Giornalino mensile della Fisac/Cgil San Paolo Banco di Napoli
SPAZIO LIBERO
Numero 9 – Febbraio 2005
RUBRICHE:
Editoriale
Mondo filiali
Attualità
C’era una
volta
Cinema e
cultura
Flash
EDITORIALE
HABEMUS PACTA!(abbiamo il contratto!)
E’ stata finalmente firmata l’ipotesi d’accordo per il rinnovo del nostro CCNL.
Sul merito dei vari punti vi sarà un’ampia discussione – con votazione finale - nelle assemblee dei lavoratori,
che si terranno a breve ed in maniera capillare sul territorio.
Vanno, però, subito sottolineati due aspetti politici fondamentali dell’ipotesi di accordo.
Per la prima volta è stata battuta la logica dei tetti salariali predefiniti: infatti, per il 2005 l’inflazione prevista
non è quella governativa - palesemente taroccata - dell’1,5%, ma quella, cosiddetta, attesa dell’1,9%.
Il differenziale dello 0,4%, quasi mezzo punto in più, ha valenza pratica, ma anche politica, molto forte:
i contratti si possono chiudere, oltre che sulle necessarie compatibilità, anche sui rapporti di forza tra le
parti sociali, senza farsi imprigionare su presupposti falsi; capacità della categoria è aver dismesso la
“camicia di forza” dell’inflazione ufficiale programmata, facendo valere il proprio peso.
L’alto aspetto è l’apprendistato, previsto dalla legge di “riforma” del mercato del lavoro.
Di fronte alla previsione normativa di una legge dello Stato, fortemente voluta dall’attuale maggioranza
governativa, il problema che si poneva era: non trattare e quindi subire e basta; trattare e non solo
limitare la legge negli aspetti peggiori, ma utilizzarla per dare quella tradizionale stabilità di prospettive a
chi entra in banca, anche con contratti non tipici.
Riteniamo la miglior prova del lavoro svolto le azioni del Ministro Maroni, prima e dopo la firma.
Prima:”…Vedrò il direttore generale dell’Abi, lo solleciterò a non accettare ricatti su questo fronte (limitazione
della legge). Sarebbero dannosi per lavoratori e aziende…”
Dopo: “…E’ grave escludere parte della legge Biagi… Avevo chiesto all’Abi di non cedere alle pressioni sindacali
…Mi riservo di verificare cosa è stato inserito perché sarebbe sorprendente se venissero esclusi degli
istituti solo perché una parte del sindacato fa una battaglia ideologica…”.
Le concezioni del Ministro sono singolari: per lui il negoziato è un “ricatto”, le parti sociali sono così inaffidabili
da necessitare di pressioni per tornate sulla “retta via”, ha la presunzione di saper egli ciò che è bene o
male per lavoratori e aziende e non direttamente lavoratori e aziende e infine parla di battaglia ideologica
di una parte del Sindacato di fronte all’unità di intenti di tutto il Sindacato.
Ma tant’è..l’ipotesi c’è, caro Ministro, se ne faccia una ragione e per il futuro… non entri a gamba tesa!
MONDO FILIALI
BANCA DEL SUD E PER IL SUD: SOGNANDO PULIZIA
Nell’incontro avuto nei giorni scorsi con il Direttore Generale, è stato sottolineato come l’attuale
dirigenza dell’azienda, attraverso molteplici iniziative, stia promuovendo l’immagine di una
“Banca del Sud per il Sud”, vicina non solo alle famiglie ma anche agli imprenditori.
L’immagine pubblicizzata all’esterno mal si concilia però con l’immagine mostrata dalle filiali ai
clienti: gli ambienti sono semplicemente sporchi.
Se i locali delle agenzie sono dislocati su più piani, i pianerottoli, state sicuri, non vengono spazzati,
come chiunque può notare alzando gli occhi mentre si salgono le scale; le postazioni non
utilizzate non vengono pulite, quelle utilizzate lo sono solo se sono sgombre, e comunque,
parzialmente; gli schermi, le tastiere e quant’altro sia posto sulle scrivanie non viene mai
spolverato; i telefoni sono incrostati di lerciume (nei capitolati andrebbero puliti con l’alcol)
La rubinetteria dei bagni non viene mai sostituita, anche se i filtri sono intasati dal calcare.
