un poeta decadente Di Rosario Bonura, Paolo Ciresi, Alessandro Lo Iacono e Diego Placenti GIOVANNI PASCOLI LA VITA LE OPERE IL DECADENTISMO IN ITALIA LA VITA Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna. All’età di dieci anni entrò in collegio per continuare gli studi; qui lo raggiunse la notizia della morte del padre. Il fratello maggiore si prese cura della famiglia e Giovanni, con molti sacrifici, poté terminare gli studi liceali e iscriversi alla facoltà di Lettere a Bologna. Dopo la laurea, si dedicò all’insegnamento e iniziò a pubblicare le sue poesie. Divenuto professore universitario, si stabilì, insieme alla sorella Maria, a Castelvecchio, un paesino in provincia di Lucca, in quella che divenne la sua dimora fino al 1912, l’anno della sua morte. LE OPERE X Agosto La cavalla storna La mia sera IL DECADENTISMO IN ITALIA Anche in Italia, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la crisi di valori che è all’origine della letteratura decadente trova eco nelle opere di molti scrittori. Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio per aspetti e caratteristiche molto differenti, sono i maggiori rappresentanti del Decadentismo italiano. Giovanni Pascoli con la sua poesia fatta di sentimenti, stati d’animo, piccole cose, cerca di penetrare il mistero dell’esistenza, il senso profondo della vita. Il suo linguaggio, simbolico, teso a suscitare suggestioni e intuizioni, fondato su accostamenti inusuali, è fortemente innovativo nel panorama della letteratura italiana. X Agosto Il 10 agosto 1867 il padre del poeta fu ucciso in un agguato.Giovanni Pascoli ricorda quel drammatico giorno e interpreta il fenomeno delle stelle cadenti come pianto luminoso del cielo. San Lorenzo,io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini. Ora è la, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero; disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono... Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh ! D’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco del Male. La cavalla storna Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, Nata tra i pini, su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, egli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; Lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu tu sola e la sua morte . O nata in selve il tuo spavento; Sentendo lasso nella bocca il morso, Nel cuor veloce tu premesti il corso: Adagio seguitasti la tua via, Perché facesse in pace l’agonia…” La scarna lunga testa era daccanto Al dolce viso di mia madre in pianto. “tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: Esso t’è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa’ cenno.Dio t’insegni come.” Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: Disse un nome…Sonò alto un nitrito. La mia sera Il giorno fu pieno di lampi; Ma ora verranno le stelle, Le tacite stelle. Nei campi C’è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi Trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! Che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, Singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, Di tutta quell’ aspra bufera, Non resta che un dolce singulto Nell’umida sera. È, quella infinita tempesta, Finita di un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano Cirri di porpora e d’oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera Fu quella che vedo più rosa Nell’ultima sera. Che voli di rondini intorno! Che gridi nell’aria serena! La fame del povero giorno Prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi Nel giorno non l’ebbero intera. Né io … e che voli, che gridi, Mia limpida sera! Don…Don…E mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! Sussurrano, Dormi! Bisbigliano, Dormi! Là, voci di tenebra azzurra… Mi sembrano canti di culla, Che fanno ch’io torni com’era… Sentivo mia madre… poi nulla… Sul far della sera.