Michel FOUCAULT
Liberare la libertà
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1
Il fondamento del sapere
• La domanda che anima la filosofia foucaultiana
è quella relativa al fondamento del nostro
sapere. Quali sono le basi sulle quali si è
costruita la cultura, la nostra nozione di verità, il
nostro modo di pensare e vedere le cose, i
nostri rapporti umani?
• Per rispondere a tali non nuove domande egli si
avvale di una metodologia originale che
complessivamente possiamo indicare come
metodo archeologico-genealogico.
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2
L’archeologia (L’archeologia del sapere –
1969)
• L’indagine archeologica va alla ricerca di quelle nozioni
implicite e scontate che “fanno apparire naturale una
certa concezione che è invece espressione di una certa
struttura culturale” (Massarenti, 401).
• In ogni tempo esistono condizioni implicite, ossia
certi assunti metodologici, certi atteggiamenti verso
il mondo, certi modi di pensare e di agire inscritti nel
«dna» degli uomini di una data epoca che
accompagnano la nascita di una certa visione del mondo
e delle cose, e di un certo sapere in un determinato
campo, e anzi determinano a volte la nascita di certe
discipline culturali.
•
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3
A priori storici
• Queste condizioni sono gli a priori storici di quelle discipline,
i quali vanno ritrovati con una ricerca minuziosa sul campo,
cioè sui documenti di una determinata epoca, e ricostruiti allo
stesso modo di come un archeologo ricostruisce un ambiente
antico grazie ai reperti ritrovati.
• Gli a priori storici hanno un po’ la stessa funzione di quelli
kantiani (ai quali F. si ispira): essere le condizioni di possibilità
date in ogni sapere. Solo che gli a priori kantiani sono
strutture della soggettività trascendentale, cioè costituzioni del
soggetto conoscente che è sempre quello e non muta, mentre
gli a priori di F. si costituiscono in un dato momento storico e
cambiano da epoca a epoca.
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4
Foucault sull’archeologia
• “Con archeologia vorrei designare non esattamente una
disciplina ma un campo di ricerca, che sarebbe il
seguente. In una società le conoscenze, le idee
filosofiche, le opinioni di tutti i giorni, ma anche le
istituzioni, le pratiche commerciali e poliziesche, i
costumi, tutto rimanda a un certo sapere implicito
proprio di queste società. Questo sapere è
profondamente diverso da quello che si può trovare nei
libri scientifici, nelle teorie filosofiche, nelle giustificazioni
religiose, ma è esso a rendere possibile in un dato
momento la comparsa di una teoria, di un’opinione, di
una pratica”
(M. Foucault, Le parole e le cose, intervista con R. Bellour,
in Idem, Antologia. L’impazienza della libertà, tr. it. di G.
Costa, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 29).
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5
La genealogia
La dimensione genealogica del metodo foucaultiano attinge a
Nietzsche. Il filosofo di Röcken aveva concepito la genealogia quale
ricerca che, tornando indietro verso la dimensione originaria di un
dato fenomeno culturale, ne coglie la natura profonda in
quell’impulso all’autoaffermazione nei confronti del mondo e degli
altri uomini che egli chiama volontà di potenza.
Ebbene se volontà di potenza è affermazione di un potere,
Foucault, ritiene che sempre nelle questioni culturali siano in gioco
relazioni di potere. Un dato sapere emerge sempre come effetto di
alcuni rapporti di forza, emerge perché riceve la sua forza da una
data situazione in cui vi è qualcuno che spinge e vince le
resistenze, in una dinamica inesausta di confronto fra spinte
contrastanti.
La genealogia ricostruisce queste spinte per cogliere l’impulso
che contraddistingue una data forma di sapere e l’interesse
che essa promuove.
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6
Strutture epistemiche o epistemi
(Le parole e le cose – 1966; L’archeologia del
sapere - 1969)
• La ricerca archeologica e genealogica ci
consente di cogliere quegli a priori storici, quei
modi di porre i problemi e di pensarli che
costituiscono dei veri e propri regimi di
razionalità o epistemi (dal greco epistéme =
sapere stabile).
• Essi connotano le varie epoche della cultura e
sono all’origine e al tempo stesso l’effetto di tutte
le produzioni culturali di un dato periodo.
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Individuazione e utilizzo euristico
dell’episteme
• Dunque
• 1) una volta che si siano indagate
archeologicamente e genealogicamente le
condizioni sociali, politiche, economiche e
culturali di un dato periodo storico,
• 2) si può stabilirne l’episteme cioè la tendenza
fondamentale, il nucleo di idee-base che
formano la griglia fondamentale di tutte le
espressioni culturali di quel periodo.
• 3) quando poi indagherò singole produzioni di
quel periodo, conoscerne l’episteme mi sarà di
grande aiuto per comprenderle.
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8
Foucult sull’episteme
• Così Foucault può affermare: “Quando
parlo di episteme intendo tutti i rapporti
che sono esistiti in una certa epoca fra i
vari campi della scienza […] Sono tutti
questi fenomeni di rapporti fra le scienze o
fra vari ‘discorsi’ nei vari settori scientifici
che costituiscono quella che io chiamo
‘episteme’ di un’ epoca”.