In più, se si prova a richiedere un intervento più specifico, anche se previsto dal contratto di
appalto, lo stesso viene negoziato con il responsabile della ditta: questo sì, ma domani, il resto
non so, poi vediamo…E dai, per favore, quel collega ha un esigenza…
E già, perché in tutto questo i colleghi sono costretti a respirare un’aria impura, polverosa,
dannosissima per la salute, come sa chiunque soffra di asma. Ma se si prova a richiedere una
maggiore vivibilità degli ambienti in cui si passano tante ore della propria giornata, in fondo
più che a casa propria, si viene considerato uno scocciatore…
Sappiamo che i lavoratori adibiti alle pulizie dei locali sono pochi e mal pagati, che vengono costretti
a utilizzare prodotti pessimi, di infima qualità a volte tossici e che applicano la “filosofia” ovvia
“a basso salario, bassa prestazione” e dunque non sono loro responsabili della sporcizia: però
è assurdo che non solo i disservizi non siano noti, ma che addirittura queste imprese siano
considerate affidabili per il solo fatto che non arrivano reclami, per…quieto vivere.
Buongiorno pigrizia!
“Bonjour paresse”,
appunto Buongiorno pigrizia è un libricino edito in Francia, che qui trattiamo non come caso
letterario, che pure è avendo venduto in pochissimo tempo 300.000 copie, ma come fatto di costume e attualità.
Corinne Maier impiegata in una grande azienda d’oltralpe, racconta in modo fresco il mal di vivere dentro
l’ultima, grande istituzione rimasta oggi: l’Azienda. E incita al sabotaggio, inteso come forma di resistenza
umana, ben sintetizzata dal sottotitolo:“Come sopravvivere in Azienda lavorando il meno possibile”.
La scrittrice affronta questioni vissute realmente da centinaia di migliaia di colletti bianchi quali, ad esempio il
tempo e la “devozione” – comprese cene di Natale, serate premio – che l’Azienda chiede ai suoi, non in nome
della produttività, ma in nome di se stessa. E poi la routine, tutti in riga, ingolfati, come scrive in un brano
“…tra riunioni, dirigenti meschini, un’organizzazione pesante ed appesantita, una lingua slogan e menzogne a
non finire…La pigrizia è un’arte che consiste nel far finta di lavorare, cosa che porta con sé due
conseguenze:la prima è che si conserva senza fatica il posto, la seconda che si diventa parassiti all’interno del
sistema, contribuendo ad accelerarne l’ineluttabile crollo…”
Siamo di fronte ad un ultimo residuo di anticapitalismo marxista? Molto più probabilmente è la descrizione
grottesca, ma non meno reale, di un mondo visto dall’impiegato affetto da sana ironia e convinto scetticismo.
Del resto ci si interroga spesso nel dibattito “colto” sui capitalisti senza denari, sui disastri senza padri di
grandi società, banche ed industrie, generati da funzioni inutili, assenza di critica, poteri dati direttamente dal
“cielo”. Tutto ciò, dice la Maier:..sembra l’eredità di un modello sovietico, dove i capi parlano una lingua che
tutti fingono di capire, dove carriere e meriti si distribuiscono secondo criteri insondabili, dove il calcio nel
sedere si chiama più delicatamente “mobilità”, dove stipendi (e liquidazioni) dei capi restano insindacabili,
indipendentemente dai risultati e dal tanto sbandierato liberismo…. L’azienda cerca giovani da educare alla
religione d’impresa. Per questo si fanno “sinergie” licenziando i cinquantenni”….Nell’impresa si è considerati
finiti ad un’età in cui si comincia ad essere importanti per la politica e la cultura. Per i direttori delle risorse
umane, Dostoevskij e Cezanne sarebbero da buttare…”
A conclusione, prendiamo due considerazioni fatte dalla stessa Maier in alcune interviste:
“Criticare l’Azienda è come criticare l’ultima grande Chiesa e se lo fai diventi un eretico;
“Ho scritto per divertire e divertirmi, ma a volte l’ironia a ha più effetti della bomba nucleare..L’elogio della
pigrizia è il paradosso per far riflettere sulle cose che tutti pensano nessuno dice e pochissimi scrivono”
C’era una volta
Lunedì 21 febbraio 2005: dalla redazione mi arriva l’input di scrivere un articolo per il nostro giornalino
per la rubrica “ C’era una volta”. Arrivo a casa, comincio a sfogliare giornali, riviste, libri, e scopro che
esattamente nel febbraio di 29 anni fa, (era il 1976) scoppia una degli “ affaire” più complicati nella storia
della prima repubblica: un fiume di dollari scorre dagli Usa verso alcuni esponenti del governo italiano. È
l’affare Lockeed, il cui sviluppo si intrecciò con la battaglia politica più generale, e che mise in forte risalto
l’inadeguatezza della commissione Inquirente, la famosa commissione parlamentare dove quasi sempre i
casi più scottanti riguardanti politici, uomini di governo e parlamentari venivano regolarmente insabbiati.
