitz.
Non sto dicendo che non è importante lo studio, anzi! Penso che sia
indispensabile ma non sufficiente. Conditio sine qua non, se vogliamo usare
parole grosse. Però poi bisogna aver il coraggio di pensare. E il pensiero non è
lo studio anche se dello studio si alimenta.
• Ma cosa significa pensare allora? C’è una bellissima citazione di Heidegger, un filosofo
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che ha avuto tra l’altro grosse responsabilità di convivenza con il nazismo e che,
tuttavia, io ritengo uno tra i più grandi filosofi del Novecento, che definisce il pensiero
come il domandare, “la domanda è il pensiero che chiede pietà”.
Questo vorrei suggerirvi: pensare Auschwitz. nel senso di interrogare Auschwitz o
meglio ancora lasciarsi interrogare da Auschwitz. Le domande non siamo noi a porle
ma compito nostro è quello di lasciarci interpellare da Auschwitz. Appunto di
pensare.
Ecco perché oggi, più che ad indicare delle risposte, ci limiteremo ad indicare delle
piste di riflessione cioè delle piste da percorrere con la domanda. Certo daremo
anche qualche sollecitazione, qualche risposta ma che deve sempre essere intesa nel
senso di indicazione di cammino, di percorso.
Ovviamente in questo non saremo soli ma ci accompagneranno alcuni filosofi.
Fondamentalmente tre: Hans Jonas, E. Levinas e H. Arendt.
Prima però vorrei leggere assieme a voi alcune riflessioni di vostri compagni che gli
anni scorsi hanno partecipato a questo progetto.
Birkenau l’ho visto subito come un luogo senza limiti, senza fine;
già da fuori appena scesi dall’autobus non riuscivo davvero a
cogliere la fine di questo posto senza mura: perché non ha mura
Birkenau, ha soltanto filo spinato, filo spinato e pali di cemento
armato, filo spinato che, se si va a vedere da vicino, è attaccato
con una precisione straordinaria, e corre ben teso lungo tutto il
campo.
Ed è un campo enorme, di cui non sono riuscito ad arrivare alla
fine: durante l’ora personale ho cercato di raggiungere un lato dal
centro ma ad un certo punto mi sono dovuto fermare, perché dopo
un quarto d’ora ero arrivato solo a metà.
Ho ripensato alle immagini viste ad Auschwitz, quel corridoio di
foto di tutte queste persone, uomini, donne e bambini con la
stessa espressione,: occhi apertissimi, palpebre aperte quasi al
massimo, occhi spalancati e uno sguardo vuoto, né intimorito né
contento, né sorpreso né entusiasta, uno sguardo vuoto che non
dice niente e che guarda fisso dritto l’obiettivo della macchina
fotografica, che non dice nulla e che guarda le rovine dei casoni,
delle case, delle baracche di Birkenau.
Questo mi ispira desolazione, abbandono totale verso il nulla.
Perché alla fine un treno che entra a Birkenau ti catapulta dentro
una realtà senza che tu te ne accorga perché arrivi e sei già dentro
e da dentro, senza accorgetene, non ne esci più. Senza speranza,
mi ha proprio colpito il posto, centinaia e centinaia di metri di filo
spinato mi hanno lasciato questo sentimento, ecco, di non
speranza, non di morte ma di non speranza.
Qui siamo nel campo di sterminio di
Birkenau e sta piovendo, quasi
quest’acqua volesse lavare il sangue che è
stato versato in questo campo.
Semplicemente inquietante. Mamma mia.
Macerie. La desolazione, la follia che
esprime è indescrivibile. La ferrovia che
sembra eterna, il campo poi visto da sopra
la torretta sembra non abbia fine. No. Non
ce la faccio.
Questo è il luogo del silenzio, è il luogo dove le
parole non contano nulla. Questo è il luogo del
silenzio di Dio. E’ il luogo dove l’uomo ha voluto
parlare da solo, operando da solo. Qui hanno
operato ingegneri e architetti per la
progettazione di un campo della morte. Qui si è
messo il sapere e il saper fare dell’uomo al
servizio della morte…
Qui non contano assolutamente le parole, non
contano le nostre parole. Qui conta solo il silenzio
con l’ampiezza di questo luogo…
• Ero già stato l’anno scorso in Polonia e più volte ho visitato il campo
di Mauthausen per cui in me l’aspetto emotivo, comunque sempre
fortissimo, ha lasciato più spazio alla riflessione.