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Importanza dell’episteme
• L’episteme di un determinato periodo delimita
anche i campi di ciò che si può e non si può
indagare, addirittura delimita e costituisce gli
oggetti di indagine, dando luogo a nuove
discipline e branche della scienza. Pensiamo
per esempio alla nascita della nozione di
inconscio come oggetto di studio. Esso è dato
da un modo di pensare assolutamente tipico dei
secc. XIX e XX, mentre prima tale oggetto non
avrebbe neppure avuto la possibilità di essere
pensato come oggetto di studio.
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Strutture epistemiche medioevali
(analogia e identità)
• Nella storia le strutture epistemiche si succedono senza
un legame razionale e senza un senso. Esse quindi
possono essere solo descritte, ma non giustificate.
• Nel Medioevo-Rinascimento vi era un modo
fondamentale di atteggiarsi di fronte alle cose che era
fondato sull’analogia. L’uso analogico della razionalità
permetteva di istituire relazioni tra microcosmo
macrocosmo e ordinamenti metafisici del mondo. Sotto il
profilo linguistico si concepiva un’identità tra la parola
e la cosa significata: “le parole avevano la stessa realtà
delle cose che esse significavano” (così accade nelle
parole dei culti e del mondo sacro), come in un altro
ambito della vita, il valore della moneta non era solo
indicato ma era il valore del metallo della stessa moneta.
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Strutture epistemiche moderne
(classificazione e rappresentazione)
• Nei secc. XVII e XVIII la razionalità assume una forma
classificatorio-ordinativa in cui ad ogni cosa si fa
corrispondere il segno che la rappresenta. Vi è una sorta
di pathos (passione) dell’ordinamento e del sistema che
racchiude il vivente in categorie definite e immutabili per
poi rappresentarlo con segni adeguati e privi di
possibilità di equivoco.
• Linguisticamente
si
introduce
l’idea
di
rappresentazione. Le parole non sono le cose ma le
rappresentano, così come in campo economico la
moneta vale non per il metallo di cui è fatta, ma per
l’immagine del principe che è stampata e che
rappresenta la fonte e la garanzia del suo valore.
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Strutture epistemiche del
contemporaneo
Dopo la rivoluzione francese, al pathos della classificazione
sincronica si sostituisce quello storicistico e genetico. Mi
interessa non tanto e non solo una classificazione di fenomeni
che li rappresenti tutti e li renda percepibili in un solo sguardo e
in un medesimo tempo, ma la loro storia, la loro origine-genesi
e il loro sviluppo diacronico, cioè attraverso diverse epoche.
Via via tale paradigma si arricchisce di una prospettiva che va
alla ricerca delle strutture nascoste del visibile, cioè quelle
impalcature non immediatamente percepibili che sostengono la
realtà: per esempio l’impalcatura delle regole grammaticali e
linguistiche che sostengono il nostro modo di parlare,
l’impalcatura delle regole economiche che sostengono il nostro
vivere sociale, l’impalcatura degli epistemi a sostenere la cultura
ufficiale di un dato periodo esprimentesi in precise pratiche
discorsive ossia le scienze, cioè quanto viene detto sulla realtà.
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Strutturalismo
A tutto ciò si riferisce la corrente dello strutturalismo
coeva alla riflessione di Foucault, secondo la quali, i
fenomeni linguistici (De Sassure) e quelli sociali e
culturali (Levi Strauss) sono governate da strutture
anonime. La lingua per esempio come sistema di
segni connesso secondo regole è la struttura di
quanto noi concretamente diciamo parlando. In
ambito antropologico i rapporti di parentela con certi
assunti biologico morali nelle civiltà (es. il divieto di
incesto), sono la struttura dello sviluppo di una data
civiltà.
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Applicazione del metodo
• Una volta esplicitata la metodologia di
ricerca di Fuocault si può passare ad uno
sguardo sui risultati della sua ricerca,
codificati nelle sue opere maggiori, a
partire da quello che egli ritenne il suo
primo libro vero e proprio, la Storia della
follia (1961).
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L’applicazione del metodo:la storia
della follia
Da dove proviene il modo in cui noi trattiamo i
malati di mente? Qual è l’origine delle istituzioni
che abbiamo adibito a tale compito? Qual è il
senso che noi attribuiamo allo stesso concetto di
follia e di malattia mentale?
Un’indagine archeologica su tali argomenti può
contribuire a comprendere la derivazione del
fenomeno dall’episteme moderno e precisarne
alcune conseguenze, focalizzando l’attenzione
su alcune strutture di pensiero ancora operanti
nella nostra contemporaneità.
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La storia della follia
La follia rappresenta tutto ciò che scienza,
tecnica, razionalismo ed etica borghese
hanno represso a partire dal secolo XVIII.
Essa si configura come l’episodio di una
storia della repressione di quel fondo
dionisiaco della vita (Nietzsche) che viene
conculcato
attraverso
una
rigorosa
definizione di ciò che è giusto, lecito,
razionale, e funzionale allo sviluppo ordinato
della società.
