II B :
M. AQUILA CALABRO’, M. BEGGIATO,
E. CARLINO, S. COPPO, S. FUSCO, A. GOBBO,
E. GRAZIOLI, C. GUAZZOTTI, C. ILARDI,
C. MASSARO, F. ORTO, S. PASTORIS, I. RAVIZZA,
G. SOARDO, A. TAMISO, S. VELIS.
III B : S. BARBERIS, D. GERMANO, M. GROPPO,
F. VARALDA.
INSEGNANTE COORDINATORE: L. CASTELLI
VERCELLI GIUGNO 2005
COME
CITTADINANZA
Democrazia, cittadinanza e nazionalità
La storia europea moderna è contraddistinta dal principio democratico che si affermò
a partire dalla rivoluzione francese. Nello stesso periodo, a cavallo XVII e XIX secolo,
si sviluppò anche il cosiddetto principio di nazionalità, ovvero il diritto di ogni nazione a
organizzarsi in uno stato sovrano. In questo contesto storico, caratterizzato da una
situazione di anarchia internazionale e tensione pre-bellica, perse molto significato il
valore universale della democrazia in quanto i governi nazionali avevano come priorità
l’esigenza di sicurezza esterna piuttosto che la tutela di valori come la libertà e
l’uguaglianza. Tutto ciò ebbe come conseguenza l’identificazione della cittadinanza
(condizione giuridica che definisce l’appartenenza di un individuo ad uno stato) con la
nazionalità. Questo fece sì che i diritti fossero riconosciuti solo ed esclusivamente ai
cittadini appartenenti ad uno stato nazionale. Al giorno d’oggi però queste sono visioni
superate sul modo di governare uno stato, poiché si è creata un’interdipendenza
globale che ha fatto nascere problemi comuni a tutta l’umanità. E’ ormai anacronistico,
anche se tuttora accade, che un problema internazionale sia risolto con un’egoistica
decisione nazionale, invece che con una solidale decisione internazionale. Bisogna far
sì, per ovviare a questo problema, che nascano strutture intergovernative che
superino la sovranità dei singoli stati e l’identità tra cittadinanza e nazionalità.
E’necessario che un uomo possa godere dei suoi diritti nel posto dove si formano i
suoi problemi di sopravvivenza. Alcuni paesi si sono già avviati su questa strada
riconoscendo il diritto elettorale attivo e passivo a tutti i residenti.
Il trattato di Maastricht e la cittadinanza europea
Il trattato di Maastricht istituisce la cittadinanza europea. Questa trattato si fonda su
alcune prerogative dei cittadini comunitari già fissate nel trattato CEE del 1957. Nel
1984 il Consiglio europeo di Fontainbleu istituì il comitato “Adonnino” che doveva
individuare delle misure per rafforzare l’identità politica, socio-culturale ed economica
della CE e dei suoi cittadini. Le conclusioni presentate l’anno successivo stabilirono
importanti novità che contribuirono a dare una nuova dimensione alla CE: fu esteso a
tutti i cittadini della CE il diritto di soggiorno e di lavoro in uno dei paesi membri, fu
promossa la libertà di circolazione, furono garantiti il diritto di voto alle elezioni
europee e locali nello stato di residenza e di ricevere assistenza diplomatica anche
da un altro stato CE, fu promossa la mobilità dei giovani studenti, fu consolidata
l’identità europea con la scelta di una bandiera, un emblema, un inno, una giornata
dell’Europa. Integrando queste precedenti disposizioni comunitarie il trattato di
Maastricht del 1992 stabilì che è cittadino dell’Unione Europea chiunque abbia la
cittadinanza di uno stato membro. Quindi il godimento della cittadinanza europea è
subordinato alla titolarità della cittadinanza di uno Stato, anche se i diritti
fondamentali rientrano nelle disposizioni comuni del trattato non nella parte relativa
alla cittadinanza europea, siccome tutti devono poter beneficare di tali diritti. Il trattato
riconfermò il diritto di circolare e soggiornare all’interno degli stati membri anche se
furono approvate norme per evitare un uso improprio di questo diritto (ovvero che sia
usato per potersi stabilire in uno stato dove ci sono condizioni di sicurezza sociale
maggiore).
Il trattato di Maastricht e la cittadinanza europea (2)
Fu previsto, in linea di massima visto che poi norme precise furono stabilite in
seguito, anche l’elettorato attivo e passivo di tutti i cittadini europei residenti in uno
stato dell’Unione sia per le elezioni locali che europee e questo comportò la revisione
di alcune leggi nazionali in alcuni stati dell’Unione come l’Italia. Inoltre dopo la ratifica
del trattato, i cittadini europei potevano godere della tutela diplomatica e consolare di
qualsiasi stato membro, anche se l’Europa unita non rappresentava ancora una
personalità giuridica e quindi non poteva ratificare trattati e patti internazionali, ma
poteva solo consigliare vivamente una linea di condotta comune agli stati membri. I
cittadini europei ottennero anche il diritto di petizione riguardo a qualsiasi materia
dinanzi al Parlamento europeo, diritto già presente nei primi codici del vecchio
continente come la Magna Charta Libertatum o il Bill of Rights. Anche le singole
persone fisiche o giuridiche avevano la possibilità di rivolgersi ad un difensore civico
europeo per denunciare casi di cattiva amministrazione delle istituzioni comunitarie.
Infine era stato previsto che il nucleo di diritti stabiliti nel trattato di Maastricht potesse
allargarsi e che con cadenza triennale la Commissione è tenuta a presentare una
relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale
sullo stato d’applicazione delle disposizioni riguardanti la cittadinanza dell’Unione.
Identità cosmopolitica
Il trattato di Maastricht ha introdotto nella mentalità degli europei un principio di
scissione tra i concetti di cittadinanza e di nazionalità, compiendo un notevole
passo avanti verso il superamento dei limiti nazionali della democrazia.
Il futuro stato europeo sarà infatti legittimato e sostenuto solo da un sentimento di
identità, di solidarietà, di appartenenza a un’entità comune trascendendo il
principio nazionale dei singoli membri. L’interdipendenza globale non è sufficiente
per fondare il sentimento di appartenenza, ma deve essere integrata da valori
razionali e universali, da un’identità cosmopolitica in cui tutti gli uomini si
riconoscono uguali in dignità e diritti e attraverso i principi di libertà, di democrazia,
di giustizia, di pace. In questo senso la cittadinanza e la federazione europea
anticipano quelle mondiali, che realizzeranno l’utopia dell’umanità: l’unità del
genere umano, l’avverarsi dell’età della ragione e della kantiana pace perpetua.
N come nazione (1)
Per “nazione” si intende l’insieme di genti legate da comunanza di tradizioni storiche , di
lingua , di costumi, e aventi coscienza di tali comuni vincoli.
Schematicamente le caratteristiche della nazione sono le seguenti: un nome che
esprima una identità separata; l’esistenza di memoria , miti e simboli condivisi dai
membri della nazione ma estranei a chi non vi appartiene; un territorio comune , o
”patria”, in cui possa essere creata l’unità; una cultura pubblica cui partecipino tutti i
membri della nazione; infine uno “status” politico di libertà per ciascuno di essi.
A ciò possiamo aggiungere la spinta verso l’unità economica e il controllo delle risorse
nazionali, e la convinzione che i membri della nazione siano uguali di fronte alla legge e
abbiano uguali diritti e doveri.
Nel loro insieme questi elementi costituiscono un “tipo ideale” di nazione sviluppatosi e
ampliatosi nel corso dei secoli.
Benché una nazione abbia una propria storia singolare, può talora essere una struttura
radicalmente differente. Una nazione può essere identificata in base a tre variabili: la
variabile “naturale”, la variabile “culturale”, e la variabile “politica”. In virtù della
prima la nazione si definisce attraverso il riferimento ad elementi quali la razza, l’etnia, la
stirpe, o più in generale un’origine comune.
La seconda lega la nazione e le forme della coscienza nazionale a fattori identitari quali
la lingua, le tradizioni, la religione, le memorie storiche, lo “spirito del popolo”, oppure
ancora a un complesso di relazioni più o meno stabili in un determinato territorio.
La terza parte pone al centro della nazione l'appartenenza ad un sistema di istituzioni
politico-territoriali comuni.
N come nazione (2)
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Nella formazione dell'idea moderna di nazione come tipo specifico di comunità , una
particolare incidenza ebbe la reazione, che nei primi decenni del Settecento, si manifestò
in paesi come Svizzera e Germania nei confronti dell'influsso politico-culturale, a volte
quasi un'egemonia, esercitata dalla Francia, reazione che pose in primo piano il valore
delle tradizioni indigene e delle libertà originarie.
Alla fine del XVIII, durante la Rivoluzione francese, il popolo sovrano si contrappose,
come nazione, alle monarchie e agli stati in cui fino ad allora si era sentito più o meno
inquadrato.
