Gli DEI degli antichi VENETI Presentato a Cittadella, festa dei Veneti, 3 settembre 2006 a cura della Federazione Pagana. Progetto di Manuela Simeoni le Divinità Mostra di testi e immagini relativi alle divinità, ai luoghi di culto e alle pratiche religiose del popolo dei Paleoveneti Le Pratiche di culto Altre popolazioni I luoghi di culto Esci Le divinità Esci Quali erano le divinità degli antichi Veneti? Che cosa sappiamo dei loro nomi e dei culti che gli venivano offerti? Per quanto a lungo vennero onorate? Erano tutte divinità venete, o i Veneti accolsero anche divinità straniere? Le fonti archeologiche purtroppo non ci danno molte informazioni sulle caratteristiche delle divinità dei Veneti, di cui ci resta spesso solo il nome. Alkomno Apono Henotos Pora Reitia Ercole Trumusiate Pora Reitia Pora Reitia è la più nota degli Dei degli antichi veneti. Il suo nome originario è Pora; Reitia era un appellativo che in un secondo momento diviene nome autonomo della stessa divinità. Sul significato dei nomi della dea ci sono diverse ipotesi. Pora potrebbe derivare dal verbo “partorire” e sarebbe quindi una dea madre, una dea dell’abbondanza, oppure dalla parola che significa “passaggio” (in analogia con il greco “poros”, che significa appunto passaggio) e quindi sarebbe una dea del passaggio inteso come trasformazione o come passaggio del fiume: il suo santuario trovato ad Este sorge infatti presso le rive dell’Adige. Anche il nome Reitia ha origine dubbia: potrebbe significare “colei che raddrizza” (i torti, cioè una dea della giustizia, oppure il bambino prima del parto, favorendone la nascita) o potrebbe derivare dal verbo che significa “scorrere”, con riferimento al fiume oppure alla scrittura. Nel suo santuario di Este sono stati trovati infatti numerosi stili per la scrittura su tavolette e tavolette con inciso l’alfabeto. Nel santuario si insegnava a scrivere e forse alla fine dell’apprendimento lo scolaro dedicava lo strumento alla divinità. Il suo culto ad Este era gestito da un collegio di sacerdoti, ma si può supporre un importante ruolo delle donne, dal momento che gli stili hanno incisi nomi femminili. Bronzetto di donna offerente, dal santuario della dea Reitia a Este. (V-IV sec. a.C.). Immagine tratta da I veneti, di Loredana Capuis, Ed. Longanesi Pora Reitia Al suo nome talvolta si aggiunge l’epiteto “Sainate”, che ne evidenzia le caratteristiche di divinità guaritrice. Si sa che nel suo santuario di Este si svolgevano riti di passaggio dei giovani all’età adulta: dalle offerte, oggetti di uso comune in scala ridotta, come lance, scudi, vesti, cinturoni, ma soprattutto oggetti per la tessitura, possiamo dedurre che i riti riguardassero ragazzi e ragazze ma soprattutto queste ultime. Anche in altre civiltà antiche le ragazze che passavano dall’infanzia all’adolescenza tessevano vesti per una dea. Questi riti di passaggio erano probabilmente collettivi: le laminette ritrovate nel tempio di Este rappresentano processioni di donne con ricco abbigliamento o guerrieri o cavalieri. Laminetta con processione di guerrieri dal santuario di Reitia a Este (V-IV sec. a.C.). Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, Ed. Longanesi Pora Reitia Gli studiosi hanno voluto mettere a confronto Pora Reitia con la dea greca Artemide: entrambe pare abbiano un ruolo nel favorire i parti, ricevono omaggio dalle giovani donne e sono talvolta collegate all’acqua (Reitia all’Adige e Artemide Limnaia alle paludi presso Trezene). I Romani invece la identificarono con Minerva, per il suo legame con le arti e la scrittura; un romano volle persino, seguendo l’uso dei Veneti, dedicarle una tavoletta alfabetica, in latino e con un esercizio di scrittura tipico della cultura latina. In qualsiasi suo aspetto, Pora Reitia è una dea legata al tempo che passa e alle trasformazioni che questo porta con sé: la nascita, i riti di passaggio, la tessitura (che in altre culture è simbolicamente legata allo svolgersi della vita), la guarigione. Allo stesso tempo è legata anche alla trasformazione del tempo: la scrittura infatti permette di fissare un certo momento del tempo e di trasmetterlo (ad esempio una dedica alla divinità su un oggetto che le si offre, fissa il momento dell’offerta). Esci Le divinità Trumusiate Bronzetto di Apollo rinvenuto nel santuario di Lagole (I secolo d.C.). Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra Trumusiate o Tribusiate era la divinità venerata nel santuario di Lagole di Calalzo. Non sappiamo con certezza se sia un dio o una dea: nel santuario è stata ritrovata una laminetta raffigurante tre teste femminili e qualche studioso ha voluto accostare Trumusiate alla dea greca Ecate che era rappresentata con tre teste. Tuttavia, gli oggetti dedicati alla divinità presentano iscrizioni in cui l’offerta proviene da uomini e gli oggetti stessi sono tipiche offerte maschili, lance in miniatura, bronzetti di guerrieri. I Romani identificarono poi questo dio con Apollo, perciò tutto farebbe presupporre piuttosto una divinità maschile. Come Pora Reitia, era definito “Sainate”, che guarisce. Le offerte alla divinità sono piuttosto varie: l’offerta più tipica sono però i simpuli, una sorta di mestoli. Erano usati per l’offerta d’acqua e poi sottoposti a danno rituale: il rito prevedeva che la coppetta fosse staccata dal manico e che su questo fosse incisa una dedica alla divinità. Oltre all’offerta d’acqua, dalle ossa trovate sappiamo che gli si sacrificavano montoni, buoi, maiali e capre. Trumusiate A Trumusiate si dedicavano anche armi, spesso di influsso celtico: anche la comunità celtica locale pare coinvolta nel culto della divinità. Trovandosi in un luogo di passaggio per allevatori e commercianti, il santuario riceveva le offerte di tutti gli stranieri di passaggio. Numerosi sono stati anche i bronzetti ritrovati e raffiguranti soprattutto guerrieri. Il santuario fu frequentato dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C., ma anche in epoche successive e fino al secolo scorso, le donne si recavano alle acque che sgorgavano vicino al santuario per riti propiziatori di gravidanza. Un vago ricordo del culto potrebbe essere anche la credenza locale nelle Aguane o Anguane, spiriti dell’acqua ora buoni ora maligni. Esci Le divinità Alkomno Nel santuario ritrovato in località Casale presso Este fu rinvenuto anche un Kantharos, un recipiente di bronzo, che divenne noto in seguito come Kantharos di Lozzo e che è la più antica testimonianza della lingua venetica. L’iscrizione su di esso ci dà notizia anche della divinità cui doveva essere dedicato il santuario: l’oggetto è infatti offerto da tre personaggi agli “Alkomno horvionte”. Il modo in cui termina la parola Alkomno fa pensare ad una forma duale: mentre in italiano abbiamo solo singolare e plurale, alcune lingue indoeuropee antiche, come il greco, ad esempio, hanno anche il duale, che è un plurale specifico per due persone. Gli Alkomno sono quindi due, e questo ha fatto pensare a due divinità gemelle, analoghe ai greci Dioscuri che già nel V secolo a.C. erano molto popolari a Roma e il cui culto venne poi praticato nella stessa area. Il Kantharos di Lozzo (ultimo quarto del VII secolo a.C. - prima metà del VI secolo a.C.) Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. Alkomno Il mito dei gemelli è piuttosto comune nelle mitologie indoeuropee: in genere si tratta di due eroi fondatori di civiltà o città, come i Dioscuri (Castore e Polluce, uno era immortale e l’altro no), oppure Romolo e Remo, fino ad arrivare addirittura ai Longobardi, che ricordavano due gemelli all’origine delle loro tribù. Stele dedicatorie in greco, risalenti al II secolo a.C. ritrovate nel santuario di Casale attestano il culto dei Dioscuri e così le teste che li rappresentano, appartenenti al tempio che fu costruito durante l’età della romanizzazione, quando presso i Veneti si affermò la “moda” di rifare i templi con materiali duraturi e aspetto monumentale. Quanto invece all’epiteto “horvionte” non abbiamo testimonianze linguistiche sufficienti per ipotizzarne un qualche significato. Esci Le divinità Henotos Nel santuario di Meggiaro (Este) è stata ritrovata un’unica dedica a Henotos, un’iscrizione su una placchetta bronzea a forma di nave, sufficiente però per ricollegare alla divinità l’intero santuario di Meggiaro. Il nome esatto non è però Henotos, perché nell’iscrizione manca una sillaba centrale e perciò andrebbe correttamente trascritto Heno(-)tos. Data la frequenza di offerte di tipo “maschile”, cioè armi e lamine raffiguranti soldati in marcia, si ritiene che a Meggiaro vi fosse il luogo di culto di una divinità guerriera che, come Reitia sovrintendeva ai riti di passaggio soprattutto delle donne, presiedeva ai riti di passaggio degli uomini. In questo contesto si collocano le offerte più tipiche di questo santuario: dei pendagli cavi, detti dagli archeologi bullae, che si è scoperto contenevano frammenti di pelle umana. Bullae e pendagli dal santuario di Meggiaro. Immagine tratta da Frammenti di pelle svelano la metamorfosi del giovane veneto in guerriero su “Il Gazzettino” 5 maggio 2003 Henotos Faceva parte del rito di iniziazione dei giovani che si apprestavano a diventare guerrieri: i frammenti di pelle contenuti in questi pendagli appartenevano ai ragazzi che li “sacrificavano” in questo modo alla divinità, portando con sé il pendaglio fino probabilmente al compimento dei riti di passaggio, dopo di che lo offrivano al dio, donandolo al santuario. Simbolicamente, il dono di un frammento di sé riproduce