dallo Spazio alla Terra dalla Terra allo Spazio H He Big Bang Figli delle Stelle La comunità scientifica è oggi concorde nel ritenere che la nostra storia sia cominciata circa 15 miliardi di anni fa con il Big Bang Figli delle Stelle Nuclei di H e di He, atomi stabili, stelle, galassie……. e nelle stelle l’origine di tutti gli elementi, H, He e C in quelle più piccole , tutti gli elementi in quelle massicce. H He C Tutti gli elementi La composizione chimica dell’Universo in questi 15 miliardi di anni è cambiata e continua a cambiare Altri elementi 2,3% E l i o 2 5 % Idrogeno 75% Elio 24.7% Idrogeno 73% l’Universo continua ad espandersi, nuove stelle ad accendersi, altre a concludere il loro ciclo vitale arricchendo lo spazio circostante di nuovi elementi e di nuovi corpi celesti…. Il Sistema solare Circa 5 miliardi di anni fa l'esplosione di una Supernova, nel Braccio di Orione della Via Lattea, ha lanciato nello spazio una grande quantità di polveri e di gas, la nuvola di polvere per rotazione, appiattimento e condensazione per gravità ha portato alla formazione di un disco e, con il passare del tempo, si è formato il SOLE e la sua corte di pianeti e di corpi minori ed ecco la Terra, circa 4,5 miliardi di anni fa. Il Sistema solare Come studi recenti stanno dimostrando, il sistema solare è solo uno dei sistemi planetari della nostra Galassia con i quali probabilmente condivide quei requisiti per la abitabilità che i ricercatori stanno cercando di individuare anche lontano da noi: 1. Presenza di una varietà di elementi leggeri e pesanti, tra gli altri anche N, O, Si e C questi ultimi due con proprietà simili , infatti entrambi si ossidano facilmente ma il Si si riduce con più difficoltà del C ed ha una chimica povera, inoltre l’anidride carbonica è un gas, mentre il biossido di silicio è un solido 2. Disponibilità di acqua, le eccezionali proprietà chimico-fisiche dell'acqua sono legate alla sua polarità elettrica e alla possibilità di formare legami idrogeno intermolecolari, inoltre, pur essendo formata da molecole semplici, possiede una stabilità chimica e un punto di ebollizione sorprendentemente elevati ed è un solvente eccellente per sali e molecole che presentano legami polari Acqua Terra Crosta terrestre altri atomi 7% Magnesio 13% Ferro 35% Silicio 15% Ossigeno 30% Calcio 4,7% Ferro 6,2% Alluminio 8,3% Magnesio 2,8% Sodio 2,3% Silicio 27,2% Potassio 1,8% Altri atomi 1,3% Ossigeno 45,5% Le condizioni primordiali Durante il primo periodo della sua storia, la Terra, come tutti gli altri pianeti del Sistema solare, è stata sottoposta ad un intenso bombardamento di materiale proveniente dallo spazio, le superfici fortemente craterizzate della Luna o di Mercurio sono una traccia di questo periodo, terminato circa 3,8 miliardi di anni fa, mentre su Venere e sulla Terra l’intensità degli eventi endogeni ed esogeni ha cancellato queste cicatrici. Inoltre anche i fulmini, le radiazioni solari, le eruzioni vulcaniche, la radioattività delle rocce, pur caricando il nostro Pianeta dell’energia necessaria alla sua evoluzione hanno però contribuito a renderlo inospitale per la vita almeno fino a poco meno di 4 miliardi di anni D’altra parte forme avanzate di vita erano già presenti 3,5 miliardi di anni fa, come è documentato dalle più antiche testimonianze fossili. ……. le domande non mancano In che modo l’idrogeno, il carbonio e l’azoto combinati insieme hanno formato molecole più complesse? Non è troppo breve per la creazione di un organismo complesso come la cellula vivente un periodo di circa 300.000 milioni di anni? Quello che va dal termine dei bombardamenti meteorici alla formazione dei primi viventi documentabili dai fossili. Considerando che ci sono buone ragioni per credere che durante il periodo iniziale di vita dei pianeti, il Sole primordiale fosse dal 25 al 30 per cento Calcio Altri atomi 1,2% meno luminoso di oggi, la zona ospitale 1,5% Fosforo Azoto 1% 3,3% per la vita si estendeva all'interno del Idrogeno 9,5% Sistema Solare fino a comprendere Carbonio Venere? E Marte? Ossigeno 18,5% 65% Composizione organismi terrestri Queste domande sono ancora quesiti aperti. Ci sono oggi sufficienti riscontri