Quindi, nel Settecento, gli Stati dinastici si trasformano in comunità nazionali,ma quel che
impediva lo sviluppo delle nazionalità era il carattere dinastico dei governi, la persistenza
della struttura medioevale degli Stati.
Questa struttura, nonostante i progressi del centralismo monarchico, manteneva in vita il
particolarismo provinciale e municipale e la gerarchia sociale fondata sul privilegio; tali
ostacoli saranno abbattuti dalla rivoluzione francese. La prima e fondamentale
affermazione della Rivoluzione è che la società non è l'insieme dei ceti, secondo l'ideale di
nazione proprio dell'Antico Regime, ma l'insieme degli che vivono in associazione sotto
una legge comune o uguale, dalla quale associazione i ceti privilegiati sono esclusi, a
causa del loro vivere sotto una legge di favore. Se concetto rivoluzionario di nazione
rimane comunque ambiguo: da un lato, esso illumina, come personaggio principale della
scena politico-sociale, il singolo individuo: questa è una visione individualistica e sfocerà,
nel secolo seguente, nel liberalismo. Dall'altro lato, però, sottolinea il vincolo di
soggezione che abbraccia tutti gli individui di una superiore totalità, regolata da una legge
comune a tutti: questa è una visione organicista che,alla fine del secolo seguente, darà
risultati di tipo totalitario.
N come nazione (3)
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Un proprio concetto di nazione fu elaborato da uno storico della seconda metà del
Settecento, Herder, sostenitore del carattere nazionale della lingua e della poesia dei vari
popoli.
Egli teorizzò l'individualità naturale e originaria delle singole nazioni, considerate come
elementi centrali del corso storico dell'umanità, che gli appariva scandita dal ritmo della
loro nascita, del loro sviluppo e della loro decadenza. Herder rifiutava la teoria
settecentesca che affermava l'originaria identità delle menti umane, e credeva
nell'esistenza di eterne diversità: l'individuo e le nazioni. Pensava che i caratteri nazionali
dovessero rimanere identici a loro stessi nel corso dei millenni, che dovessero informare
la lingua e la vita delle nazioni. Queste dovevano crescere libere e solitarie, chiuse nel
loro mistero, impenetrabili allo straniero. Per rimenare l'umanità era necessario che le
singole nazioni modellassero la convivenza secondo gli archetipi antichissimi.
In opposizione al cosmopolitismo razionalista, tipico dell'Illuminismo egli oppone una
nuova politica, che voleva sviluppare quelle forze oscure che vengono considerate il
naturale dispiegarsi delle forze peculiari della nazione: dunque "non c'è iattura maggiore
per un popolo della perdita del proprio carattere".
Per Herder, il monarca deve possedere un senso nazionale e il dispotismo nazionale da
lui esaltato si intreccia con il patriottismo monarchico, contro il quale si scaglia
Montesquieu, che nega l'esistenza dell'onor di patria delle monarchie. Lo Stato deve
poggiare sulle basi sue "basi naturali", accordando le sue leggi alle leggi naturali del
popolo e essendo armoniosamente le forze della nazione in una civiltà conclusa, a
differenza di Montesquieu che non tiene conto delle consuetudini vive dei popoli e delle
loro condizioni naturali.
N come nazione (4)
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Si possono individuare, riguardo il concetto di nazione, delle differenze tra Herder e
Rousseau. Quest'ultimo considera la nazione sotto due aspetti differenti:da un lato,
nel suo significato più propriamente politico, essa si identifica con il popolo, e in
quanto tale essa è il veicolo di una radicale ridefinizione in senso democratico delle
tradizionali concezioni dello stato dinastico; dall'altro lato, essa si configura come
un'entità storico- culturale di natura positivamente individuale, che deve mantenersi
fedele ai propri caratteri.
In Herder, al contrario, è del tutto assente il concetto politico della nazione, perché
egli la vede come una comunità di carattere esclusivamente culturale. Dunque due
sono i modi di considerare la nazione:quello naturalistico, che sfocerà nel razzismo,
e quello volontaristico.
Il primo è proprio di Herder, il secondo di Rousseau. Alla prima affermazione segue
l'ostilità ad ogni mescolanza con sangue straniero, mentre la seconda segue la
volontà di creare uno stato fondato sulla sovranità popolare, e quindi uno stato
nazionale.
Mentre la nazione di Herder è radicata nel passato, e quindi è solo sentita, quella di
Rousseau, guardando al futuro, è "voluta".
N come nazione (5)
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L'idea nazionale fu espressa nella formula classica anche da Mazzini, anche se in
termini più propriamente umanitari e cosmopoliti.
Il pensiero italiano di Mazzini svolge l'idea di nazione su basi decisamente
volontaristiche.
Egli vede la nazione come un' entità primigenia abbracciante l'intero orizzonte della
vita dei popoli nei loro paesi, quindi essa è: un destino e una vocazione, un diritto e
un dovere, una missione e una scelta. La nazione coincide ora con la patria, poiché
essa cessa di rimanere proiettata nel passato per proiettarsi nell'avvenire; cessa di
essere puro ricordo storico per trasformarsi in norme di vita per il futuro. La nazione
diventa patria, e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno.
Una nazionalità comprende un pensiero comune, in campo politico, e un diritto
comune. I termini nazione e nazionalità, dunque , sono equivalenti: l'idea di nazione
sarà cara ai popoli non ancora politicamente uniti; il principio di nazionalità, che ne è
l'applicazione in campo politico, troverà il massimo favore presso coloro che solo in
base ad essa possono sperare di unirsi in una patria comune (Italia e Germania).
Mazzini e i suoi, in nome del diritto patrio, vogliono gli interessi, i bisogni degli
individui e la solidarietà fra loro , sottoposti ad un principio astratto, ad un
preconcetto che è spesso estraneo agli individui, ai loro bisogni, ai loro bisogni ai loro
diritti:questo principio è la patria, che è un fatto, è divenuto per essi un dogma e,
mentre la felicità e libertà dell'individuo alla collettività. Così Mazzini, a furia di creare
e di imporre un ente collettivo, perde di vista e nega l'individuo. La patria diventa,
dunque, un principio da attuarsi violentemente dall'alto al basso.
N come nazione (6)
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Riprendendo la differenza fra nazione naturalistica, concetto proprio di Herder, e
nazione volontaristica, concetto proprio di Rousseau, il pensiero italiano, con
Mazzini, svolge l'idea di nazione su basi decisamente volontaristiche. Per Mazzini, la
nazione comprende un pensiero comune, accettandolo in tutte le sue conseguenze,
dove gli individui vengono educati ad avere una coscienza nazionale, cioè la
coscienza di patria.
Quindi: "la nazione è non un territorio, da farsi più forte, aumentandone la vastità,
non un agglomerazione di uomini parlanti lo stesso idioma, ma un tutto organico per
unità di fine e di facoltà. Lingua, territorio, razza non sono che gli indizi della
nazionalità, malfermi quando non sono collegati tutti e richiedenti conferma dalla
tradizione storica, dal lungo sviluppo di una vita collettiva, contrassegnato dagli stessi
caratteri."
In contrasto con il volontarismo espresso da Mazzini, per i Romantici, nel XIX secolo,
la nazione si definisce come una comunità popolare di carattere spirituale e culturale,
priva di specifiche dimensioni politiche, ma radicata nelle proprie tradizioni, tenuta
saldamente insieme da una comunanza di lingue, di costumi e di appartenenza
territoriale, gelosa della propria individualità e diversità. Seguendo la linea di pensiero
di Herder, l'eguaglianza fondamentale della natura umana fu negata a favore della
specificità costituiva di ciascuna nazione, che non poteva dissolversi con le altre nella
generalità dei tratti comuni a tutta l'umanità.
N come nazione (7)
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Nel pensiero romantico, dire senso di nazionalità significa dire senso di nazionalità
significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto
si giunge al principio di individualità, cioè ad affermare, contro le tendenze
universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. L'idea di nazione ottocentesca
è quindi un aspetto particolare del Romanticismo,il quale rivendica, contrapposti
all'universale "ragione" degli Illuministi, i diritti dell'individuo finito e determinato, il
mondo della fantasia e del sentimento, il senso della tradizione. Trasferiti sul terreno
politico, fantasia, sentimento, tradizione si unificano nella nazione, che è la
rivendicazione, contro le tendenze cosmopolitiche, della singolarità di ogni popolo,
del suo carattere nazionale.Il nuovo modo di sentire la nazione ha una valenza
emotiva sconosciuta nel passato: così, laddove la politica settecentesca era intesa
come prudente calcolo diplomatico o militare, le passioni nazionali dell'Ottocento
faranno nascere una politica tumultuosa, che acquista l'impeto delle grandi passioni;
diviene passione trascinante come erano state un tempo le passioni religiose. La
politica acquista patos religioso. All' origine di questo pathos c'è un modo di intendere
le nazioni nono più solo su un piano linguistico-culturale , ma anche su quello
politico. Specialmente per i popoli che, come quello tedesco e italiano, non hanno
ancora realizzato la loro unità, la nazione non è più puro ricordo storico , ma patto da
stringere tra gli uomini, progetto per il futuro.
