Area di progetto
Anno scolastico 1999 - 2000
Classi: 2^P – 2^ I
Il lavoro è stato svolto sotto al guida della
Prof. Galdi Biondina
Diffusione della cultura
della differenziazione
dei rifiuti
Lavoro realizzato da:
Vaiano Fabio
D’Antonio Francesco
classe 2^ P
Di cosa parliamo?
La maggioranza delle persone oggi mal usa la parola “rifiuto”.
Infatti qualsiasi cosa scartata o non bene accetta è considerata
un rifiuto. Ma si conosce il vero significato d rifiuto?
Giuridicamente la corretta definizione di “rifiuto” è contenuta
nel Decreto Legislativo n° 22 del Febbraio 1997, più
comunemente detto, decreto Ronchi. Infatti in esso si legge:
“…dicasi rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle
categoria elencate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o
abbia l’obbligo di disfarsi”. Nell’allegato A – riportato in
seguito - ci sono 16 categoria di sostanze od oggetti che solo
qualora sussista l’obbligo o la volontà di disfarsene sono detti
rifiuti.
Le diverse definizioni normative di
rifiuto
• 1975 (Direttiva CEE 442 ): “Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’obbligo di disfarsi”
• 1982 (DPR 915): “Qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali
abbandonato o destinato all’abbandono”
•1991 (Direttiva CEE 156): “Qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate
nell’allegato 1 alla direttiva 91/156 CEE e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi”
•1980 ( Regolamento di applicazione n.3 del gennaio 1982 della L. regione Lombardia) : “Quei
materiali, non riassorbiti nel ciclo produttivo originario o in altre attività produttive svolte nello stesso
insediamento”
•1996 (Recycling and Waste Management Act del 7 ott.): “Qualsiasi sostanza abbia origine da
un’attività produttiva senza che tale generazione costituisse l’intento originale del processo”
•
1997 (D.Lgs 22 feb. 1997 n. 22, Ronchi): “Qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle
categorie riportare nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi”
Gestione dei rifiuti
Principi fondamentali del decreto lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997
Decreto Ronchi
Principi generali
La gestione dei rifiuti rappresenta attività di pubblico interesse ed è disciplinata dal presente decreto al fine di assicurare un’elevata protezione
dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi.
I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti, metodi che potrebbero recare
pregiudizio per l’ambiente.
La gestione dei rifiuti si conforma ai principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella
distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e Comunitario
Prevenzione della produzione
Le autorità competenti adottano ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la
riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti.
Recupero
Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti.
Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero ( recupero di
energia).
Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero, le autorità competenti e i produttori promuovono analisi dei
cicli dei prodotti, ecobilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili.
Smaltimento
Lo smaltimento finale dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti.
I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio
e di recupero.
Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso a una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle migliori
tecnologie a disposizione, che non comportino costi eccessivi.
E’ RIFIUTO qualsiasi sostanza od oggetto presente in allegato
Articolo 6, comma 1a
ALLEGATO A
Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati
Q2:
Prodotti fuori norma
Q3:
Prodotti scaduti
Q4:
Sostanze accidentalmente riservate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti materiali, le
attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente
Q5:
Sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività volontarie (ad esempio residui di operazioni di pulizia,
materiali da imballaggio, contenitori, ecc.)
Q6:
Elementi inutilizzabili ( ad esempio batterie fuori uso, catalizzatori esausti, ecc.)
Q7:
Sostanze divenute inadatte all’impiego (ad esempio acidi contaminati, solventi contaminati, sa di rinverdimento
esauriti, ecc.)
Q8:
Residui di processi industriali ( ad esempio scorie, residui di distillazione, ecc.)
Q9:
Residui di processi antinquinamento (ad esempio fanghi di lavaggio di gas, polveri di filtri dell’aria, filtri usati, ecc.)
Q10:
Residui di lavorazione/sagomatura (ad esempio trucioli di tornitura o di fresatura, ecc.)
Q11:
Residui provenienti dall’estrazione e dalla preparazione delle materie prime (ad esempio residui provenienti dalle
attività minerarie o petrolifere, ecc.)
Q12:
Sostanze contaminate (ad esempio olio contaminato da PCB, ecc.)
Q13:
Qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata.
Q14:
Prodotti di cui il detentore non si serve più (ad esempio articoli messi tra gli scarti dell’agricoltura, dalle famiglie,
dagli uffici, ecc.)
Q15:
Materie, sostanze o prodotti contaminati provenienti da attività di riattamento di terreni.
Q16:
Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate.
Q1:
di cui il detentore produttore di rifiuti o persona fisica che li detiene (art. 6, comma 1 c )
Si disfi
Abbia deciso di disfarsi
Abbia l’obbligo di disfarsi
Le sostanze escluse dal D.lgs. 22/97 e successive modifiche e integrazioni
ESCLUSIONI
Emissioni in atmosfera
DISCIPLINATI da:
DPR 203/88
Rifiuti radioattivi
D.Lgs 230/95
Rifiuti risultanti dalla prospezione, estrazione,
trattamento, ammasso di risorse minerarie o
dallo sfruttamento delle cave;
DPR 128/59
E
RD 1443/27
Carogne (carcasse di animali)
I seguenti rifiuti agricoli: materie fecali a ed altre
sostanze non pericolose utilizzate nell’attività agricola
ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati
nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi
rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia
dei prodotti vegetali eduli.
Le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato
liquido
I materiali esplosivi in disuso
L.748/84
D.Lgs 152/99
RD 773/31
RD 635/40
EMERGENZA RIFIUTI
Il problema dello smaltimento dei rifiuti da un po’ di anni, in Italia e non solo,
costituisce una emergenza.
Qualche numero per capire l’importanza del problema: ogni anno si produce
sulla Terra un miliardo di tonnellate di rifiuti urbani. Circa 26 milioni di
tonnellate solo in Italia, con una crescita di circa il 3% ogni anno. All’inizio del
secolo si produceva quotidianamente 200 g di rifiuti pro capite, oggi si sfiora il
chilo con una grande incidenza di carta e plastica. Insomma, siamo invasi dai
rifiuti. Tra le tante soluzioni proposte al problema c’è quella della riutilizzazione
dei rifiuti attraverso il riciclaggio. Come ha detto il Ministro dell’Ambiente, Edo
Ronchi, inaugurando la manifestazione di Rimini “Ricicla ‘99”: ”Riciclare non
può essere un hobby degli ecologisti, ma deve diventare una parte essenziale di
una forte strategia industriale perché chi non ricicla rischia di andare fuori
mercato”. Premessa indispensabile per il riciclaggio è la raccolta differenziata.
L’Italia sta migliorando ma è ancora piuttosto indietro: l’obbiettivo del 15%
fissato dal Decreto Ronchi, è stato raggiunto solo dal 25% dei comuni italiani.
Le tappe fondamentali
Già nel lontano 18/9/1989 la Comunità Europea ha cominciato ad interessarsi del problema della riduzione alla
fonte di consumo di risorse naturali e a promuovere il recupero dei rifiuti. Nella sua “Strategia Comunitaria per la
gestione dei rifiuti” raccomandava ai Paesi membri di predisporre degli interventi secondo il seguente ordine di
priorità:

PREVENZIONE;

RIVALORIZZAZIONE dei rifiuti attraverso il RECUPERO dei materiali o di energia; USO e RIUSO;

SMALTIMENTO OTTIMALE, cioè nella maniera più possibile compatibile con l’ambiente.
LA PREVENZIONE si attua intervenendo:

Sul progetto dei prodotti:
1.
Per ridurre la quantità di materiali pericolosi;
2.
Per allungarne la vita ( facilitandone la riparazione o l’adeguamento ai processi tecnologici);
3.
Per facilitarne il riciclo o lo smaltimento;


Sui metodi di produzione (tecnologie pulite);
Sui comportamenti dell’utenza.
IL RECUPERO di materiali ed energia si attua intervenendo:

Sulla raccolta;

Sulle tecnologie;

Sul mercato del recuperato.
Si può ridurre l’impatto ambientale dello SMALTIMENTO intervenendo:

Sulle caratteristiche dei rifiuti (in fase di progetto e produzione);

Sulla raccolta;

Sulle tecnologie.
Dalla culla alla tomba
La soluzione dei problemi di carattere ambientale legati ai rifiuti non è più quindi connessa solo allo smaltimento dei
prodotti e quindi non riguarda più solo la fase finale di dismissione di un prodotto bensì deve tener conto dell’intera
vita dei prodotti, dalla fase di progettazione a quella di produzione, di distribuzione, di uso e infine di smaltimento
ottimale: la produzione di un prodotto va analizzata dalla culla alla tomba !
Attualmente si deve passare dal concetto di SMALTIMENTO a quello di GESTIONE SOSTENIBILE dei
RIFIUTI.
da
SMALTIMENTO
Si preoccupa
prevalentemente della
salvaguardia della
salute umana
GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI
Si occupa di:
Non causare inquinamento o danno alla salute umana nel
a
presente;
Non compromettere le scelte di gestione dei rifiuti a
disposizione delle generazioni future;
Non caricare le generazioni future di problemi di gestione
dei rifiuti prodotti dalla generazione attuale.
UNA GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI:

- Per essere possibile deve approssimare i sistemi naturali che sono ciclici; i sistemi di produzione industriale
sono
invece per lo più lineari, quindi devono essere modificati per somigliare ai naturali.

- Non deve essere un sistema a sé stante ma deve essere una parte di una GESTIONE SOSTENIBILE delle
RISORSE.
Gestione integrata dei rifiuti
E’ corretto parlare oggi di una GESTIONE INTEGRATA dei RIFIUTI ( Integrated
Waste Management, IWM) che è un sistema che prende in considerazione tutte le opzioni
tecnologiche a disposizione, cioè:
 
il Riutilizzo;
 
il Recupero del materiale;
 
il Trattamento biologico ( compostaggio, biogassificazione);
 
il Trattamento termico (combustione, pirolisi, gassificazione);
 
la Discarica.
e che risponde con contemporaneamente ai requisiti di sostenibilità ambientale ed
economica ( quindi, in altre parole, poco impatto ambientale a costi non rilevanti). Tutte
queste modificazioni in Italia sono state recepite dal D.Lgs n.22 5 feb. 1997, noto come
Decreto Ronchi.
La
prevenzione
Life Cycle Assessment
( analisi del ciclo di vita dei prodotti)
Uno strumento fondamentale di prevenzione, e, quindi, di diffusione di una corretta
gestione dei rifiuti, è l’analisi del ciclo di vita dei prodotti ( Life Cycle Assessment,
LCA).
Secondo la definizione stabilita nel 1991 dalla SETAC ( Society of Enviromental
Toxicology and Chemistry) è “uno strumento atto a valutare: carichi ambientali associati
ad un prodotto, processo o attività attraverso l’identificazione e la quantificazione
dell’energia, dei materiali usati e dei residui rilasciati dall’ambiente, includendo l’intero
ciclo di vita del prodotto, processo attività (estrazione e trattamento delle materie prime,
fabbricazione, trasporto e distribuzione, uso, riuso, manutenzione, riciclo e smaltimento
finale)”.
Detto in altri termini, occorre considerare l’impatto ambientale del prodotto lungo tutto il
suo processo di vita: è quindi sia strumento di progettazione ambientale consapevole di un
prodotto, sia uno strumento di smaltimento razionale dei rifiuti, in quanto mira a
valorizzare i materiali recuperabili in “materie seconde”.
Analisi del ciclo di vita
-procedura di LCA –
Materie
Acqua
Acquisizione materie prime
Emissioni atmosferiche
Manifatture
Emissioni idriche
Riciclo, Smaltimento
Rifiuti solidi
Uso/Riuso
Co-prodotti
Energia
Manutenzione
Altri rilasci o effetti
Confini di sistema
Life cycle Assessment
In particolare nelle varie fasi di una procedura di LCA, occorre:
Fase 1- acquisizione materie prime:
Minimizzare la presenza di sostanze tossiche;
·
Incorporare materiali riciclati/riciclabili nel
prodotto;
·
Ridurre la quantità di materiali utilizzati.
Fase 2- manifattura:
·
Ridurre la quantità di rifiuto;
·
Ridurre l’uso di energia;
·
Ridurre l’uso di sostanze tossiche;.
Fase 3- uso:
·
Aumentare l’efficienza energetica;
·
Ridurre le emissioni e i rifiuti;
·
Minimizzare il packanging;





la
Fase 4 – riciclo / riuso:
Incorporare materiale riciclato;
Facilitare il dissemblaggio;
Ridurre le tipologie di materiali;
Marchiare le parti ;
Semplificare le architetture del prodotto;
Standardizzare le tipologie di materiale.
Fase 5 - manutenzione:
Progettare componenti riutilizzabili;
Rendere le parti del prodotto accessibili per
sostituzione;


