Il segno
e il simbolismo
della croce
Origine ed evoluzione
del simbolo più diffuso del
cristianesimo
Lanfranco Gianesin
La croce come strumento
Il termine Croce deriva dalla parola greca
stauròs che è un palo piantato diritto
(palo a punta);
 può servire a molteplici usi, come erigere
steccati, gettare fondamenta;
 può avere anche il significato speciale di
palizzata (fin da Omero). Di conseguenza,
stauróô significa piantare pali, erigere
palizzate (fin da Tucidide).

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Come anche indicano i casi più frequenti
in cui è usato il verbo anastauróô,
staurós può quindi significare il palo (a
volte appuntito in alto) al quale viene
abbandonato un uomo ucciso, quasi a
significare una pena aggiuntiva, in segno
di vergogna, sia appendendolo che
infilzandolo;
 in altri casi si tratta del palo usato come
strumento di esecuzione capitale (per
strangolamento o altro).

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Inoltre staurós è il legno del supplizio, grosso
modo nel senso latino di patibulum, una trave
assicurata sulle spalle;
 è infine, come strumento di supplizio, la croce,
formata da un palo verticale e da una trave
orizzontale, in forma di T (crux commissa) o di
 (crux immissa).
 L'esecuzione per crocifissione è attestata tra i
greci e tra i cartaginesi; i romani devono averla
presa da quest'ultimi. Gli orientali invece non
hanno usato né sviluppato questo tipo di
crocifissione. Questi ultimi preferivano
appendere o infilzare il cadavere del condannato
per esporlo alla vista e al ludibrio di tutti.
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La crocifissione romana
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
Al tempo di Gesù in Palestina, la condanna alla
crocifissione e l'esecuzione di questo tipo di pena erano
praticate soltanto dalla potenza occupante romana
La pena della crocifissione era quindi intesa più come
deterrente che come espiazione, come strumento di
ordine al fine di mantenere il dominio vigente. È quindi
del tutto logico che lo strumento del supplizio venisse
eretto in un luogo ben esposto.
I romani han fatto ampio uso di questo tipo di
esecuzione e lo strumento di supplizio adottato, lo
staurós, comportava un pezzo di legno incrociato e
aveva quindi la forma delle due travi in croce.
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Anche studiosi Ebrei parlano del supplizio romano,
facendo riferimento ai vangeli: «Le croci utilizzate furono
di differenti forme. Alcune furono in forma di T, altre
nella forma della croce di Sant'Andrea (X), mentre altre
ancora erano a due assi perpendicolari (+).
Il tipo più comune consisteva in un palo (stipes o stips)
fermamente fissato al terreno (crucem figere) prima che
il condannato arrivasse sul luogo dell'esecuzione
(Cicerone, Verrine, v. 12; Giuseppe Flavio, Bellum
Iudaicum, VII, 6,4) e in un trave trasversale
(patibulum), recante il titulus, l'iscrizione che
attestava il crimine (Mt 27,37; Lc 23,38; Svetonio,
Claudio, 38). Il condannato era costretto a trasportare il
trave trasversale fino al luogo dell'esecuzione (Plutarco,
De Sera Numinis Vindicta, 9; Mt, ibidem; Gv 19,17)».[1]
[1] Cfr. Jewish Encyclopedia, alla voce Crocifissione.
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Sono noti due modi di erigere lo staurós.
 Il condannato poteva venire assicurato alla croce ancora
distesa a terra, sul luogo dell'esecuzione, ed essere
quindi innalzato insieme ad essa.
 Oppure — forse questo era il caso più normale — prima
si fissava a terra il palo verticale prima dell'esecuzione;
poi il condannato, legato alla trave trasversale, veniva
innalzato insieme a questa e fissato sul palo verticale.
 Poiché questa era la maniera più semplice per assicurare
il condannato sulla croce e poiché l'aggiunta della trave
trasversale dev'essere presumibilmente messa in
connessione con la pena del patibulum riservata agli
schiavi, si può dedurre che la crux commissa (T)
rappresentasse la normalità. Quanto all'altezza, la croce
non doveva superare di molto la statura di un uomo.