la propria morte, in questo caso la morte della propria infanzia alla nascita dell’età adulta; l’atto di tagliarsi è poi per il futuro guerriero una prova di coraggio, che ne dimostra la capacità di sacrificarsi e di sopportare il dolore, di essere, insomma, adulto. Esci Le divinità Apono Apono era il dio venerato nel santuario di S. Pietro Montagnon, oggi Montegrotto, dove è stato rinvenuto, nel 1892-1911, presso un laghetto termale un deposito di numerose offerte, soprattutto vasellame, modellato con l’argilla del lago più o meno abilmente, e diversi bronzetti, soprattutto di cavalli. Il legame di Apono con le acque termali fa supporre che si trattasse di una divinità guaritrice e la varietà delle offerte (tra cui anche modellini di parti anatomiche) fa pensare che il culto fosse diffuso presso tutti gli strati sociali. Gli si offrivano anche giovani maiali e pecore e in particolare le loro mandibole inferiori. Il santuario fu frequentato fin dal VI secolo a.C. e lo era ancora in età imperiale romana. Secondo alcuni studiosi, data la quantità di bronzetti raffiguranti cavalli, si collocò qui un culto a Diomede, che secondo le leggende era fondatore delle città venetiche e al quale, secondo quanto dice lo storico greco Strabone, i Veneti tributavano un culto sacrificandogli un cavallo bianco. Bronzetti di cavalli ritrovati nel santuario di Apono. Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, ed. Longanesi Apono Esci Poiché Apono era una divinità guaritrice, si può ipotizzare che i Romani lo associassero al dio Apollo, vista anche la somiglianza dei due nomi, ma anche in epoca romana le terme erano note come Acquae Aponi, le acque di Apono. Presso questo santuario era collocato l’oracolo di Gerione. Lo storico latino Svetonio racconta che il futuro imperatore Tiberio, diretto in Illiria, era passato a consultare l’oracolo che gli aveva consigliato di gettare dadi d’oro nella fonte di Apono, per conoscere il proprio futuro. Il nome stesso di Abano Terme deriva dal nome del dio. Vasellame rinvenuto nel santuario di S. Pietro Montagnon. Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, ed. Longanesi Le divinità Ercole Bronzetto di Ercole da Adria. Immagine tratta da “Il dio degli Italiani” in Focus n. 132, ottobre 2003 Il culto di Ercole si diffuse in tutta Italia a partire dalla Magna Grecia e andò via via assumendo caratteri propri, assorbendo quelli di divinità locali. Così accadde anche nelle terre abitate dagli antichi Veneti, dove Ercole, “importato” forse dagli Etruschi, divenne rapidamente popolare. I santuari di Ercole nell’Italia settentrionale si collocano lungo vie di commercio esistenti fin dall’età del bronzo e anche quelli veneti non fanno eccezione. Oltre ai reperti di Adria, dove c’era anche una forte presenza etrusca, e del santuario di Reitia ad Este, i cui bronzetti di Ercole potrebbero essere offerte “importate” o provenienti da stranieri di passaggio, il culto di Ercole pare essersi affermato anche a Gurina, dove un’iscrizione attesterebbe un santuario a lui dedicato, e in diverse zone del Veneto, da Lagole, dove è stato ritrovato un bronzetto che lo raffigura, a Villa di Villa, da dove proviene una laminetta con una figura umana in mezzo ad una mandria di buoi. Questa figura ha al braccio una pelle che potrebbe essere quella di leone che caratterizza le raffigurazioni di Ercole. Ercole Il culto dell’eroe venne diffuso infatti da commercianti e allevatori di cui, anche in virtù dell’impresa compiuta uccidendo Gerione per portarne le mandrie in Grecia, era il protettore. Ma Ercole, in Italia più che in Grecia e quindi anche presso gli antichi Veneti, è anche legato alle acque termali: il mito di Ercole e Gerione fu così popolare che Gerione sostituì una divinità locale nell’oracolo che si trovava presso le fonti del santuario di S. Pietro Montagnon. Esci Lamina da Villa di Villa; la figura al centro ha una pelle al braccio interpretata come pelle di leone, attributo di Ercole. Immagine tratta da Reperti votivi e santuari dei paleoveneti nell’alto cenedese di Giorgio Arnosti Le divinità Le pratiche di culto In cosa consisteva il culto delle divinità degli antichi Veneti? In che modo questo popolo esprimeva il proprio sentimento religioso? Che rapporto avevano gli antichi Veneti con la morte? Se le testimonianze archeologiche poco ci dicono sulle divinità, altrettanto poco possono dirci sulle pratiche, se non quanto si può intuire da analogie con altri popoli e dai reperti ritrovati nelle aree sacre. Interpretatio I culti degli antichi Veneti I culti funerari Esci I culti degli antichi Veneti La prima scoperta di un culto veneto preromano avvenne nel 1880 ad Este; da allora ad oggi i materiali a nostra disposizione si sono ampliati, ma comunque rimaniamo