Fase 6 - smaltimento:
Agevolare il dissemblaggio;
Agevolare il riclaggio.
In definitiva l’adozione della LCA costringe le aziende ad intraprendere azioni, che hanno
delle ripercussioni interne ed esterne all’impresa, che non sono consuete:
USI INTERNI:

Definire le strategie ambiente;

Progettare in modo compatibile con l’ambiente e migliorare i prodotti o i processi;

Individuare azioni per ridurre la “pressione ambientale” da parte dell’azienda;

Fornire indicazioni al management per mettere a punto procedure.
USI ESTERNI:

Migliorare la propria immagine sul mercato (anche attraverso l’etichettatura);

Valutare contestazioni da parte di altri produttori.
D’altra parte, se le aziende si dimostrano sensibili a queste tematiche, anche le Istituzioni
non possono non rispondere in maniera conforme :



Diffondendole informazioni;
Adattando una politica ambientale;
Formulando e sviluppando procedure specifiche.
Altri strumenti validi di prevenzione, peraltro connessi al primo,
sono gli orientamenti contenuti nei due regolamenti Comunitari
approvati dall’UE :
Regolamento Comunitario 880/92  ECOLABEL;
Regolamento Comunitario 1836/93  ECOAUDIT.
Recepiti in Italia con il d.m. 413/95 (poiché Ecolabel è stabilita
da un Regolamento Comunitario non ha bisogno di atti di
recepimento da parte delle legislazioni nazionali dei vari Paesi
membri. L’unico atto richiesto è la nomina, da parte di ciascun
Stato membro, di un Organismo Competente, O.C., che si renda
responsabile del rilascio dell’Ecolabel sia sul territorio nazionale
che nei confronti dell’UE).
L’ecolabel
ECOLABEL è una etichetta ecologica per i beni di largo consumo. Con la sua adozione la Comunità
europea si propone di:

Promuovere/incentivare la presenza sul mercato di prodotti a ridotto impatto ambientale ;

Regolamentare il numero crescente di etichette ecologiche presenti sul mercato internazionale.
Caratteristiche:
• * Ha carattere volontario;
 * Ha lo scopo di promuovere la produzione di prodotti a minore impatto ambientale e fornire
maggiori
•
informazioni ai consumatori
 * La concessione dell’Ecolabel non è prevista per prodotti alimentari e farmaceutici;
 * Può essere applicata su prodotti destinati al consumatore finale e non su prodotti intermedi;
 Ecolabel è rilasciata dall’Organismo Competente dello Stato in cui il bene è prodotto e
commercializzato la prima volta;
 I criteri in base ai quali un prodotto può essere definito ecologico e quindi meritevole di una
Ecolabel vengono stabiliti da una Commissione formata da rappresentati dell’industria, commercio,
consumatori, ambientalisti, sindacati.
L’Organismo Competente italiano si è costituito nel 1995 con il D.P.R. 413/95 presso il Ministero
dell’Ambiente ed è costituito da un Comitato composto da 12 membri (4 designati dal Ministero
dell’Ambiente, 4 dal Ministero dell’Industria, 1 dal Ministero del Tesoro, 1 dal Ministro della Sanità,
Il regolamento EMAS
Regolamento EMAS 1836/93: delinea un modo di produrre e gestire l’azienda finalizzata al miglioramento
delle condizioni ambientali.
Le aziende che chiedono di aderire al Reg. EMAS, di rispettarne le procedure, i principi e acquisire così il diritto di
iscrivere il loro sito produttivo nell’apposito registro europeo, devono garantire l’attuazione di 5 compiti:
1.
Analisi ambientale iniziale;
2.
Programma ambientale (obiettivi, principi di azione – politica ambientale aziendale);
3.
Sistema di gestione ambientale – struttura organizzativa, responsabilità, prassi, procedure, risorse per attuare
il programma ambientale;
4.
Attività di auditing (verifica che il sistema di gestione ambientale sia reso operativo in modo corretto);
5.
Dichiarazione ambientale (descrizione attività produttive, incidenze che esse hanno sull’ambiente, risultati
ottenuti dall’impresa per un minore impatto ambientale, enunciazione degli obiettivi di miglioramento conseguibili
con programmi futuri).
U
Un’impresa viene riconosciuta ambientalmente corretta nei suoi sistemi di produzione da un Organismo
Nazionale Competente che dopo “l’Accreditamento e il controllo dei verificatori ambientali” istituisce il
“Procedimento per la Registrazione del Sito”.
L’EMAS è operativo i Europa dall’aprile 1995 e attualmente più di 1000 siti sono inseriti nel registro europeo.
In Italia l’Organismo Nazionale Competente si è insediato solo nel febbraio 1997, ma, nonostante questo ritardo,
molte imprese italiane sono interessate a registrare i loro siti, ciò non solo per motivazioni ambientali ma anche per
ragioni di mercato e competitività industriale.
Importanza dell’Ecolabel e
del regolamento EMAS
La richiesta da parte delle aziende di ottenere l’Ecolabel e di aderire al regolamento EMA spinge i
produttori a valorizzare i prodotti dismessi e a controllare che i propri sistemi produttivi siano gestiti in
modo compatibile con l’ambiente.
In particolare l’obiettivo del “prodotto non rifiuto” (emissione zero) va ricercato attraverso la
definizione, fin dalla fase progettuale, della sua smontabilità, riciclabilità e riduzione dell’impatto
ambientale LCA. Infatti particolare attenzione è dedicata alla fase dello smaltimento, all’utilizzo del
materiale riciclato, alla predisposizione del prodotto ad un facile recupero di materiali a fine vita.
Un’impresa viene considerata a gestione ambientale corretta se promuove l’uso di materiali riciclati e
se facilita il recupero dei prodotti durante lo smaltimento (campagna italiana rottamazione).
Ad esempio:

Le cartarie possono essere considerate a gestione ambientale corretta se usano carta da macero
per produrre carta per uso igienico o domestico;

Le industrie di elettrodomestici (lavatrici, lavastoviglie…) possono aderire all’EMAS se tra le
altre cose, marchiano i componenti in plastica secondo la loro tipologia (ciò agevola la selezione dei
materiali plastici quando l’elettrodomestico è dismesso ) (campagna rottamazione elettrodomestici)
Per i prodotti per i quali si richiede l’Ecolabel, grande attenzione è dedicata all’imballaggio: la
scatola deve essere proporzionata in maniera ottimale con il contenuto, e deve essere prodotta con
materiale ad alto contenuto di materiale riciclato.
Il recupero
Flussi prioritari di rifiuti
La Commissione CEE nel 1991 sempre nell’ambito della Strategia Comunitaria per la
gestione dei rifiuti ha individuato alcune categorie di rifiuti di particolare interesse vuoi per
la loro quantità ma anche per la loro pericolosità e difficoltà di gestione (strategia dei flussi
prioritari di rifiuti).
Ovviamente questa strategia coinvolge le imprese produttrici di beni soggetti a rifiuti di
interesse. Queste imprese sono, quindi, quelle che più di altre dovrebbero essere interessate
ad adottare procedure LCA e di conseguenza richiedere etichette Ecolabel e ad informarsi al
regolamento EMAS.
IIn Italia il Decreto Ronchi (D.Lgs n.22 5 feb. 1997 “attuazione delle direttive 91/156/CEE
sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggi”) recepisce queste direttive europee. Rifiuti di interesse prioritario sono:
 pneumatici usati di autoveicoli
 veicoli a fine di vita
 solventi clorurati
 rifiuti ospedalieri
 rifiuti da demolizioni e costruzioni
 rifiuti da dispositivi elettrici ed elettronici.
Emergenza rifiuti
La situazione in Italia
Il sistema di governo italiano del settore dei rifiuti si trova in una fase critica.
Dopo aver accumulato ritardi molto consistenti nel recepire gli indirizzi e le
direttive della Commissione europea, nel 1997 è stata emanata una legge molto
complessa, il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio ‘97, che ha l’ambizione di
un riordino definitivo della materia. A più di tre anni di distanza tuttavia, siamo
ancora lontani da una piena attuazione perché il decreto prevede una numerosa
serie di decreti attuativi (ben 45) che sono stati predisposti solo in piccola parte.
Il meccanismo di entrata in vigore del decreto stesso rende effettivamente incerta
la sua effettiva attuazione a causa della mancata promulgazione del regolamento
(v.art.57, comma 2) che deve individuare gli atti normativi incompatibili e ne
sancisca l’abrogazione.
Inoltre, nel campo delle definizioni, della classificazione, del monitoraggio, della
pianificazione, dell’informazione sullo stato di attuazione, sulle condizioni di
autorizzazione, l’Italia si trova tuttora in forte difformità rispetto ala normativa
comunitaria e spesso la conformità esistente risulta aver soltanto natura
enunciativa, senza una trasposizione reale nella prassi di governo.
Diffusione della
cultura della
differenziazione dei
rifiuti: riciclaggio
di pile e batterie
esauste
Lavoro svolto da:
Todisco Fabrizio classe 2^I
Pila o batteria?
I termini pila e batteria
sono indifferentemente
usati nel linguaggio comune per
indicare generatori elettrochimici
di energia. Vediamo, invece,
quale é la grande differenza che
sussiste tra le due.
La pila
La pila non è ricaricabile
e, pertanto, puo' essere
utilizzata una volta sola. Infatti, è
costituita da un singolo circuito
elettrochimico in cui la corrente
elettrica prodotta si muove da un
elettrodo all'altro, verso una sola
direzione.
Tipi di pile
pile a torcia: forniscono energia a piccoli
apparecchi domestici (sveglie, telecomandi,
giocattoli, apparecchi musicali, radio etc.);

pile a bottone: forniscono energia a orologi,
macchine fotografiche, piccoli calcolatori tascabili;

