Inquinamento Con il termine inquinamento ci si riferisce ad un'alterazione di una caratteristica ambientale causata, in particolare, da attività antropica: produzione industriale, trasporti, agricoltura, pesca, eliminazione dei rifiuti. L’aumento preoccupante dell’inquinamento negli ultimi due secoli è stato il risultato dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e del rapido aumento della popolazione del pianeta. In origine l'uomo era un animale che, come tutti gli altri, viveva delle risorse fornite dal proprio ambiente affidando la propria sussistenza alle attività della raccolta di vegetali, della caccia e della pesca. Con la scoperta del fuoco e dell'agricoltura l'uomo passò dalla raccolta alla produzione artificiale di cibo, acquisendo, nello stesso tempo, la capacità di modificare il territorio in cui viveva, molto di più degli altri animali . Pur avendo esercitato enormi ripercussioni sullo sviluppo della civiltà, le trasformazioni compiute nelle economie agricole del passato (ad es. lo sfruttamento dell'energia animale, l'invenzione rivoluzionaria della ruota, l'invenzione dell'aratro ecc.) avvenivano in maniera assai lenta e graduale, lasciando alla natura il tempo di adattarsi alle nuove condizioni ambientali imposte dall'uomo (aumento dello sfruttamento dei suoli, aumento della popolazione ecc.). Le economie agricole, inoltre, riuscivano a mantenere una sorta di equilibrio naturale tra i materiali estratti dal suolo (sotto forma di prodotti commestibili, legname, materie prime) e gli “scarti” delle attività dell'uomo (rifiuti solidi, prodotti del metabolismo umano ed animale). I rifiuti solidi, essendo prevalentemente costituiti da materiale organico biodegradabile (legno, pelle, fibre tessili animali e vegetali), potevano essere interrati o semplicemente sparsi sul terreno e venivano rapidamente degradati. Anche il problema delle acque reflue urbane, sorto con la nascita delle prime grandi città, poteva essere risolto in passato abbastanza efficacemente convogliando i liquami nei corsi d'acqua e nei mari, dove essi venivano diluiti e trasformati in prodotti innocui . In effetti una vera frattura storica in quest’ambito si verifica tra Ottocento e Novecento, allorchè sorge l’industria chimica e siderurgica nel 1751 con la rivoluzione industriale. L’affermarsi di questa nuova dimensione della produzione industriale, quasi sconosciuta in passato, segna infatti una svolta nella storia della degradazione ambientale per mano dell’uomo. Intanto è la qualità dell’inquinamento che cambia:l’industria chimica immette nell’ambiente veleni creati dall’uomo che prima non esistevano. Gli studiosi stimano che a partire dal 1900 siano stati sintetizzati sino ad oggi circa 10 milioni di composti chimici, di cui almeno 150.000 sono attualmente in commercio. Contaminazione del terreno Fertilizzazione campagne Deserto che avanza Dust Bowl Disboscamento Piogge acide Ddt Smog Ozono Effetto serra Piogge acide Come conseguenza della combustione di enormi quantità di combustibili fossili, soprattutto carbone e petrolio, vengono immessi ogni anno nell’atmosfera oltre 100 milioni di tonnellate di anidride solforosa (SO2) e di ossidi di azoto(NOx). I due principali inquinanti sono: il biossido di zolfo (SO2) il biossido di azoto (NO2) Come risulta ormai da molte ricerche, oltre a provocare l’impoverimento della fauna ittica in migliaia di laghi, le precipitazioni acide possono ridurre il rendimento di raccolti agricoli e la vitalità delle foreste. Inoltre queste precipitazioni favoriscono la corrosione dei metalli e contribuisco alla profonda alterazione dei manufatti in pietra, particolarmente nei monumenti di marmo. Nei materiali marmorei il carbonato di calcio viene facilmente disciolto dagli acidi. CaCO3(s) + 2H+(aq) Ca2+(aq) + CO2(g) + H2O Il biossido di zolfo si scioglie nell’acqua formando idrati (SO2 nH2O), dove n dipende dalla concentrazione, dalla temperatura e dal PH. Gli idrati sono in equilibrio con una certa quantità