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Il presupposto della libertà
• Tale considerazione evidenzia ex contrario alcuni assunti
diremmo etico-filosofici di Foucault, che connotano il suo
atteggiamento di ricerca. Egli respira da un lato un clima
esistenzialistico che esalta la dimensione della libertà,
dall’altro egli intende la libertà stessa non come progetto
politico-razionale, ma come rivolta anarchica totale, cioè
come la ricerca utopica di una dimensione di originaria
assenza di qualsivoglia costrizione, che attraversi anzitutto gli
aspetti finiti della personalità umana, le dimensioni edoniche e
pulsionali, il desiderio, l’istintuale, l’orgiastico.
• Lungi da affidarsi a progetti politici o a filosofie emancipative
della storia, egli ritiene che la letteratura e l’arte siano gli
strumenti più efficaci per oltrepassare i limiti del dato, della
costrizione culturale, sociale, economica, etica e poliziesca,
per attingere ad un universo di trasgressione anarchica e
di libertà cosmica.
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Archeologia di un silenzio
• La ragione occidentale progressivamente
riduce a silenzio il fondo dionisiaco
dell’umano. Foucault intende fare l’
«archeologia di questo silenzio».
(M.
Foucault, Storia della follia, prefazione del
1961 in Idem, Antologia. L’impazienza della
libertà, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 10),
individuandone la nascita all’interno della
cultura
o
meglio
dell’episteme
seisettecentesca e il suo perdurare sino ad oggi
nelle forme tipiche del contemporaneo.
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La nascita del concetto dalle
pratiche di esclusione
• Anzitutto bisogna sottolineare che lo stesso
concetto di follia non riguarda fenomeno già dato,
ma è studiato nel suo prendere vita a partire da
concrete e storiche pratiche di esclusione alle
quali, in un dato momento, alcuni uomini sono
stati sottoposti nelle loro società.
• Esse comportano la separazione del territorio
della normalità, della socialità e della quotidianità
accettata, da un ESTERNO in cui regnano la
mancanza di senso e di ragione, la SRAGIONE,
come la chiama F.
• A partire da questo gesto si comincia a definire il
concetto moderno di follia e il trattamento degli
uomini segnalati con le stigmate del folle.
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Il Medioevo
• Vi sono tre fondamentali momenti dello sviluppo
dell’atteggiamento nei confronti della follia il cui esito è la
sua manifesta repressione.
1) Il Medioevo-Rinascimento, epoca in cui l’insensato è escluso
ma protetto perché incarna la critica alle pretese della ratio e
la coscienza della tragicità dell’esistenza umana. Il mondo
umano con tutte le sue preoccupazioni è follia agli occhi di
Dio, mentre reciprocamente, come accade in Niccolò Cusano,
la saggezza di Dio non può che essere follia per gli uomini:
«La saggezza di Dio, quando se ne può scorgere lo
splendore, non è una ragione a lungo velata, ma una
profondità smisurata. Il segreto conserva in essa tutte le
dimensioni del segreto, la contraddizione non cessa di
contraddirsi sempre, sotto il segno della contraddizione
principale che esige che il centro stesso della saggezza sia la
vertigine di ogni follia» (M. Foucault, Storia della follia, tr. it. di
F. Ferrucci, Rizzoli, Milano 1963, p. 38).
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Poteri oscuri della miseria e
rispetto medievale del folle
Egli è inoltre depositario di una sacralità «dovuta
anzitutto al fatto che per la carità medievale, egli
partecipava ai poteri oscuri della miseria. Egli la
esaltava forse più di ogni altro. Non gli si faceva forse
portare il simbolo della croce, ritagliato nei suoi
capelli? Sotto questo simbolo Tristano si è presentato
per l’ultima volta in Cornovaglia, ben sapendo di avere
in tal modo diritto alla stessa ospitalità di tutti i
miserabili; e, pellegrino dell’insensato, col bastone
appeso al collo e la croce ritagliata sul cranio, era
sicuro di entrare nel castello del re Marco: «Nessuno
osò impedirgli il passaggio alla porta, ed egli
attraversò la corte imitando lo sciocco con grande
gioia dei servitori…» (Tristan et Iseut -ed Bossuat- , p.
220 in M. Foucault, Storia cit., p. 67).
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Epoca dell’assolutismo (per Foucault,
l’età «classica»)
2) Età classica (epoca dell’assolutismo, seconda metà del Seicento)
L’esclusione della follia viene elaborata in perfetta coerenza con la
struttura epistemica dell’epoca. Il pathos della schematizzazione
razionalistica e della classificazione, costruisce la categoria di
follia come l’estraneo rispetto alla ragione. Anzitutto ciò avviene
sul piano teoretico. Cartesio nelle
Meditazioni
metafisiche
contrappone in modo assoluto i due ambiti contro l’antica tradizione
viva ancora in Erasmo e Montaigne secondo cui il folle è il toccato
da Dio, persona sacra e portatore di saggezza profonda e
incomprensibile: «La non ragione del XVI secolo formava una sorta
di rischio aperto, le cui minacce potevano sempre, almeno di diritto,
compromettere i rapporti della soggettività e della verità. Il
procedere del dubbio cartesiano sembra testimoniare che nel XVII
secolo il pericolo è scongiurato e che la follia viene posta fuori dal
dominio di pertinenza nel quale il soggetto detiene i suoi diritti alla
verità […]. Ora la follia è esiliata.» (M. Foucault, Storia cit., p. 53).