Le caratteristiche fondamentali della nazione romantica sono: la libertà politica,
l'indipendenza e l'unità politica; la religione è un elemento che individua la nazionalità
N come nazione (8)
•
•
Uno Stato è costituito da un apparato, da una struttura articolatesi in organi
(legislativi, esecutivi e giudiziari), esplicanti potestà di imperio in ambito spaziale nel
quale è stanziata una comunità:poco importa, sul piano giuridico-istituzionale, da
quali legami (ideali, politici psicologici)sia tenuta insieme tale comunità; ciò che la
caratterizza è il fatto di essere sottoposta all'autorità effettiva di un certo apparato
coercitivo. Esso è l'organizzazione della vita collettiva di un gruppo sociale sopra un
territorio che si serve per raggiungere i propri scopi dell'esclusività del potere
coattivo.
Su questa definizione sono da notare i seguenti elementi: l'esistenza di un gruppo
sociale, che si è stabilito sopra un determinato territorio; un insieme di norme, scritte
o non scritte che regolano gli istituti fondamentali che permettono al gruppo una vita
ordinata e disciplinano l' esercizio dei poteri superiori di decisione di comando;
l'esercizio del potere coattivo, che implica per la classe dominante il diritto di ricorrere
in ultima istanza alle forze per mantenere l'ordine l' ordine all' interno e per
respingere attacchi dall'esterno, a esclusione di tutti gli altri membri del gruppo che
non sono autorizzati a usare la forza se non in casi eccezionali e rigorosamente
previsti.
N come nazione (9)
Una nazione è costituita:
• dal fatto che un gran numero di comportamenti, riguardanti le sfere dell'esperienza
umana, presentano come motivazione quella del riferimento alla "Francia", all'"Italia",
ecc…;
• dal gruppo che risulta dal fatto che questi comportamenti si collegano fra loro. Nelle
città-stato si acquisiva il sentimento della nazionalità nel senso etimologico, che si
chiama "nazionalità spontanea". Le grandi nazioni attuali,date le loro dimensioni,che
non consentono lo stabilirsi di rapporti personali, sono il risultato dell'estensione
forzata a tutti i cittadini da parte dello Stato e dall'imposizione dell'idea dell'esistenza
di un costume unico. Il concetto di nazione indica una comunità umana caratterizzata
dalla partecipazione a un medesimo passato.
Al contrario, il popolo è, normalmente, la medesima comunità umana considerata nel
suo aspetto dinamico, in quanto protesa verso il futuro. L'idea di nazione ha una
"connotazione conservatrice",mentre quella di popolo attiene a un elemento
"prospettico".
T
COME
TOTALITARISMO
T come totalitarismo (1)
Totalitarismo: la parola totalitarismo deriva direttamente dall’aggettivo totalitario o totale
che nel corso degli anni venti fa la sua comparsa alla parola stato.
Tale aggettivo è elaborato nel lessico politico prima in Italia
e poi in Germania. Uno stato si definisce, dunque, totalitario
quando esercita un controllo totale sulla società, soffocandone
l’autonomia , tarpando ogni tipo di libertà civile e privata,
abolendo ogni pluralismo, invadendo ogni campo della vita
del cittadino, condizionando la vita delle persone e attuando
i suoi scopi tramite l’uso di atti volti a produrre il consenso incluso l’uso della violenza.
Il socialista Lelio Basso, ad esempio, definiva così lo stato totalitario: “…rappresenta
l’assoluto, l’infallibile… lo stato può tutto”. Tale affermazione trova, paradossalmente,
giustificazione nella concezione hegeliana, dello stato; Hegel, infatti, sosteneva: “Lo
stato non è un unione che venga stretta dall’arbitrio dei singoli”. Lo stato è quindi inteso
come un entità assoluta al di fuori della quale i singoli individui non sono più nulla;
ognuno è qualcosa solo in quanto parte dello stato e la sua libera espressione non può
andare al di là di esso ma deve essere per lo stato e nello stato. Una libertà individuale
sita al di fuori dello stato, secondo questa concezione, è assurda e immotivata: se
l’individuo si risolve nello stato, ha esso motivo di uscirne? Dal momento che lo stato
rappresenta ogni parte della vita civile e privata la risposta è ovviamente no!
T come totalitarismo (2)
Le peculiarità del totalitarismo come visto concernono sia la vita pubblica che privata.
Lo stato è un’unità unificatrice delle parti, un’organicità totale e totalizzante che tutto
incorpora.
Il termine totalitarismo fa la sua comparsa, anche, nella saggistica americana durante
gli anni trenta; secondo il pensiero dell’area anglo-americana sono definibili totalitari i
regimi dittatoriali italiano, tedesco e sovietico.
Durante il ventennio il termine piacque ai fascisti poiché esprimeva la forte carica di
volontarismo ed enfasi che sottolineava l’assoluta novità del fascismo. Lo stesso
Mussolini in un suo discorso si esprimeva in questo modo: “Tutto nello stato, niente al
di fuori dello stato, nulla contro lo stato”; tale affermazione, come si può vedere,
descrive, in poche parole, la carica antiliberale del totalitarismo teso ad abolire una
qualsiasi dialettica maggioranza-minoranza. Lo stato è un’unità compatta ed indivisibile
e perciò non esistono organizzazioni ed autonomia: “ne individui fuori dallo stato, né
gruppi (partiti politici, associazioni, sindacati, classi)…” Connotazione, inoltre, tipica del
fascismo è il corporativismo; esso, tuttavia, non è, come per i sindacati socialisti, posto
a tutela degli interessi della sola classe operaia bensì della cittadinanza in generale. Lo
stato come totalità organica è nemico non solo del socialismo, ma anche di ogni
individualismo e del liberismo in particolare: “Gli individui… sono prima di tutto e
soprattutto stato…”. Appare qui scontato che qui non è la nazione, come prevede la
concezione naturalistica, a generare lo stato bensì è lo stesso a creare la nazione per
arrivare ad un momento in cui “…italiano e fascista significhi la stessa cosa…”
T come totalitarismo (3)
Per quanto riguarda la Germania la tendenza allo stato
totalitario è sostenuta dal filosofo e giurista tedesco Carl
Schmitt; in essa vede la naturale evoluzione della società
borghese, un sorta di generale riorganizzazione strutturale
a fronte delle problematiche del capitalismo avanzato.
Secondo Schmitt stato e società devono essere
fondamentalmente identici per fare in modo che problemi
sociali ed economici diventino statali.
La nuova economia deve perciò basarsi su un massiccio interventismo statale.
In Germania lo stato totalitario trova in Goebbels, ministro della propaganda del regime il
suo maggiore sostenitore; egli definisce la conquista del potere da parte dei nazisti “una
trasformazione totale”. Goebbels è un convinto sostenitore del fatto che lo stato debba
portare una vera e propria rivoluzione all’interno dei rapporti umani. Per fare questo lo
stato deve avere il potere di intervenire in ogni sfera pubblica e privata. Un nuovo
ordine dev’essere forgiato. Mezzo principale di questa rivoluzione sociale e mentale è,
ancora più che in Italia, la propaganda mediante un rapporto intenso con le masse e
l’uso delle nuovi ritrovati tecnologici per suggestionare e accattivarsi la simpatia
popolare. L’ideologia nazista doveva essere introdotta nelle menti d’ogni cittadino non
indotta dalla paura, dalla frustrazione o dall’odio; bensì doveva diventare, grazie ad
un’assidua propaganda, un’entità condivisa da tutti non perché imposta ma perché
riconosciuta ed accettata dalla maggioranza.
T come totalitarismo (4)
Per quanto riguarda il regime tedesco, definizione, tuttavia,
anche estendibile agli altri stati totalitari, alla base del
totalitarismo tedesco, come sostiene Marcuse, non vi il solo
rifiuto del liberismo economico ma anche di quello politico: lo
stato non deriva più da una concezione giusnaturalistica alla
cui base vi sono i diritti inviolabili dell’individuo bensì dalla
convinzione che a fondamento dello stato vi è il potere stesso
che tutto comprende e non trova giustificazioni al di fuori di sé
nessuna norma o giustificazione che lo limiti.
Il “caso” sovietico parte, invece, da presupposti differenti da quelli italiani e tedeschi. Lo
stato totalitario non si presenta qui come un’evoluzione della società borghese bensì
come quella della classe operaia; tuttavia esso giunge ad una simile realizzazione
politica: dietro l’ideale del comunismo lo stato diventa una totalità in ogni ambito della
vita della persona. L’ideologia serve ancora una volta a mascherare l’assoluta volontà di
potere; i mezzi e i modi tramite i quali si attua la volontà centrale sono assimilabili a
quelli fascisti e nazisti. L’uso della violenza è un metodo normale; la Propaganda è
essenziale. Una società in cui doveva realizzarsi l’uguaglianza e la libera espressione
dei singoli diventa sì una comunità d’eguali ma di persone “egualmente” oppresse ed
assoggettate alla causa del potere.