che, in risposta alla prima domanda, indicano la presenza, nella materia interstellare, di nubi molecolari giganti in cui reazioni in fase gassosa e chimica di superficie possono aver prodotto molecole anche alquanto complesse, vedi tab.1 Nell'Universo sarebbero quindi disponibili i "mattoni" della vita in grande abbondanza. Queste sostanze organiche potrebbero essere giunte sulla Terra grazie a comete e meteoriti. Comete quali quella di Halley, la Hale-Bopp e la Hyakutake presentano infatti una grande abbondanza di composti organici. Quando una cometa attraversa la regione relativamente calda del Sistema solare interno, il suo strato superficiale si vaporizza in gas e polvere che in parte vengono attratti dal campo gravitazionale terrestre. TAB.1 Alcune molecole delle nubi interstellari interstellari Per quanto riguarda i frammenti di asteroidi che colpiscono il nostro pianeta sotto forma di meteoriti,essi sono costituiti per lo più da rocce e composti metallici, ma alcuni contengono anche sostanze organiche come basi degli acidi nucleici, ammine e ammidi. Della grande varietà di composti organici estratti dalle meteoriti, quelli che hanno maggiormente attirato l'attenzione sono le 70 varietà di ammminoacidi, di cui otto appartenenti al gruppo dei 20 impiegati dalle cellule per sintetizzare le proteine. Ma quello che più conta, con una prevalenza di amminoacidi sinistrorsi tipici degli organismi viventi terrestri. Queste rilevazioni ci dicono che già durante le prime fasi delle formazione del sistema solare nella materia interstellare c’era abbondanza di sostanze organiche, infatti corpi minori come comete ed asteroidi non hanno conosciuto le trasformazioni cui sono andati incontro i pianeti e quindi conservano le tracce della nube originaria. D’altra parte anche la famosa esperienza di Miller ci ricorda che sulla terra primordiale da semplici molecole organiche possono essersi generati almeno cinque diversi tipi di aminoacidi . Nel 1953 Miller ebbe l'idea di ricostruire in laboratorio le condizioni ambientali primordiali: pose in un pallone una miscela di gas simile a quella ipotizzata per la Terra primitiva, composta da idrogeno (H2), metano (CH4), ammoniaca (NH3) e vapore d'acqua (H2O), sottopose la stessa a continue scariche elettriche (per simulare i fulmini) e, dopo una settimana, analizzò i prodotti di sintesi. Non senza sorpresa si accorse che si erano formati numerosissimi composti organici, tra i quali amminoacidi. Dopo Miller, molti autori hanno compiuto esperimenti analoghi, variando di volta in volta sia la composizione dei gas che la sorgente di energia (calore, radiazioni ultraviolette, ecc.). I risultati ottenuti dimostrano che quasi tutti i monomeri biologici possono essere prodotti in modo abiologico, in assenza di ossigeno, partendo da materiale inorganico. Rimane però il problema del tempo indispensabile per passare da molecole organiche, anche complesse, alla cellula e rimangono anche le condizioni della Terra primordiale , decisamente estreme rispetto alle attuali, tanto da farci chiedere quali cellule, comunque formatesi, abbiano poi potuto sopravvivere ed evolversi. Apparecchio di Miller per la simulazione delle condizioni prebiotiche sulla Terra Scienziati di fama mondiale come Francis Crick ( prof. del Salk Institute for Biological Studies e premio Nobel per la medicina nel 1962, con James Watson, per la scoperta della doppia elica del DNA) e come Fred Hoyle ( che inventò il nome Big Bang, in realtà per deriderne il modello, che descriveva un Universo ritenuto da Hoyle, troppo giovane per aver potuto permettere l’evoluzione che si osservava sulla Terra), sostenevano ad esempio che germi di vita potessero essere giunti sulla Terra dallo spazio esterno assieme alla polvere cometaria o a meteoriti. Ovviamente anche queste ipotesi spostano semplicemente l’origine della vita dalla Terra ad un altro “posto” nello spazio ma ci invitano comunque a guardare intorno a noi, non solo per identificare ciò che può effettivamente provenire dallo spazio profondo ma anche per verificare “intorno a noi” in che modo cellule rudimentali, una volta formatesi, possano essersi mantenute ed