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Età classica, l’internamento
Ma tale forma di esclusione ed esilio avviene anche nella società e
nelle sue strutture. Nel 1657 Luigi XIV costruisce «Ospedale
generale», una struttura di internamento con la quale si intendeva
«impedire la mendicità e l’ozio come fonte di disordine» (Foucault,
Storia, cit., p. 68) e in tal quadro affrontare il problema del
vagabondaggio, dell’accattonaggio, della povertà estrema e
dell’emarginazione. Una sorta di patto implicito vuole che il
vagabondo e l’emarginato vedano riconosciuto il proprio diritto ad
essere nutriti, se accettano di perdere la libertà ed essere rinchiusi
nella struttura dove verranno rieducati al lavoro per poter godere,
nell’esclusione, di una sorta di tolleranza sociale. È così che inizia
quello che F. chiama il «Grande internamento»: i folli fino ad allora
tollerati, sono rinchiusi assieme a libertini, prostitute, mendicanti,
delinquenti, cioè tutti coloro che oggettivamente ostacolano
l’affermarsi dell’etica borghese della famiglia che avvia e introduce
al lavoro produttivo.
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Età classica, l’internamento (2)
«A partire dalla creazione dell’ Ospedale generale ce
dall’apertura delle prime case di correzione in Germania e in
Inghilterra, e fino al termine del XVIII secolo, l’età classica
rinchiude. Rinchiude i dissoluti, i padri dissipatori, i figli prodighi, i
bestemmiatori, gli uomini che ‘tentano di sopprimersi’, i libertini.
E delinea […] l’esperienza particolare che essa fa della sragione.
Ma in ogni città si trova inoltre tutta una popolazione di folli.
Circa la decima parte degli arresti operati a Parigi per l’Ospedale
generale concerne individui ‘insensati’, uomini ‘in demenza’,
persone ‘dallo spirito alienato, o ‘ diventate del tutto folli’ Fra
questi e gli altri nessun segno di differenza» (p. 113).
Che i folli vadano assieme agli esclusi è sintomo
inequivocabile dell’esclusione della follia: un gesto tipico che
ha come conseguenza l’internamento cioè la stretta
delimitazione di confini insuperabili per i soggetti catalogati
come «fuori dalla ragione».
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Il XIX secolo: la
medicalizzazione
3) La terza fase è quella successiva alla Rivoluzione francese,
cioè il XIX secolo. Tale periodo vede il sorgere dei primi veri e
propri manicomi . Ciò comporta uno spostamento concettuale: il
folle da emarginato confinante con la delinquenza diviene
malato di mente. Il folle viola l’etica borghese del lavoro, non
può entrare neanche forzatamente nelle dinamiche produttive, è
del tutto refrattario ad ogni normalizzazione sociale.
Da questa forzata separazione dal resto della società nasce
l’idea che la follia sia una forma di alienazione che richiede
trattamenti particolari e addirittura una disciplina specifica che
ne studi patogenesi e sintomatologia abbozzando le prime
ipotesi eziologiche e terapeutiche. La follia viene
medicalizzata, nasce la psichiatria come disciplina medico
scientifica. Così la follia diventa la non verità che viene trattata
dalla verità della scienza, la sola a poter stabilire discrimine tra
normalità e anormalità.
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Riconoscimento della specificità della
follia
• Ciò comporta un riconoscimento di
specificità che implica la separazione dei
folli dai delinquenti e dai reprobi, ma una
nuova
forma
di
internamento
medicalizzato. Foucault ha riassunto tutto
ciò in una tabella molto esplicativa (cfr.
Foucault, Storia, cit., p. 391).
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27
Forme di liberazione
Strutture di protezione
Soppressione di un internamento che
confondeva la follia con tutte le altre
forme della sragione.
Designazione di un internamento non
più terra di esclusione ma luogo
privilegiato in cui la follia deve
raggiungere la propria verità.
Costituzione di un asilo che si propone
un fine esclusivamente medico.
Imprigionamento della follia in uno
spazio invalicabile che sia luogo di
manifestazione e
contemporaneamente di guarigione.
Acquisizione da parte della follia del
diritto ad esprimersi, di essere
ascoltata, di parlare a proprio nome.
Elaborazione intorno e al di sopra
della follia di una specie di soggetto
assoluto che è tutto sguardo e le
conferisce uno statuto di puro oggetto.
Introduzione della follia nel soggetto
psicologico come verità quotidiana
della passione, della violenza e del
delitto.
Inserimento della follia all’interno di un
mondo non coerente di valori e nei
giochi della cattiva coscienza.
Riconoscimento della follia nel suo
ruolo di verità psicologica, come
determinismo irresponsabile.
Separazione delle forme della follia
secondo le esigenze dicotomiche di un
giudizio morale.
