I PRIMI SECOLI DELLA REPUBBLICA ROMANA Capitolo 12 Una precisazione per gli studenti Le slide che trovate in questo file sono puramente testuali. Potete fare perciò riferimento alle immagini e agli schemi che trovate sul libro al capitolo corrispondente. Noterete infatti che i titoli delle slide spesso corrispondono a quelli dati ai paragrafi, per cui non dovrebbe essere difficile affiancare alle slide le immagini che si susseguono sul libro. Buon lavoro e buone vacanze! Le istituzioni della repubblica romana Con la Repubblica, troviamo a Roma nuove istituzioni o, come dicevano i Romani, magistrature, forse in parte già presenti nel periodo monarchico: 1) I consoli: avevano l’imperium (“potere”), cioè la suprema autorità civile e militare; erano in due (perché l’uno controllasse l’altro); guidavano l’esercito; riunivano il Senato; mantenevano l’ordine pubblico; venivano eletti annualmente, ma non potevano essere eletti due anni di fila. Le istituzioni della repubblica romana 2) Il dittatore: in caso di emergenza, i consoli eleggevano un dittatore, cioè un magistrato che deteneva da solo l’imperium, ma per un periodo limitato a sei mesi. 3) i pretori: giudici dotati di imperium, che però era limitato all’ambito civile; il pretore urbano si occupava di cause tra cittadini romani; il pretore peregrino di quelle che coinvolgevano anche gli stranieri. Magistrature senza imperium 3) 4 Edili: avevano compiti di polizia urbana, controllo dei mercati e costruzione/manutenzione degli edifici pubblici. 4) 4 Questori: giudici che si occupavano solo delle cause più gravi. 5) 2 Censori: eletti ogni 5 anni; censivano i cittadini romani e li assegnavano a una classe in base alla ricchezza (lista patrimoniale); potevano censurare, cioè escludere dalla vita politica, chi ne veniva ritenuto indegno. Il cursus honorum A Roma vigeva il cursus honorum (lett. “successione delle cariche”): un cittadino doveva seguire un ordine nelle magistrature. Prima si diveniva questori (non prima dei 28 anni), poi edili, quindi pretori ed infine consoli (non prima dei 37 anni). Le istituzioni plebee La plebe, esclusa dalla vita politica, si dotò di cariche proprie, creando quasi uno “stato nello stato”: 1) 10 Tribuni della plebe: loro scopo era difendere i plebei dagli abusi dei patrizi; erano sacri, cioè inviolabili: chi li avesse danneggiati avrebbe subito la condanna a morte o la confisca dei beni; proponevano le votazioni nei plebesciti, ovvero le assemblee popolari; godevano del diritto di veto (dal verbo latino “veto”, “opporsi”): potevano bloccare le iniziative dei magistrati. Il senato L’assemblea stabile e più importante di Roma era il Senato, cioè il supremo organo di governo. Era l’assemblea delle famiglie più potenti e in epoca repubblicana si entrava a farne parte dopo aver ricoperto una magistratura. In senato parlavano per primi gli ex magistrati più importanti, così da influenzare l’assemblea. Il senato Il senato poteva autorizzare o meno le assemblee cittadine ed esaminava le leggi proposte dai magistrati; Decideva sulla politica estera; Prendeva le decisioni riguardanti la guerra e la pace; Autorizzava le spese dei magistrati, quindi, di fatto, decideva come amministrare le casse dello Stato. L’assemblea popolare: comizi curiati Il senato era l’assemblea patrizia, mentre tutto il popolo faceva parte dei comizi curiati (lett. “riunione delle curie”), ovvero dell’assemblea popolare. Tutto il popolo romano (patrizi e plebei) era diviso in 30 curie (gruppi). Ogni curia riuniva un certo numero di gentes (cioè un insieme di più familiae importanti con il loro seguito di alleati plebei). I comizi curiati erano la più antica assemblea romana, ma col tempo persero il loro potere decisionale a vantaggio dei comizi centuriati. I comizi curiati si occuparono quindi solo di cerimonie formali, prive di potere effettivo. I comizi centuriati Il popolo romano aveva anche i comizi centuriati: oltre che per curie, era quindi diviso in centurie (gruppo di 100 uomini). La centuria, a Roma, era anche l’unità di base dell’esercito (che era quindi diviso