all’oscuro di tutto quanto riguarda rituali, pratiche e quanto veniva trasmesso oralmente. Dai ritrovamenti fatti, per quanto riguarda la religione possiamo dividere approssimativamente il territorio degli antichi veneti in due aree, una sudoccidentale, dominata da Este, in cui sembrano prevalere divinità femminili e si presta molta attenzione ai riti di passaggio, e un’area nordorientale, dominata da Padova, in cui prevalgono invece offerte e divinità maschili. In comune c’è l’importanza del culto ai defunti e la centralità dell’acqua. I luoghi di culto erano spesso collocati presso fiumi, sorgenti e laghetti e l’acqua veniva offerta alle divinità, qualche volta offrendo subito dopo lo strumento con cui si era fatta l’offerta (come nei santuari di Apono e Trumusiate). La cosiddetta “Dea di Caldevigo”, bronzetto di una donna in abiti da cerimonia (V sec. a.C.). Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, ed. Longanesi I culti degli antichi Veneti Ma l’acqua è anche divinità in sé, connessa alla trasmissione e al passaggio: in questo senso va interpretata la collocazione dei santuari presso i fiumi. Ogni luogo di culto ha poi una sua offerta tipica: le tavolette e gli stili a Este, cavallini di bronzo e tazzine a Montegrotto, simpuli (una sorta di mestoli) a Lagole, laminette raffiguranti mandrie a Villa di Villa, corna a Magrè. Le offerte in bronzo sono quelle prevalenti e certo le più preziose. I santuari erano collocati in genere all’esterno della struttura urbana, con funzione probabilmente simile a quella dei santuari periferici delle città greche, che segnavano il territorio della comunità; erano circondati da mura ma non avevano strutture in materiali non deperibili. Il greco Strabone attesta anche la presenza di boschi sacri presso i Veneti, presenza confermata da un cippo conservato a Padova che ne indicava il confine. Esci Pratiche di culto Interpretatio Per i popoli antichi non era un problema prestare omaggio a divinità altrui o in templi stranieri: ecco una laminetta di bronzo proveniente da Gurina in Cadore che attesta una donazione agli Asi, gli Dei dei germani. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. Quando Greci e Romani venivano a contatto con altre popolazioni che avevano divinità differenti, cercavano innanzitutto di capire il significato che queste divinità avevano presso le altre popolazioni. Come si traducono le parole straniere per capirle, così Greci e Romani (ma anche i Celti) “traducevano” le divinità straniere dando loro il nome di una delle loro divinità che più o meno vi corrispondeva per caratteristiche o funzione. Questa traduzione viene chiamata, usando una parola latina, interpretatio; come tutte le traduzioni, non sempre era perfetta, qualche volta sorgevano degli equivoci, a volte uno stesso dio straniero era tradotto in più modi o uno stesso dio greco-romano traduceva più dei stranieri, ma per i popoli antichi era importante “capirsi”. Interpretatio In ogni caso non c’era mai imposizione di un nome o di un culto greco-romano su un culto locale. Poiché molte popolazioni non usavano la scrittura per tramandare i propri usi e costumi e la propria storia, accade che un culto sia a noi più noto con il nome greco e romano: Strabone, storico greco, parla di due boschi sacri presso i Veneti, dedicati a due dee, che però egli chiama con i nomi che i greci avevano dato a queste divinità, Era Argiva e Artemide Etolica. Questo significa che i greci, notando il culto che i Veneti prestavano alle due dee o alcune loro caratteristiche, avevano creduto di riconoscere qualcosa di simile ad Era e ad Artemide e così erano soliti chiamare le divinità di quei boschi. I Veneti invece non ci hanno lasciato tracce scritte relative a quei boschi, perciò non possiamo sapere con certezza né dove fossero, né a quali dee vi si facesse omaggio. Esci Pratiche di culto I culti funerari Grande importanza aveva presso i Veneti il rituale funerario Stele funeraria del VI secolo a.C. che riporta una scena di commiato in stile tipicamente venetico. Tra la donna e l’uomo c’è un uccello che rappresenta forse lo spirito del defunto. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. Il defunto veniva cremato, il fuoco spento con latte e vino e le ossa, non ancora bruciate del tutto, riposte in un ossuario. Assieme a questo era sepolto un corredo, che è scarno nelle tombe più antiche (IX-VIII secolo a.C.) e si fa in seguito più ricco e vario, a seconda anche dello status sociale della persona deposta. Il corredo consisteva in vesti, oggetti di uso quotidiano o loro riproduzioni, ceramiche, bronzetti, in qualche caso offerte di cibo; talvolta gli oggetti erano sottoposti a danno rituale, cioè rotti in sacrificio al defunto: il caso più frequente è quello delle armi sepolte con i guerrieri. I culti funerari Gli oggetti variano anche in base al sesso del defunto: spille, vesti, gioielli e strumenti per la tessitura (che costituivano una specie di status symbol per le donne aristocratiche) per le donne, armi, briglie e strumenti per lavorare il legno (altro status symbol aristocratico: anche Ulisse, re di Itaca, aveva costruito da sé il proprio letto nuziale) per gli uomini, vasellame e bronzetti per tutti e due. La scoperta di tombe contenenti le ossa di una coppia o di una famiglia ha fatto ipotizzare in un primo momento che alla morte del marito venisse cremata anche la moglie e in qualche caso la famiglia: l’ipotesi in realtà è del tutto infondata e si sa invece che i Veneti usavano deporre in una stessa tomba i coniugi, anche defunti in momenti diversi, e che esistevano tombe di famiglia. In alcuni casi, il coniuge sopravvissuto deponeva simbolicamente sé stesso assieme al defunto, mettendo nella tomba un corredo adeguato al proprio sesso e posizione sociale. Esci Pratiche di culto I luoghi di culto Esci Dove si trovano ora le aree sacre degli antichi Veneti? Come erano fatte e in che modo si praticava il culto delle divinità al loro interno? Che cosa ci è rimasto di tutto questo? Da fonti storiche e archeologiche, sappiamo sempre di più sui luoghi sacri dei Veneti antichi, che si trovano in tutta la regione e si rivelano sempre più ricchi. Este Cadore e zona del Piave L’oracolo di Gerione Altri luoghi di culto Este Este, il cui nome antico è Ateste, era una delle città principali dei Paleoveneti. Finora ad Este sono state trovate diverse aree dedicate al culto di divinità paleovenete. Un’area molto importante è quella della cosiddetta stipe di Baratella (dal nome del proprietario del terreno in cui l’area è stata ritrovata). Il santuario era collocato su un rialzo artificiale vicino al ramo maggiore del fiume Adige; fu frequentato dal VI secolo a.C. al II-III secolo d.C. Dai reperti risulta che il santuario era dedicato alla dea Pora Reitia, che riceveva libagioni e offerte, sia di cibo che di oggetti, veri o riproduzioni in miniatura, anche da parte di stranieri che vi si trovavano a passare. Di questo santuario si occupava un collegio di sacerdoti, ma si suppone che il ruolo delle donne al suo interno fosse importante. Tavoletta alfabetica in bronzo, con dedica a Pora da parte di Ebfa Baitonia (V-IV secolo a.C.). Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. Este In epoca preromana il santuario era uno spazio sacro delimitato da un recinto e forse articolato in aree diverse per i vari momenti del culto; in età romana si cominciarono a costruire strutture più durature. Un altro luogo di culto si trovava vicino al fiume, in località Casale, presso il ramo settentrionale dell’Adige. Qui è stata ritrovata quella che è forse la più antica testimonianza della lingua venetica, il cosiddetto Kantharos di Lozzo, con dedica ad Alkomno, la coppia di divinità che doveva essere titolare del santuario. Anche in località Caldevigo si trovava un luogo di culto; qui sono state ritrovate lamine differenti: alcune recano la figura di una donna, altre di un guerriero. Si è ritenuto che nel tempio si svolgessero riti di passaggio all’età adulta che, viste le figure delle lamine, dovevano essere individuali. Forse vi fu quindi un cambiamento nei riti di passaggio: individuali all’epoca delle lamine di Caldevigo (V-IV secolo a.C.), collettivi all’epoca delle raffigurazioni delle processioni di donne o guerrieri rinvenute nella stipe di Baratella (III secolo a.C.). Riti di passaggio si svolgevano anche nel santuario di Meggiaro. Luoghi di culto Stilo scrittorio dedicato a Reitia da parte di Fugia per conto di Fremaistna (IV-III secolo a.C.). Immagine tratta da Akeo. I tempi della scrittura, catalogo della mostra Esci L’oracolo di Gerione Ossa con iscrizioni, usate probabilmente per la divinazione, da Asolo (TV). I secolo a.C.. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra L’oracolo di Gerione si trovava presso il santuario del dio Apono a S. Pietro Montagnon. Anche se il nome è lo stesso del mostro con tre corpi sconfitto da Ercole nella sua decima fatica, qui Gerione appare come una divinità oracolare benefica, perciò è probabile che, sulla scia della diffusione del culto di Ercole, abbia sostituito una divinità locale, che magari aveva un nome simile. L’oracolo era celebre anche in età romana e il biografo latino Svetonio racconta che anche Tiberio si recò a consultarlo. La divinazione avveniva qui per mezzo di sortes, tavolette di legno, corteccia o metallo oppure ossa su cui era riportata un’iscrizione, o magari solo le iniziali di una frase, che chi consultava l’oracolo estraeva a caso ed ascoltava poi l’interpretazione dei sacerdoti. Giovan