di ione idronio e di ione idrogenosolfito (HSO3- ), la cui presenza viene ridotta semplicemente all’acido solforoso H2SO3 . È la prima ionizzazione dell’acido solforoso che genera la quasi totalità dello ione idrogeno che questo atomo può produrre nell’acqua: H2SO3(aq) H+(aq)+HSO3-(aq) Quando la pioggia preleva SO2 dall’atmosfera, l’acqua piovana diventa acida. Inoltre sia l’ossigeno che l’ozono presenti nello smog convertono una parte dell’ SO2 in SO3 , soprattutto in presenza della luce solare e della polvere. Quando SO3 reagisce con l’acqua, si forma acido solforico che è un’acido forte e come tale contribuisce all’acidità dell’acqua. Nei motori delle macchine, grazie alle alte temperature e pressioni, è possibile la combinazione diretta di azoto ed ossigeno: N2+O2 alta temperatura 2NO Quando il monossido di azoto appena prodotto entra in contatto con l’aria esterna più fredda reagisce ulteriormente con l’ossigeno per dare il biossido di azoto, il gas che conferisce allo smog il suo colore bruno rossastro. 2NO + O2 2NO2 Nell’acqua NO2 reagisce per dare due acidi: HNO3 e HNO2: 2NO2 (g) + H2O HNO3(aq) + HNO2(aq) Ddt Il DDT è forse il più noto fra i POP, gli inquinanti organici persistenti (persistent organic pollutants). I POP sono composti organici di comprovata tossicità, che persistono lungamente nell'ambiente (si degradano lentamente), e poiché hanno una certa volatilità, si diffondono anche in regioni molto lontane da quelle in cui sono stati utilizzati (long-range transport). Scarsamente solubili in acqua, tendono a concentrarsi nel tessuto degli esseri viventi (bioaccumulo). Per queste sue proprietà, il DDT irrorato in passato nelle piantagioni di cotone può ritrovarsi oggi nel latte delle donne eschimesi. Tradizionalmente i POP sono un gruppo di dodici, fra composti e classi di composti, noti come "la sporca dozzina" (the dirty dozen), verso i quali la comunità internazionale ha posto in essere numerose azioni per ridurre o eliminare il loro rilascio nell'ambiente. Questo prodotto chimico, sintetizzato per la prima volta nell’Ottocento in Svizzera, venne irrorato nel dopoguerra in California per combattere le zanzare. Esso venne spruzzato nell’acqua con una concentrazione di un cinquantesimo di parti per milione(ppm). Quando però alcuni anni dopo si effettuarono le analisi, si scoprì che nel plancton tale concentrazione era diventata 250 volte superiore a quella dell’acqua, nelle rane maggiore di 2.000 volte, nei pesci di 12.000 volte e negli uccelli che si nutrivano di pesci, di 80.000 volte. Gli uccelli, avvelenati, smisero di riprodursi.Da allora si cominciò a capire la terribile pericolosità del ddt, bandito più tardi dagli stati più progrediti insieme ai suoi undici compari, ma non da tanti paesi in via di sviluppo, dove continua ad uccidere. Oggi sappiamo che esso costituisce uno dei veleni più duraturi e persistenti creati dagli uomini. Una ricerca campione effettuata in Germania occidentale sulla perdita di ricchezza provocata dai danni inflitti all’ambiente da questi prodotti, ha fatto scoprire che nel 1985 si sono perduti circa 103 miliardi di marchi, pari al 5% del prodotto interno lordo di quell’ anno! Dust bowl Il Dust Bowl (in inglese: catino di polvere) fu il risultato di una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada dal 1931 al 1939,causate da decenni di tecniche agricole inappropriate, con mandrie di bufali che fertilizzarono il terreno destinato alla coltivazione del grano, seguite da una grave siccità. Il terreno fertile delle grandi pianure venne esposto attraverso la rimozione dell'erba durante l'aratura. Durante la siccità, il suolo si seccò diventando polvere, e venne soffiato via verso est, principalmente in grandi nuvole nere. Talvolta queste nuvole di polvere oscuravano il cielo fino a Chicago, e gran parte della terra rimossa si perse completamente nell’Oceano Atlantico. Si pensi che nel solo marzo 1935 le tempeste distrussero circa due milioni di ettari di coltivazioni a