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
Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento
romano doveva essere pressappoco il seguente:
1. dapprima avveniva la condanna legale;
2. solo in circostanze straordinarie poteva aver luogo un
procedimento sommario sul luogo stesso dell'esecuzione;
3. se l'esecuzione doveva avvenire in un luogo diverso da
quello della condanna, il condannato stesso portava la
trave trasversale (patibulum) nel luogo fissato, per lo più
fuori le mura cittadine. E' qui che ha la sua origine il detto
«portare lo staurós», tipica espressione per indicare la
punizione di uno schiavo. Sul luogo dell'esecuzione il
condannato veniva spogliato e flagellato (non è certo se
soltanto qui);
4. la flagellazione è un elemento costante nella crocifissione,
tra la condanna e l'esecuzione vera e propria. Il
condannato veniva legato a braccia tese sulla trave, che
forse poggia sulle sue spalle. Solo in casi sporadici si parla
di inchiodatura (Hdt. IX 120, 4; VII 33); non si sa con
certezza se anche i piedi venissero inchiodati, oltre che le
mani.
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5.
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La morte del condannato, appeso al palo verticale con la trave
trasversale sopra, subentrava lentamente e tra sofferenze
indicibili, probabilmente per sfinimento o per soffocamento. Il
cadavere poteva essere abbandonato sulla croce alla
decomposizione oppure a essere mangiato dagli uccelli rapaci
o divoratori di carogne. Sono attestati anche casi in cui il
cadavere veniva poi consegnato ai parenti o conoscenti.
I Vangeli attestano che, nel caso di Gesù, la
flagellazione non venne compiuta sul luogo
dell'esecuzione e che al condannato furono inchiodati
anche i piedi, con una procedura diversa dalla modalità
più diffusa.
Nel frattempo l’archeologia ha fatto una scoperta
sensazionale in Palestina.
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La scoperta delle ossa di un uomo
crocifisso


Non si chiama Yehoshua Mi Nazeret (Jesus
Nazarenus) ma Yohanan Ben Hagkol. Non aveva 33
anni ma 25. Il ritrovamento delle sue ossa nel 1968 resta
tuttavia l'unica testimonianza concreta della stessa
crocifissione con cui morì Gesù.
Lo scheletro di Yohanan (il cui nome è nell'iscrizione
dell'ossuario) è stato ritrovato in una grotta per sepolture
a nord di Gerusalemme, nel quartiere Givat Ha Mivtar.
Quando Vassilios Tzaferis, del dipartimento israeliano
delle Antichità, che dirigeva gli scavi, aprì quell'urna, capì
di essere di fronte a una scoperta storica.
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

Quel morto, certo contemporaneo di Gesù, non era una
personalità e nulla sappiamo di lui, neppure di quale
colpa fu accusato. E' il modo in cui trovò la morte che
l'ha reso celebre: nel suo piede, all'altezza della caviglia,
si vede conficcato un chiodo, con tanto di supporto di
legno di ulivo per tenerlo più stretto. Un ritrovamento
sensazionale.
"Sotto l'impero romano, in tutte le sue province" spiega
Tzaferis "migliaia di persone morirono sulla croce.
Secondo le fonti storiche, il supplizio era per gli schiavi, i
prigionieri di guerra e i ribelli al dominio di Roma. Tra
questi ultimi il più noto era Gesù, mandato a morire nel
30 d.C. circa. Mai tuttavia avevamo trovato prova che la
crocifissione avvenisse con l'uso di chiodi su piedi e mani
come descritto dai Vangeli".
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