altre tipologie.
La batteria
La batteria, o accumulatore, è
ricaricabile ed è costituita da una
serie di accumulatori attraverso i quali
la corrente elettrica prodotta si muove
prima in una direzione, poi, con il
processo di ricarica, in senso
contrario. Attraverso numerosi cicli di
lavoro, dunque, la batteria fornisce
elettricita'. I processi di scarica e
ricarica non sono infiniti e, alla fine,
anche la batteria cessa di svolgere la
sua funzione d'uso.
Contenitore monoblocco (1)
La piastra positiva (2)
Si ottiene spalmando su un supporto reticolare
(griglia) la materia attiva, detta anche pasta o
massa. Questa è il derivato di un amalgama
composto da ossido di piombo in polvere,
acido solforico, acqua ed altri additivi inorganici:
le rispettive quantita' sono dosate secondo una
ricetta gelosamente custodita dai singoli produttori.
La piastra negativa (3)
Si ottiene con il medesimo procedimento sopra
descritto, impiegando pero' additivi diversi. Ha
uno spessore maggiore della piastra negativa, ed è quello che sopporta il maggior funzionamento della batteria.
Separatore (4)
Serve ad evitare che le piastre di segno opposto vengano a contatto, provocando il cosiddetto cortocircuito.
Consentono pero' lo scambio ionico fra le stesse perchè costituiti da materiale microporoso, abbastanza resistente
meccanicamente, e buon isolante anche se immerso nell'elettrolita.
Elemento
Poichè la quantità di energia immagazzinabile in un accumulatore dipende dalla superficie delle piastre per averne in
misure diverse, a parità degli altri elementi (dimensioni tubetti, spessore tubo, calza, separatori), dovremo avere
piastre di varie dimensioni in una vasta gamma. Lo spazio entro una batteria è tuttavia limitato, così che una
possibilità del genere non è data. La soluzione al problema è stata ottenuta collegando in parallelo più piastre positive
di ridotte dimensioni, intercalate da più piastre negative delle stesse dimensioni ugualmente disposte, e inserendo tra
le une e le altre il separatore. Ogni elemento è formato da un numero dispari di piastre: le negative sono sempre più
numerose di quelle positive di una unità. Ogni elemento ha una tensione caratteristica di 2 Volt pertanto per avere una
batteria da 12 Volt occorreranno 6 elementi.
Utilizzo
L'accumulatore fornisce energia ad apparati
elettrici di ogni tipo di autoveicolo, impianti di allarme, impianti
industriali, ospedali, treni, aerei, navi e sommergibili, centrali
telefoniche, etc.
Ogni accumulatore è caratterizzato quindi da proprie condizioni
ottimali di impiego ed è tecnologicamente specializzato in quanto
a: caratteristiche costruttive; sistemi elettrochimici utilizzati;
tensione elettrica espressa in Volt; corrente di scarica espressa in
Ampere; capacita‘ elettrica espressa in Ampere/ora;
materiali costitutivi impiegati.
Esso consente di accumulare e conservare energia
nel tempo per poi dispensarla, in modo controllato,
dove e quando vogliamo, assumendo la forma di
movimento meccanico, corrente elettrica, luce,
calore.
La batteria, dopo una serie di cicli di
scarica e ricarica, non è piu' in grado di
accumulare e conservare l'energia e si
esaurisce. Da questo momento essa
diventa un rifiuto ambientale. La
direttiva 91/157/CEE recepita dal DMA
476 del 20.11.1997 definisce gli
accumulatori a batteria come
"accumulatori costituiti da piu'
elementi".
Perché riciclare le
batterie?
Riciclare la batteria usata permette
di recuperare il piombo che, se
trattato correttamente, servira' per
produrre tubazioni, proiettili,
saldature, altre batterie. Inoltre in
questo modo le sostanze inquinanti
come l'acido solforico non vengono
disperse nell'ambiente.
In Italia per raccogliere, riciclare e
riusare le batterie esauste è nato il
COBAT, Consorzio Obbligatorio
Batterie al piombo esauste e rifiuti
piombosi.
Il COBAT ha tra i suoi fini
quello di far conoscere
i pericoli relativi alla
dispersione delle batterie
al piombo esauste in modo
da sensibilizzare l'opinione
pubblica e poter agire
efficacemente per
migliorare la situazione ambientale
Lavoro svolto da:
Calabritto Paola – Costantino Veronica
De Nicola Gerardina – De Rosa Stefania
classe 2 P
Le materie
plastiche
Le materie plastiche:
cosa sono?
Sono materiali polimerici costituiti in genere da macromolecole
organiche, caratterizzati dalla possibilità di essere modellati in
qualsiasi forma quando si trovano allo stato plastico; vengono
lavorati mediante procedimenti vari, generalmente a caldo. Le
unità di base delle materie plastiche, cioè i polimeri, possono
essere naturali (come la cellulosa, la cera e la gomma naturale),
artificiali, cioè costituiti da polimeri naturali modificati (come
l’acetato di cellulosa e il cloridrato di caucciù) o sintetici, cioè
prodotti mediante reazioni chimiche di sintesi o di addizione
(come il nylon, politene ecc.). I materiali iniziali sono resine sotto
forma di granulati, polveri o soluzioni, dai quali si formano le
materie plastiche finite.
Le materie plastiche sono caratterizzate da un alto rapporto
resistenza-densità, un’eccellente proprietà di isolamento termico,
elettrico e acustico, e una buona resistenza ad acidi, alcali e
solventi. Le macromolecole dalle quali sono costituite possono
essere lineari, ramificate o reticolate; nei primi due casi esse
Cenni storici
Lo sviluppo delle materie plastiche iniziò intorno al 1860, quando
la fabbrica statunitense Phelan e Collander, produttrice di biliardi
e palle da biliardo, offrì un premio di 10.000 dollari a chi avesse
proposto un sostituto soddisfacente dell'avorio. L'inventore
statunitense John Wesley Hyatt sviluppò un metodo per la
lavorazione a pressione della pirossilina, una nitrocellulosa a
bassa nitrazione plastificata con canfora e con una ridotta
quantità di solvente alcolico. Hyatt non riuscì a vincere il premio,
ma il suo prodotto, brevettato come celluloide, trovò un'ampia
diffusione e venne usato nella fabbricazione di svariati tipi di
oggetti, dalle dentiere ai colletti. Nonostante fosse facilmente
infiammabile e soggetta a deterioramento se esposta alla luce, la
celluloide raggiunse un notevole successo commerciale.
Nei decenni successivi vennero introdotte altre materie plastiche,
tra le quali le prime sostanze totalmente sintetiche, composte
dalla famiglia delle resine fenoliche ottenute dal chimico belgastatunitense Leo Hendrik Baekeland intorno al 1906 e
La chimica delle
materie plastiche
Nel 1920 si verificò un avvenimento che determinò il futuro
sviluppo delle materie plastiche. Il chimico tedesco Hermann
Staudinger ipotizzò che esse fossero polimeri costituiti da
macromolecole: i conseguenti sforzi per provare questa
affermazione diedero un notevole impulso alla ricerca scientifica
che giunse a risultati importanti. Negli anni Venti e Trenta furono
introdotti molti nuovi materiali, tra cui il cloruro di polivinile
(PVC), usato per produrre tubi, pannelli di rivestimento e guaine
isolanti per cavi elettrici, e le resine ureiche, usate per produrre
vasellame e per applicazioni elettriche.
Una della materie plastiche più conosciute tra quelle che
vennero
sviluppate in questo
periodo è il metilmetacrilato polimerizzato, brevettato in Gran
Bretagna come perspex e noto anche come plexiglas o lucite.
Questo materiale ha eccellenti proprietà ottiche ed è adatto per
Le resine polistireniche, derivate dal polistirene, o
polistirolo, prodotto commercialmente per la prima
volta intorno al 1937, sono caratterizzate da alta
resistenza all'alterazione chimica e meccanica a
basse temperature e dall'assorbimento contenuto
di acqua. Queste proprietà le rendono
particolarmente adatte soprattutto per la
produzione di materiale per l'isolamento dalle
frequenze radio e per accessori di apparecchi,
macchine e strumenti usati in condizioni di basse
temperature, come gli impianti di refrigerazione e
gli aeroplani progettati per voli ad alta quota. Il
politetrafluoretene (PTFE), apparso nel 1938, fu
brevettato come teflon nel 1950 e quindi
commercializzato con questo nome. Molto
importante, durante gli anni Trenta, fu inoltre la
sintesi del nylon, la prima materia plastica usata
La seconda
guerra
mondiale
Durante la seconda guerra mondiale le nazioni
belligeranti dovettero fronteggiare la scarsità di
materie prime. L'industria della materie plastiche
trasse da questa circostanza un impulso
considerevole, divenendo una ricca fonte di sostituti:
la Germania, ad esempio, iniziò un importante
programma che portò allo sviluppo di una gomma
sintetica, mentre negli Stati Uniti il nylon divenne la
principale fonte di fibre tessili, i poliesteri furono usati
nella
fabbricazione di blindati e di altro
Il boom del
dopoguerra
Lo slancio scientifico e tecnologico nell'industria delle
materie plastiche continuò nel dopoguerra. Di
particolare interesse furono i progressi dei materiali
da costruzione come i policarbonati, gli acetali e i
poliammidi; altri materiali sintetici vennero usati al
posto di quelli metallici in macchinari, caschi
protettivi, dispositivi utilizzabili in condizioni di alte
temperature ecc. Nel 1953 il chimico tedesco Karl
Ziegler introdusse il polietene, originariamente noto
come polietilene, e l'anno successivo il chimico
italiano Giulio Natta sviluppò il polipropene, o
polipropilene, isotattico, brevettato e
Tipi di materie plastiche
Le materie plastiche possono essere
classificate secondo :
• il processo di polimerizzazione,
•la lavorabilità
• la natura chimica.
La polimerizzazione
I due processi base di polimerizzazione sono le
reazioni di condensazione e le reazioni di addizione.
Le prime producono piccole molecole di sottoprodotti
come l'acqua, l'ammoniaca e il glicole, mentre le
seconde non generano sottoprodotti. Polimeri tipici
ottenuti per condensazione sono nylon, poliuretani e
poliesteri; per addizione, invece, si producono
polietene, polipropene e polistirene. Il peso
molecolare medio per i polimeri da addizione è
generalmente maggiore di quello dei polimeri da
condensazione.
La lavorabilità
La lavorabilità è diversa per materie
termoplastiche e termoindurenti. Le
termoplastiche (e le termoindurenti
leggermente reticolate) sono fusibili:
rammolliscono quando vengono
riscaldate e induriscono per
raffreddamento; la maggior parte delle
materie termoindurenti, invece,
indurisce in modo irreversibile quando
La natura chimica
La natura chimica di un materiale plastico viene
definita in base al monomero, cioè all'unità di
ripetizione, che costruisce la catena del polimero: ad
esempio, le poliolefine sono costituite da monomeri di
olefine, che sono idrocarburi a catena aperta con
almeno un doppio legame. Il polietene è una
poliolefina che ha come unità monomerica l'etene.
Altre categorie sono gli acrilici (come il
polimetilmetacrilato), gli stireni (come il polistirene),
gli alogenuri di vinile (come il cloruro di polivinile), i
poliesteri, i poliuretani, i poliammidi (come il nylon), i
polieteri e le resine gliacetaliche, fenoliche,
Da dove si ricavano le materie
plastiche
Originariamente molte materie plastiche venivano prodotte con
resine di origine vegetale, ad esempio la cellulosa (dal cotone), il
furfurale (dalle glumette d'avena), gli oli (dai semi di alcune
piante), i derivati dell'amido e il carbone; tra i materiali non
vegetali usati è invece da citare la caseina (dal latte). Sebbene la
produzione di nylon fosse basata in origine su carbone, acqua e
aria, e il nylon 11 sia ancora basato sull'olio estratto dai semi di
ricino, la maggior parte delle materie plastiche è attualmente
derivata dai prodotti petrolchimici, facilmente utilizzabile e poco
costosa. Tuttavia, poiché la riserva mondiale di petrolio è
limitata, si stanno sperimentando nuove tecniche basate sull'uso
di altre materie prime, come la gassificazione del carbone.
Dalle materie prime (petrolio, metano, carbone…) si ottengono i
prodotti chimici di base ( benzolo, fenoli, etilene, propilene…) .
Gli additivi
Gli additivi chimici vengono spesso usati nelle materie plastiche
per conferire a queste alcune particolari caratteristiche: ad
esempio, gli antiossidanti proteggono il polimero dalla
degradazione chimica causata dall'ossigeno o dall'ozono; allo
stesso modo gli stabilizzatori ultravioletti lo proteggono
dall'azione degli agenti atmosferici. I plastificanti rendono il
polimero più flessibile; i lubrificanti riducono i problemi dovuti
all'attrito e i pigmenti conferiscono il colore. Gli antifiamma e gli
antistatici sono tra gli altri additivi più usati.
Molte delle materie plastiche sono impiegate nella produzione
dei cosiddetti materiali compositi nei quali il materiale
rinforzante, di solito fibre di vetro o di carbonio, viene aggiunto
a una base di materia plastica. I materiali compositi possiedono
resistenza e stabilità paragonabili a quelle dei metalli, ma
hanno generalmente un peso inferiore.
I polimeri con gli additivi vengono trasformati in polveri o
La lavorazione delle
materie plastiche
La formatura delle materie plastiche avviene attraverso varie
tecniche:
•Stampaggio per compressione.
•Stampaggio per iniezione.
•Estrusione.
•Soffiatura.
•Laminazione e calandratura
•Termoformatura.
La
fusione
della
plastica
Stampaggio per
compressione
Il polimero allo stato pastoso, è posato tra
lo stampo e il controstampo, quindi si
avvicinano le due parti premendo la resina
nel volume vuoto che costituisce la forma.
Questa tecnica è usata per produrre oggetti
cavi svasati o pieni.
Stampaggio per
iniezione
Le polveri del polimero sono caricate in un
iniettore cilindrico riscaldato, all’interno del
quale si trova una vite senza fine che fa
avanzare il polimero verso il foro di uscita. La
resina, rammollita, viene compressa tra la
parte fissa e quella mobile di uno stampo e
assume la forma del volume vuoto. Poi lo
stampo si apre e si estrae l’oggetto formato.
Estrusione