in tanti gruppi da 100 uomini). Questa corrispondenza numerica tra centuria dell’assemblea e centuria dell’esercito col tempo venne meno, ma il nome rimase; ciò significa che nei comizi non sempre una centuria corrispondeva a 100 uomini presenti e votanti, ma era piuttosto come un “punteggio” utile nelle votazioni: più centurie, più potere di voto. I comizi centuriati Vediamo di capire come erano organizzati i comizi centuriati: i cittadini venivano divisi in 5 classi, a seconda della ricchezza e dell’armamento che potevano permettersi. Nella prima classe c’erano i fanti con armamento pesante oplitico (il più costoso) e patrimonio di 100 000 assi (monete di bronzo), quindi si scendeva fino alla quinta classe, armata in modo leggero. A parte stavano i cavalieri (equites) e gli infra classem (proletari nullatenenti) che non venivano classificati in base al patrimonio. I comizi centuriati Ogni classe era suddivisa in un certo numero di centurie: si votava per centurie, non individualmente, quindi le prime classi (le più ricche), che fornivano il maggior numero di soldati all’esercito, avevano maggior peso nelle votazioni. Le prime due classi da sole, fornendo 80 (1^classe) + 20 (2^classe) centurie all’esercito, nelle votazioni contavano per 100 voti su un totale di 193. Anche se numericamente i cittadini più ricchi erano minori rispetto a quelli più poveri, il loro potere decisionale era maggiore. I comizi centuriati I comizi centuriati avevano poteri ampi: 1) eleggevano i magistrati supremi (censori, consoli, pretori). 2) votavano le leggi proposte dai magistrati. I comizi tributi Oltre ai comizi curiati e centuriati, c’era una terza assemblea popolare, i comizi tributi, in cui i cittadini erano organizzati per tribù, cioè in base alla residenza sul territorio romano. Nei comizi tributi non si votava per ricchezza, quindi erano più democratici dei comizi centuriati. I comizi tributi eleggevano gli edili e i questori. I tribuni della plebe erano eletti tramite tribù, ma votati solo dalla plebe. La lotta tra patrizi e plebei Nei primi decenni della Repubblica, sia patrizi che plebei ebbero accesso alle massime magistrature. Con il passare del tempo però i patrizi riuscirono a limitare il potere politico dei plebei, che a loro volta si dotarono delle loro istituzioni: nel 494 infatti i plebei elessero i primi tribuni della plebe. Nel 480 i patrizi risposero chiudendo l’accesso alle cariche per i plebei, innescando così decenni di lotte tra i due gruppi sociali. Le rivendicazioni della plebe La plebe portò avanti diverse rivendicazioni: A) economiche: 1) annullamento dei debiti o abolizione della schiavitù per debiti. 2) equa distribuzione dell’ager publicus, cioè i terreni dello Stato, ottenuti tramite le conquiste: spesso questi campi venivano assegnati ai soli patrizi. Le rivendicazioni della plebe B) politiche: 1) accesso alle magistrature Le rivendicazioni non ebbero successo, così nel 456 i plebei diedero vita alla Secessione dell’Aventino, cioè l’occupazione del colle Aventino, dove i plebei si diedero proprie direttive, rifiutando di collaborare con i patrizi. Fu il punto massimo della lotta: da quel momento fu necessario cercare un compromesso tra i due gruppi sociali. La plebe ottiene leggi scritte A Roma le leggi si tramandavano oralmente: in tal modo i patrizi potevano volgere la giustizia a loro favore. Nel 451 a.C. la plebe ottenne l’elezione di 10 magistrati incaricati di redigere le leggi scritte, i decemviri. Fu redatto un codice di 12 tavole, detto “Leggi delle XII tavole”, promulgato dai consoli nel 449 a.C. Erano leggi dure, che davano massimi poteri al pater familias, avvantaggiavano i patrizi e vietavano matrimoni tra patrizi e plebei, ma garantirono finalmente imparzialità nei giudizi. La plebe accede alle magistrature I patrizi avevano il monopolio delle magistrature, anche perché esisteva la convinzione religiosa che fossero stati investiti direttamente dagli dei per detenere ruoli politici. Tuttavia, dopo anni di lotte, si giunse alla redazione delle Leggi Licinie-Sestie (367 a.C.) che