frumento, mentre incalcolabile fu la perdita di terreno superficiale che si verificò nelle campagne sia in quegli anni che nei periodi successivi. Il buco dell’ozono Nella parte più bassa della stratosfera, tra i 10 ed i 50 chilometri di altitudine, è situato uno strato di ozono (O3) e che rappresenta un vero e proprio schermo nei confronti delle pericolose radiazioni ultraviolette (raggi UV) provenienti dal sole. Ogni anno, durante la primavera dell’emisfero australe, la concentrazione dell’ozono stratosferico nell’area situata in prossimità del Polo Sud diminuisce a causa di variazioni naturali. Purtroppo, a causa degli inquinanti rilasciati in atmosfera, sin dalla metà degli anni settanta questa periodica diminuzione è diventata sempre più grande, tanto da indurre a parlare del fenomeno come del “buco dell’ozono”. Si pensa che la principale causa della diminuzione dell’ozono sia la presenza nell’atmosfera di un gruppo di prodotti chimici noti come clorofluorocarburi (CFC); in molti paesi questi prodotti chimici sono ancora utilizzati nei sistemi di refrigerazione (frigoriferi, impianti per l’aria condizionata), mentre in passato venivano usati anche come propellente nelle bombolette di aereosol. Il problema è estremamente importante in quanto una riduzione dell’effetto schermante dell’ozono comporta un conseguente aumento dei raggi UV che giungono sulla superficie della Terra. Nell’uomo l’eccessiva esposizione a questi raggi è correlata ad un aumento del rischio di cancro della pelle, generato a seguito delle mutazioni indotte nel DNA delle cellule epiteliali. I raggi ultravioletti possono causare inoltre una inibizione parziale della fotosintesi delle piante, causandone un rallentamento della crescita e, nel caso si tratti di piante coltivate, una diminuzione dei raccolti. I raggi UV possono anche diminuire l’attività fotosintetica del fitoplancton che si trova alla base della catena alimentare marina, causando di conseguenza uno scompenso notevole a carico degli ecosistemi oceanici. L’ozono è una delle componenti principali del cosiddetto smog estivo e in grandi concentrazioni può avere effetti dannosi su persone e piante. È durante le giornate estive molto calde e poco ventilate che si formano le maggiori quantità d’ozono. Quando tali condizioni perdurano l’ozono si accumula nell’aria raggiungendo concentrazioni molto elevate. L’arrivo del brutto tempo accompagnato da piogge e vento riporta i valori dell’ozono a livelli normali. Durante i mesi estivi i limiti posti dalla legislazione alle immissioni d’ozono sono spesso superati su tutto il territorio cantonale. Smog e ozono Nei motori delle macchine, grazie alle alte temperature e pressioni, è possibile la combinazione diretta di azoto ed ossigeno: N2+O2 alta temperatura 2NO Quando il monossido di azoto appena prodotto entra in contatto con l’aria esterna più fredda reagisce ulteriormente con l’ossigeno per dare il biossido di azoto, il gas che conferisce allo smog il suo colore bruno rossastro. 2NO + O2 2NO2 La principale fonte di atomi di ossigeno è la scissione delle molecole di NO2 resa possibile dai raggi ultravioletti (UV). NO2 + raggi UV NO + O L’ossigeno atomico così liberatosi si combina con una molecola di ossigeno formando l’ozono. O + O2 + M O3 + M Dove M indica una molecola qualsiasi come N2 o O2, che sia capace di assorbire una parte dell’energia cinetica che interviene nell’urto. Generalmente la presenza di ozono nell’aria è circa 0,12 ppm (soglia massima consentita), in quanto lo stesso monossido di azoto distrugge parte dell’ozono. NO + O3 NO2 + O2 Questa reazione è quella mediante la quale si elimina la maggior parte dell’ozono: ma altre sostanze sono capaci di asportare NO dalla reazione prima che venga usato per distruggere l’ozono. Queste sostanze sono presenti esse stesse nei gas di scarico dei veicoli: sono gli idrocarburi incombusti o parzialmente ossidati che sostituiscono il residuo della combustione incompleta del combustibile. Con tassi di