Con l’estrusione si realizzano profilati di sezioni e
lunghezze diverse: tubazioni, profilati per finestre,
guarnizioni…
Il procedimento simile a quello dello stampaggio per iniezione.
La vite senza fine che si trova dentro il cilindro riscaldato fa
avanzare la resina fusa dal calore e la costringe ad uscire
attraverso la matrice, dove si realizza la sezione desiderata.
Quando la matrice è costituita da un disco munito di fori
piccolissimi ( filiera ) si ha il processo di filatura, utilizzato per
ottenere le fibre tessili sintetiche.
Soffiatura
Per la produzione di bottiglie o contenitori di
piccoli spessori si ricorre al processo di
estrusione-soffiatura, che ricorda il
procedimento per ottenere il vetro soffiato.
La resina, all’uscita della macchina di
estrusione, è immessa nell’apposito stampo e
viene fatta aderire alle pareti dello stesso con
un getto di aria compressa.
Laminazione e
calandratura
Con questi processi si
ottengono fogli dello
spessore voluto. A
resina pastosa è
costretta ad attraversare
una serie di cilindri
rotanti che ne
diminuiscono
progressivamente lo
spessore.
Termoformatura
Si parte da un foglio di materiale
termoplastico opportunamente riscaldato
che viene costretto ad assumere la forma
interna di uno stampo.
Insufflamento
Alcune materie plastiche,
come il polistirene e il poliuretano, sono usate
nella produzione dei cosiddetti materiali espansi,
che possono essere rigidi (pannelli per isolamento
termoacustico, materiale da imballaggio, giubbotti
salvagente ecc.) o flessibili (imbottiture per sedili,
materassi e cuscini, spugne sintetiche ecc.). Sono
materiali molto leggeri, ottenuti in genere
insufflando aria nella massa allo stato fuso, oppure
mescolando con il materiale ancora allo stato di
polvere o di granuli una sostanza che sviluppa gas
Materie
prime
Prodotti di
base
Polimeri
Additivi
Lavorazioni
plastiche
Oggetti
Polveri da
stampaggio
Usi delle materie
plastiche
Le materie plastiche hanno una gamma d’uso sempre più vasta, praticamente in
ogni settore industriale e di consumo; l’industria dell’imballaggio è comunque
l’utente principale. Gli imballaggi in plastica sono igienici, trasparenti,
impermeabili e, soprattutto leggeri. Negli ultimi 20 anni, il peso medio degli
imballaggi in plastica è diminuito dell’80%. Necessitano di un basso apporto
energetico per la loro produzione e sono riciclabili a fine vita, contribuendo così
alla riduzione della massa dei rifiuti post-consumo da smaltire. Inoltre, una
tendenza in atto è la produzione di imballaggi in plastica monomateriale o con
materiali diversi ma compatibili tra loro, al fine di favorirne la riciclabilità al
termine del ciclo vitale. La produzione complessiva di materie plastiche (quindi
non solo per imballaggi) impegna solo il 4% del consumo europeo annuo di
petrolio, mentre il 35% viene utilizzato per il riscaldamento, il 22% per la
produzione di energia e il 29% per i trasporti.
•Il polietene a bassa densità (LDPE) è
commercializzato soprattutto in pellicola sottile
particolarmente adatta all’imballaggio o in teli
usati in l’agricoltura; questo è un materiale
straordinariamente riciclabile potendo essere
facilmente rilavorato.I sacchi per la raccolta di
rifiuti utilizzano, per esempio un’importante
percentuale di polietilene di recupero.
• il polietene ad alta densità (HDPE) viene
invece prodotto in forma di pellicola di
spessore maggiore ed è usato per contenitori
per detersivi, olio….
•il polistirene o polistirolo è usato per
imballaggi o come isolante termico o acustico.
* Il
cloruro di polivinile (PVC) , poiché è una
resina termoplastica caratterizzata da grande
inerzia nei confronti degli agenti
corrosivi,mescolata con plastificanti,
pigmenti, cariche e stabilizzanti, viene usata
per il rivestimento di cavi elettrici, per
tubazioni in edilizia, per componenti di
automobili…per produrre bottiglie per acque
minerali e bevande non gassate.
* Il polipropene è molto resistente al vapore
acqueo ed è quindi usato per produrre articoli
casalinghi e come fibra per confezionare
tappeti e cordami.
*Il polietilenereftalato (PET) è usato per
L'industria edilizia è un
grande consumatore di
materie plastiche. Con
il polietene ad alta
densità e il cloruro di
polivinile si producono
tubi per impianti
idraulici e pannelli
usati come materiale
da costruzione, mentre
il polistirene e il
poliuretano espansi
sono utilizzati per
produrre pannelli per
l'isolamento termico e
Molte altre industrie ormai dipendono
dalle materie plastiche. Per citare
solo un esempio, molti componenti
delle automobili sono costruiti con
questi materiali, dalle prese d'aria
alle pompe del carburante ai paraurti,
oltre ai pannelli interni, ai sedili e alle
finiture. Nell'ambito della produzione
dei beni di consumo, le materie
plastiche spaziano dagli
equipaggiamenti sportivi, alla
valigeria, ai giocattoli.
La plastica e
l’ambiente
Abbiamo visto che l’utilizzo della plastica si è
grandemente diffuso negli ultimi anni in tutti i
settori, questo ha fatto sorgere il problema dello
smaltimento di questi materiali.
I materiali plastici usati, così come tutti gli altri
rifiuti solidi urbani, possono essere immessi in
discarica o inceneriti. Queste due possibilità
presentano effetti positivi e negativi, cerchiamo di
analizzarli.
Smaltimento in
discarica
Le materie plastiche usate per imballare, sono appositamente scelte
per il fatto che sono chimicamente inerti, non degradabili, cioè non
subiscono reazioni chimiche che le porta a trasformarsi in sostanze
più semplici, non sono solubili in acqua, sono dure e durevoli nel
tempo.
Queste caratteristiche le rendono tanto utili per gli imballaggi ed
innocue rispetto all’inquinamento chimico dell’ambiente. E’ possibile
che si decompongono e si frantumino, ma questo solo a distanza di
tempi molto lunghi e comunque i prodotti della decomposizione sono
tipicamente insolubili ed inerti e non inquinano le acque di falda.
Più rilevante è il problema dell’ingombro: la plastica non è facile da
compattare e quindi è causa di instabilità delle discariche. Le bottiglie
di plastica chiuse, in discarica, costituiscono una sorta di palloni
molto resistenti, duri, difficili da rompere e da tenere sotto terra. Con
il tempo, quindi possono emergere in superficie e, anche se non
Smaltimento in
inceneritore
Le materie plastiche bruciano in maniera
relativamente completa, se comparata alla maggior
parte degli altri componenti dei rifiuti solidi urbani,
ed inoltre produce più energia ed una minore
quantità di cenere per unità di peso. Molti studi
hanno evidenziato che l’incenerimento della plastica
in un moderno impianto con recupero di energia non
aumenta il livello delle sostanze tossiche presenti
nelle emissioni gassose o nelle ceneri, ad eccezione
dei polimeri a base di cloro, che si aggiungono ai
vapori di acido cloridrico normalmente generati dalla
Attualmente, la maggior parte degli inceneritori, a
seguito della regolamentazione governativa, devono
dotarsi di apparecchiature idonee alla rimozione di
questi acidi contenuti nelle emissioni gassose. Perciò
la presenza di polimeri a base di cloro nei RSU non
comporta di per se stessa un rischio ambientale,
andrebbe solo ad aumentare marginalmente i costi
operativi che è necessario sostenere per la rimozione
di questi gas acidi. Tuttavia la tecnica della
termodistruzione in genere dei RSU e delle materie
plastiche in particolare, incontra ancora oggi l’ostilità
dell’opinione pubblica. Un’informazione lacunosa e
spesso parziale, ma soprattutto il ricordo di incidenti
del passato, legati ad una gestione perlomeno
superficiale di impianti per lo più obsoleti, ha
determinato una posizione comprensibilmente ostile
dell’opinione pubblica verso qualsiasi impianto di
La situazione in
alcuni Paesi
dell’Unione
Europea
In Francia…
La Francia è uno dei primi paesi ad aver adottato leggi
specifiche sui rifiuti. Dal 1975, una norma fortemente
orientata al riciclaggio ha affidato alle amministrazioni locali
l’obbligo dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani senza però
sancire l’obbligo di istituire il servizio di raccolta
differenziata. A causa dell’aumento della produzione dei
rifiuti e della gravi difficoltà per il loro smaltimento, la
Francia ha cambiato strategia: il primo aprile del 1992,
infatti, è stato approvato un decreto che obbliga produttori,
importatori e utilizzatori di imballaggi a farsi carico del loro
riciclaggio, finanziando attraverso specifici contributi le
attività di raccolta (che spettano alle autorità locali) e le
attività di selezione. L’obiettivo francese per l’anno 2002 è il
recupero e il riciclaggio del 75% dei rifiuti da imballaggio,
con un quota minima del 60% per ogni materiale. Tutte le
In Germania…
La Germania, attraverso un decreto federale del ’91 (il
Decreto Toepfer), ha imposto ai produttori e ai distributori il
recupero degli imballaggi e l’avvio degli stessi al riutilizzo o
riciclo, indipendentemente dal sistema pubblico di
smaltimento dei rifiuti. Due sono le strade percorribili: - il
recupero presso i punti di vendita con una cauzione
obbligatoria per i contenitori monouso, nei settori delle
bevande, dei detersivi e dei prodotti per la pulizia; - oppure la
creazione di sistemi di raccolta specifici, a domicilio o nei
pressi delle abitazioni simili a quelli in funzione in Italia. Le
imprese coinvolte dal decreto hanno dato vita a un apposito
Consorzio e a un sistema di raccolta, il “dual system”, che
interessa circa il 90% degli imballaggi, contrassegnati da un
“punto verde”. A causa della difficoltà di carattere economico,
per via dei 4.000 miliardi spesi nel 1993, il sistema ha subito
In Olanda…
In Olanda, lo smaltimento dei rifiuti solidi è regolato dalla
legge a partire dal ’77. Ragioni di carattere economico, relative
al costo crescente dello smaltimento, hanno indotto molte
amministrazioni locali a imboccare la strada della separazione
e del riciclaggio dei rifiuti. L'ultimo piano nazionale ha sancito
la priorità del riciclaggio dei rifiuti solidi urbani rispetto a tutte
le forme di smaltimento. Entro l’anno 2001 i rifiuti riutilizzati
dovranno salire dal 35% al 60% della produzione totale. Per il
restante 40% si farà ricorso alla termocombustione, mentre lo
smaltimento in discarica sarà assolutamente minimizzato. La
raccolta degli imballaggi ha conosciuto una svolta nel 1991, tra
governo e imprese con la stipula della “Convenzione sugli
imballaggi”. La convenzione si basa su di un principio
fondamentale: chiunque introduce un prodotto sul mercato è
responsabile del rifiuto che ne deriva. La Convenzione prevede
In Italia, con il Decreto
Ronchi, nasce il Consorzio
nazionale per Raccolta,
il Riciclaggio e il
Recupero dei Rifiuti di
Imballaggi in Plastica
(CO.RE.PLA).
CO.RE.PLA
Con la recente acquisizione dell’ex Consorzio Replastic,
CO.RE.PLA è diventato il più grande Consorzio Nazionale per la
raccolta, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi in plastica in
Italia e il secondo nel panorama europeo. Sono 47 i Centri di
Conferimento e 17 i Centri di selezione, prevalentemente di
contenitori in plastica per liquidi, operativi sul territorio
nazionale, con una capacità di lavorazione di oltre 140.000
tonnellate di materiale in ingresso.
L’indotto occupazionale di CO.RE.PLA è di circa 2.000 lavoratori.
Ammontano ad oltre 200 miliardi le risorse economichefinanziarie che il “sistema plastica” mette in campo per la
raccolta, il recupero e il riciclaggio degli imballaggi in plastica
postconsumo.
Il servizio di raccolta differenziata dei contenitori in plastica per
liquidi è stato avviato in 4.130 Comuni, pari al 51% del totale.
La popolazione coinvolta sfiora il 70%, valore che si conferma di
Al CO.RE.PLA aderiscono sia produttori di materie plastiche che le
aziende trasformatrici di imballaggi in plastica. Hanno diritto di
partecipazione gli utilizzatori, gli autoproduttori di imballaggi e le
imprese che svolgono attività di riciclaggio dei rifiuti di imballaggi in
plastica.
CO.RE.PLA conta, ad oggi, 2.000 associati, oltre l’80% del mondo
imprenditoriale di riferimento. Compito del CO.RE.PLA è l’estensione
dell’attività di raccolta, recupero e riciclo ad altri imballaggi in
plastica, oltre naturalmente ai contenitori in plastica per liquidi già
attiva dal 1991 con l’ex Consorzio Replastic.
CO.RE.PLA intende in particolare favorire lo sviluppo della raccolta al
Centro e al Sud del Paese, rispettivamente più 25% e più 50% circa,
concordando anche la realizzazione in loco di nuovi impianti di
rilavorazione di contenitori in PET, realizzati da privati. E’ opportuno
ricordare infatti che il 70% degli imballaggi in plastica raccolti nel 98
provengono dalle raccolte differenziate del Nord del Paese.
Obiettivo CO.RE.PLA, entro l’anno 2002, è il recupero del 50% degli
imballaggi in plastica primari, secondari e terziari immessi sul
mercato nazionale, pari circa a 1 milione di tonnellate, e il riciclo di
410.000 tonn., pari al 20% dell’immesso.
Centri di conferimento
I Centri di conferimento sono piattaforme gestite da un soggetto legato con
rapporto contrattuale a COREPLA per il ricevimento e la pressatura del materiale
conferito presso la piattaforma. Questi tipi di centri sono 47 in tutta Italia e sono
strutturati in rete, essendo dislocati su tutto il territorio nazionale. In essi i gestori
della raccolta differenziata depositano periodicamente il carico raccolto di bottiglie
e flaconi di plastica. Il conferimento del materiale sfuso può essere effettuato dai
convenzionati anche presso un centro di selezione Corepla oppure i convenzionati
stessi possono provvedere direttamente o tramite terzi a pressare il materiale da
loro raccolto (centro comprensoriale). In quest’ultimo caso è previsto un
compenso aggiuntivo per la pressatura e, in presenza di un carico utile di almeno