Battista Pighi, nel suo volume La poesia religiosa romana, riporta diciassette iscrizioni che provengono da quest’oracolo, note come “sortes patavine”. L’oracolo di Gerione Presso gli antichi Veneti si praticava forse anche la divinazione tramite il volo degli uccelli: negli Scolii (note) veronesi a Virgilio si legge che Padova fu fondata seguendo un volo di uccelli sacri e diversi scrittori greci (Lico di Reggio, Teopompo) del IV-III secolo a.C. raccontano che i Veneti praticavano un rito agrario che consisteva nel lasciare pani e focacce di grano al limitare dei campi, come dono per le cornacchie, le quali inviavano degli “ambasciatori” ad assaggiare le offerte. Se le gradivano, lo stormo le avrebbe divorate e lasciati stare i campi, altrimenti li avrebbe devastati. Il racconto si riferisce forse ad una forma di divinazione tramite il volo degli uccelli, che i Veneti potrebbero aver appreso dagli Etruschi, presso i quali era sicuramente praticata. Luoghi di culto Esci Cadore e zona del Piave A Lagole di Calalzo c’era un santuario che, per quantità di ritrovamenti, è oggi considerato secondo solo a quello di Reitia ad Este. Il santuario, dedicato a Trumusiate, doveva avere valore comunitario, perché nelle dediche ricorre spesso la parola teuta, comunità. Qui confluivano pastori, fabbri e commercianti che percorrevano il Piave, importante arteria commerciale. Anche le popolazioni celtiche locali frequentavano il santuario, come dimostrano alcuni oggetti di chiara impronta celtica e i nomi di alcuni offerenti. A Valle di Cadore è stata ritrovata una situla, un recipiente di metallo, con una dedica a “Louderai kanei” cioè “fanciulla-figlia”: una divinità che ricorda da vicino la dea greca Persefone-Core, figlia di Demetra. Non si può escludere che il mito greco di Core fosse noto e che fosse giunto con i commercianti greci. Questa laminetta di bronzo, rinvenuta ad Auronzo di Cadore, è dedicata da Ostis ai Maisterator, divinità non meglio conosciute (II secolo a.C.-I secolo d.C.). Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. Cadore e zona del Piave A Villa di Villa (Cordignano di Vittorio Veneto) dopo una frana sul Castelir fu scoperto un deposito votivo di oggetti che vanno dal IV secolo a.C. al IV d.C., tra i quali spiccano alcune laminette con mandrie di bovini con una figura maschile al centro, con tunica corta, calzari alti, elmo o cappuccio e portatrice di lancia, forse una divinità protettrice e guerriera. In un caso, il dio ha una pelle di leone al braccio come Ercole. Da Montebelluna provengono invece dei dischi con un’immagine femminile, con gonna, grembiule, un manto sulla testa, stivali e una chiave di tipo celtico in mano. In alcuni dischi è circondata da motivi vegetali, ma in uno ha accanto un animale terrestre, forse un lupo, e un uccello dalle lunghe zampe. Si ritiene quindi che la figura rappresentasse una dea che “apre le porte” dei regni della natura. Uno dei dischi di Montebelluna. Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, Ed. Longanesi Luoghi di culto Esci Altri luoghi di culto Corna con iscrizioni, provenienti dal santuario di Magrè (VI). III-II secolo a.C. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra Oltre ad Este e alla zona del Piave e del Cadore, anche in altre zone del Veneto sono state trovate aree di culto o depositi di oggetti offerti alle divinità. Sorprende ancora che nel tessuto urbano di Padova non sia stato ritrovato alcun santuario; lo storico latino Tito Livio parla di un tempio a Giunone Patavina (nome romano di una dea veneta) in cui i patavini avrebbero dedicato il bottino della guerra contro lo spartano Cleonimo, ma non sono state ancora rinvenute tracce riconducibili a questo santuario. I ritrovamenti di Padova sono piuttosto da riferire a depositi relativi a culti privati, come riproduzioni in miniatura di vasi da fuoco o da mensa e di strumenti per il fuoco, forse legati a riti di fondazione della casa. Da Padova dipendevano forse i grandi santuari territoriali anche posti a distanza, come quello di Montegrotto. Altri luoghi di culto A Vicenza si sono trovate invece laminette di bronzo molto simili nello stile a quelle di Este: dal momento che anche qui si vedono raffigurate processioni di guerrieri e figure femminili, si è pensato che come ad Este il santuario fosse luogo di riti di passaggio. L’influenza celtica doveva essere abbastanza sentita in queste zone, perché i guerrieri raffigurati hanno spesso in mano uno scudo tondo di tipo celtico. Un’altra zona abbastanza ricca di ritrovamenti è quella dell’alto vicentino, dove i Veneti si fusero probabilmente con i Reti, una popolazione insediata nell’attuale Trentino-Alto Adige. A Trissino sono stati infatti rinvenute ossa di maiale (metacarpi, metatarsi e