evolute in ambienti estremi come doveva essere la Terra quasi 4 miliardi di anni fa. Vicino alla Terra Venere è ricoperta da dense nubi di acido solforico spesse molti chilometri. Sono bene in evidenza in questa immagine, ripresa nell'infrarosso dalla sonda Galileo il 10 febbraio 1990 da una distanza di 96.600 km. Sebbene la superficie venusiana sia oggi estremamente calda e resa invivibile da un terrificante effetto serra, ci sono segni indiretti che fanno ritenere che l'acqua fu un tempo presente nell'atmosfera sotto forma di vapore e sufficientemente abbondante da poter formare oceani. È quindi pensabile che nei primi periodi di vita di Venere l'acqua fosse abbondante sulla sua superficie e che la vita possa avere avuto inizio anche su questo pianeta. Venere però non è l'unico pianeta al di fuori della Terra in cui la vita ha potuto avere un inizio. Anche Marte ha vissuto la prima fase della sua evoluzione all'interno della zona abitabile , probabilmente grazie ad una atmosfera assai meno rarefatta dell’attuale e ricca di anidride carbonica, e potrebbe ospitare tuttora acqua allo stato liquido al di sotto del suolo gelido. Ma la pressione atmosferica su Marte è oggi meno dell'uno per cento di quella terrestre, molto lontana da quella necessaria per l'esistenza di acqua allo stato liquido in quantità ragionevoli. Inoltre l'atmosfera non contiene ossigeno e quindi è assente lo strato di ozono che protegge la superficie dalle radiazioni ultraviolette, estremamente dannose per ogni forma vivente. L'accordo fra gli scienziati nell'affermare che la superficie di Marte sia sterile è ormai praticamente generale. Il sistema di canali della parte superiore di questa immagine costituisce la Maja Vallis che si estende per una lunghezza di circa 180 km, sul pianeta Marte. Probabilmente è stato prodotto dall'acqua discesa dal Juventae Chasma, che si trova alcune centinaia di km più a sud. Nella parte inferiore della foto si vede la Vedra Vallis. Negli ultimi due decenni la ricerca sulla Terra di organismi capaci di vivere in ambienti estremi è cresciuta. 1. Anche sulla Terra possiamo trovare plaghe inospitali come certe zone desertiche o certe valli antartiche con i loro laghi permanentemente coperti di ghiaccio che possono ricordare da vicino la situazione passata di Marte e che pure ospitano forme di vita. 2. Recentemente sono stati scoperti organismi che vivono in profondità nella crosta terrestre e che potrebbero essere quanto resta di una biologia un tempo molto più estesa. 3. In anni recenti sul fondo degli oceani terrestri sono state trovate sorgenti calde ricche di vita. Queste sorgenti idrotermali estremamente calde e ricche di minerali si possono formare lungo i margini divergenti delle placche oceaniche, al contatto con l'acqua fredda dell'oceano si raffreddano rapidamente, depositano i minerali e formano una sorta di camini che si innalzano dal fondo. Questi habitat ospitano diverse comunità di organismi , misteriosi bivalvi e vermi esotici che, nelle profondità oscure degli oceani, vivono senza utilizzare l’energia che viene dal Sole e prosperano sintetizzando composti organici dai materiali inorganici forniti dalle sorgenti. Oparin, Fox, Cech Non sappiamo come da molecole organiche si siano formate cellule, forse la vita può essersi formata in tempi più brevi di quelli che si sono finora ipotizzati, certamente in ambienti estremi ma non rari. In questo ambito non si hanno altro che ipotesi come quella di Oparin che, nel formularla, utilizzo le sue osservazioni sui coacervati. Soluzioni acquose di due o più polimeri (proteici, glucidici o lipidici) segregano due fasi, una ricca e una povera di colloidi. La prima tende ad organizzarsi in minuscole goccioline dette coacervati, delimitati da una pseudomembrana bistratificata, in grado di attirare certe macromolecole (polipeptidi e polinucleotidi) e di respingerne altre, capaci anche di compiere un rudimentale metabolismo. coacervati Negli anni ‘70 Fox ipotizzò che protocellule potessero originarsi a partire dagli aminoacidi primordiali in presenza di un substrato di lava solidificata, ottenne protenoidi che poi in acqua diedero delle singolari microsfere