9.000 chilogrammi di materiale pressato per un autotreno, Corepla provvede al
ritiro a proprie cure e spese.
Centri di selezione e
stoccaggio
Il passaggio successivo prevede l’intervento dei Centri di
Selezione e Stoccaggio. In essi confluisce il materiale in balle
proveniente dai Centri di Conferimento e dai Centri
Comprensoriali, nonché le bottiglie in plastica provenienti
direttamente dalla raccolta differenziata effettuata nel bacino
dove è sito l’impianto.
Sono attivi 17 Centri di Selezione, con una potenzialità
complessiva di circa 140.000 tonnellate/anno, a cui si aggiunge
l’impianto di Novate Milanese, con una potenzialità di 5.000
tonnellate/anno, che seleziona in modo completamente
automatico parte del materiale raccolto nelle provincie di Milano,
Como e Varese. Nei Centri di Selezione le bottiglie in plastica
vengono suddivise in frazione omogenee per tipologia di
polimero costituente il contenitore (PE, PET e PVC). Inoltre la
frazione Contenitori in PET viene ulteriormente suddivisa per
colore.
Centri di rilavorazione
L’ultimo anello è rappresentato dai Centri di
rilavorazione, che trasformano i tre polimeri
precedentemente selezionati in materiale plastico di alta
qualità, pronto per l’immissione sul mercato. I Centri di
rilavorazione in Italia sono 2: uno a Casumaro, in
provincia di Ferrara, e uno a Novate Milanese, presso la
I.Pi.Ci/CO.RE.PLA
Il recupero
energetico
COREPLA ha avviato studi e azioni per affiancare al
riciclo meccanico e chimico anche quello energetico,
al fine di ottenere energia (termica o elettrica) dalla
combustione di materie plastiche. Il Dlgs n°22 del
5/2/97 prevede nel capitolo dedicato ai rifiuti di
imballaggio uno specifico ruolo al recupero
energetico. Questa opzione è compresa nell’obiettivo
generale di recupero del 50/65% dei rifiuti di
imballaggio.
Il processo di termovalorizzazione finalizzato alla
conversione dei rifiuti in energia termica ed elettrica
può riguardare sia il rifiuto tal quale (RSU) che il
La termovalorizzazione
dei rifiuti
L’investimento necessario per gli impianti di
termovalorizzazione dei rifiuti può variare
notevolmente in funzione della potenzialità e dello
schema dell’impianto.
La potenzialità non può essere comunque inferiore a
100 tonnellate al giorno. Il costo dell’impianto,
riferito al parametro tonnellata/giorno, può variare
intorno ai 200 milioni di lire. Il costo specifico di
recupero per tonnellata dipende anche dal fattore di
utilizzazione dell’impianto e cioè dalle effettive
tonnellate bruciate rispetto alla potenzialità
nominale. E’ evidente che meglio viene utilizzato
Le fasi
Il processo di termovalorizzazione è basato sulle
seguenti fasi:
• lo stoccaggio dei rifiuti, nella fossa di accumulo,
chiusa per evitare la fuoriuscita di cattivi odori e
polveri;
• la combustione, ad una temperatura di circa
1000 gradi;
• l’estrazione delle scorie, ossia i residui solidi della
combustione, che costituiscono circa il 10% del
volume iniziale e il 20% del peso;
• il recupero energetico nella caldaia che cattura il
calore contenuto nei fumi di combustione;
La carta
Lavoro svolto da:
Villano Angelica
Taurino Donatella
classe 2 P
Introduzione
L’uso della carta è così diffuso e generalizzato nella vita
quotidiana dell’uomo da far apparire questo manufatto un
banale , spontaneo prodotto naturale .Forse si potrebbe aver
un’idea più chiara della sua validità e diffusione
nell’organizzazione civile , pensando per un momento a che
cosa accadrebbe se improvvisamente mancasse la carta. Da
considerazioni tanto banali e semplici si deduce facilmente che
la carta ha ormai impregnato l’organizzazione umana in tale
misura , da costituire elemento indispensabile o di non facile
sostituzione.
Cenni storici
Il cinese Ts’ai Lun, intorno al 105 a.C., osservò che da
alcuni panni lavati dalla lavandaia si staccavano degli
sfilacci che, opportunamente pressati ed asciugati,
potevano formare uno strato abbastanza compatto di fibre
in grado di accogliere la scrittura. Il cinese Ts’ai Lun non
si rese certamente conto abbastanza del grande contributo
che stava dando alla civiltà! Infatti ancora oggi la
fabbricazione della carta, come vedremo, è basata sullo
stesso principio.
Prima della carta esistevano metodi anch’essi
ingegnosi, ma limitatamente efficaci per
trasmettere gli scritti, quali l’osso, il corno,
la pietra, i metalli teneri come il piombo,
le tavolette di terracotta, quelle di legno incerato, che
venivano incisi con opportuni mezzi, ma che si
conservavano con molta difficoltà. Successivamente si
scrisse sui tessuti di lino e di cotone che avevano il
vantaggio di poter essere conservati in rotoli.
Gli Egiziani usarono molto il papiro che era costituito da
fogli ottenuti da una pianta palustre (il papiro, appunto),
il cui fusto veniva ridotto in strisce sottili, che poste
l’una accanto all’altra su un piano e intrecciate ad altre
in un successivo strato, venivano pressate con un
cilindro di pietra che le schiacciava e le fissava tra loro,
per la presenza di sostanze collanti nella stessa pianta
ancora fresca. Il papiro, che si poteva costruire in strisce
lunghe sino a qualche metro, fu adottato anche dai
Romani .
Verso il III secolo a.C. il
papiro fu sostituito dalla
pergamena, di migliore
solidità e resistenza, ottenuta
dalla pelle di animali come la
pecora, il montone, la capra.
Opportunamente macerata
nella calce, raschiata, distesa,
essiccata e levigata, la pelle si
trasformava in un foglio liscio,
traslucido su cui si poteva
scrivere da entrambe le parti.
I primi a fabbricare la carta in
Europa furono gli Spagnoli ed i
Siciliani che ebbero dagli Arabi
molte indicazioni tecniche, apprese
a loro volta nei contatti e scambi
commerciali avuti con i Cinesi.
Dalla Sicilia la carta fu portata nel
resto d’Italia e, nel 1276, fu
installata a Fabriano una delle
prime cartiere. In Campania
cartiere sorsero ad Amalfi, la più
antica delle Repubbliche marinare,
lungo la vallata nota ancora oggi
come La valle dei Mulini.
In quest’epoca gli stracci venivano messi a macerare in acqua,
poi battuti e ridotti in poltiglia con pestelli di legno azionati da
una caduta di acqua, da cui il nome di Mulini dato alle antiche
cartiere. La pasta molto diluita così ottenuta veniva trasferita in
una vasca e poi ripresa in forme, setacci rettangolari formati da
fili molto sottili sostenuti da bacchette o verghe, più spesse, dette
tranciabili. La forma era scossa a mano, in posizione orizzontale.
Facendo sgocciolare l’acqua si otteneva un foglio umido e molle,
posto poi ad asciugare su un feltro ben asciutto. I feltri venivano
impilati e pressati, per essere quindi ripresi ad uno ad uno e
sottoposti a collatura, generalmente in un bagno di gelatina, o
colla di osso. Subivano poi una seconda pressatura prima di venir
messi a seccare in appositi stenditoi. La carta era quindi pronta
per la scrittura. Questa fabbricazione artigianale si mantenne sino
agli inizi del XIX secolo.
Verso il 1800, un operaio cartaio, Nicolas Louis Robert ideò una
macchina che permetteva la fabbricazione industriale della carta:
si trattava di una macchina continua che fece calare
sensibilmente i prezzi di vendita della carta, la cui produzione
s’accrebbe tanto più rapidamente con l’invenzione delle
macchine da stampa che sostituivano i vecchi torchi a mano.
Nel 1873 negli Stati uniti erano attive 800 cartiere che
producevano 200.000 tonnellate di carta utilizzando 3000
macchinari. In seguito all’aumento dei consumi, si giunse ben
presto ad una certa scarsità di stracci. Nel 1844 Friederich G.
Keller scoprì la pasta meccanica ottenuta dal legno truciolato.
Dopo vari tentativi su varie piante (ortiche, ginestre…), il tedesco
E. Mitscherlich e l’americano B.C.Tilghman riuscirono a
fabbricare le prime paste di legno chimiche, che resero possibile
lo sviluppo della produzione della carta su scala industriale.
Le materie
prime
Un tempo , il materiale fibroso proveniva unicamente
dagli stracci di cotone , lino e canapa, che tuttora
costituiscono materia prima per fabbricare carta di
buona qualità ; oggi proviene anche dal legno ricavato
soprattutto da alcune conifere (pino e abete) , che fornisce
cellulosa per circa il 90 % . Alla costituzione della carta
concorrono materiale di recupero , ossia carta da macero o
stracci , e materiali accessori , come talco, caolino, colle,
coloranti, che in qualità e quantità diverse, le conferiscono,
come vedremo, caratteristiche svariate. Attraverso
cicli di lavorazione questi materiali subiscono
molte trasformazioni fino a divenire pasta
compatta ed omogenea .
La pasta di legno
La produzione di questo tipo di pasta si ottiene avvalendosi di
mezzi meccanici. I tronchi,privati dei rami e scortecciati con
sistemi meccanici, vengono ridotti in pezzi di picola lunghezza
e successivamente introdotti negli sfibratori continui, dove
alcune mole rotanti ad alta velocità, a causa del forte attrito,
provocano il distacco delle fibre. Mediante centrifughe forate,
dette assortitori, le schegge più grosse vengono separate e
ulteriormente raffinate fino a quando tutte le parti di legno,
divenute via via più piccole, non riescono ad attraversare i fori
degli assortitori.
Pasta di carta
riciclata
Questa pasta si ottiene dai residui della lavorazione della
macchina continua, dalla riutilizzazione di carta straccia e carta
stampata. Dopo accurata scelta, questi ultimi due tipi di carta,
definitivamente separati dagli altri rifiuti, vengono trattati con
vapore acqueo, che li riduce in pasta semiliquida, ulteriormente
sottoposta ad altra purificazione.
La carta ottenuta da tale pasta viene in massima parte utilizzata
per la stampa dei giornali.
Pasta chimica
Il legno viene ridotto in pezzi molto piccoli nelle sminuzzatrici e
successivamente, introdotto insieme ad alcune sostanze chimiche
(bisolfito di magnesio, o idrossido di sodio) in grandi autoclavi,
impropriamente dette bollitori, viene sottoposto all’azione
dell’alta temperatura.
Durante la bollitura le sostanze chimiche attaccano ed eliminano
la lignina, lasciando intatta la cellulosa. Questo tipo di pasta
consente la produzione di carta fine e di buona qualità.
Sostanze aggreganti
Cariche: sono sostanze chimiche usate per migliorare la
levigatezza, la bianchezza e l’opacità: il talco (silicato di
magnesio) e il caolino (silicato di alluminio) sono le sostanze di
carica maggiormente utilizzate.
Coloranti:sono utilizzati per rendere la carta bianca o colorata.
Collature: sono usate per rendere la carta impermeabile e
resistente. I sistemi di collatura sono diversi a seconda
dell’utilizzazione della carte: sono a collatura superficiale,
quando si devono ottenere carte di un certo valore, sono a
collatura in pasta, quando si utilizza come collante un sapone a
base di resina di pino.
Tecnica di lavorazione
La fabbricazione della carta si attua attraverso varie
fasi:
1. Spappolamento e raffinazione della
cellulosa.
2. Preparazione dell’impasto.
3. Produzione del foglio
Lo spappolamento e
la raffinazione
Lo spappolamento consiste nel trasformare la cellulosa in una
soluzione acquosa per ottenere una sospensione omogenea nella
quale tutte le fibre siano separate tra loro.Questa operazione una
volta veniva effettuata con le cosiddette molazze, che ora sono
state sostituite dagli idroapritori, vasche munite di pale girevoli,
nelle quali avviene in abbondanza di acqua la separazione della
cellulosa.
La raffinazione si effettua per suddividere le fibre cellulosiche e
per schiacciarle. E’ una operazione che si compie sottoponendo le
fibre all’azione di sfregamento di due elementi di pietra o di
metallo in raffinatori a ciclo continuo.
La preparazione
dell’impasto
Consiste, a seconda del tipo di
carta da fabbricare, nel dosare e nel
mescolare il quantitativo di paste
con le sostanze aggreganti
La produzione del foglio
Avviene nella macchina continua a tavola piana o a tamburo.
Quella a tavola piana, la più diffusa, è formata da un nastro di tela
metallica in continuo movimento su rulli rotanti, sul quale si
versa un getto continuo di impasto, che avanzando
uniformemente, perde la maggior parte di acqua.Quando la tela
compie il percorso ed è in procinto di tornare avvolgendosi al
rullo, l’impasto, ormai sottoforma di foglio, viene raccolto da una
coppia di cilindri di feltro e successivamente è costretto a passare
tra una serie di cilindri sovrapposti a pressione. La carta in tal
modo viene raffreddata ulteriormente e privata delle rugosità
dovute alla tela e ai feltri. All’uscita dalla macchina continua la
carta passa alle bobinatrici che provvedono ad avvolgerla in
bobine.
Pasta di
legno
Cariche
Pasta di
carta
riciclata
Pasta
chimica
Impasto
Coloranti
Collanti
Produzione del foglio
I prodotti
cartacei
Oggi l’industria della carta produce una grande varietà di tipi di carta e di
cartone per soddisfare tutte le richieste di mercato. Oltre ai metodi tradizionali
per ottenere la carta oggi la tecnologia moderna ne offre altri e l’ introduzione
di nuovi prodotti fibrosi consente nuove possibilità all’ industria cartaria .
Recentemente è stata realizzata della carta con l’impiego delle alghe; il
prodotto finale presenta delle caratteristiche superiori in termini di rigidità e di
resistenza .
Si è giunti anche alla produzione di una carta sintetica formata da polietilene e
da polipropilene. Questo prodotto resiste alla imbibizione , ed ha notevoli
possibilità di impiego .
Per la carta che deve avere proprietà isolanti o essere refrattaria al fuoco viene
usata la lana di lava. Difficilmente invece si potranno usare le materie plastiche
nella carta da stampa e da scrivere , perché inadatte a ricevere la stampa e la
scrittura ; inoltre sono difficili da distruggere e scarsamente biodegradabili .
Proprietà della carta
Fisiche
Chimiche
Meccaniche
Estetiche
Funzionali
Grammatura - Spessore – rigidità – Assorbenza –