ozono fra120 e 180 μg/m3 alcune persone fra le più sensibili possono avere dei disturbi quali bruciore agli occhi, irritazione della gola, pressione sui polmoni e dolori quando si respira intensamente. La reazione all’ozono varia comunque da soggetto a soggetto e dipende dalla concentrazione nell’aria e dalla durata dell’esposizione. In generale si distinguono le seguenti situazioni: concentrazioni tra 120 e 180 μg/m3: pochi soggetti risentono dell’inquinamento da ozono; concentrazioni comprese tra 180 e 240 μg/m3: situazione critica per le persone più sensibili come bambini fino ai 6 anni, anziani, asmatici, allergici, … concentrazioni superiori ai 240 μg/m3: la fascia di popolazione interessata dagli effetti dell’ozono aumenta col crescere dei valori di ozono. Il deserto che avanza Si calcola che dal 1882 al 1952 i deserti siano cresciuti a livello mondiale del 140%, passando da 11 a 26 milioni. Il fenomeno è particolarmente accentuato in taluni stati dell’Africa. Il deserto tende ad avanzare per più cause: innanzi tutto per effetto dei disboscamenti, che vengono effettuati di solito allo scopo di estendere le coltivazioni o per far posto ai pascoli. Accade inoltre che i contadini africani abbandonino le pratiche agricole tradizionali per dedicarsi alle monoculture industriali. Quando si rimuove un manto erboso, l’energia solare, invece di essere assorbita dagli alberi, viene riflessa dal terreno nudo, aumentando le temperature, inaridendo il suolo, creando polvere nell’atmosfera e contribuendo a inibire la formazione di nuvole di pioggia. L’avanzate di terre sabbiose o comunque sterili non è tuttavia un fenomeno solo africano. La desertificazione sta infatti avanzando nelle steppe asiatiche dell’ex Urss, in Australia, negli Usa, in Cina, nel Cile e perfino in alcune aree italiane. Ogni anno circa 6 milioni di ettari di terra fertile diventano sterili per le cause più diverse. Agricoltura: concimi I possibili inquinamenti dovuti all’impiego dei concimi riguardano soprattutto le acque, sia profonde che superficiali. I danni maggiori si hanno con perdite dal terreno di azoto (N) allo stato nitrico (nitriti e nitrati) nel caso di concimazioni eccessive o irrazionali. Le perdite di fosforo (P) sono invece molto limitate, trattandosi di elemento pochissimo solubile. Trascurabili gli inquinamenti per perdite di potassio (K) e di altri elementi minerali contenuti nei concimi chimici in genere. Quando si distribuiscono dei fertilizzanti al terreno, si distribuisce dell’azoto sotto diverse forme: organico (liquame, letame e concimi organici ed organico-minerali), ureico (urea ed alcuni concimi composti), ammoniacale (solfato ammonico, nitrato ammonico ed alcuni concimi composti) o nitrico (nitrato di calcio, nitrato ammonico ed alcuni concimi composti). L’azoto organico si trasforma, più o meno lentamente, in azoto ammoniacale e quindi nitrico. Lo stesso avviene per l’azoto ureico, ma con maggiore velocità; e, ancor più rapidamente, per l’azoto ammoniacale. Dato che queste trasformazioni dipendono dall’attività biologica dei microrganismi del terreno, la loro velocità dipende molto dalle condizioni ambientali ed è massima in presenza di temperature elevate e buona umidità del suolo. In generale le trasformazioni sono molto veloci in primavera e nella tarda estate, mentre rallentano in inverno e durante i periodi di siccità, in assenza di irrigazione. Alla fine di queste attività biologiche si ha sempre la formazione di azoto nitrico che è assorbito da tutte le piante e, se in eccesso rispetto alle esigenze di queste, viene trascinato dalle acque di pioggia e di irrigazione che attraversano il terreno, con il meccanismo definito "lisciviazione". Questo azoto nitrico (contenuto nei nitrati) trascinato dall’acqua può provocare due gravi forme di inquinamento. I microrganismi usano gli amminoacidi per fabbricare le proprie proteine e liberano l’azoto in eccesso sotto forma di ammoniaca o di ione ammonio (ammonificazione), poi molte specie