Come visto, quindi, le ideologie totalitarie si dipanano da una concezione alla cui base
risiede la volontà d’esercitare un potere assoluto; il sogno o incubo di fare un mondo
modellato grazie un’ideologia; un utopico mondo lontano dalla perfezione che si arroga,
però, il privilegio di definirsi perfetto.
Parte I - I fondamenti storici, religiosi, filosofici e letterari
L'idea di “Europa” si è sviluppata nel tempo ma la sa concezione non puramente
geografica, bensì fondata su valori filosofici, politici, culturali e religiosi, si è formata
solo nel Novecento. Si parla di essa per la prima volta (concepita solo
geograficamente) nel mito greco con la leggenda di Giove ed Europa: viene posta al
centro del Mar Mediterraneo, all'incirca dove si trova Creta, proprio per dare forza
alla volontà di differenziarsi dall'Asia, dalla quale si distacca per l'interesse verso la
filosofia razionale e per il comune denominatore greco-romano, anche se la sua
origine proviene sempre da questa. Inoltre in Asia vigevano regimi dispotici, mentre
in Europa la vita pubblica era associata alla libertà e alla democrazia. La sua
consapevolezza si afferma nonostante cambino nel tempo i suoi confini geografici;
questi non sono più sufficienti a delimitare l'Europa, che nel Medioevo viene intesa
come Res Publica Christiana, cioè tutto l'Occidente allora noto accomuno dall'unità
culturale e religiosa del cattolicesimo. Con la nuova visione dell'uomo e del mondo
rinascimentale ed umanistica, si affermano nuovi traffici commerciali, progressi
culturali, economici e sociali, nuove scoperte e l'idea di libertà. Tuttavia col sorgere
degli imperi coloniali americani il concetto medievale di Occidente come Europa non
è più accettabile, poiché l'Occidente si è esteso all'America; il suo concetto come
Res Publica Christiana è stato orientato dalla riforma protestante che ha causato la
sua rottura nel 1648 con la pace di Westfalia.
Parte I - I fondamenti storici, religiosi, filosofici e letterari (2)
Durante l'Illuminismo vengono poste le premesse per l'unità politica dell'Europa e assume
un valore fondamentale il tema della pace, soprattutto grazie agli scritti di Kant e SaintPierre. Il pensiero di quest'ultimo è importante per la storia dell'idea dell'unità europea, dal
momento che per la prima volta si teorizza, nei fondamenti filosofico-giuridici e politici,
l'esistenza di un collegamento strutturale tra il valore della “Pace duratura e perpetua” e il
patto confederativo europeo; sono poste così le premesse filosofico morali delle istituzioni
societarie internazionali che vedranno la luce nel Novecento. Questo discorso è ripreso in
chiave federale da Immanuel Kant con la sua opera “Per la Pace perpetua”, il cui scopo è
proprio quello di eliminare in modo definitivo lo stato di guerra internazionale, non bastando
una certezza del diritto nel quadro del singolo Stato. Per questo il filosofo tedesco ha legato
la pace con la prospettiva della creazione di una federazione di liberi Stati, sulla quale si
dovrà fondare il diritto internazionale. Gli Stati vengono visti come individui perennemente
in lotta tra loro: soltanto una costituzione legale fra loro, che metta a capo ad un corpo
sovraordinato ed accettato, sarebbe in grado di creare un “universale assetto
cosmopolitico” pacificato. Le condizioni preliminari necessarie sono la scomparsa degli
eserciti e il rispetto della buona fede nei trattati. Kant sostiene che la costituzione di ogni
stato civile deve essere repubblicana, che il diritto internazionale deve essere fondato sul
federalismo di stati liberi e che il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle “condizioni
dell'universale ospitalità”. Dunque gli Stati devono avere un carattere non dispotico e
liberale, e devono ospitare gli stranieri rispettando il loro “diritto di visita”. Le teorie di Kant
sono importanti per lo sviluppo dell'unità europea perché proprio l'Europa rappresentava il
primo terreno delle loro applicazioni: questa doveva trasformarsi da campo di battaglia
perenne in uno Stato sovranazionale federale.
Parte I – L’Ottocento
Il motivo dell'Unità Europea, capace di porre fine ai conflitti attraverso una
consapevole limitazione delle prerogative assolute di sovranità degli Stati Nazionali,
ispira nell'Ottocento politici, filosofi e scrittori, fra cui Saint-Simon insieme ad Augustin
Thierry, nel testo intitolato “Riorganizzazione della società europea” pubblicato nel
1814; in esso si sosteneva, accanto alla modernizzazione scientifico-positiva e
industriale, l'organizzazione degli Stati Uniti d'Europa. Conseguenza della diffusione
dello spirito liberale e di una nuova forma di “patriottismo europeo”, la nuova Europa
si sarebbe istituita, secondo Saint-Simon e Thierry, intorno al nucleo di un
Parlamento franco-inglese, da estendersi via via agli altri Paesi a partire dalla
Germania. Intorno a questo ideale si costituisce la società per gli Stati Uniti d'Europa
di cui fu presidente il grande romanziere Victor Hugo. Al congresso della Pace, a
Parigi nel 1849, Hugo ribadisce che solo in questo modo si sarebbe impedita la
guerra tra le Nazioni. Queste convinzioni si diffusero anche in Italia e diventarono
patrimonio di pensatori democratici. Secondo Cattaneo infatti l'Unità Europea poteva
derivare dallo stabilimento della pace in Europa e la costruzione di un sistema
democratico. Egli intuì che l'assioma unitario, centralista e militarista, su cui si
fondava la sovranità assoluta e la volontà di potenza degli Stati Nazionali era la
causa della perpetua belligeranza e dell'autoritarismo e sosteneva l'applicazione del
principio federale all'Europa delle Nazioni, l'istituzione di un governo europeo che non
presupponesse l'omogeneità delle dimensioni territoriali e l'abbandono dell'equilibro
della forza. Solo così le Nazioni Europee si sarebbero potute congiungere in
federazione di popoli liberi e realizzare gli Stati Uniti d'Europa.
Parte I – L’Ottocento (2)
Anche Mazzini fu un acceso difensore dell'ideale dell'unità europea vista come
passaggio cruciale della strategia contro la Santa Alleanza e quindi contro la potenza
austriaca in Italia. Affermò che la lotta doveva essere rivolta contro la vecchia Europa
“dell'equilibrio del potere”. L'idea europea di Mazzini si presentava quindi come un
prolungamento della fede democratica, indipendentista e rinnovatrice sul piano
nazionale. Accanto ai “congressi nazionali” Mazzini prevedeva la rappresentanza “
con eguaglianza assoluta” dei popoli europei in un Congresso Europeo. Tuttavia non
riesce a superare il genericismo di tali formulazioni perché fu assente la meditazione
sulle condizioni necessarie per la realizzazione della federazione europea. Il suo
pensiero fu un'esaltazione dei legami ideologici repubblicano-democratici: pertanto la
visione di Mazzini si risolve in un'indicazione di movimento di lotta. Nonostante le
affermazioni di questi pensatori l'elaborazione europeista di stampo democratico fu
dimenticata. Si assisté al subentrare dell'età dei nazionalismi e dell'imperialismo.
All'idea dell'unità europea mancò ancora una completa elaborazione teorica e un
radicamento concreto nelle condizioni del tempo. Sotto il profilo economico inoltre, la
maggioranza dei Paesi europei si trovava all'inizio della fase del decollo industriale
capitalistico e la politica estera era infeudata ai voleri dinastici di sovrani più o meno
assoluti. I movimenti democratico-socialisti concentrarono la propria azione su
obiettivi di politica interna e sociale e solo tra la fine del XIX secolo e del XX cominciò
ad emergere una consapevolezza dell'urgenza di una nuova elaborazione ideale
europeista. Se ne fecero interpreti l'austriaca Bertha von Suttner e l'italiano Ernesto
Moneta, vincitori all'inizio del Novecento del premio Nobel per la Pace.
L'idea dell'unità europea nel pensiero socialista
tra Ottocento e Novecento (1)
•
•
Nell'Ottocento il nascente pensiero socialista si riallaccia alle tematiche cosmopolitipacifiste di derivazione settecentesca e illuminista e al pensiero dei democratici.
Anche il movimento operaio riunito nella Prima Internazionale ha come obiettivo la
realizzazione dell'Unione europea. L'Internazionale aderisce al congresso per la pace
e si occupa della costituzione di una “federazione di Stati liberi in tutta l'Europa”;
tuttavia, la prospettiva europeista è dotata di scarso realismo politico. Tra Ottocento e
Novecento Marx ed Engels non hanno mostrato interesse però hanno delineato due
lineamenti congiunti con la questione nazionale: l'analisi socio-economica delle
conseguenze dell'espansione del capitalismo e il bisogno dell'internazionalismo
proletario di superare la questione nazionale.