Levigatezza – Porosità - Impermeabilità
Grado di collatura – Grado di umidità
Resistenza alla trazione – Allungamento –
Resistenza allo strappo – Resistenza alla
piegatura
Grado di pulizia – Spera (aspetto della carta in
trasparenza) – Grado di bianco
Spellatura (abrasione superficiale di frammenti di
carta) – Spolverio (allontanamento sotto forma di
polvere delle cariche contenute).
Tipi di carta
La varietà dei tipi di carta è molto vasta e dipende dagli usi cui è destinata .
In base allo spessore e alla grammatura la carta si distingue in :
•carta propriamente detta che ha un peso compreso tra 30 e 150 g/m2;
•cartoncino, con grammatura tra 150 e 400 g/m2
•cartone, con peso superiore a 400 g/m2
La carta si classifica ancora in:
•carte fini, se fabbricate con cenci, a volta con l’aggiunta di cellulosa;
•carte mezze fini, in cui prevale la cellulosa;
•carte ordinarie, in cui prevale la pasta di legno meccanica .
L’industria
cartaria
L ‘ industria cartaria è una delle più
automatizzate e quindi la manodopera
impiegata è piccola rispetto alle
dimensioni della produzione .
L ‘introduzione di nuovi materiali fibrosi ha aperto nuove
possibilità a questa industria , provocando una evoluzione sia
delle ricerche sia della tecnologia in questo settore .
In Italia i grandi stabilimenti dotate di macchine continue,
capaci di fornire grandi quantità di carta, sono in Lombardia,
Piemonte, veneto e Italia centrale.
Varietà di
carta
Carta per quotidiani: contiene il 70-80% di pasta di legno e il
restante di cellulosa graggia. Non è collata e contiene poche
materie di carica, assorbe facilmente l’inchiostro.
Carta per stampa tipografica: va dai tipi fini e mezzo fini alla
ordinaria ed è usata per stampe di libri, riviste, volantini. E’
costituita principalmente da pasta chimica; è resistente; ha una
superficie omogenea e molto levigata. La carta Bibbia è un tipo
di carta molto sottile, opaca e resistente, destinata alle edizioni di
lusso.
Carta uso mano: fabbricata con la macchina continua a
tamburo, è usata per libri di pregio. Varietà di questo tipo di carta
sono le filigrane (per carta valori) nelle quali traspare il disegno
formato da uno spessore interiore.
Carta patinata: è fabbricata con uno strato lucido (patina) su
una o entrambe le facce. E’ da ricordare quella da illustrazioni a
forte patinatura, che le conferisce una superficie lucentissima.
Carta per stampa offset: è fabbricata con buona cellulosa o
con pasta di legno e carica, ed ha una buona collatura.
Carta da scrivere: è fabbricata con una certa opacità, per
evitare che lo scritto traspaia sul retro.
Carta assorbente: non è collata, è porosa; contiene quasi
esclusivamente pasta di cellulosa: E’ usata per fazzoletti,
tovaglioli, carta igienica…
Carta da impacco: ne esistono di molte varietà, tra cui le veline
(sottilissime e semitrasparenti, costituite quasi esclusivamente da
cellulosa), le oleate ( sono trattate in modo da risultare impermeabili
ai grassi e trasparenti), la carta paraffinata (trattata con paraffina, è
usata per la confezione di contenitori che debbono preservare il
contenuto dall’umidità), le kraft (dal termine tedesco forza, è usata
per confezionare sacchi e sacchetti di vario genere, la carta paglia (si
ottiene appunto dalla paglia, è usata per avvolgere alimenti e per
preparare i recipienti per il latte e altre bevande).
Carta carbone: ha una parte rivestita da una sostanza grassa di
colore nero o blù che, a pressione, viene ceduta al foglio sottostante.
Carta fotosensibile: è molto collata e molto resistente. La superficie
è ricoperta da particolari sostanze chimiche sensibili alla luce; è usata
per le fotografie di particolari documenti.
Carta riciclata: si produce con la carta da macero assortita. E’ grigia
se contiene ancora parte di sostanze non solubili (colori, inchiostro);
è chiara se queste sostanze sono state eliminate con dei procedimenti
chimici.
Carta ecologica: è una carta grigiastra ottenuta da carta da macero
preventivamente assortita e mescolata con cura in modo che gli
inchiostri e i colori insolubili vengano distribuiti nella massa della
carta. La sua produzione è meno inquinante perché le acque di
scarico contengono meno sostanze pericolose.
Cartoncini e cartoni: si ottengono distribuendo sulle reti oscillanti
una maggiore quantità di impasto; pressando insieme più fogli ancora
umidi; sovrapponendo e incollando vari strati di carta oppure
accoppiando carta molto resistente con uno strato o più strati di carta
ondulata (cartone ondulato) . La fibra è un cartone ottenuto da un
impasto di cellulosa e cloruro di zinco, fortemente compresso e
calandrato. Si usa in elettrotecnica e per vari oggetti.
La carta
e
l’ambiente
Tante foreste strappate alla terra
massacrate
distrutte
rotativate.
Tante foreste sacrificate
per la carta
di milioni di giornali che attirano
ogni anno
l’attenzione di lettori
sui rischi del disboscamento
di boschi
e foreste.
Jacques Prévert
L’impiego della carta si va sempre più estendendo tanto che il
relativo consumo per abitante è tra i parametri significativi del
grado di sviluppo raggiunto da un Paese.
Purtroppo anche questa industria di trasformazione risente del
peso delle importazioni delle materie prime (gli alberi dai quali
si ricava la cellulosa) che si trovano concentrate in poche zone.
Per tale motivo i Paesi meno favoriti stanno studiando il modo
di utilizzare in misura sempre maggiore materiali alternativi,
dalla carta da macero alle nuove fibre vegetali, per risolvere la
crescente domanda che influisce negativamente sulla bilancia
commerciale e sull’ambiente.
Il fabbisogno dell’industria
cartaria viene, oggi, coperto
per una buona percentuale con
la carta da macero, cioè
con carta e cartoni
riciclati o dai rifiuti o
con la raccolta
differenziata. Tale recupero
permette di salvare, almeno in
parte, le risorse forestali e
permette, inoltre, un certo
risparmio energetico in quanto
i processi di trasformazione
sono limitati.
Per fabbricare una tonnellata di carta
occorrono:
2000 Kwh
15 alberi
440.000 l
d’acqua
Oppure:
Carta da
macero
400 Kwh
2000 l
d’acqua
Il ciclo degli
imballaggi
cellulosici in
Italia
Il 24 ottobre 1997 è stato costituito a Milano COMIECO , il
Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli
imballaggi a base cellulosica .La filiera cartaria nazionale, con
la creazione del Consorzio Volontario, è la prima filiera ad
organizzarsi secondo quanto enunciato dal decreto legislativo
22/97 , il cosiddetto decreto Ronchi .
Le finalità del Consorzio sono la razionalizzazione e
l’organizzazione della ripresa degli imballaggi cellulosi usati ,
della raccolta dagli imballaggi secondari e terziari e del ritiro
su indicazione del Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI),
dei rifiuti di imballaggi cellulosici conferiti al servizio
pubblico. . Il Consorzio si occuperà inoltre del riciclo e del
recupero degli imballaggi cellulosi secondo criteri di efficacia,
efficienza ed economicità.
Il riciclo dei materiali
cellulosici: i fatti
In Italia attualmente, un quarto dei rifiuti solidi urbani (circa 26 milioni di
tonnellate) è rappresentato da carta e da cartone: ogni anno oltre 6 milioni di
tonnellate di materiale cellulosico vengono gettati in discarica.
Eppure, parte di questi materiali cellulosici potrebbe essere raccolta e
riutilizzata dalle cartiere: già oggi l’industria cartaria italiana ricicla 3 milioni e
500 mila tonnellate all’anno, di cui 2 milioni e 500 mila tonnellate raccolte nel
nostro paese, permettendo un risparmio dei costi di discarica di alcune
centinaia di miliardi di lire all’anno
La raccolta nazionale di materiali cellulosici, particolarmente nel settore della
raccolta presso le famiglie, gli uffici e le sedi e le attività commerciali, è
fortemente insufficiente rispetto alla domanda industriale e per questo le
cartiere sono costrette ad importare dall’estero circa 1 milione di tonnellate
all’anno .
In Italia sono numerosi gli impianti e gli stabilimenti per la lavorazione della
carta e del cartone raccolti in maniera differenziata , anche se la distribuzione
non è omogenea in tutte le regioni italiane .
A servirsi maggiormente delle fibre secondarie, che provengono da carte da
macero, sono soprattutto le cartiere che producono cartoncino e cartone da
imballaggi: esse utilizzano circa il 90 % di maceri come materia prima.
La filiera è pronta ad accettare un quantitativo sempre maggiore di macero di
provenienza interna: infatti è crescente l’impiego delle fibre secondarie anche
nei settori delle carte grafiche e di stampa e per gli usi domestici e sanitari,
dove si prevede un incremento di 250/300 mila tonnellate.
Gli imballaggi
Di recente COMIECO ha predisposto una Banca Dati sul ciclo
degli imballaggi cellulosici: si tratta di uno strumento prezioso per
analizzare la produzione , il consumo apparente , la raccolta e il
riciclo degli imballaggi .
In Italia la produzione di imballaggi in carta e in cartoni disponibili
per le aziende utilizzatrici (che riempiono l’imballaggio con i loro
prodotti) è di circa 3,8 milioni di tonnellate l’anno con un fatturato
di oltre 8.000 miliardi e 20.000 addetti per oltre 1.000 aziende.
Oltre 60% degli imballaggi prodotti è cartone ondulato ; seguono
gli astucci con il 12% , mentre i poliaccoppiati e i sacchi di grandi
di dimensioni ammontano entrambi al 4% .
Non tutto il quantitativo di imballaggi prodotti dalle industrie nazionali è
destinato al consumatore finale italiano, in quanto molti degli imballaggi
vengono esportati insieme alle merci . E’ stato possibile per ora valutare solo il
ciclo completo degli imballaggi in cartone ondulato e degli astucci , grazie ad
uno studio sui valori di importazione ed esportazione di imballaggi “pieni”
preparato da FEFCO (Federazione Europea Fabbricanti di Cartone Ondulato) .
Nel 1995 circa la metà della raccolta nazionale di carta da macero (2,4 milioni di
tonnellate) era rappresentata da imballaggi ( 1,2 milioni di tonnellate) . In
particolare circa il 50% degli imballaggi raccolti proveniva dalla Grande
Distribuzione Organizzata, oltre il 20% dall’industria a pari merito con la
quantità complessiva proveniente dal commercio al dettaglio, servizi e
artigianato.
Gli imballaggi in carta e cartone presenti nella raccolta differenziata di origine
domestica contribuiscono per circa il 10% sul totale dei rifiuti da imballaggi
raccolti .
Il quantitativo di imballaggi cellulosici riciclati , pari a 1.160.000 tonnellate ,
ammonta al 36% delle 3.215.000 tonnellate consumate .
Produzione complessiva degli
imballaggi cellulosici destinati agli
utilizzatori italiani
scatole in
cartone
ondulato
astucci
9%
4%
7%
4%
12%
sacche di
grandi
dimensioni
micronda
64%
poliaccoppiati
altro
Stima della raccolta e
recupero di macerie
imballaggi post consumo da
industria
12%
raccolta differenziata
imballaggi post consumo da gdo
42%
19%
imballaggi post consumo da
dettaglio, servizi, artigianato
resa giornali,
riviste,sottoproduzione industriale
16%
11%
Il decreto Ronchi
Il decreto Ronchi dedica un intero capitolo, il Titolo
Secondo, alla “Gestione degli imballaggi”,
individuando, secondo le direttive europee, nei
produttori (fornitori di materiali, fabbricanti,
trasformatori e importatori di imballaggi vuoti e di
materiali di imballaggio) e negli utilizzatori
(commercianti, distributori, addetti al riempimento,
utenti degli imballaggi e importatori di imballaggi pieni)
i responsabili del riciclo e del recupero degli imballaggi
dopo il consumo del prodotto confezionato.
I produttori hanno diverse possibilità per adempiere agli obblighi
di riciclaggio e di recupero:
•organizzare autonomamente la raccolta, il riutilizzo, il
riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio;
•aderire ad un Consorzio volontario per tipologia di materiale di
imballaggio;
•mettere in atto un sistema cauzionale.
I costi del sistema di gestione sono a carico dei produttori e degli
utilizzatori, senza oneri per il consumatore finale.
Sia i produttori che gli utilizzatori danno vita al CONAI, il Consorzio
Nazionale Imballaggi, un consorzio obbligatorio che deve occuparsi di:
•assicurare il raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e riciclo;
•definire con le pubbliche Amministrazioni le condizioni generali di ritiro dei
rifiuti da parte dei produttori;
•elaborare ed aggiornare il programma generale di prevenzione, con i relativi
obiettivi di recupero e di riciclo per singolo materiale;
•definire accordi con le pubbliche Amministrazioni per i rifiuti provenienti
dalla raccolta differenziata, fino allo smaltimento finale;
•attivare campagne di informazioni per gli utenti;
•ripartire i costi complessivi tra produttori e utilizzatori;
•coordinare i Consorzi Volontari e garantirne il raccordo con le pubbliche
Amministrazioni e gli altri operatori economici.
I Consorzi volontari, costituiti sulla base della tipologia del
materiale utilizzato, tra i quali il COMIECO, verranno invece
riconosciuti con decreto ministeriale e saranno finanziati con i
contributi dei soggetti partecipanti e con gli eventuali proventi
dell’attività di riciclo e di recupero.
I produttori che non si associano dovranno dimostrare di avere
adottato un sistema cauzionale sull’imballaggio che viene
svincolata alla restituzione: per chi non lo farà sono previste
sanzioni pecuniarie.
Il decreto Ronchi individua anche una struttura di controllo: è
l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, che vigilerà sulla gestione
dei rifiuti da imballaggio e verificherà il raggiungimento degli
obiettivi di recupero e riciclaggio prefissati
Tasso di raccolta
Italia 1995
Tipologia Immesso Raccolto
%
migliaia di t.
Totale
materiale
cellulosico
Imballaggi
cellulosici
8.316
2.351
28,3
3.215
1.160
36.1
Il vetro
Lavoro svolto da:
De Simone M. Rosaria
Memoli Roberta
classe 2^P
Cenni storici