dotate di proprietà molto interessanti: delimitate da una membrana semipermeabile, dotate di movimenti e di semplici capacità enzimatiche , in grado di unirsi tra loro, dividersi e produrre al loro interno altre sferule che vengono successivamente espulse. Negli anni ’80 Cech, premio Nobel per la Chimica nel 1989, ha dimostrato che molecole di RNA possono avere attività enzimatica e sono in grado di compiere una primitiva autoreplicazione usando come stampo una subunità interna. Tali funzioni enzimatiche potrebbero microsfere essere la testimonianza di un mondo a RNA dal quale si sarebbe, solo successivamente evoluto, il mondo attuale costituito da DNA e proteine, con funzioni rispettivamente genetiche e metaboliche. L’Astrobiologia è un campo della biologia che considera la possibilità della vita extraterrestre e si pone alcuni quesiti: • come è iniziata ed evoluta la vita • esiste la vita oltre la Terra e nel caso come individuarla • qual è il futuro della vita L’astrobiologia può oggi contare su importanti scoperte, ad esempio sono ormai noti 763 pianeti extrasolari a partire da 51 Pegasi, individuato nel 1995, inoltre si ritiene che sotto la superficie di Europa vi sia acqua e si continuano a studiare i meteoriti, come quello marziano ALH84001 L’esposizione in bassa orbita terrestre di organismi viventi è una tecnica fondamentale per l’astrobiologia ed ha vari obiettivi come misurare la tenacia della vita nello spazio e comunque in condizioni estreme, ad esempio quelle marziane probabilmente piuttosto simili alla Terra primordiale, o anche studiare i fenomeni di litopanspermia , in riferimento ai meteoriti Due sono i satelliti utilizzati: il Biopan per l’esposizione di microrganismi allo spazio per due o tre settimane, è stato utilizzato fino al 2007 l’Exspose per l’esposizione di microrganismi alle condizioni spaziali per periodi che vanno da uno a tre anni, Expose è collocata sulla Stazione spaziale internazionale Si sceglie di effettuare le esposizioni in bassa orbita terrestre perché le condizioni che vi si trovano rispecchiano quelle spaziali più profonde ed anche in parte quelle che potevano caratterizzare la fascia di vivibilità del sistema solare originario. Per esempio non c’è ozono e gli organismi sono esposti alle radiazioni ultraviolette, ma anche a quelle ionizzanti, a pressioni e temperature proibitive per la vita ed a microgravità altrettanto insolita. Tra gli organismi più interessanti, studiati nelle esperienze di Astrobiologia, vi sono i cianobatteri, capaci di sopravvivere anche se sottoposti a condizioni estreme, paragonabili agli stress marziani ed anche all’esposizione spaziale se adeguatamente protetti da materiale roccioso, similmente quindi a quanto potrebbe essere accaduto ipotizzando un ”viaggio spaziale a bordo di meteoriti”. I cianobatteri forniscono quindi un modello di studio per la ricerca di forme di vita passata o presente anche su altri pianeti, come Marte. In particolare i cianobatteri appartenenti al genere Chroococcidiopsis sono capaci di vivere in condizioni di estrema carenza idrica, sono pertanto ritenuti in grado di evitare e/o riparare i danni indotti dalla disidratazione, secondo modalità ancora poco conosciute. Alcune zone dell’Antartide, quali le Valli Secche di McMurdo, dove questo cianobatterio vive colonizzando rocce porose, sono ritenute l’analogo terrestre di Marte. Tali comunità criptoendolitiche sono ritenute rappresentare il limite assoluto di sopravvivenza in ambienti freddi ed aridi anche del nostro pianeta. Il momento dell’esperienza Il progetto a cui abbiamo preso parte , dopo i seminari teorici e le lezioni del programma di Biologia comunque inerenti, ci ha permesso di partecipare ad una serie di esperienze, presso i Laboratori della Facoltà di Biologia di Tor Vergata, analoghe a quelle che i ricercatori applicano nello studio degli organismi estremofili. Lo scopo di queste esperienze è appunto quello di conoscere sempre meglio i meccanismi e le modalità utilizzate da microrganismi per sopravvivere in condizioni tanto proibitive, cercando così di penetrare sempre più a fondo nel mistero dell’origine della vita. Per far questo bisogna