O. Bauer e K. Renner eredi del marxismo elaborano l'idea dell'unità europea
all'interno di una concezione di federazione plurinazionale poggiante sull'esistenza di
un governo federale politicamente centralizzato e insieme sull'autonomia culturale e
decentramento amministrativo delle nazioni: la sovranità deve appartenere all'unione
degli Stati d'Europa; la legittimazione giuridica della nazione all'interno della
Comunità internazionale sembra per questi autori l'unico modo di garantire la pace.
Poiché diversi stati intrecciano relazioni e traffici sempre più stretti, è necessaria una
regolamentazione valida per tutti. Le Nazioni sono inserite come persone giuridiche
in una comunità sovranazionale, alla quale occorre cedere una parte di sovranità
L'idea dell'unità europea nel pensiero socialista
tra Ottocento e Novecento (2)
Nel loro pensiero è forte la correlazione tra la realizzazione del socialismo e il
pensiero federalista. L'idea di fondare uno Stato federale mondiale nasce sia dal
voler superare l'anarchia internazionale sia dai bisogni economici. Per tale
realizzazione è necessaria la collaborazione tra le classi. Vicino a questi punti di vista
è anche Kaustky che sostiene che la politica imperialista può essere sostituita da una
politica “ultraimperialista”, che consiste nello sfruttamento in comune delle risorse
mondiali tra le nazioni. Ciò presuppone la costruzione di spazi allargati di sovranità
riconosciuta per l'attività economica e finanziaria. Perciò è richiesto un passaggio
pacifico dalla stato nazionale agli Stati Uniti d'Europa. Tra i sostenitori dell'unione
europea emergono gli aderenti all'orientamento riformatore della “Critica Sociale” di
Filippo Turati. Attraverso questa rivista si dibatte e si diffonde il pensiero pacifista,
federalista ed europeista presso i militanti socialisti. Il trinomio socialismofederalismo-europeismo ha lo scopo di creare un saldo legame capace di garantire
l'unità al di sopra degli egoismi nazionali. Gli obiettivi da raggiungere sono la
democratizzazione europea, l'unione doganale come premessa al libero scambio e
l'integrazione economica: solo questi saranno in grado di garantire in modo completo
l'Unità Europea.
Sempre nel ‘900
(1)
Dopo la prima guerra mondiale ci si rende conto dell'indipendenza economica tra le
nazioni e dell'inutilità delle guerre. Il presidente americano Wilson propone, l'8
Gennaio1918, i cosiddetti “14 punti” e teorizza la pace senza vittoria, fondata sul
riconoscimento dell'uguaglianza tra le nazioni riunite nella “Lega della pace”,
nell'autodeterminazione dei popoli, nella democratizzazione, nel disarmo, nella libertà
dei mali e dei commerci. L'idea piace ai governi europei e origina la Società delle
Nazioni, organismo però poco incisivo a causa della defezione degli Stati Uniti stessi,
non persuasi dal loro presidente, e alle concause connaturate all'esistenza stessa
degli Stati Nazionali. In particolare, sostengono Luigi Einaudi, Giovanni Agnelli e
Attilio Cabiati, essa si mostra incapace di individuare i motivi dei conflitti ed è
inadeguata istituzionalmente a svolgere il ruolo di pacere mondiale. È pertanto
necessario superare l'idea di imperialismo e di aggressività nella politica estera e
perseguire l'unificazione economica, sociale e giuridica dell'Europa per ottenere una
pace duratura. Inoltre, dopo il primo conflitto mondiale - secondo Einaudi - si è notato
come la causa strutturale della guerra sia stata una logica politica basata sulla
sovranità assoluta degli Stati Europei, perciò solo attraverso il suo affievolimento, in
una unione federale, sarebbe nata la pace.
Sempre nel ‘900
(2)
Secondo Coundenhove-Kalergi, nel suo scritto Pan-Europa, del 1923, la Società
delle Nazioni è un conglomerato inorganico di nazioni indifferente al futuro unitario
del continente europeo, che potrebbe esistere solo all'insegna dell'unità delle nazioni
che lo compongono, in netta distinzione rispetto alle altre potenze mondiali, con le
quali instaurerebbe una politica di confronto mondiale. Monroe rivendica il principio” l'
America agli Americani” come postula anche la dottrina Pan – europeista “l' Europa
agli Europei”: cioè un Continente facilmente pacificato, non più preda di tensioni
anarchiche tra gli Stati Nazionali, che si estenderebbe dal Portogallo alla Polonia,
lasciando fuori la Russia e la Gran Bretagna e includendo le colonie dei Paesi
Europei continentali. Nel Manifesto Europeo del 1924 Coudenhove-Kalergi sintetizza
la via programmatica alla Pan Europa: “1) Raggruppare gli Stati Europei; 2)
Concludere dei trattati di arbitraggio obbligatorio e scambiare garanzie reciproche di
frontiere tra gli Stati d' Europa; 3) formare delle alleanze per difendere la comune
frontiera orientale; 4) gettare le basi di un' unione doganale per mezzo di conferenze
economiche e periodiche fra gli Stati Europei”. Da qui un modello unitario europeo di
tipo confederale: Coudenhove-Kalergi propone un'idea di Stati Uniti d'Europa di tipo
confederale: Pan-Europa è di ispirazione europeista che si ispira ad obiettivi di pace
interna tra Stati Europei attraverso il disarmo e l'arbitrato internazionale, la
cooperazione economica e culturale attraverso l'integrazione reciproca degli Stati
nazionali i quali, però, ciò facendo, non mettono in discussione le proprie prerogative
sovrane.
Sempre nel ‘900
•
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•
(3)
Parlano invece di modello federale gli inglesi Lord Lothian e Robbins, che vorrebbero
la creazione di una federazione, appunto, delle nazioni democratiche per evitare la
guerra (siamo nel '38): in questo modo per la prima volta si darebbe concretezza al
valore della pace all'interno dello Stato Federale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il dibattito europeista e federalista riprende
nell'ambito dei movimenti di resistenza contro il nazismo e il fascismo, sorti in
particolare in Francia, Olanda, Germania e Italia. La discussione sfocia in modo
concorde nella rivendicazione dell'obiettivo dell'unificazione federale europea. Si
sviluppano anche rapporti comuni preludenti a incontri internazionali come a Ginevra,
a Parigi, a Montreux, che gettano le basi per la nascita del movimento federalista
europeo organizzato su scala continentale.
Il passo più importante è però il Manifesto di Ventotene del '44 di Spinelli e Rossi,
cui si aggiunge Luigi Einaudi, che in più di un articolo aveva condannato la sovranità
assoluta dello Stato moderno e delineato le politiche sociali ed economiche
necessarie al cambiamento auspicato. Spinelli e Rossi peraltro, avevano fondato nel
1943 a Milano il Movimento Federalista Europeo, con annesso l'organo di stampa
"L'Unità Europea". All'interno del movimento troviamo anche alcuni tra i personaggi
firmatari della Carta di Chivasso, uno degli esempi più significativi delle volontà
federaliste, europeiste, nonché di resistenza antifascista.
Sempre nel ‘900
•
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•
(4)
L’idea dell’unità europea si estrinseca nella storia del pensiero politico, come
abbiamo presentato precedentemente, attraverso tre forme teoriche, che
presuppongono a loro volta tre metodi d’attuazione pratica ben distinti tra loro.
1) Abbiamo visto dapprima sorgere l’idea confederale, che è la più partecipata e
condivisa dai pensatori politici fino alla prima metà del Novecento, da Sully a SaintPierre fino a Mazzini e a Coudenhove-Kalergi, forse perché più facile e immediata da
affermare e praticare. Gli Stati nazionali europei devono fondare un’alleanza più o
meno stabile mediante trattati, con organismi istituzionali propri che operano sulla
base di una delega per trovare soluzioni arbitrarie ai conflitti o per risolvere insieme
problemi comuni. Tale alleanza non è sovrana, non è una forma statale superiore, e
può sciogliersi in qualunque momento solo che gli Stati firmatari lo vogliano.
2) Successiva a questa idea è l’idea federalista, derivante cioè dall’applicazione del
modello di Stato federale al problema dell’unificazione europea, che appare già nel
pensiero kantiano, e in quello di Cattaneo e di Seeley, ma che trova la sua
configurazione più propria nelle proposte di Einaudi, Spinelli e Rossi nel Novecento.
3) La terza idea è quella dell’integrazione economica progressiva degli stati europei
in comunità economiche, viste come passaggio obbligato da una situazione di totale
autodeterminazione politica di Stati nazionali muniti di sovranità piena a una
successiva nella quale all’integrazione possa seguire una completa unificazione sul
piano politico e istituzionale.