• Ed, in questo senso, Auschwitz mi è apparso sempre più
nitidamente come il luogo della contraddizione: luogo della
bestemmia e della preghiera, dell’assenza di Dio o di una Sua nuova
rivelazione, dell’enorme potenzialità della razionalità ma unita agli
aspetti più oscuri del cuore e della mente umana.
• Auschwitz è il luogo dove la contraddizione si è manifestata e,
come tale, è il luogo dove è accaduto ciò che non doveva accadere
diventando così quell’Evento Inquietante della nostra storia che,
etimologicamente, è ciò che non può lasciarci nella quiete di chi ha
dimenticato oppure di chi tranquillamente pensa che questo non
succederà più.
• Secondo me si può leggere quanti libri si vuole di testimonianze e
di storia, però se non si tocca con mano ciò che è avvenuto qua, se
non si vedono le baracche, l’immensità di Birkenau, i resti dei forni,
non si può capire veramente cosa è stato la Shoah. Secondo me
tutti almeno una volta nella vita dovrebbero venire qui e affrontare
questa esperienza per fare in modo che cose simili non avvengano
più nel corso dell’umanità.
• “’Dopo Auschwitz’”è una locuzione che da tempo ricorre solo nelle
pagine di scrittori ebrei. Un fatto non casuale: si può affermare
infatti, senza timore di essere smentiti, che l’umanità ha dimenticato
Auschwitz, obbedendo così a distanza di molti decenni all’ordine
impartito da Hitler ai suoi boia di cancellare ogni traccia della
soluzione finale. Eppure Auschwitz non è un episodio fra gli altri, sia
pure il più tragico e spaventoso, della seconda guerra mondiale; non
è, come si è cercato di far credere affiancandolo ad Hiroshima, un
fatto bellico. Come afferma giustamente Jonas, Auschwitz è un
evento della storia del mondo. Solo se lo si intende in questo modo,
si può parlare di un prima e di un dopo Auschwitz…
• Ma in che senso dobbiamo intendere Auschwitz come un evento? In
che senso si colloca fra quegli eventi che segnano uno spartiacque
fra epoche?...in che senso appartiene alla storia Sacra e non alla
storia profana?...In che senso Auschwitz chiama in causa Dio?”
• Più di un quarto di secolo fa, la nostra vita s’interruppe e
indubbiamente persino la storia. Nessuna misura riusciva
più a contenere le cose s-misurate. Quando si ha questo
tumore nella memoria, venti anni non possono cambiarvi
nulla. Senza dubbio la morte verrà presto ad annullare
l’ingiustificato privilegio di essere sopravissuti a sei milioni
di morti…
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(Levinas, Nomi Propri, Marietti, pag. 155 - 156)
• “Abbiamo cominciato a dividere quella storia tra prima e dopo
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Auschwitz; in quell’angolo di terra polacca, divenuto terribilmente
celebre, si è verificata una rivelazione decisiva: l’uomo moderno,
occidentale, ha conosciuto, ha visto in faccia l’insondabile abisso del
demoniaco di cui egli si è scoperto portatore; ha dovuto prendere
atto che tutti i pensieri sull’uomo e su Dio elaborati nei due millenni
di Cristianesimo erano stati irrimediabilmente bruciati insieme con
gli ebrei nei forni crematori di quel campo di morte.”[1]
[1] G. M. Pizzuti, L’eredità teologica del pensiero occidentale:
Auschwitz, Rubettino, Soneria Mannelli, 1997, pag. 106.
• Dinanzi ad Auschwitz, pensandolo come evento l’intera storia
dell’umanità sprofonda nell’insignificanza assoluta o, come
afferma Adorno, “la cultura e la stessa critica della cultura non
sono che spazzatura” e nessuna parola, proveniente dall’alto,
neppure teologica, ha il diritto di restare immutata.
Hans Jonas, il concetto di Dio dopo
Auschwitz
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“I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti
contemporaneamente nei nodi scorsoi.
Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.
Dov’è il Buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.
A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.
- Scopriteli! – urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.
- Copritevi!