Joseph Zias, l'antropologo israeliano che, dopo il
ritrovamento, ha studiato le ossa di Yohanan Ben
Hagkol, aggiunge: "E' possibile che la maggior parte
delle crocifissioni avvenisse solo con l'uso della corda che
il condannato, con i piedi appoggiati a un tassello di
legno e le mani legate ai polsi attraverso la croce,
morisse comunque di stenti in poche ore. I chiodi si
conficcavano quando il martirio doveva risultare più
doloroso: in casi eccezionali".
Gesù di Nazareth fu uno di questi.
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Il simbolo della croce
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
La croce è un segno formato dall’incontro di due linee,
che si intersecano in un punto centrale, a partire dal
quale si determinano quattro direzioni.
Questo segno viene utilizzato nelle matematiche, in
geografia, in architettura e in cosmologia.
Lo si ritrova, come simbolo cosmico, nel suo significato
di orientamento nello spazio, in molte culture e civiltà
antiche, anteriori al cristianesimo o non ancora toccate
dalla sua influenza, come l’Egitto, Creta, la Mesopotamia,
l’India e il mondo ariano, la Cina e l’America
precolombiana.[3]
[3] RIES, Julien, Il segno e il simbolismo della croce nelle religioni, in I
simboli nelle grandi religioni, Jaca Book, Milano 1988, p. 27.
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

Un poeta egiziano ha scritto che lo spazio è la nostra
seconda pelle.
Identificare il centro simbolico dello spazio, ma anche il
centro reale, fisico di un territorio o della città è sempre
stato un gesto determinante nelle culture umane.
Dalle origini più remote l’uomo ha manifestato la
necessità vitale di esplorare, di misurare il tempo, di
conoscere in senso cosmico, dentro di sé e fuori di sé, di
rappresentare la natura e i suoi eventi. Nel tempo della
fisicità corporea, racchiuso tra gli estremi della nascita e
della morte, ha conosciuto lo spazio col suo passo e con
il tempo della sua esistenza, scandito dal sorgere e dal
morire del sole e dall’avvicendarsi delle stagioni.[4]
[4] APPIANO, Ave, Forme dell’immateriale. Angeli, anime, mostri. Semiotica,
iconologia e psicologia dell’arte, SEI, Torino 1996, p. 179.
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
L’essere umano ha bisogno di orientarsi, di trasformare il
caos in un cosmos (un mondo bello e ordinato). La
croce riveste un ruolo decisivo (appunto “cruciale”)
attraverso “la sua funzione simbolica di sintesi e di
misura […]. In essa si uniscono cielo e terra, il più
intimamente possibile. In essa si mescolano e si
congiungono spazio e tempo”[1].
I quattro bracci della croce si riferiscono a diversi
elementi cosmici: quattro i punti cardinali, quattro le fasi
lunari, quattro le stagioni e quattro i fiumi alle origini del
mondo. Quattro è il numero della totalità dello spazio e
del tempo.
[1] DE CHAMPEAUX, G., I simboli del Medioevo, Jaca Book, Milano 1981, p.
31.
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
Il cristianesimo eredita il simbolo cosmico della croce
tridimensionale (6 semiassi che si diramano dal
centro, punto di emanazione e di ricapitolazione) dalla
tradizione ebraica alessandrina, che era stata fortemente
influenzata dalla cultura ellenistica. S. Paolo e i primi
padri della Chiesa invitano a considerare tale simbolo
come espressione della salvezza universale operata da
Cristo.[1] Ad esso Paolo si riferisce quando dice:
Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così,
radicati e fondati nella carità, siate in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la
lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere
l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza,
perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
(Ef 3, 17-19)
[1] RIES, Julien, Il segno e il simbolismo della croce nelle religioni, in I
simboli nelle grandi religioni, Jaca Book, Milano 1988, p. 27.
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
Sant’Ireneo (130-202), vescovo di Lione, commenta il
brano di Paolo con un testo illuminante:
Lui [il Cristo] che per obbedienza alla croce ha cancellato sul
legno l’antica disobbedienza, è lui stesso il Logos di Dio
onnipotente, che tutti ci penetra nello stesso tempo di una
presenza invisibile: per questo abbraccia il mondo intero, in
ampiezza e lunghezza, in altezza e profondità. Perché solo per
mezzo del Logos di Dio tutte le cose sono condotte all’ordine e il
Figlio di Dio è crocifisso in esse, mentre ha imposto a tutte la
sua impronta e il suo segno nella forma della croce. Non è forse
giusto e appropriato che nello scegliere di rendere Se stesso
visibile imprimesse a tutto ciò che è visibile la sua comunanza
con il tutto attraverso la croce? Perché la sua azione doveva