Sempre nel ‘900
•
(5)
Tra i progetti presentati durante la guerra e la Resistenza, come si è detto, spicca
il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 nell’isola di confino di Ventotene da
Spinelli e Rossi col titolo Per un’Europa libera e unita. Scopo degli autori è di
concorrere alla soluzione del problema massimo dell’epoca, rappresentato dalla
lotta apocalittica degli Stati nazionali europei. L’opera parte dall’assunto che la
“contraddizione essenziale”, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e
degli sfruttamenti che travagliano la nostra società” è “l’esistenza di stati sovrani,
geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri
stati come concorrenti e potenzialmente nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in
una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes”. Ma il nocciolo inedito
del Manifesto consiste nell’affermazione generale, e nelle conseguenze politiche
tratte da essa, secondo cui alla sconfitta dell’avventura nazista seguirebbe un
periodo di instabilità e di cambiamenti senza precedenti nel quale, per la prima
volta fuori dall’utopia dei sogni irenici illuministici, si porrebbe realisticamente “il
problema della definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali
sovrani”.
Sempre nel ‘900
•
•
(6)
Il “federalismo europeo” è concepito come concreto progetto politico rivoluzionario,
che una forza – il MFE – promuove con determinazione tra le masse e le élites che
guidano i paesi democratici vincitori del nazifascismo. Spinelli sottolinea il carattere
non ideologico del progetto, consistente nella “sobria proposta di cerare un potere
democratico europeo”. Ciò comporterebbe la negazione del nazionalismo
imperversante in Europa, il riconoscimento della diversità e della fratellanza delle
esperienze nazionali dei popoli europei e l’abbandono delle assurde ma
apparentemente inevitabili autarchie economiche. La democrazia potrebbe così
ristabilire il suo controllo su quei Leviatani impazziti e scatenati che sono oramai gli
Stati nazionali europei, perché lo stato federale impedirebbe loro di trasformarsi in
mezzi di oppressione. D’altra parte, la logica dello stato federale imporrebbe
strutturalmente agli stati nazionali di evitare in futuro derive centralistiche di tipo
assolutistico o totalitario.
Il “federalismo europeo” si sviluppa nel secondo dopoguerra, come ideologia
autonoma, soprattutto grazie al MFE e al contributo di Altiero Spinelli e Mario Alberini,
mirando all’obiettivo primario e costituzionale della federazione europea proposto da
Jean Monnet negli anni Cinquanta. Quest’ultima strategia, incardinata sulla
costruzione di successive comunità economiche attraverso le quali giungere
gradualmente al fine comune degli Stati Uniti d’Europa, si è rivelato alla lunga quella
preferita dai maggiori statisti che si pongono nell’ottica dell’unificazione europea, da
Robert Schuman a Konrad Adenauer, da Paul Henri Spaak ad Alcide De Gasperi.
Sempre nel ‘900
•
•
(7)
La posizione federalista, secondo cui l’Unione Europea deve essere sancita
originariamente e solennemente da una carta costituzionale, che limiterebbe subito le
sovranità nazionali degli Stati membri e istituirebbe gli organi rappresentativi e di
governo della nuova comunità statale, si rivela impraticabile perché solleva le
resistenze dei poteri statalnazionali europei secolarmente più consolidati nella
concezione della sovranità. I funzionalismi, come Monnet e Schuman credono di
poter aggirare gradualmente lo scoglio ponendo le premesse dell’integrazione
economica, culturale e infine politica, tramite la creazione di organizzazioni
comunitarie e di coordinamento intergovernativo in settori economici strategici, come
la produzione del carbone, dell’acciaio e poi dell’agricoltura e dell’energia atomica. Le
“comunità” così create, nelle loro intenzioni, solleciterebbero con la propria azione il
passaggio a un’unione costituzionale e politica, che è meta sostanziale del processo
unitario europeo sia per i federalisti che per i funzionalisti.
Ai fini dello sviluppo dell’idea dell’unità politica europea, sono via via emersi nodi
tuttora irrisolti concernenti la democrazia effettiva nella vita degli organi comunitari,
diretta sostanzialmente dai governi dei paesi membri e nella quale l’istituzione
parlamentare, pur eletta dai popoli europei, ha scarsi poteri legislativi e non detiene
praticamente il controllo sull’esecutivo.
Sempre nel ‘900
•
(8)
L’esistenza di tali problemi ha messo a nudo i limiti del modello confederale e
funzionale comunitario, che pur ha avuto fortuna, ha stimolato verso l’unificazione, e ha
spinto inequivocabilmente verso la sua ridefinizione in senso statalfederale, facendo
riprendere fiato al discorso costituzionale interrotto nel 1954. Tutto ciò ha portato i paesi
comunitari ad adottare decisioni importanti, culminanti nei trattati di Maastricht e di
Amsterdam che fondano l’attuale Unione Europea.
Si tratta di un percorso non facile e certamente contrastato. Ma è percepibile nell’UE,
accanto al persistere dei tratti confederali tipici della vita tradizionale e all’integrazione
funzionalista, fondata sulla codecisione degli organi intergovernativi, l’affermarsi
graduale di una concreta prospettiva federale. Essa trova i suoi elementi forti nella
creazione della cittadinanza europea, della moneta unica, del Parlamento in quanto
detentore del reale potere legislativo, di un governo responsabile di fronte a esso, di
una politica estera di difesa comune. Si tratta di fattori che, insieme al dibattuto
meccanismo di approvazione a maggioranza delle scelte politiche in sede europea,
potrebbero concretamente porre l’UE all’interno di una imbastitura istituzionale di tipo
federale, con l’obiettivo della fondazione degli Stati Uniti d’Europa. In quest’ottica non
verrebbero abolite le realtà delle nazionalità e degli Stati nazionali, né quelle delle
regioni storiche europee.
“Si risolverebbero in positivo il dilemma della delega di sovranità nei confronti della
nuova entità soprannazionale europea, che assumerebbe finalmente il proprio carattere
di Stato federale, con le articolazioni specifiche di sovranità tra i livelli soprannazionali,
nazionali e infranazionali, e con una rete di poteri costituzionalmente diffusi e bilanciati.”
(C. Malandrino)
Parte II
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
•
Durante la Seconda Guerra Mondiale l'Europa era stata lacerata dalle distruzioni
belliche e dall'Olocausto. L'obiettivo dell'unificazione sarebbe stato la base per una
democrazia solida e per una pace duratura. Il federalismo appariva per alcuni come
la soluzione più adeguata alla crisi degli Stati nazionali. I dieci anni successivi alla
Seconda Guerra Mondiale videro quindi l'Europa muoversi verso l'integrazione con
passi ispirati al metodo confederale e l'istituzione della CECA fu uno dei momenti più
significativi. Al “Congresso d'Europa”furono approvate delle soluzioni nelle quali si
chiedeva un Parlamento, un Carta dei Diritti dell'uomo e una Corte di Giustizia e la
costituzione del Consiglio d'Europa. Il quadro internazionale in cui fu avviata
l'integrazione era però quello del sistema bipolare e della Guerra Fredda. Gli USA
preferivano perseguire, secondo il piano di Roosevelt, un ordine mondiale e la
fondazione dell'ONU escludendo la creazione di un'unione regionale in Europa.
L'Unione Sovietica, dal canto suo, considerava l'Unità Europea come la ricostituzione
del cordone sanitario ai suoi confini e temeva la formazione di un grande Stato
capitalistico. Si formarono così altri due blocchi: quello Occidentale e quello
Orientale.
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
•
•
Dopo il 1948 con il piano Marshall la posizione americana nei confronti
dell'integrazione europea cominciò a mutare. George Marshall propose infatti un
piano che prevedeva la concessione di aiuti per ricostruire un'economia aperta in
Europa. Poco prima dell'OECE (organizzazione per la cooperazione dello sviluppo
economico) era stato firmato un accordo di aiuti militari detto Patto di Bruxelles che
comprendeva Belgio, Francia , Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito. Il carattere
confederale di queste istituzioni fu confermato con il Consiglio d'Europa, la sede
posta a Strasburgo e il suo scopo era quello di conseguire una più stretta unione tra i
41 Paesi per salvaguardare i propri ideali. Il Consiglio era costituito da due Organi:
l'Assemblea Parlamentare e il Comitato dei Ministri.
In seguito all'aumento della tensione est-ovest gli americani si convinsero ad avviare
la ricostituzione politica ed economica della Germania e nel 1949 fu costituita una
Repubblica Federale. La prospettiva della rinascita di una forte Germania non poteva
non suscitare preoccupazioni in Francia; i Francesi o vedevano risorgere la potenza
tedesca, o l'affrontavano con uno scontro perso in partenza. La Francia uscì da
questa situazione grazie a Monnet, che propose al ministro degli Esteri Schouman di
mettere
in
comune
le
risorse
carbo-siderurgiche
dei
due
Paesi.
Con l'adesione della Germania e dell'Italia, il Piano si trasformava nel Trattato di
Parigi, che istituiva la CECA con lo scopo di migliorare le condizioni di vita e di
lavoro. Vi erano embrioni federali come l'Alta Autorità che servivano per rendere gli
organi istituzionali più forti. Ciò ebbe molto successo e sanzionò la riconciliazione tra
Francia e Germania.