falangi) con delle iscrizioni, usate probabilmente per la divinazione. A Magrè invece è stato portato alla luce uno spiazzo di roccia livellata con lastre di calcare non locale, che hanno fatto pensare ad un’ara sacrificale. Qui sono state rinvenute corna di cervo con iscrizioni che ne attesterebbero l’offerta ad una divinità, forse Reitia o una divinità analoga, data la ricorrenza del nome Reit- o Rit- Luoghi di culto Esci Altre popolazioni Esci Quali erano i rapporti tra Veneti antichi e le altre popolazioni vicine? In che modo questi rapporti si rifletterono sui rispettivi culti? Vi fu mai imposizione della propria religione da parte degli uni o delle altre? Nelle terre dei Veneti antichi esistevano culti stranieri? Questi popoli, politeisti, non imposero mai la propria religione agli altri, ma riuscirono a realizzare una convivenza pacifica tra i culti propri e quelli altrui. I Greci I Romani Gli Etruschi I Celti Gli Etruschi Bronzetto etrusco di Ercole, da Contarina (RO), V sec. a.C.. Immagine tratta da “Il dio degli italiani” in Focus n. 132, ottobre 2003 La zona abitata dagli antichi Veneti confinava a sud con i territori dell’Etruria Padana. Tutte le popolazioni dell’Italia settentrionale, antichi Veneti compresi, appresero l’alfabeto dagli Etruschi; anche presso gli Etruschi l’insegnamento della scrittura era prerogativa soprattutto dei sacerdoti e probabilmente la scrittura aveva un valore sacro se, secoli dopo la conquista dell’Etruria, i Romani chiamavano “sacra” la lingua etrusca e ancora la usavano in certi rituali. Ma per nessuna città etrusca abbiamo reperti relativi all’insegnamento della scrittura quanti ne abbiamo per il santuario di Este. Nella Pianura Padana, antichi Veneti ed Etruschi si mescolavano spesso; Adria in particolare fu città mista e importante centro di commercio. Da qui provengono alcune iscrizioni, non sempre di facile interpretazione, con nomi di Dei: uno è Tinia, il dio che i Romani identificarono con Giove, e altri sono i Kulsnuteras, letteralmente “guardiani delle porte”, di cui sappiamo poco altro. Gli Etruschi Da Feltre viene invece un’iscrizione retica su calcare, giunta in frammenti, che sembra parlare di “tre dei: Tinia. Ti[…] Silnane”. Il nome del secondo dio non si legge, e il terzo è Selvans, etrusco corrispondente del latino Silvano. Secondo alcuni archeologi, la prima parola non significa “tre dei”, ma è una parola unica che potrebbe far riferimento ad un dio triplice, analogo a Trumusiate, venerato poco distante. Probabilmente dagli Etruschi giunse ai Veneti il culto di Ercole, che l’aristocrazia etrusca, così imitata dai Veneti, considerava quasi un modello, perché con le sue forze e il favore divino aveva conquistato un posto tra gli dei. Comune a Veneti ed Etruschi era la pratica della divinazione; pare che anche i Veneti traessero presagi dal volo degli uccelli, ma non sappiamo se appresero la pratica dagli Etruschi o facesse già parte della loro cultura. Altre popolazioni Esci I Greci Frammenti di ceramica attica rinvenuti ad Adria (V secolo a.C.) Immagine tratta da I Veneti, di Loredana Capuis, Ed. Longanesi Gli Antichi Veneti vennero presto in contatto con i Greci e la loro cultura, non solo attraverso gli Etruschi, ma anche direttamente: si sa ad esempio che i Siracusani si rifornivano di cavalli dai Veneti, noti sin da Omero per avere i cavalli migliori. Gli autori greci sono i più ricchi di informazioni relative agli antichi Veneti, anche se le fonti letterarie vanno sempre considerate con cautela e alla luce dei ritrovamenti effettivi. Nelle terre dei Veneti i Greci non si fermarono mai stabilmente, in modo tale da affiancare i propri culti a quelli locali, ma culti di origine greca arrivarono tra i veneti tramite gli etruschi prima e i locali poi. Qualche studioso ha ipotizzato persino che il culto a “Louderai kanei”, la “fanciullafiglia” di Valle di Cadore sia legato direttamente a quello della greca PersefoneCore, il cui mito sarebbe già noto in terra veneta. I Greci All’ambito greco-italico appartiene il culto di Ercole, diffuso tra i Veneti probabilmente attraverso gli Etruschi; il mito di Ercole piacque tanto che il nome di Gerione, uno dei mostri sconfitti da Ercole nelle sue fatiche, andò a sovrapporsi a quello della divinità locale dell’oracolo che si trovava presso il santuario di S. Pietro Montagnon (Montegrotto). Come altre popolazioni in contatto con i Veneti, anche i Greci onoravano le divinità locali quando si trovavano a passare per i loro santuari. Oggetti di fabbricazione greca sono stati trovati nelle aree sacre: un bronzetto di Eracle a riposo, ad esempio, è stato rinvenuto nel santuario di Pora Reitia a Este. Questi reperti potrebbero però essere stati offerti da ricchi personaggi locali che intendevano donare oggetti particolarmente preziosi come quelli di importazione. Anche tra i corredi funebri delle necropoli venete vengono talvolta rinvenuti frammenti di ceramiche attiche che parevano essere particolarmente apprezzate. Altre popolazioni Esci I Celti Bronzetto di guerriero rinvenuto a Lagole, con dedica a Sainate Trumusiate da parte di Broijokos (nome celtico) . IV secolo a.C. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra I Celti occupavano del Veneto la zona più occidentale e settentrionale. Nonostante spesso Veneti e Celti fossero in guerra tra loro, al punto che i primi si allearono con i Romani in funzione anticeltica, questo non impediva loro di intrattenere, in tempo di pace, anche relazioni amichevoli. In realtà le due popolazioni finirono quasi per fondersi e sicuramente si influenzarono a vicenda, soprattutto nelle zone di confine, a tal punto che, ancora fino a pochi decenni fa, c’era chi attribuiva ai Veneti origini celtiche, sulla scia di Giulio Cesare che chiamò veneti una popolazione gallica stanziata nell’attuale Bretagna. Dal punto di vista della religione vi furono culti comuni alle due popolazioni, o meglio, le popolazioni di un certo luogo, venete o celtiche che fossero, prestavano omaggio alle divinità locali. Così oggetti di influsso o di fabbricazione celtica sono stati rinvenuti nei santuari veneti, in qualche caso con inciso il nome di un dedicante di chiara origine celtica. I Celti In particolare il santuario di Lagole di Calalzo sembra frequentato da popolazioni celtiche: molti bronzetti lì rinvenuti sono guerrieri con armamento celtico, dal tipico elmo a bottone come l’esempio qui accanto. Oggetti di fattura celtica sono stati ritrovati anche nei corredi funerari, in particolare armi, ma anche bracciali. Una chiave di tipo celtico, come celtico pare essere il torques che porta al collo, è quella che reca in mano la dea raffigurata sui dischi di Montebelluna. A Verona, città che pare abbia origine retica, il culto romano dedicato a tre Iunones potrebbe indicare un culto precedente a tre dee madri, che risulta essere tipico dell’area celtica. Altre popolazioni Esci I Romani I Veneti, spesso in guerra con i vicini celti, finirono per allearsi con i Romani. Anche se lentamente assunsero i costumi di questi ultimi, non vi fu un’imposizione né culturale, né linguistica, né religiosa, ma una lenta fusione naturale. I Romani infatti erano soliti prestare omaggio alle divinità locali, evocandole espressamente prima di una battaglia perché fossero loro favorevoli. Dalla diffusione di un particolare culto romano in una zona di espansione, come potrebbe essere il territorio dei Veneti, si possono trarre alcune deduzioni su quali dovessero essere i culti precedenti, vista la pratica romana dell’interpretatio. A Verona fu molto diffuso il culto delle Iunones, divinità femminili appartenenti al più antico pantheon romano, che le considerava protettrici delle donne (ogni donna aveva la sua Iuno, come ogni uomo aveva il suo Genio), e che qui si sovrappose a quello delle divinità celtiche e probabilmente anche venete delle matrone: ne è prova il fatto che, come le dee madri celtiche sono raffigurate in numero di tre, così anche alle Iunones divenne usanza offrire tre immagini. Stele funeraria del I secolo a.C., con scritta latina, ma stile venetico, soprattutto nell’abbigliamento della donna al centro. Immagine tratta da AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra. I Romani A Padova esisteva il culto di Iuno Patavina, nome romano di una dea locale protettrice della città; lo storico romano Tito Livio racconta che a lei gli abitanti di Padova offrirono il bottino conquistato sconfiggendo l’esercito dello spartano Cleonimo. Nelle regioni dei Veneti si diffuse anche il culto delle Ninfe e quello di Nettuno (che per i Romani era in origine un dio fluviale più che marino), in chiara relazione con l’importanza che questo popolo dava alle acque. I romani che si stabilivano nella regione, portavano anche i propri culti: per i secoli d.C. sono attestati templi e culti di chiara matrice romana, come le dediche a Iuppiter Optimus Maximus a Verona, e orientale : sia a Padova che a Verona alcune epigrafi ricordano l’offerta a Iside di una statua del figlio di lei, Harpocrates, il dio greco-egizio del silenzio. Altre popolazioni Esci Gli DEI degli antichi VENETI Esposizione presentata alla festa dei Veneti – Cittadella 03/09/2006 A cura della FEDERAZIONE PAGANA Progetto e realizzazione: Manuela Simeoni In collaborazione con: progetto del Giorno Pagano Europeo della Memoria Bibliografia: AKEO. I tempi della scrittura, catalogo della mostra di Montebelluna, 2002 Loredana Capuis, I Veneti, Milano, Longanesi, 2003 Il dio degli Italiani su “Focus” n. 132, ottobre 2003