identificare con certezza i microrganismi, verificarne la vivibilità in diverse condizioni, come l’esposizione in bassa orbita terrestre, e valutare gli eventuali danni legati a tale esposizione o, al contrario il mantenimento delle loro caratteristiche vitali e riproduttive. Il Chroococcidiopsis è il microrganismo con cui abbiamo lavorato anche noi. Una parte delle nostre esperienze di laboratorio su Chroococcidiopsis da un lavoro di M. Rossi Università Federico II / Cnr- Napoli • • • • • • • 1° Laboratorio: Pcr Nel 1989 è stato messo a punto un processo, noto come PCR (reazione a catena della polimerasi), in grado di sintetizzare milioni di copie di un segmento di DNA in tempi assai brevi e con una procedura relativamente semplice La PCR richiede una certa conoscenza del segmento da copiare ed amplificare, di cui deve essere nota una corta sequenza di basi, alle due estremità 3’ del segmento da amplificare Infatti è necessario predisporre due iniziatori specifici che possano favorire l’innesco della duplicazione del frammento di DNA da amplificare, riconoscendone appunto le estremità 3’ dalle quali inizia la duplicazione Grazie all’unicità delle sequenze del DNA , i due iniziatori (PRIMER) legheranno solo la regione del DNA per la quale sono stati predisposti. Abbiamo condotto la Pcr su microrganismi, probabilmente alghe, funghi e batteri, presenti in “grattati” di rocce provenienti da zone desertiche. Prima di eseguire la Pcr è necessario trattare il campione con enzimi che distruggano le pareti cellulari e le membrane cellulari e nucleari, per poter così liberare il DNA. La PCR consente una ripetuta e rapida duplicazione del tratto di Dna individuato grazie alla TaQ polimerasi, enzima che consente la duplicazione del DNA anche dopo essere stato esposto alle alte temperature che servono ad ogni ciclo per denaturare le doppie eliche che via via si formano e che debbono rappresentare lo stampo per i nuovi filamenti. Polymerase Chain Reaction da un lavoro di M. Rossi Università Federico II / Cnr- Napoli Una molecola 21 22 23 24 2° Laboratorio: Microscopio confocale Il microscopio confocale è una tra le più moderne tecnologie che permette di osservare con particolare efficienza anche le piccole cellule dei procarioti. Si tratta di un microscopio ottico capace di accrescere sensibilmente la risoluzione spaziale del campione, eliminando gli aloni dovuti alla luce diffusa dai piani fuori fuoco del preparato. Le immagini ottenute, sincronizzando col fascio di eccitazione il dispositivo di rivelazione, sono particolarmente definite e spettacolari, possono permettere di evidenziare con differenti colori le diverse molecole presenti nel preparato e permettono di apprezzarne la tridimensionalità . 2° Laboratorio:Microscopio confocale La nostra esperienza al confocale ci ha permesso di osservare con particolare efficacia i protagonisti del nostro percorso, ovvero i cianobatteri, organismi fotosintetici dotati di particolari pigmenti in grado di eccitarsi alla luce solare. Quindi è possibile procedere anche ad una analisi spettrale dei pigmenti fotosintetici auto fluorescenti, prodotti dai cianobatteri, che ha lo scopo di ottenere una prima caratterizzazione dei microrganismi osservati. Software sviluppati appositamente consentono la quantificazione e l’analisi delle immagini ottenute. 3° Laboratorio Identificazione di specie, sequenziamento catena nucleotidica Il primo laboratorio ci ha permesso di amplificare il frammento 16s, porzione di Dna proveniente da microrganismi estremofili cresciuti su/in rocce desertiche. Il frammento 16s è comune a molti batteri e cianobatteri, per passare al sequenziamento e quindi identificare la presenza di chroococcidiopsis è necessario invece avere a disposizione una quantità di DNA omogenea. L’amplificato 16s viene perciò cimentato con plasmidi dotati di estremità TT corrispondente alle due estremità AA del 16s. Lo scopo è favorire l’integrazione nel plasmide aperto del frammento amplificato grazie ad opportune ligasi. Per verificare l’integrazione si fa in modo di far entrare il plasmide trattato in cellule in grado di replicarsi. Si utilizza E. coli. Lewin, IL GENE VIII, Zanichelli