di comuni batteri sono in grado di ossidarli con la seguente reazione (nitrificazione): 2NO3 + 3O2 2NO2- + 2H+ + 2H2O Un altro gruppo di batteri ossida i nitriti in nitrati 2NO2- + O2 2NO3- Innanzi tutto l’acqua che percola in profondità può raggiungere le falde acquifere che alimentano i pozzi e le sorgenti da cui sono tratte le acque potabili, arricchendole di nitrati. Questi ultimi, in certe condizioni, sono pericolosi per la salute umana e pertanto la loro presenza nelle acque le può rendere non potabili. Se invece le acque che trascinano i nitrati del terreno vanno nei corsi d’acqua superficiali (fossi, canali, fiumi), possono provocare un altro tipo di danno all’ambiente, sia negli stessi corsi d’acqua, che, soprattutto, nei laghi, nelle lagune e nel mare, dove essi sfociano. Infatti l’azoto nitrico è assorbito dalle alghe, che si sviluppano molto rapidamente in presenza di nitrati. L’eccessivo sviluppo di alghe, sia microscopiche che di grandi dimensioni, diminuisce la trasparenza dell’acqua, rende difficile la vita per gli altri vegetali e per gli animali negli strati più profondi e crea quindi una complessiva grave alterazione dell’equilibrio ecologico delle acque. Questo fenomeno è definito genericamente "eutrofizzazione" – parola che deriva dal greco e che significa "buon nutrimento" – ed indica proprio una situazione in cui sono presenti troppi elementi nutritivi per le alghe. L’eutrofizzazione può assumere diverse caratteristiche, ma è comunque un fenomeno negativo per l’ambiente. Disboscamento Un aspetto specifico di alterazione degli equilibri del suolo e del territorio riguarda un particolare fenomeno: il disboscamento. La distruzione di boschi e foreste non comporta soltanto una maggiore esposizione del suolo ai processi di erosione, ma ha effetti ambientali diretti ed indiretti di enorme portata. I boschi svolgono una vera e propria funzione di serbatoi naturali dell’acqua piovana. Grazie infatti al manto arboreo e alle piante del sottobosco, le piogge non solo non trascinano a valle il suolo, ma vengono trattenute e filtrate nel terreno. Al tempo stesso, soprattutto le foreste tropicali sono il luogo dove si custodisce gran parte del patrimonio della biodiversità botanica e zoologica dell’umanità. Distruggere questi habitat significa anche impoverire ulteriormente la terra di organismi viventi, di una ricchezza di cui non conosciamo neanche le potenzialità. La stessa riduzioni delle loro superfici ha effetti negativi non solo a livello locale ma sulla salute complessiva del pianeta. Queste foreste, infatti, rappresentano il grande superstite polmone della terra. Sono i maggiori generatori di ossigeno nella biosfera. Il loro progressivo abbattimento, diminuendo la capacità di assorbimento di anidride carbonica da parte degli alberi, aumenta l’effetto serra che tende a surriscaldare il pianeta. Effetto serra Alcuni dei gas presenti nell’aria, detti "gas serra", hanno la capacità di assorbire il calore di quella quota di radiazioni solari che una volta "rimbalzate" sulla superficie terrestre sfuggirebbero poi verso lo spazio: più cresce la loro concentrazione, e più aumenta la quantità di calore intrappolata nell’atmosfera e dunque, tendenzialmente, la temperatura sul nostro pianeta. Sono "gas serra’ l’anidride carbonica (CO2), i clorofluorocarburi (CFC), il metano (CH4), l’ossido di azoto (NO2), l’ozono troposferico (O3). La concentrazione dei “gas serra" nell’atmosfera cresce sia per l’aumento delle emissioni sia, nel caso dell’anidride carbonica, per la sistematica distruzione di milioni di ettari di foresta: gli alberi, infatti, agiscono da veri e propri "accumulatori" di carbonio, e per ogni ettaro di foresta bruciato cresce quindi di un po’ la quantità di anidride carbonica liberata nell’aria, e con essa l’effetto serra. A provocare l’effetto serra sono l’anidride carbonica, i clorofluorocarburi, il metano, l’ossido di azoto, l’ozono troposferico: gas la cui concentrazione aumenta sempre di più per una