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma
la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…
Più di una mezz’ora restò così, a lottare tra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E
noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era
ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca
• …questo miracolo non c’è stato; durante gli anni
in cui si scatenò la furia di Auschwitz Dio restò
muto. I miracoli che accaddero furono
unicamente opera di uomini: le azioni di quei
giusti,appartenenti ad altri popoli che, in modo
sovente nascosto e isolato, accettarono
l’estremo sacrificio per salvare, alleviare,
condividere la sorte di Israele….Ma Dio
tacque…non perché non lo volle, ma perché non
fu in condizioni di farlo.
• Un tale Dio, non onnipotente, non può
esimersi anche dall’essere un Dio
sofferente per le scelte, a volte tragiche,
della più alta delle sue creature.
H. Arendt
• Le origini del totalitarismo
• La banalità del male
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Nel 1951 la Arendt scrive una lettera ad un altro grandissimo filosofo, Karl Jaspers, a proposito del “male
radicale”, dopo aver chiarito come questo non avesse a che fare con motivi quali l’interesse o l’egoismo “ancora
concepibili secondo una misura umana”
• “Che cosa sia veramente oggi il male radicale non lo so, ma mi sembra che in un
certo modo abbia a che fare con i seguenti fenomeni: la riduzione degli uomini in
quanto uomini ad essere assolutamente superflui, il che significa non già affermare
la loro superfluità nel considerarli mezzi da utilizzare, ciò che lascerebbe intatta la
loro natura umana e che offenderebbe solo il loro destino di uomini, bensì rendere
superflua la loro qualità stessa di uomini. Ciò avviene quando si elimina qualsiasi
imprevedibilità che è nel destino e alla quale corrisponde negli uomini la spontaneità
Tutto ciò a sua volta deriva o è in stessa connessione con la folle illusione di
un’onnipotenza (non semplicemente di una volontà di potenza) dell’uomo. Se l’uomo
in quanto uomo fosse onnipotente, allora non sarebbe necessario domandarsi
perché devono esistere gli uomini…In questo senso l’onnipotenza dell’uomo rende
superflui gli uomini…Ebbene ho il sospetto che in tutto questo pasticcio la filosofia
non sia innocente e monda di ogni macchia. Naturalmente non nel senso che Hitler
abbia a che fare con Platone…Direi piuttosto nel senso che questa filosofia
occidentale non ha mai avuto un concetto puro del politico e non poteva averne uno,
perché essa ha necessariamente parlato dell’uomo e ha trattato del dato di fatto
della pluralità degli uomini solo incidentalmente. Ma tutto questo non avrei dovuto
scriverlo, si tratta di idee non ancora maturate. Mi scusi.”
• I campi di sterminio sono lo spartiacque ra
totalitarismo e dittatura. Il campo di
sterminio è la verità ultima del
totalitarismo perché è il luogo in cui si
mette in opera la modificazione della
realtà umana
Se si potesse, con una frase sola, riassumere in che cosa
consista il funzionamento totalitario si potrebbe dire che esso
manipola la datità – sia idealmente con la propaganda sia
operativamente con i campi di sterminio – a tal punto da farla
scomparire nella sussunzione sotto l’idea che funge da unica
premessa indiscussa dell’ideologia. …E’ per questo motivo
che, grottescamente, solo nell’inferno di Auschwitz diventa
tragicamente vera quell’ identità di Idea e Realtà, di Essere
Pensiero su cui la metafisica da Platone ad Hegel non ha mai
smesso di insistere. E per il totalitarismo l’essere non si dà mai
al plurale, ma viene costruito attraverso l’imposizione unitaria
e ordinante di un principio primo.
• “Un’ideologia è letteralmente quello che
sta ad indicare il suo nome: è la logica di
un’idea…L’ideologia tratta il corso degli
avvenimenti come se seguisse la stessa
legge dell’esposizione logica della sua
idea.”
• Anni dopo la stessa Arendt scriverà un testo
•
fondamentale “La banalità del male”. Il male non
appare più qualcosa di eccezionale, ma appare
quotidiano, banale come la figura di questo
nazista che veniva processato, Eichmann, e che
si difendeva sostenendo che lui si era a limitato
a eseguire gli ordini.
Il male è l’assenza, il rifiuto di pensare, di
dialogare con sé stessi, di porsi con la propria
coscienza dinanzi alla scelta.
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