mostrare, tra le cose visibili e in una forma visibile, che è Lui ad
illuminare le altezze, cioè il cielo, Lui a penetrare nelle profondità
e nei fondamenti della terra, Lui a distendersi sulle superfici che
vanno dall’oriente all’occidente, Lui a raggiungere le lontananze,
dal Nord fino al Sud; perché è Lui che chiama dappertutto a
raccolta quello che è disperso affinché conosca il Padre.[1]
[1] IRENEO, Epideixis, I, 34, citato da HANI, Jean, Il segno della croce, in I simboli
nelle grandi religioni, Jaca Book, Milano 1988, p. 55-56.
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
Clemente di Alessandria (150-212), parlando
della creazione del mondo, descrive una sorta di
cosmologia della croce, basata sulla simbologia
del numero sette: “
Da Dio, Cuore dell’Universo, partono distese infinite che si
dirigono una in alto e l’altra in basso, questa a destra e quella a
sinistra, una in avanti e l’altra indietro. Dirigendo il suo sguardo
verso questi sei piani, come verso un numero sempre uguale,
Dio compie il mondo. E’ l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, in lui si
compiono le sei fasi del tempo, in Lui esse ricevono la loro
estensione indefinita: è il segreto del numero Sette. [1]
[1] Citato da HANI, Jean, Il segno della croce, in I simboli nelle grandi
religioni, Jaca Book, Milano 1988, p. 55.
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
La croce è identificata anche con l’albero, dato che
questo è agli occhi dell’uomo una potenza, simbolo della
verticalità e della comunicazione dei tre livelli: cielo,
terra, mondo sotterraneo. Infatti è considerato axis
mundi (asse del mondo). Sant’Ippolito di Roma (170237) ha uno splendido passaggio sulla croce come albero
cosmico:
Quest’albero, grande fino al cielo, si è elevato dalla terra verso il
cielo. Crescita immortale, tra il cielo e la terra si estende. E’
solido punto di appoggio del Tutto, punto di riposo di tutte le
cose, base dell’insieme del mondo, punto polare cosmico.
Riunisce in sé, in una unità, tutta la diversità dell’umana natura.
Chiodi invisibili lo tengono unito allo Spirito, perché non si liberi
dai suoi legami con il Divino. Tocca la cima più alta del cielo e i
suoi piedi sono fissati alla terra, e l’immensa atmosfera di mezzo
che in questo intervallo si estende, egli l’abbraccia nelle sue
braccia infinite.[1]
[1] Citato da HANI, Jean, Il segno della croce, in I simboli nelle grandi
religioni, Jaca Book, Milano 1988, p. 57.
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
La croce è l’albero della morte che il sacrificio di Cristo
trasforma in albero della vita. Gesù, il nuovo Adamo, che
in quanto Logos divino ha compiuto la creazione, in
quanto redentore compie la “ricreazione” del mondo. S.
Paolo ne parla in un brano famoso della Lettera ai
Colossesi:
Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
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Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza
e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
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(Col 1,15-20)
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
Sempre Paolo, nella Lettera ai Romani, afferma:
Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel
mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha
raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. […] Infatti
se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel
solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della
grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo
del solo Gesù Cristo. Come dunque per la colpa di uno solo si è
riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera
di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la
giustificazione che dà vita. Similmente, come per la
disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così
anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
(Rom 5, 12.17-19)
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

La croce è anche l’albero della nave (albero di
maestra incrociato dal pennone).
Infine la croce si identifica con il corpo umano a
braccia aperte orizzontalmente (uomo come microcosmo,
riassunto dell’universo).
La chiesa con la pianta a croce greca rappresenta infatti
il corpo di Cristo in croce.
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
La potenza dei simboli è tale perché i simboli
racchiudono storia e memoria, raccontano le
attitudini, lo spirito e lo sguardo di chi ci ha
preceduto. Un crocifisso su un muro è anche la
somma degli sguardi che lo hanno riconosciuto,
per amarlo o semplicemente rispettarlo, nel
susseguirsi delle generazioni.[1]
[1] Cf. SERRA, Michele, Il crocifisso un simbolo tra religione e stato, in
Repubblica, 03/11/2003.
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