Il vetro ha un’origine lontana nel tempo: era conosciuto
in Egitto fin dal V millennio a.C. Una leggenda racconta
che furono i Fenici, per caso, a scoprire come si poteva
ottenere: un giorno un gruppo di Fenici si accampò su
una spiaggia e accese un fuoco, ponendovi intorno delle
pietre di calce. La mattina seguente trovarono tra le
ceneri un blocco trasparente: era nato il VETRO.In
realtà, l’origine del vetro rimane oscura. Roma e le
province dell’Impero diventeranno esperte in quest’arte,
che conserverà a lungo un carattere esoterico e, fra le
arti del fuoco, verrà considerata “nobile”.
Caratteristiche

Il vetro è una sostanza solida amorfa, cioè che
non ha una struttura cristallina perfettamente
omogenea e compatta, caratterizzata da
un’elevata trasparenza, che si ottiene per
fusione di silice, soda e calce. Possiede scarsa
elasticità, elevata durezza e quindi alta fragilità;
buona resistenza agli agenti chimici (escluso
l’acido fluoridrico) e a quelli atmosferici, è un
cattivo conduttore di elettricità e di calore.
Le materie prime


Tra le materie prime c’è il vetro stesso che,
riciclato, consente un buon risparmio energetico
in fase produttiva e un forte risparmio di materie
prime che non dovranno essere sottratte
all’ecosistema. Anche i rifiuti d’amianto, possono
essere trasformati in vetro. L’amianto, riscaldato
a temperature intorno ai 100 °C, si trasforma in
silice che è il costituente principale del vetro.
Le materie prime per la produzione del vetro si
distinguono
in
FONDAMENTALI
e
ACCESSORIE.
Le materie prime
fondamentali