(2)
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
•
Lo scoppio della guerra di Corea nel 1950 vide gli Stati Uniti coinvolti nel conflitto
contro la Corea, sostenuta a sua volta dalla Cina. In questo rinato clima di guerra
fredda, il Governo francese, grazie a Monnet, per evitare la rinascita del militarismo
tedesco, inserì contingenti tedeschi in un esercito europeo per la costituzione di una
Comunità Europea di difesa (CED) con la stessa struttura della CECA: questa
soluzione di natura “funzionalistica” posta sotto il controllo di un'autorità comune
cercava di risolvere problemi politici con strumenti tecnici; l'esercito sarebbe divenuto
mercenario, in quanto non controllato dagli Stati Nazionali. Il premier italiano De
Gasperi, secondo le tesi di A. Spinelli, propose di integrare la CED con una più ampia
organizzazione politica. Nel 1952 veniva assegnato quindi all'assemblea della CED il
compito di definire l'organizzazione, basata sulla divisione dei poteri e su un sistema
rappresentativo bicamerale; mentre all'assemblea della CECA spettava il compito di
elaborare un trattato che istituisse una comunità politica europea, compito affidato
per la prima volta ai rappresentanti dei cittadini. Questo progetto fu approvato
all'unanimità dall’Assemblea ad hoc, ma incontrò forti resistenze nel Consiglio dei
ministri della CECA, perciò non fu portato a termine. Inoltre il trattato CED venne
bocciato dall'Assemblea nazionale francese, e con questo cadde anche quello della
comunità politica; rimaneva aperta la questione del riarmo della Germania, che fu poi
risolta con la ricostituzione dell'esercito tedesco.
(3)
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
•
Meno di un anno dopo la caduta della CED il cammino dell'integrazione riprendeva
slancio.Il successo della CECA dimostrava l'utilità di un'integrazione più approfondita
di quella possibile nell'ambito dell'OECE e la possibilità di procedere anche senza la
Gran Bretagna.Il processo comunitario venne rilanciato nel giugno del 1955 con la
conferenza di Messina;e due anni più tardi vennero firmati i due trattati di Roma che
istituirono la Comunità Economica Europea(CEE)e la Comunità Europea per
l'Energia Atomica(EURATOM o CEEA)che però entrarono in vigore il 1° gennaio
1958. Un impulso decisivo per la conclusione del negoziato venne dalla situazione
internazionale. Il fallimento della spedizione anglo-francese a Suez nel novembre
1956 e l'impotenza manifestata dai paesi dell'Europa occidentale di fronte
all'invasione sovietica dell’Ungheria evidenziarono i limiti derivanti dalla divisione
politica e dalla dipendenza economica del continente. Delle due
Comunità,l'EURATOM,che doveva favorire lo sfruttamento pacifico dell'energia
atomica,si rivelò poco vitale a causa della stretta connessione tra l'energia atomica e
la sicurezza militare. In particolare fu la Francia a porre forti resistenze a mettere in
comune un settore di così grande rilevanza strategica. Ben più importante si
dimostrò la CEE,che si proponeva di promuovere uno sviluppo più regolare e
armonioso delle risorse economiche nell'insieme della Comunità,un'espansione
continua ed equilibrata,una stabilità accresciuta,un miglioramento accelerato del
tenore di vita e più strette relazioni degli stati che ad essa partecipavano.
(4)
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
•
•
L'integrazione economica veniva giudicata irreversibile in quanto i Trattati di Roma
avevano una durata illimitata. In un periodo transitorio di dodici anni,si doveva
conseguire la progressiva riduzione dei dazi doganali,fino alla loro eliminazione e
l'abolizione dei contingentamenti,cioè la realizzazione di libero scambio per i prodotti
industriali e agricoli. Si dovevano stabilire comuni dazi doganali verso le merci
provenienti da paesi terzi,realizzando così anche l'Unione Doganale che venne
portata a termine il 1° luglio 1968. Inoltre era prevista la costituzione del mercato
comune,cioè la libera circolazione dei fattori di produzione,i lavoratori,i capitali e i
servizi. Infine si voleva realizzare una più stretta integrazione economica attraverso
l'attuazione di politiche comuni in una serie di settori. Infatti il mercato liberoscambista avrebbe avvantaggiato quelli più forti a scapito di quelli più
deboli,accentuando le disparità. Gli strumenti di intervento previsti erano la Banca
Europea con lo scopo di finanziare progetti di valorizzazione delle zone depresse e il
Fondo Sociale Europeo,con lo scopo di finanziare progetti per promuovere
l'occupazione. Nel 1962 venne istituito il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia.
Nel 1965 la Comunità varò una nuova politica sociale con l'istituzione del Fondo
Europeo di Sviluppo Regionale.
Le nuove comunità vedevano rafforzata, rispetto alla CECA, l'impostazione
confederale con la concentrazione dei poteri legislativi ed esecutivi nel Consiglio dei
Ministri. La reazione dell'Unione Sovietica alla nascita della comunità europea fu
negativa, perché vide un rafforzamento del blocco capitalista e un pericolo per i
propri interessi.
(5)
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
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Nel 1957 si diffuse un documento secondo cui l'integrazione aveva uno scopo
aggressivo. La CEE sarebbe andata incontro a un fallimento a causa delle sue
contraddizioni interne e avrebbe provocato un abbassamento del tenore di vita degli
stessi lavoratori occidentali; ma nel 1962 i Sovietici rendevano pubblico un
documento dove ammettevano la realtà della CE (dopo averne constatato i
successi).
Tra il 1958 e il 1968 i grandi progressi dell'integrazione economica dimostrarono
come l'unificazione fosse l'unica risposta efficace alla crisi dello stato nazionale. Tra il
1958, anno dell'entrata in vigore dei trattati di Roma, e il 1970, inizio della crisi
economica internazionale, la CE diventava la prima potenza commerciale del mondo.
Lo sviluppo sempre meno controllato delle politiche economiche nazionali fu
abbandonato al libero gioco del mercato europeo. Le conseguenze negative di tale
modello liberistico di sviluppo furono l'accentuazione del divario tra le aree sviluppate
e quelle povere, la conseguente migrazione dalle seconde verso la prima, la
congestione urbana intorno ai grandi poli industriali. L'Inghilterra, inizialmente
autoesclusa dai trattati di Parigi e Roma, decise di avanzare la candidatura per
l'adesione alla Comunità. Le trattative con la Gran Bretagna si rivelarono difficili:l'isola
pretendeva la salvaguardia dei propri legami con il Commonwealth e con l'EFTA, e
almeno un decennio per adeguarsi alla politica agricola comune, mentre i Sei erano
disposti a concederle un anno. La cessione dei missili nucleari pregiudicò
definitivamente la candidatura britannica. Nel 1967 ci fu il secondo veto gollista
all'ingresso della Gran Bretagna nella Comunità.
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L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
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Negli anni settanta, con la crisi del bipolarismo, si entrò in una fase di recessione
contraddistinta da instabilità monetaria, inflazione, aumento della disoccupazione,
indebitamento pubblico. Tutto nacque dall'indebolimento dell'economia americana:
nel 1971 il governo di Washington decise di abolire la convertibilità del dollaro in oro,
aprendo la strada alla fluttuazione dei cambi. In Europa questo significò
l'accentuamento dei diversi livelli di sviluppo tra aree forti e aree deboli., e l'unione
doganale non bastava a sfruttare i vantaggi del mercato unico. Non era possibile
inoltre liberalizzare completamente gli scambi per via delle diversità dei sistemi
fiscali, della divergenza, delle politiche economiche, della burocrazia.
In ogni caso la CEE riuscì, se pur con fatica, a uscire dalla crisi: il vertice dell'Aia del
1969, promosso dal Presidente Francese Pompidou, fissò le tre direttrici principali
dello sviluppo della Comunità: completamento del mercato comune attraverso la
sostituzione dei contributi statali con risorse proprie nel finanziamento della CEE, una
maggiore integrazione attraverso l'unione economica e monetaria, e l'allargamento ai
paesi che avevano presentato domande. I ministri degli Esteri ricevettero l'incarico di
studiare il modo migliore per progredire nell'unificazione politica. Con l'Europa a
nove, il continente europeo sembrava voler diventare una terza superpotenza, ma se
l'economia migliorava, così non fu per l'unione politica. Inoltre l'UEM fallì
miseramente senza riuscire a sottrarre le valute europee all'arco di influenza del
dollaro statunitense. Fu allora varato il “Piano Werner” che permetteva l'oscillazione
delle monete europee sul dollaro; tuttavia questo piano non era abbastanza
ambizioso da prevedere modificazioni istituzionali per consentire una miglior
collaborazione.