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Esiti della medicalizzazione
Dunque in sostanza, malgrado i riconoscimenti, la medicalizzazione non
apporta significative novità nella condizione del folle come escluso,
segregato e represso. Anzi si potrebbe dire che le forme di repressione
e contenimento diventando più sottili, diventano anche
più
sistematiche.
ALLA FINE DELL’OPERA F. indica alcune vie per ridare voce alla follia:
Nell’arte con Goya e Artaud, in filosofia con De Sade e Nietzsche la follia
potrebbe essere ricompresa come espressione della percezione tragica
dell’esistenza umana, delle sue contraddizioni dalle forme mostruose e
inquietanti perché irrisolvibili nella forma compiuta e serena della pura
ragione e come distruzione dei valori del razionalismo borghese che tutto
vorrebbe irrigimentare all’interno di un sistema sociale normalizzato e
razionalizzato in funzione della massimizzazione dell’utile.
La Storia della follia può essere considerata atto d’accusa contro
psichiatria tradizionale, contro la struttura del manicomio e il
maltrattamento malati di mente cioè un testo che anticipa i temi dei
movimenti antipsichiatrici.
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29
Dall’archeologia alla genealogia (L’ordine del discorso
1970, Sorvegliare e punire 1975– La volontà di sapere
1976)
Nella fase matura della riflessione focaultiana il nostro
autore insiste più sulla dimensione genealogica della
ricerca, la quale punta ad individuare la radice di potere
di determinati discorsi (sistemi di sapere relativamente
chiusi, autosufficienti e autoregolantisi, come la scienza
psichiatrica,che danno luogo ai loro oggetti, come per
es. la follia, ma anche determinano e dominano i modi
di vita dei soggetti che li affermano). Dopo che dei
discorsi ha individuato l’ “archivio”, cioè il complesso di
regole anonime o a priori storici che ne regolano il
dispiegarsi in dati periodi, ora l’indagine punta a
ricostruire le trame di forze che hanno accompagnato il
loro affermarsi come verità (volontà di potenza e volontà
di verità nietzschianamente coincidono).
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30
Microfisica del potere
Già nella Storia della follia emerge il ruolo determinante
del potere nel produrre i discorsi e le dinamiche di
repressione. Successivamente F. affronta tali dinamiche
in diversi ambiti come la politica, la sessualità, l’etica.
Qui emerge il rapporto fondativo che ha il potere
rispetto al discorso ritenuto vero, alla disciplina
«scientifica». Si tratta tuttavia di un potere non da
intendersi come un moloch fisso, statico e ben
identificabile, ma qualcosa di fluido che si esprime in una
catena di rapporti, una rete di relazioni che si
ristrutturano continuamente e che attraversano ogni
aspetto, anche il più insignificante, della vita umana.
Perciò la disciplina che lo studierà sarà un microfisica del
potere (cfr. l’antologia omonima del 1977).
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Definizione del potere (1)
• “Con potere non voglio dire “il Potere”, come insieme di
istituzioni e di apparati che garantiscono la sottomissione
dei cittadini in uno Stato determinato. Con potere non
intendo nemmeno un tipo di assoggettamento, che in
opposizione alla violenza avrebbe la forma della regola.
Né intendo, infine, un sistema generale di dominio
esercitato da un elemento o da un gruppo su un altro, ed
i cui effetti, con derivazioni successive, percorrerebbero
l’intero corpo sociale. L’analisi in termini di potere non
deve postulare, come dati iniziali, la sovranità dello stato,
la forma della legge o l’unità globale di una dominazione,
che ne sono solo le forme ultime…”
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32
Definizione del potere (2)
• “…Con il termine potere mi sembra che si debba
intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di
forza immanenti al campo in cui si esercitano e
costitutivi della loro organizzazione; il gioco che
attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li
rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza
trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena
o un sistema, o, al contrario, le differenze, le
contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le strategie
infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno
generale o la cui cristallizzazione istituzionale prendono
corpo negli apparati statali, nella formazione della legge,
nelle egemonie sociali” (M. Foucault, La volontà di
sapere, tr. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli,
milano, 1978, p. 81).
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33
Significato della definizione di
potere
Il cuore della definizione è certamente la frase che parla della
“molteplicità di rapporti di forza immanenti al campo in cui si
esercitano”. Che cosa è tale “molteplicità di rapporti di forza”?
Dobbiamo immaginare una data situazione umana, circoscritta
come un ambiente (di qualsiasi tipo: svago, lavoro, amore, gioco,
politica, scienza, economia, territorio, istituzione, scuola, etc.).
Foucault dice che in ogni situazione umana è presente una
molteplicità di forze: volontà di affermarsi, di fare, di disfare, di
decidere, di esprimersi, di far tacere altri e così via. Tali forze, tali
energie entrano in un variegato rapporto fra loro, proprio nel campo,
cioè nella situazione umana, in cui esse si esercitano e prendono
vita. Tale rapporto va via via organizzandosi, ma mai in modo
definitivo. L’organizzazione di tali forze, che vede il prevalere di
qualcuno su qualcun altro in determinate occasioni è fluida e in
continuo movimento, producendo di volta in volta i suoi effetti ultimi,
cioè
le
diverse
configurazioni
istituzionali
del
Potere
tradizionalmente inteso.