Erano, gli anni settanta, quelli in cui mi sono affacciato alla politica e al sindacato, anni di grandi passioni,
vissute dalla mia generazione in maniera estrema.
Inoltre, lacerante ancor oggi, per chi ha sempre coltivato ideali di sinistra, rimane l’episodio della grave
contestazione e dei tafferugli susseguenti al comizio di Luciano Lama, allora leader indiscusso e
carismatico della Cgil, il 18 febbraio del 77, di fronte all’università di Roma da parte della cosiddetta
“autonomia operaia”.
Ma non voglio soffermarmi su questi ricordi, voglio tentare un’operazione diversa.
Siamo nel 2005 e mi piacerebbe che se qualcuno tra trent’anni dovesse scrivere un “c’era una volta”
parlasse di una donna minuta e coraggiosa, di una giornalista seria e competente, cresciuta appunto in
quegli anni settanta, che è stata rapita, non si sa ancora bene perché e da chi, in Iraq, il paese che da due
anni vive l’incubo di una guerra cosiddetta preventiva, ma che è solo guerra e che ha scatenato un odio
fratricida. Bande di terroristi insanguinano quel paese, una di queste ha rapito Giuliana Sgrena, ma è
profondamente ingiusto che abbiano tolto la libertà a questa donna che testimoniava ogni giorno per la
libertà dell’Iraq, con i suoi articoli, la sua passione civile, la sua forte idea di pace. Non è giusto dire che il
rapimento di Giuliana dimostra l’esistenza di un terrorismo spietato e quindi la giustezza della guerra in
Iraq perché tutti sanno, al contrario, che la guerra in quel paese è arrivata prima e che il terrorismo in Iraq
è arrivato poi.
C’era una volta
CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE:
Ma forse noi ormai leggevamo i suoi articoli, ancorché strazianti, come un “deja vu”: c’è voluto il suo
rapimento e poi quelle immagini… quelle immagini di lei, di una donna privata della sua libertà,
quelle parole accorate che hanno penetrato il nostro cervello e le nostre anime .. per farci ricordare
dal più profondo che quella guerra continua ancora… e come se continua!
E così in un freddo pomeriggio di febbraio ci siamo di nuovo ritrovati in piazza, a Roma, in tanti,
tantissimi, mezzo milione di persone, in un corteo immenso e insolitamente sobrio e silenzioso.
Sono trent’anni che partecipo alla vita democratica di questo paese, anche attraverso decine e
decine di manifestazioni, da quelle sui contratti di lavoro a quelle in difesa dei diritti , da quelle
contro i missili a Comiso a quelle in sostegno dei tanti popoli oppressi su questo pianeta, ma mai
avevo partecipato ad una manifestazione così, in cui era assente la demagogia degli slogan, lo
strepito, i fischi, i tamburi. Si sono sentiti quasi solo applausi. E la parola più ripetuta era una
parola bella e semplice: “ Libera”.
Giuliana era l’unica assente giustificata, sabato, lei, che proprio dal Circo Massimo aveva preso la
parola nel lontano 1981, contro i missili , contro tutti i missili.
A mio parere gravemente ingiustificati invece gli altri assenti, gli esponenti della maggioranza
governativa, ma soprattutto ingiustificata l’assenza dei mezzi di informazione pubblici, che hanno
preferito continuare la loro programmazione di sport, cartoni animati e veline.
Ma voglio concludere cercando di trasmettere a ognuno di voi che leggerà un messaggio di
pacatezza e di dignità che spesso mancano nel nostro agire quotidiano, quella pacatezza e dignità
che ho visto, pur in un momento così difficile e tragico, negli occhi, nel volto, nel portamento dei
genitori di Giuliana ai quali sono riuscito a stringere la mano, ed è un ricordo che non dimenticherò
facilmente.