(7)
L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
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Nel 1973 si istituì il Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria, che però non fu in
grado di bloccare l'implosione: in seguito a ciò Gran Bretagna, Irlanda, Italia e
Francia uscirono dal così detto “serpente monetario”, nel giro di un anno, causando
dunque la caduta delle altre monete europee sotto la sfera di influenza del marco
Tedesco. Le divise cominciarono e oscillare liberamente nei confronti del dollaro, e a
tutto questo si aggiunse la crisi petrolifera; gli Stati europei cercarono dunque di
riequilibrare i conti interni, a svalutare la propria moneta per restare competitivi, a
reimporre vincoli sulla libera circolazione dei capitali, causando un generale
arretramento dell'economia. Si arrivò persino a proporre di istituzionalizzare le
differenze fra paesi forti e deboli. A Parigi nel '74 si decise per l'anno successivo la
Costituzione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e si stabilì di creare il
consiglio europeo che facesse collaborare i vertici degli stati membri, e di istituire la
elezione diretta dei membri del Parlamento Europeo. In questo modo si permetteva
per la prima volta all'opinione pubblica di partecipare alla Costruzione dell'Europa. Fu
istituito lo SME ('79) per regolare i rapporti di cambio fra le monete, unitamente
all'ECU, una valuta puramente formale che serviva per calcolare i prezzi dei beni in
maniera equa per tutti i paesi membri. I cambi delle valute nei confronti dell'ECU
potevano oscillare tra il più o meno 2,5 % a eccezione della lira italiana posta al più o
meno 6 % in ragione dell'elevato tasso dell'inflazione. In questo modo i cambi si
stabilizzarono e il commercio inter-europeo ne guadagnò, ma non si decise ancora di
adottare una moneta unica.
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L'unificazione europea – Il percorso storico (1945-2000)
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Negli anni Ottanta furono chiari e molteplici i problemi che la nascente “Europa”
dovette affrontare legati al rapporto con le superpotenze, alla scarsità di fondi e alla
presenza, ancora, di vari nazionalismi.
Fu affrontato per primo il problema istituzionale e progettato il Trattato di Unione
Europea che configurava la rifondazione delle Tre Comunità in una struttura unica e
coerente che avrebbe preso il nome di Unione Europea.
A questo progetto furono favorevoli solo i sei Paesi fondatori e l’Irlanda, perciò venne
abbandonato.
Nel 1987 fu varato l’Atto Unico Europeo, una riforma parziale che riuniva le norme
che regolavano la cooperazione politica fra i dodici Paesi membri nell’ambito della
politica estera e della sicurezza. Tuttavia, la voce “internazionale” dell’Unione
rimaneva ancora debole perché le procedure intergovernative erano inefficaci.
L’AUE, in un secondo momento, cercò di realizzare un mercato unico con la libera
circolazione di merci, ma la mancanza di un’unione monetaria e il permanere di
“dodici” politiche economico-monetarie nazionali, non sempre convergenti, furono un
ostacolo grave.
In conclusione, l’AUE fu ricco di elementi innovativi e, nonostante i suoi limiti, fu la
premessa capace di imprimere un nuovo slancio al processo di unificazione.
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Gli anni Novanta sono stati un decennio di grandi trasformazioni caratterizzato dalla
riforma più importante mai realizzata nel processo di integrazione (il Trattato di
Maastricht), dalla fine dei regimi comunisti e della Guerra Fredda, dalla realizzazione
della moneta unica, dall’ulteriore allargamento della CEE, dal Trattato di Amsterdam,
dalla via dei negoziati per l’allargamento ai nuovi tredici Paesi candidati; ma anche
dalla crisi economica, dal disordine monetario, dall’aumento della disoccupazione,
dall’instabilità e da nuove crisi internazionali.
Fu così incaricato un comitato, presieduto da Delors, presidente della Commissione,
di elaborare un progetto. Il Rapporto Delors (aprile 1989)chiarì la necessità di
realizzare la moneta unica per sottrarre il mercato unico europeo alle fluttuazioni
monetarie, per affrontare in maniera risolutiva gli squilibri territoriali, per mettere in
grado l’Europa di confrontarsi con l’economie avanzate e con quelle emergenti,
soprattutto del Sud-Est asiatico, in un mondo sempre più aperto e competitivo. Il
rapporto propose una graduale realizzazione dell’UEM in tre fasi e rappresentò il
documento di riferimento dei lavori della conferenza intergovernativa che elaborò il
progetto definitivo, codificato nel Trattato di Maastricht. Il Rapporto Delors venne
discusso al Consiglio Europeo di Madrid del giugno 1989, che si svolse in un clima
particolarmente ottimistico grazie alla favorevole evoluzione delle relazioni
internazionali e della congiuntura economica
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Caduto il sistema bipolare, appariva evidente che la CEE era chiamata a contribuire
al mantenimento della pace e della stabilità e a favorire lo sviluppo nell’area degli ex
Paesi comunisti attraverso gli aiuti economici, la creazione di un efficace sistema di
sicurezza e la prospettiva di una loro adesione. A questo fine occorreva imboccare
decisamente la strada verso l’unione politica e la realizzazione di una comune
politica estera e di sicurezza, dotandosi degli strumenti istituzionali adeguati.
Caduto il muro di Berlino, la riunificazione tedesca diventava un obiettivo concreto e
si realizzava rapidamente. La fine della Guerra Fredda permetteva alla Germania
riunificata di riproporsi come cerniera fra Est e Ovest, alternando i delicati equilibri
politici soprattutto con la Francia che si vedeva sfuggire il ruolo di interlocutore
europeo. L’alternativa era fra la ricaduta nella spirale dei nazionalismi o un nuovo e
decisivo slancio dell’unificazione politica. La Francia e la Germania si trovarono a
convergere sulla seconda: la prima confermò la scelta europeista di Schuman e il
desiderio di rafforzare l’unione politica; la seconda confermò la scelta di Adenauer e
optò per il rafforzamento dell’integrazione europea.
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Il 7 febbraio 1992 a Maastricht venne firmato il Trattato che istituiva l’Unione
Europea. Tale trattato era il frutto del compromesso fra le prospettive federalesovrannazionale, funzionalista-comunitaria e confederale-intergovernativa che
avevano caratterizzato tutto il processo di integrazione, quindi fra le posizioni di
coloro che avrebbero preferito che l’Unione si fosse realizzata per estensione delle
competenze comunitarie e quelle di coloro che invece vollero che l’unione politica si
sviluppasse al di fuori della cornice istituzionale comunitaria.
Il trattato entrato in vigore il 1° novembre 1993 introduceva alcune innovazioni
riguardanti l’istituzione della cittadinanza europea, il potere di codecisione
riconosciuto al Parlamento, il rapporto di fiducia tra quest’ultimo e la commissione,
l’allargamento delle competenze a nuovi settori.
Il progetto dell’Unione monetaria legato ad esso fu avviato da undici Paesi, fra cui
l’Italia, e fu intrapreso grazie ad una dura politica di rigore economico.
Nel 1995 entrarono nell’Unione Austria, Finlandia e Svezia, e nel 2000 furono
intrapresi negoziati per l’adesione di ben 13 stati dell’Europa centro-orientale.
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Nel frattempo nel maggio 1998 entrava in vigore il trattato di Amsterdam che si
prefiggeva quattro obiettivi principali: garantire l’occupazione e rafforzare la tutela dei
diritti dei cittadini, eliminare gli ultimi ostacoli alla libertà di circolazione e rafforzare la
sicurezza; permettere all’Europa di esercitare una maggiore influenza sul piano
internazionale; rendere più efficace la struttura istituzionale dell’Unione in vista dei
futuri ampliamenti. Era prevista l’integrazione del sistema di Schengen per sopprimere
i controlli fisici sulle persone in occasione dell’attraversamento delle frontiere interne.
Fu resa più efficiente la PESC; e per la parte istituzionale il trattato generalizzava la
procedura di codecisione riservando quella di cooperazione all’UEM.
Il processo di costruzione ed integrazione europea fin qui analizzato ne evidenzia
l’importanza storica e mette in luce la riconciliazione franco-tedesca dopo secoli di
lotte come Schuman aveva dichiarato ed auspicato nel lontano 1950. Tale processo
ha consolidato la democrazia politica degli Stati europei mediterranei dove le strutture
liberal-democratiche erano più fragili; ha allargato l’area del consenso e per i Paesi
dell’Est europeo ha rappresentato un modello politico-economico di stabilità e
progresso. L’Unione europea è diventata un punto di riferimento anche per le Nazioni
del Terzo mondo che si sono associate con la Convenzione di Lomé.
L’unificazione dell’Europa non è ancora conclusa (soprattutto dopo i “no” della Francia
e dell’Olanda alla Costituzione europea, il suo percorso non sarà piano); come recita il
titolo di un libro di Spinelli “L’Europa non cade dal cielo”, gli Stati Uniti d’Europa sono
un progetto politico che richiede il consenso dei cittadini ed il loro impegno per la sua
realizzazione: la sovranità appartiene al popolo.
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Dizionario Unione Europea - Istituto Superiore "Lagrangia", Vercelli