serie di cause tutte legate ad attività umane. Gran parte della responsabilità per il progressivo riscaldamento del nostro pianeta va addebitata al modello energetico dominante: l’80% delle emissioni di anidride carbonica, il principale "gas serra", proviene dalla combustione del carbone, del petrolio e del metano, dunque dall’attività delle centrali termoelettriche, dai fumi delle industrie, dagli scarichi delle automobili. Ma sotto accusa ci sono anche i fertilizzanti azotati usati in agricoltura, che oltre ad alimentare il fenomeno dell’eutrofizzazione che sta uccidendo decine di laghi e mari, tra cui l’Adriatico, sono anche responsabili di buona parte delle emissioni di ossido di azoto. Infine altri due "imputati" di primo piano sono i clorofluorocarburi responsabili della distruzione della fascia di ozono, la cui produzione per fortuna è in rapida diminuzione, e la deforestazione, che nelle foreste tropicali procede al ritmo di un campo di calcio al secondo. Quanto alla parte di ‘colpa" delle varie aree geo-politiche del mondo, il dato che salta subito agli occhi e che oltre la metà delle emissioni di anidride carbonica e degli altri "gas serra" viene dai Paesi industrializzati - Stati Uniti, Unione europea, Canada, Giappone, Australia - dove vive appena un quinto della popolazione mondiale. Se le emissioni dei "gas di serra" in atmosfera proseguiranno ai ritmi attuali, dovremo attenderci nei prossimi decenni un riscaldamento globale del pianeta compreso tra 1 e 3,5 gradi centigradi. Le conseguenze di questo aumento della temperatura sarebbero catastrofiche a vari livelli. • INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEI MARI Il riscaldamento provocherebbe il parziale scioglimento dei ghiacci e un’espansione termica degli oceani, con un innalzamento prevedibile del livello dei mari di 15-95cm. • ALTERAZIONI CLIMATICHE I periodi di siccità, che già in questi anni si sono estesi dalle latitudini equatoriali a molte regioni temperate in Europa e negli Stati Uniti, si moltiplicherebbero, e vaste aree intensamente coltivate che oggi forniscono grano e cibo a tutto il mondo, come le grandi pianure nordamericane ma anche in parte la Pianura Padana, potrebbero diventare zone aride non adatte all’agricoltura. Al tempo stesso, l’aumento della temperatura produrrebbe un’intensificazione e una maggiore estensione di eventi meteorologici estremi come alluvioni, inondazioni, cicloni tropicali. • DISTRUZIONE DELLE SPECIE ANIMALI La febbre del pianeta accelererebbe l’estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, non più in grado di sopravvivere nelle mutate condizioni climatiche. Lo scioglimento dei ghiacci potrebbe compromettere irrimediabilmente interi ecosistemi. Tra le specie più a rischio orsi polari e pinguini, salmoni e trichechi, foche e tigri, e poi ambienti già oggi fortemente minacciati come le barriere coralline. Infine, si assisterebbe alla crescente tropicalizzazione di mari "temperati" come il Mediterraneo, dove la fauna e la flora autoctone verrebbero progressivamente soppiantate da specie provenienti dai mari del sud. In base al Protocollo di Kyoto firmato nel 1997, le nazioni industrializzate hanno preso l’impegno di ridurre le emissioni di anidride carbonica di almeno il 5% entro il 2008-2012 rispetto ai livelli del ’90: un obiettivo troppo timido, visto che molte delle conseguenze previste in caso di riscaldamento del pianeta sono già in parte una realtà, e in ogni caso un obiettivo che rimane lontanissimo. In particolare l’Italia, che si è impegnata a ridurre del 6,5% entro il 2010 rispetto al ’90 le emissioni di CO2, finora ha fatto assai poco per centrare l’obiettivo, tanto che al ’98 le nostre emissioni erano addirittura cresciute di oltre il 5%. Un ritardo, oltretutto, doppiamente autolesionista, perché quasi tutte le misure utili ad abbattere le emissioni di CO2 servirebbero anche a combattere l’inquinamento atmosferico e a ridurre la dipendenza energetica del nostro Paese dal petrolio.