editore S.p.A. Copyright © 2006 3° Laboratorio Identificazione di specie, sequenziamento catena nucleotidica Si procede a shock elettrico per rendere la membrana di E.coli permeabile ai plasmidi-vettori di 16s Dovrebbe entrare un plasmide per ogni cellula batterica. A questo punto si procede alla semina di E.coli in opportuni terreni, si ottengono colonie bianche o blu a seconda che contengano il 16s integrato nel plasmide o non integrato. Le colonie blu sono eliminate , mentre sulle colonie bianche si procede ad una ulteriore semina per “strisciamento“ per ottenere colonie pure, ovvero cellule che derivano tutte da una prima cellula madre con un solo plasmide e quindi un solo frammento 16s integrato. Finalmente si possono inviare al sequenziamento le colonie ottenute per confrontare poi con il Database a disposizione su internet (BLAST) le sequenze nucleotidiche esaminate e verificare quale 16s corrisponde al cianobatterio chroccoccidiopsis. Plasmide con frammento 16 s 4° Laboratorio: Valutazione della vitalità cellulare L’ identificazione di specie degli organismi estremofili consente di inviare in bassa orbita terrestre i microrganismi selezionati e classificati, ad esempio chrocooccidiopsis per la sua resistenza a condizioni estreme. Successivamente per verificare quali cellule siano sopravvissute e quali siano morte all’esposizione spaziale si possono utilizzare alcune sonde molecolari, cioè pigmenti fluorescenti che entrano prevelentemente nelle cellule morte in quanto il loro rivestimento è danneggiato mentre non riescono a penetrare con altrettanta efficienza in quelle vive i cui rivestimenti sono intatti. Esistono varie sonde molecolari che possono, una volta entrate, evidenziare • le proteina (DIBAC) • il DNA (PROPIDIUM o SITOX GREEN). FASI DELL’ESPERIMENTO 1) aggiungere i 3 coloranti (DIBAC,SYTOX GREEN E PICO GREEN) nelle cuvette; 2) tenere al buio per 10 minuti; 3) centrifugare per 5 minuti; 4) togliere il sovranatante e aggiungere acqua; 5) centrifugare per 5 minuti; 6) togliere il sovranatante; 7) stendere i preparati su vetrini con coprioggetto e sigillare; 8) osservare al microscopio in epifluorescenza; -OSSERVAZIONE AL MICROSCOPIO DEL PICO GREEN: questo tipo di colorante entra ovunque sia nelle cellule morte sia in quelle vive, è possibile effettuare l’osservazione anche in autoflorescenza. -OSSERVAZIONE AL MICROSCOPIO DEL SITOXGREEN: prima si osserva in campo chiaro, ovviamente il fluorocromo non si vede ma l’operazione aiuta a mettere a fuoco, poi si osserva in fluorescenza per vedere quali cellule sono morte. Le cellule morte infatti sono più luminose in quanto è in queste cellule che è riuscito ad entrare il sitox green. - OSSERVAZIONE AL MICROSCOPIO DEL DIBAC: anche in questo caso sono le cellule più luminose ad essere morte, ma la principale differenza con il sitox green è che il dibac si lega alle proteine della cellula e non all’acido nucleico. Bisogna tenere conto della possibilità che ci sia un po’ di rumore di fondo: anche alcune cellule vive possono avere un certo grado di luminosità. Bibliografia Prof. Paolo Saraceno (IFSI-INAF) “Il caso Terra” Ed. Mursia Dott.ssa Roberta Diamanti (Università Roma Tre, Dipartimento di Fisica) Lezioni e presentazioni per “Progetto astronomia a scuola” in occasione dell’anno astronomico 2009 J.C.Pecker “Capire l’astronomia” Ed. Hoepli www.bo.astro.it/universo/webuniverso D. Billi in collaborazione con E. I. Friedmann (NASA Ames Research Center, Space Science Division, CA, USA), C. Cockell (British Antarctic Survey, Cambridge, UK), S. Onori (Università della Tuscia, Viterbo), P. Ghelardini (Centro Acidi Nucleici, La Sapienza, Roma) “Astrobiologia e cianobatteri estremofili” Liceo Classico Socrate a.s. 2011/2012 Ringraziamo la Dott.ssa Daniela Billi che ha curato la realizzazione di questo progetto e che ci ha aperto i laboratori universitari e la Prof.ssa Claudia Moretti che ci ha guidato in questa esperienza ed in questo lavoro. (classe II Liceo C) Fatale Federica De Angelis Anna Mari Giulia Mariani Alessandra Ruffini Giulia Siciliano Chiara (classe II Liceo D) Lombardo Ludovica Messina Monica Poli Rosanna Ridolfi Emilia Tudini Laura