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34
Normalizzazione e controllo
• Il potere, complessivamente considerato in una data
epoca e in un dato contesto di civiltà, nella sua
tendenza dominante non si esprime sempre in modo
costrittivo e autoritativo, ma anche e soprattutto in
modo obliquo e strategico. Le sue sono strategie
di convinzione, indirizzo, rinforzo attraverso premi o
punizioni,
influenza
indiretta,
controllo
e
contenimento dei comportamenti.
• Ciò avviene tramite l’uso oculato di dispositivi
finalizzati a questo. Che cosa è un dispositivo?
Vediamo che cosa pensa a proposito il filosofo
Giorgio Agamben che ha affrontato tale tema
focaultiano in un suo recente testo (Che cos’è un
dispositivo, Nottetempo, Roma 2006).
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35
Il dispositivo
Giorgio «Agamben ricostruisce la logica di funzionamento del termine dispositivo nel discorso teorico di Foucault. E
ipotizza che essa sia intrecciata con una certa eredità hegeliana che giunge a lui tramite l’insegnamento di Jean
Hyppolite, suo illustre predecessore alla cattedra del Collége de France. In un testo dedicato al pensiero di Hegel,
Hyppolite sottolineò, con evidenza, il ruolo del termine “positività” nel giovane Hegel. Questo termine indicava come
l’elemento storico consiste in “un carico di regole, riti, e istituzioni che vengono imposti agli individui da un
potere esterno, ma che vengono, per così dire, interiorizzati nei sistemi delle credenze e dei sentimenti”.
Questa
definizione
è
analoga
a
come,
infatti,
Foucault
definisce
il
dispositivo.
Foucault, quindi, sottolinea che il potere non è il luogo della violenza bruta, al contrario esso agisce tramite
dispositivi che funzionano attraverso la produzione di un soggetto. In altri termini, se pensiamo a certi istituti come la
confessione, Foucault ci mostra che in essi si determina innanzitutto una procedura volta ad oggettivare la condotta di
un soggetto, il quale a sua volta è costretto a prendere posizione rispetto a se stesso. La”libertà” del soggetto e la sua
assunzione di responsabilità di fronte a se stesso, cioè, sono elementi funzionali all’operatività di un dispositivo; anzi, è
il dispositivo stesso a produrre le condizioni di manifestazione del soggetto, a prevederne e invocarne l’evidenza
storica.
Mentre le teorie classiche del potere ruotano intorno a una concezione della forza che tende a identificarsi,
necessariamente e in ultima istanza, con la violenza e la repressione, Foucault ci mostra come le condizioni di
esercizio effettivo del potere abbiano di mira la costituzione della libertà del soggetto». Igino Domanin in
www.ariannaeditrice .it
In sostanza il dispositivo è un sistema di regole che passano per la coscienza del soggetto e premono perché essa
venga fuori nella direzione voluta dal potere attraverso una serie di condizionamenti istituzionali, morali, psicologici,
emotivi, culturali. Potremmo dire che il dispositivo è il potere in quanto condiziona dall’interno la libertà umana.
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La società disciplinare
• In Sorvegliare e punire (1975) tale prospettiva sul
potere viene analizzata in vista della denuncia della
nascita di una società disciplinare che, negli
istituti detentivi, nati nella prima metà
dell’Ottocento, sostituisce l’intento di vendicare o
retribuire i crimini, con quello di regolamentazione
totale dell’individuo, sin negli aspetti più profondi
della sua anima, resi oggetto del provvedimento di
coercizione carceraria.. L’idea diventa pian piano
quella della correzione dell’anormale.
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Il fine della “penalità”
“La penalità nel XIX secolo ha come obiettivo, in maniera
sempre più insistente, non tanto la difesa generale della
società, quanto il controllo e la riforma morale degli
individui […]. Tutta la penalità del XIX secolo diviene un
controllo non tanto di quello che fanno gli individui – è
conforme o no alla legge? – ma di quello che possono
fare, di quello che sono capaci di fare, di quello che sono
inclini a fare, di quello che sono in procinto di fare. Così
la grande nozione della criminologia e della penalità,
verso la fine del XIX secolo, è stata la scandalosa
nozione, in termini di teoria penale, di pericolosità” (M.
Foucault, La verità e le forme giuridiche, in Idem,
Antologia, cit., p. 85).
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La sorveglianza universale e
l’ideologia del panopticon
•
«Nel 1791, l'utilitarista britannico Jeremy Bentham pubblicò un progetto di
carcere modello, che battezzò col nome di Panopticon. Bentham immaginò
un edificio semi-circolare, al cui centro era collocata la sede dei sorveglianti,
mentre le celle si trovavano lungo la circonferenza e erano interamente
esposte allo sguardo delle guardie; dei muri isolavano i prigionieri l'uno
dall'altro, così da render loro impossibile vedersi e comunicare
reciprocamente. La torre di sorveglianza, con un sistema di imposte,
permetteva di vedere senza essere visti. In questa maniera, ciascun
prigioniero - non potendo mai avere la certezza di non essere sorvegliato si
sarebbe
sempre
comportato
con
disciplina.