VETRIFICANTI: sabbia di silice – rappresenta il 70/75% del
peso della materia prima - o di quarzo, borace, anidride
fosforica.
FONDENTI: carbonati o solfati di sodio e potassio, servono
per aumentare la fusibilità. La maggiore o minore quantità di
soda rende più o meno lento il processo di solidificazione.
STABILIZZANTI: carbonato di calcio, ossido di piombo,
ossido di bario, ossido di zinco, ecc., conferiscono al vetro
maggiore resistenza, aumentano la rifrangenza e la
lucentezza.
AFFINANTI: anidride arseniosa, solfato di sodio, ecc.,
servono a favorire l’eliminazione delle bolle di gas che si
formano nella massa fusa.
Le materie prime
accessorie



DECOLORANTI: per decolorare il vetro si usa il
sapone dei vetrai (biossido di manganese);
COLORANTI: per colorare si usano vari ossidi
metallici;
OPACIZZANTI: per opacizzare, cioè per
conferirgli una colorazione bianca e togliere la
trasparenza, si usa la fluorite o la criolite che è
un minerale composto da
fluoruro di alluminio.
Fabbricazione del vetro






La fabbricazione del vetro comprende le seguenti fasi fondamentali:
Preparazione della miscela: la sabbia è prelevata dai silos e dopo la
miscelatura viene mandata al forno in dosi controllate, insieme agli altri
componenti.
Riscaldamento e fusione: nei forni, alla temperatura di circa 1200° 1440°C, avviene la fusione della miscela. Dopo circa 10 ore la temperatura
viene innalzata a circa 1500°C per fluidificare ulteriormente il vetro e
permettere l’eliminazione delle bolle gassose
Affinazione e raffreddamento: è l’operazione che ha la funzione di
liberare la massa vetrosa fusa dalle parti non fuse, depositate sul fondo del
forno che dura circa tre ore. La massa fusa viene lasciata raffreddare per
altre tre ore, fino alla temperatura di lavorazione.
Ricottura: gli oggetti di vetro formati devono essere sempre ricotti in forno
a 400-600 °C e poi raffreddati lentamente per eliminare le tensioni interne
che si sono create se il raffreddamento è stato troppo rapido.
Tecniche di lavorazione




La formazione dei prodotti di vetro viene effettuata con diverse tecniche:
Modellazione: è la tecnica impiegata dall’artigiano vetrario, che plasma nelle
forme più varie la pasta vetrosa, mantenuta allo stato semifluido con tecniche
e strumenti adatti.
Soffiatura: la lavorazione per soffiatura può essere fatta a mano o a
macchina. La soffiatura a mano è praticata ormai raramente ed è destinata per
gli oggetti artistici. L’artigiano usa una canna metallica lunga 1-1,5 m alla quale
fa aderire un po’ di pasta vetrosa e soffia una bolla di vetro, facendola rotolare
su una lastra di ferro. Aiutandosi con pinze dà alla bolla la forma desiderata.
Per la produzione industriale di gli oggetti cavi si ricorre alla soffiatura a
macchina, calando la pasta vetrosa in stampi di ghisa e soffiando aria
compressa contro le pareti dello stampo. Si producono in questo modo
bottiglie, fiaschi, lampadine, tubi ecc.
Stampaggio: consiste nel versare la massa vetrosa fusa in stampi, il cui
fondo è conformato secondo la
forma voluta.
Con questa
tecnica si producono elementi di vetro-cemento, tegole, lenti, alcuni tipi di
bicchieri ecc.





Laminazione: la massa vetrosa viene fatta scorrere attraverso una
serie di rulli a coppie rotanti dai quali esce una lastra continua,
tagliata poi nelle misure volute.
Float glass: significa “vetro galleggiante”. E’ il metodo più diffuso e
moderno di produzione delle lastre; consiste nel colare il vetro allo
stato viscoso in un forno a tunnel, la cui base è formata da un “letto”
di stagno fuso, su cui il vetro galleggia e assume una forma piana,
con una superficie brillante. Le lastre fabbricate vengono dette
cristalli.
Filatura: è la tecnica che permette di produrre vetri filati; consiste
nel far passare ad alta velocità la pasta fusa attraverso filiere, che la
riducono in fibre solidificate flessibili. Si ottiene così la seta di vetro
e la lana di vetro.
Tempratura: è una operazione indispensabile che si esegue sugli
oggetti finiti per ottenere prodotti dotati di durezza e di resistenza
meccanica. Si esegue riscaldando gli oggetti fin quasi alla fusione
per poi raffreddarli bruscamente (tempra fisica). La tempra chimica
consiste invece nell’immergere il vetro in un bagno chimico (nitrato
potassico).
Schema della fabbricazione e della
lavorazione del vetro
Macinazione
delle materie
prime
Dosaggio e
miscelazione
Raffreddamento
Fusione
(1300°C)
Ricottura
Affinazione
(1500°C)
Foggiatura
-Soffiatura
-Colata
Finitura
-Laminazione
-Molatura
-Stiratura
-Spianatura
-filatura
-lucidatura
Tecniche di lavorazione
Laminatura
Lastre di vetro
Soffiatura
Bottiglie,
lampadine,
bicchieri…
Stampaggio
Lenti, bicchieri..
Filatura
Lana di vetro
Principali tipi di vetro
Tipi di vetro
Caratteristiche
Impieghi
Colore bianco, verde o bruno per la
presenza di impurezze.
Lastre per finstre, specchi
comuni, bicchieri, barattoli….
Cristallo di BOEMIA
Leggero, trasparente e brillante, è a
base di potassio.
Servizi fini da tavola,
lampadari, bulbi per
termometri…
Cristallo
A base di silicato di piombo, è
sonoro, pesante, brllantissimo o
molto rifrangente.
Vetro comune
Mezzo cristallo o
Vetro pirex
Contiene un’ alta percentuale di
allumina e di anidride borica. Si
dilata poco al calore, è molto
resistente al fuoco.
Oggetti di pregio, servizi da
tavola, vetri per ottica, strass..
Stoviglie da forno e oggetti
per laboratorio.
Tipi di vetro
Caratteristiche
Impieghi
Si ottiene opacizzando tutta la massa con
l’aggiunta di particolari sostanze, oppure
attraverso la smerigliatura, cioè attraverso
l’abrasione della superficie degli oggetti
con sabbia silicea.
Oggetti vari,
articoli per la
casa…
Si prepara aggiungendo dei pigmenti
colorati alla massa vetrosa.
Oggetti vari,
lastre…
Vetro ottico
E’ molto leggero e trasparente, è a base di
potassio e boro.
Lenti e altri
prodotti di ottica.
Vetro di sicurezza
Si ottiene inserendo tra due cristalli un
foglio di materiale plastico trasparente.
Talvolta si combinano più strati alterni di
vetro e di plastica. La rottura non produce
schegge.
Vetri
antiproiettile,
parabrezza…
Vetro opaco
Vetro colorato
Vetro armato
Si ottiene interponendo reticelle
metalliche o di plastica tra due strati di
vetro.
Lastre per vari
usi.
Tipi di vetro
Vetro infrangibile
Caratteristiche
Impieghi
Vetro comune sottoposto a lunghi
procedimenti di tempra.Il SECURIT è un
cristallo di notevole spessore (6-8mm)
sottoposto a tempra; è molto resistente agli
urti, alla flessione e agli sbalzi di temperatura.
Vetro cemento
Struttura mista di cemento armato e vetro
Pareti, piastrelle...
Vetro ceramica
Particolare tipo di vetro in cui speciali
trattamenti termici danno origine ad una fase
cristallina con modifiche sostanziali sia della
resistenza meccanica, sia del coefficiente di
dilatazione.
Utilizzato nel
settore aerospaziale
e, si prevede, anche
nei motori comuni
Specchi
Lastre di vetro con la superficie riflettente
Specchi e latri
ottenuta per deposizione di uno strato sottile
oggetti
di metallo (alluminio o stagno o argento per
quelli più pregiati)protetto con una particolare
vernice.
Tipi di vetro
Vetro isolante
Smalti
caratteristiche
Si realizza unendo due o più lastre di cristallo
separate da cuscinetti d’aria perfettamente
disidratata.Il collegamento perimetrale delle lastre
è ottenuto per incollatura mediante l’interposizione
di materiali plastici ad alta adesività meccanica e
ottima tenuta alla diffusione del vapore acqueo.
Questo tipo di vetro è anche fonoassorbente, cioè
attenua i rumori esterni riducendoli di circa il 70%.
Il TERMOLUX è costrituito da due cristalli che
racchiudono uno stato di lana di vetro; possiede
quindi un elevato potere coibente. Il vetro
ATERMICO è un vetro filtrante costituito da una
lastra di vetro di cristallo, colorato con colori tenui
che diffondono la luce, riducendo notevolmente
l’abbagliamento.
Vetri facilmente fusibili, incolori o colorati,
trasparenti o opachi.
impieghi
Lastre per
finestre, vetrate
ed altri prodotti
per l’edilizia.
Si usano per
ricoprire
porcellane,
metalli e anche
altri vetri.
Tipo di vetro
Fibra di vetro
(lana di vetro,
seta di vetro,
fibra ottica)
Caratteristiche
Si ottiene riducendo in
fili la pasta vetrosa
mediante procedimenti
operativi particolari.
La fibra ottica ha
l’aspetto di un
sottilissimo filo
trasparente formato da
due parti distinte:
un’anima interna e una
corona esterna.
Impieghi
Le fibre più corte, trasformate in pannelli o
feltri, sono destinate all’isolamento acustico e
termico. Unite a materiali bituminosi, si
usano per impermeabilizzare terrazze e
coperture varie; servono, inoltre, per produrre
tessuti ininfiammabili, tendaggi, stoffe
particolari e altri manufatti di grandi
dimensioni (barche, pareti per prefabbricati..).
Le FIBRE OTTICHE sono usate nelle
telecomunicazioni perché possono sostituire i
fili elettrici, e le informazioni vengono
trasmesse con impulsi luce anziché con
impulsi elettrici. I raggi luminosi,
imprigionati nell’anima del filo, procedono
compiendo una serie di rimbalzi successivi
contro le sue pareti, secondo il principio della
riflessione.Altre applicazioni delle fibre
ottiche sono le sonde con le quali i medici
vedono dentro lo stomaco dei loro pazienti, i
calcolatori elettronici, i robot industriali..
Il vetro
e
l’ambiente
Il vetro è l’unico elemento interamente riciclabile: da un
contenitore usato può nascere un nuovo contenitore. Il
riciclo del vetro consente di risparmiare la materie prime
(sabbia, calcare, ecc..) necessarie per la sua produzione,
limitando l’apertura di nuove cave a tutto vantaggio del
territorio. Anche i consumi energetici vengono ridotti
poiché l’utilizzo di rottami di vetro abbassa il punto di
fusione e occorrono minori quantità di calore rispetto a
quelle necessarie impiegando le materie prime tradizionali;
consumando meno combustibile si riduce anche
l‘inquinamento atmosferico.
Per fabbricare una
bottiglia occorrono:
+
+
+
Soda g. 100
Gasolio g. 90
Sabbia g. 400
Oppure:
+
Gasolio g. 90
Rottami di vetro
Calcare g. 100
Il vetro riciclato diventa quindi disponibile
come materia prima per produrre altri
manufatti, a differenza di molti prodotti di
scarto che devono essere messi in condizione
di non nuocere all’ambiente attraverso
costose lavorazioni..
Infatti, non tutti i materiali sono riciclabili,
perché alcuni di essi producono, anche nel
momento dell’incenerimento, un
inquinamento gassoso più pericoloso
dell’inquinamento meccanico.
Il riutilizzo del contenitore di vetro non è, però,
così semplice: il sistema è abbastanza costoso,
perché bisogna affrontare i problemi della
raccolta e del trasporto, di pulizie necessarie per
rendere riutilizzabile il prodotto dalle industrie.
Comunque riutilizzare il vetro grazie alla raccolta e
al riciclo è importantissimo: nel 1984 in Europa
sono stati risparmiati 135 milioni di litri di elio
combustibile. Oggi le inconfondibili campane per la
raccolta del vetro sono ormai in ogni angolo di
strada e quindi liberarsi di una bottiglia in modo
corretto non è un problema: basta ricordare che è
necessario sempre togliere il tappo prima di
inserirla nei contenitori.
Schema dei trattamenti per trasformare il
vetro riciclato in materia prima.
Raccolta
svuotamento delle
campane e trasporto al centro di
raccolta e di trasformazione.
Mediante
Mondatura
soffiatura o asportazione il
rottame viene liberato dalle parti
più leggere (sughero, carta..)
Lavaggio
con acqua per
l’asportazione finale di tutti i
residui organici.
Frantumazione
il vetro viene
frantumato con appositi martelli.
Asportazione di
tutti i metalli
(capsule, fili di ferro..)
mediante sistemi
a magneti.
Materie prime
da riutilizzare
Fine
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Diffusione della cultura della differenziazione dei