prevedevano che uno dei consoli fosse plebeo, che si riducessero i debiti della plebe e che si stabilisse una quota massima di ager publicus da assegnare ad ogni cittadino. Nasce la nobilitas patrizio-plebea Con le leggi Licinie Sestie i plebei ebbero accesso alle magistrature, potendo così sedere in Senato come ex magistrati. Le lotte furono fondamentali, ma alcuni patrizi avevano favorito questo processo per allearsi con le famiglie plebee più ricche (non tutti i plebei erano poveri). Nacque così la nobilitas (nobiltà) patrizio-plebea, formata da coloro che di fatto, patrizi o ricchi plebei, comandavano la vita politica. D’ora in poi lo scontro sociale avrebbe visto contrapporsi questa nobilitas contro i plebei meno abbienti. Roma conquista il Lazio Nel V sec. a.C. Roma si scontrò con gli altri popoli del Lazio: 1) sconfisse i Latini al lago Regillo (497), che portò al foedus Cassianum, un patto tra Latini e Romani su un piano di assoluta parità. 2) Nel 458 i Romani e i Latini, guidati da Lucio Quinto Cincinnato sconfissero Equi, Volsci e Sabini sul monte Algido. Dal 458 il Lazio fu nelle mani di Roma. Roma contro gli Etruschi: Veio Dopo il Lazio, lo scontro si svolse contro gli Etruschi e la loro principale città nell’alto Lazio, Veio. Una lunga (10 anni) e costosa guerra portò alla vittoria di Roma nel 396 sotto la guida di Furio Camillo. Il territorio di Veio fu annesso a quello romano: i contadini soldati ne ricevettero una parte e divennero piccoli proprietari terrieri, che avvantaggiò i contadini ma che fece diminuire la manodopera nei terreni dei nobili, che cercarono di rifarsi con la schiavitù per debiti. Il pericolo gallico: i Celti a Roma I Celti, chiamati Galli dai Romani, si erano installati nella Pianura padana, scacciandone gli Etruschi. Scesero quindi nell’Italia centrale, puntando su Roma. Nel 390 l’esercito romano li fronteggiò sul fiume Allia, ma venne sconfitto. Roma fu occupata dai Galli, tranne la rocca del Campidoglio (difficilmente espugnabile). I Galli abbandonarono la città solo dopo che ebbero ottenuto un riscatto ingente: il danno economico e l’umiliazione erano stati i peggiori mai toccati a Roma. Latini e Romani corrono ai ripari Per fronteggiare nuovi pericoli, i Romani costruirono nuove mura (378 a.C.). Due nuovi attacchi dei Galli nel 360 e nel 349 furono quindi facilmente respinti. Consolidarono inoltre la loro alleanza con la potente città laziale di Cere. Nel frattempo i Latini sciolsero l’alleanza con Roma, ritenendola un pericolo per la sua potenza. Nel 358 però i Romani sconfissero una coalizione di Latini, Volsci ed Etruschi: ricostruirono allora la lega (alleanza) latina, ma questa fu sbilanciata a tutto vantaggio dei Romani. Roma conquista l’Italia I Sanniti, riuniti nella Lega sannitica, abitavano le zone interne comprese tra Abruzzo e Campania. Avevano una civiltà montanara fondata sulla pastorizia. A loro si oppose la lega Campana, composta dalle popolazioni costiere, vicine alla cultura greca e guidate dalla ricca città di Capua. I Sanniti sconfissero ripetutamente la Lega campana, e Capua chiese aiuto a Roma. Iniziò così la prima guerra sannitica (343-341 a.C.). Prima guerra sannitica (343-341) Roma intervenne perché interessata alla Campania, la regione più ricca d’Italia. I Romani ebbero inizialmente la meglio, ma il conflitto entrò presto in una fase di stallo, portando a un accordo che confermò la situazione precedente il conflitto: Roma avrebbe mantenuto l’alleanza con Capua, i Sanniti avrebbero mantenuto i loro vecchi territori. Romani e Sanniti stipularono inoltre un’alleanza, utile per mantenere il controllo sull’Italia centro-meridionale. Alleatasi con i potenti Sanniti, Roma sciolse l’ormai inutile Lega latina. Seconda guerra sannitica (327-304) Le ostilità ripresero con la Seconda guerra sannitica (327-304 a.C.). All’inizio i Romani, dotati dell’esercito più potente, ebbero la meglio, ma poi incontrarono difficoltà a penetrare con efficacia nel territorio montuoso e ben difeso de Sanniti: nel 321 subirono una sconfitta umiliante presso Caudio (Forche