Come nota David Lyon, in questa parodia laica dell'onniscienza divina,
l'invisibilità e la conoscenza - o lo sguardo - asimmetrici sono una
garanzia di potere e di introiezione della sua volontà nei soggetti, che non
possono mai sentirsi sicuri di essere soli, grazie all'ingegnosità strumentale
del
dispositivo
di
sorveglianza».
(http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/panopt.htm)
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Foucault sul panopticon
•
•
«L’effetto principale del panopticon è indurre nel detenuto uno stato cosciente di
visibilità, capace d’assicurare quella che è la funzione automatica del potere: far
sì che la sensazione del controllo sia permanente anche laddove la sua
attuazione è discontinua; obbligare il detenuto alla sensazione di essere
controllato ed osservato costantemente, pure se questa percezione non gli è
possibile da verificare. Quindi fondamentale non è la presenza ininterrotta del
sorvegliante, bensì che il detenuto ne abbia solamente la sensazione. Siamo
così giunti all’idea di un’alterità fisicamente determinata. È l’idea che Foucault
chiamerà bio-politica, ovvero la presenza del potere fin nelle più piccole
particelle del corpo della persona. Una presenza non necessariamente
fisica, ma che è sufficiente sentire-percepire.
Grazie a questa inestinguibile sensazione, il detenuto avrà sempre davanti l’alta
torre centrale, ma non saprà mai se il sorvegliante è presente al suo interno. La
torre infatti possiede delle persiane che coprono le finestre e non ne permettono
la visione interna; delle chicanes, al posto delle porte, per evitare ad ogni
minimo riverbero di lasciar trasparire la presenza del guardiano.
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Foucault sul panopticon (2)
• Ecco perché il panopticon è una macchina per dissociare la
coppia vedere-essere visti. Infatti, mentre nell’anello periferico si è
totalmente visti, senza mai vedere, viceversa nella torre centrale si
vede sempre, senza mai essere visti.
• Oltre a quanto riportato, il panopticon si basa altresì su una
relazione fittizia: non è necessario far ricorso alla forza per
costringere il condannato alla buona condotta, il pazzo alla calma, lo
scolaro alla buona educazione. Le istituzioni sulla base del
panopticon non hanno inferriate o catene perché basta che le
separazioni siano nette e le aperture ben disposte. Questa del
panopticon è una geometria della certezza e non della fortezza,
la forza costrittiva e il controllo della diversità passa attraverso una
chiara superficie di applicazione.
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Foucault sul panopticon (2)
•
•
Bentham non lo dice, Foucault però lo ricorda: il panopticon si è principalmente
ispirato al serraglio del re che l’architetto Le Vaux aveva costruito a Versailles (poi
andato distrutto, ma di cui rimangono tuttora progetti e disegni). Esso fu importante
perché rappresentò il primo serraglio in cui gli animali non erano disseminati in un
parco. Differentemente, vi era un padiglione ottagonale che al primo piano
comprendeva l’unica stanza del re e i cui lati si aprivano con ampie finestre su sette
gabbie; l’ottavo lato era l’ingresso, dove erano rinchiuse varie specie di animali.
All’epoca di Bentham questo serraglio era scomparso, ma nel programma del
panopticon si trova un’analoga preoccupazione per l’osservazione
individualizzante, per la caratterizzazione e la classificazione, per
l’organizzazione analitica dello spazio. Il panopticon è un serraglio del re.
L’animale è sostituito dall’uomo e questo dovrebbe farci riflettere circa il modo di
rapportarsi all’alterità: rispetto all’altro si ha un atteggiamento naturalista e
scientista e osservare l’altro, senza avvicinarlo per paura del contagio, analizzarlo e
catalogarlo, entro parametri determinati, è la modalità di rapportarsi alla diversità
perseguita dalla modernità.
Dunque panopticon è per eccellenza luogo di sperimentazione, di analisi e di
controllo. (http://www.silsismi.unimi.it/SILSISMI/Indirizzi/Indirizzi_doc/scienze_educazione/foucault%)
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Sesso
• La sessualità nell’epoca contemporanea diventa
anch’essa oggetto dell’attenzione del potere
secondo una strategia estremamente raffinata.
Non è tanto la tabuizzazione del sesso, bensì la
fuoriuscita del sesso dall’ambito della prassi
per divenire oggetto del discorso a normalizzare e
contenere la dimensione libidica. E’ proprio
l’affiorare del sesso al livello del discorso
veritativo, detenuto in modo privilegiato dalla
scienza, a costituire lo strumento di controllo
concettuale della sessualità. Attraverso il discorso
emergono le strategie di contenimento promosse
poi praticamente dalla società.