C’era una volta…. Chi fra trent’anni leggerà di questi accadimenti speriamo possa ricordare poi …
che la giornalista fu liberata… e quel popolo trovò la democrazia da solo.. senza bisogno di eserciti
stranieri armati fino ai denti sul suo territorio.
“MILLION DOLLAR BABY”di CLINT EASTWOOD
A metà degli anni 80, durante un viaggio che fece negli U.S.A., chiesero a Jean Luc Godard, maestro del Cinema
Francese della cosiddetta “Nouvelle Vague” degli anni 50/60, ma che nasce come critico cinematografico, chi fosse
secondo lui il miglior regista attuale del cinema americano. Il maestro francese, sorprendendo tutti, rispose: “Clint
Eastwood, perché è l’unico che sa ancora fare il cinema classico”.
Questa affermazione di Godard si adatta alla perfezione anche all’ultimo film del vecchio ma sempre in gamba
attore/regista.
Infatti, “Million Dollar Baby”, oltre a mantenere le caratteristiche tipiche della narrazione del cinema classico
(personaggi ben definiti, linearità di situazioni, grande verosimiglianza del contesto in cui la storia si dipana,
flashback ad incastro, voci fuori campo, semplicità estrema nel modo di girare le varie sequenze), racconta una
storia “dolorosa” partendo dalla descrizione di uno sport, la boxe, che è “sofferenza” e, quindi, “dolore” fisico ma
che nei personaggi implicati è soprattutto “sofferenza e dolore intimo”, perché, dice la voce fuori campo del film,
“fare bene la boxe vuol dire andare oltre tutti i limiti, partendo dal rispetto per se stessi”.
Il contesto sportivo ha senso, quindi, perché racconta le persone che gli danno significato.
Il film narra l’umanità di persone che sono e si sentono “sole”, che nella relazione reciproca trovano “conforto” e
“senso” per la loro vita caratterizzata, come detto, da sofferenza e dolore, ma non dalla rinuncia.
E’ una magnifica storia di “perdenti”, “losers” (categoria umana raccontata in tutte le storie dei film di Clint; piccolo
esempio del suo valore di grande narratore) nella quale proprio sofferenza e dolore spingono i personaggi a scelte
estreme e pur tuttavia necessarie per dare “vita” alla loro relazione reciproca.
I personaggi hanno addosso una grande “malinconia” legata alla perdita, o alla mancanza, di qualcosa che hanno
cercato o che cercano (il che li rende, si, “perdenti” ma è ciò che dà forza e sostanza morale alla loro esistenza) la
cui descrizione nel film raggiunge momenti di assoluta poesia.
Non è un caso, d’altronde, che il personaggio di Clint ama leggere Yeats, il poeta della solitudine umana.
Il cinema è come la poesia, quindi, per il nostro attore/regista, può descrivere in modo “sublime” i sentimenti più
forti ed estremi provati dagli uomini.
Ancora una volta, con “Million Dollar Baby” l’ormai anziano e vecchio Clint ci dimostra come il Grande Cinema
Classico è sempre estremamente “moderno” perché racconta, come pochi altri mezzi espressivi, la vita umana.
Peccato, invece, che di Clint Eastwood ce ne siano ben pochi a questo mondo perché il piacere di vedere le storie
da lui narrate è, per chi scrive, incommensurabile!!
FLASH
Il Paese più longevo al mondo, quello dove un diritto
universale come quello alla salute è cosa
acquisita, deve cambiare registro:
MENO MEDICINE PER TUTTI
Il cammino della civiltà del diritto, della nostra civiltà
è un percorso faticoso per avere certezza:
certezza delle norme, certezza dei
comportamenti, certezza di un giudizio sottratto
all’emotività del sentire momentaneo prigioniero
del contingente. Secoli di cammino vengono
annullati da che dovrebbe esserne il più geloso
custode, il Ministro della Giustizia, per il quale i
Magistrati dovrebbero giudicare secondo il
“sentire comune”, anziché secondo la legge:
Ma poi, sentire comune con chi? Con il Ministro il cui
cuore batte per la cosiddetta padania, contro
l’Unità Nazionale, e che va ai balli in maschera in
camicia verde?
La Redazione
Giorgio Campo
Alfredo Conte
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