Caudine) e accettarono una pace che concedeva alcuni territori ai Sanniti. Seconda guerra sannitica (327-304) I Romani colsero l’occasione per rafforzare l’esercito e nel 313 occuparono territori strategici per l’economia pastorale sannitica. Costruirono inoltre la via Appia (312), che permetteva un agile accesso a Capua e alle coste. Nel 304 i Sanniti accettarono una pace che lasciava intatto il territorio originario dei Sanniti, ma che metteva sotto il controllo romano ampie zone della Campania e dell’Apulia settentrionale (all’incirca l’odierna Puglia). Terza guerra sannitica (298-290) I Sanniti ripresero le ostilità nel 298 a.C. (terza guerra sannitica), alleandosi Etruschi, Umbri e Galli. I Romani li sconfissero a Sentino (Umbria): gli alleati abbandonarono lo scontro lasciando soli i Sanniti, sconfitti dai Romani ad Aquilonia (293 a.C.). La pace diede ai Romani molti dei territori dei Sanniti, ma soprattutto costrinse i Sanniti a un’alleanza con i Romani in posizione di netta subordinazione, di fatto una sottomissione vera e propria. Lo scontro con Taranto (282 a.C.) Per dominare la penisola a Roma mancavano la Puglia, la Calabria e l’odierna Basilicata, nelle mani di Taranto, potente città della Magna Grecia. Nel 282 gli aristocratici di Turii, alleata di Taranto, chiesero aiuto ai Romani contro un tentativo di rivolta democratica. I Romani inviarono un presidio a Turii e una piccola flotta a Taranto, città con cui avevano un patto di non belligeranza. Taranto, provocata, distrusse la flotta, creando il casus belli (occasione per lo scontro): ebbe così inizio la guerra contro i Tarantini. L’intervento di Pirro (280-272) Taranto, ricca per i commerci ma con un esercito debole, chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro (regno ellenistico a Nord della Grecia). Pirro accettò, sperando di estendere in Italia la sua egemonia. Nel 280 sconfisse i Romani ad Eraclea, anche grazie all’uso dei potenti elefanti da guerra. Pirro propose una pace ai Romani, che però la rifiutarono coraggiosamente. Il re vinse di nuovo ad Ascoli Satriano, ma in modo meno schiacciante. La vittoria romana (272 a.C.) La vittoria ad Ascoli si rivelò dannosa per lo stesso Pirro (da cui il detto “vittoria di Pirro”), perché i Cartaginesi, preoccupati per l’intromissione di Pirro nel Mediterraneo, si allearono ai Romani. Pirro fu sconfitto a Malevento (275), da allora denominata dai Romani Benevento. Taranto si arrese nel 272: dovette garantire una flotta ai Romani in caso di guerra e conservò una certa autonomia, ma di fatto il Sud della penisola era diventato un dominio romano. L’Italia: una penisola romana Con la sconfitta di Taranto i Romani erano ormai i padroni della penisola italiana. I territori annessi furono sottoposti a diverso trattamento: 1) ager Romanus: territorio coltivabile di proprietà della Repubblica, dato a contadini romani che mantenevano la piena cittadinanza romana (optimo iure). 2) colonie latine: composte da coloni romani, che creavano una città nel territorio conquistato. Rimanevano autonome da Roma, a cui però erano legate da un’eterna alleanza. L’Italia: una penisola romana Nelle colonie latine gli occupanti romani erano autonomi, ma non erano più cittadini romani al 100%: potevano sposarsi e commerciare con i cittadini romani, prendere residenza a Roma, ma non potevano più votare nei comizi. Come si vede, i Romani seppero creare diversi tipi di alleanza a seconda delle circostanze, così da dar vita un solido controllo sulla penisola. L’Italia per i popoli conquistati E i popoli sottomessi? Spesso venivano scacciati per creare ager Romanus o colonie latine, ma di solito venivano assimilati a Roma concedendo loro una sorta di cittadinanza romana, detta sine suffragio (“senza voto”), cioè senza diritti politici. Pieni diritti politici vennero invece mantenuti per alcune città latine da sempre alleate di Roma. Infine altre città potevano semplicemente creare un foedus (alleanza) con Roma: restavano autonome, mantenevano la loro cittadinanza, ma erano costrette a fornire aiuto a Roma in caso di necessità.