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Misure di normalizzazione
• Pedagogizzazione del sesso per indirizzarlo su pratiche
adulte considerate morali (divieto della masturbazione);
• L’isterizzazione del corpo della donna, considerato niente più
che un utero per la riproduzione (donna madre o non-madre);
• La psichiatrizzazione del piacere perverso con la ricerca di
dimensioni patologiche che s classificano l’intera personalità
• La socializzazione delle condotte procreatrici affinché la
condotta riproduttiva sia regolamentata e orientata a fini
sociali
(cfr. S. Givone – F. P. Firrao, Filosofia, vol. III a cura di F.
Moriani, Bulgarini, Firenze, 2012, p. 602).
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Biopolitica
• Ultima fase della riflessione di F. è incentrata sul tema della
biopolitica, cioè del rapporto tra il potere e la vita. La
biopolitica si avvale di un biopotere che si esercita sui corpi
e sui loro processi biologici (nascita, morte, riproduzione,
malattia) in “termini di utilizzazione e controllo come
mezzi di produzione” (Givone, cit., p. 603). Ciò è visibile
nelle politiche moderne di regolamentazione delle nascite e
della popolazione. Il potere sulla vita sostituisce l’antico
potere sovrano di dare la morte. La vita come spazio vitale,
salute, benessere, sostituisce nei progetti del potere il
classico espansionismo politico - cfr il Lebensraum o
spazio vitale nazista come oggetto di rivendicazione che
conduce alla guerra cioè dunque all’ uccisione reciproca
«in nome della necessità di vivere» (Foucault, La volontà di
sapere, Feltrinelli, Milano, 1991 p. 39).
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Biopotere e scienza medica
Il biopotere va naturalmente di pari passo con lo sviluppo
della medicina per organizzare la società in base alla
distinzione dicotomica tra sano e malato che implica
quella morale-sociale tra ciò che è normale e ciò che
è deviato:
all’interno di tale progetto si collocano l’esaltazione della
salute e della forma corporea, dell’igienismo e della
pulizia, della vita pienamente fiorita e sicura, anche sotto
il profilo economico (assicurazioni sulla vita), fino a
giungere all’eugenetica, cioè alla selezione di individui
aventi determinate caratteristiche considerate positive
rispetto all’eliminazione di coloro che tali caratteri non
possiedono.
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Processi di liberazione
Il secondo e il terzo volume della Storia della
sessualità, intitolati rispettivamente L’uso dei
piaceri e La cura di sé (il primo era La volontà di
sapere), cercano di analizzare la costituzione del
soggetto etico a partire dalla concezione antica
della “cura di sé” intesa come lavoro su se stessi
per rendersi liberi, per realizzarsi eticamente come
persone, per diventare padroni delle proprie
espressioni corporee e mentali, contro la doxa
(opinione) comune e le sue illusioni.
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Cura di sé e soggettivizzazione
• La cura di sé è una pratica di soggettivizzazione, cioè
qualcosa che noi dovremmo mettere in atto per
difenderci come soggetti autonomi contro il potere. È
una “tecnologia del sé” cioè una serie di azioni pensate
e metodologicamente sistematiche per agire e
trasformare se stessi, sia sotto il profilo corporale sia
sotto quello dell’anima sempre in funzione di difesa
contro il potere. Quest’ultimo non è eliminabile, ma ad
esso è opponibile la costruzione lenta e faticosa di una
certa autonomia soggettiva. Questa viene chiamata da
Foucault “disassoggettamento” ovvero processo che
permette di emanciparsi da un “assoggettamento” da
una schiavitù nei confronti di un potere.
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La filosofia e il disassoggettamento
• Tale è da sempre stato il compito critico della
filosofia, la cui finalità è sempre stata quella di
permettere al soggetto di “darsi una morale”,
riducendo al minimo l’influenza dei “giochi di potere”
(M. Foucault L’etica della cura di sé come pratica di
libertà, p. 305), e consentendo a ciascuno di fare
della propria vita qualcosa di bello. Ciò consente
anche di opporre una precisa entità soggettiva
alle strutture anonime che vorrebbero governare
l’esistenza (secondo quanto aveva sottolineato lo
strutturalismo, che in tale frangente esige di essere
superato).
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Il soggetto contro l’oggettività matematizzante del sapere
cartesiano
• Così il soggetto, come persona nella sua pluralità di dimensioni
razionali e affettive, con la sua struttura desiderante e progettante,
con la complessità della sua vita biologico-mentale alla ricerca
inesausta del suo centro, che noi indichiamo come “io”, si oppone
anche a quella dimensione di evidenza oggettiva e assoluta indicata
da Cartesio come criterio della verità. Ad esso viene sostituito,
tramite la cura del sé, un soggetto “ascetico” che con lo sforzo
di valorizzazione del sé – attraverso la cura socratica del
conosci te stesso - si fa portatore di un’istanza soggettiva,
vitale e vissuta di verità, a soppiantare l’impersonalità anonima
della scienza.
• Ecco in ultimo lo scopo emancipativo di tutta la riflessione di
Foucault: un sapere costruito dal soggetto per il soggetto, contro
saperi e poteri – intersoggettivi e/o oggettivi e anonimi - che
sovrastano e schiacciano con la loro forza macchinale e
impersonale la vitalità espansiva dell’io e la ricerca della sua
realizzazione possibile.
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FOUCAULT: liberare la libertà