I tumori ematologici nell’adolescente e nel giovane adulto:
aspetti epidemiologici, clinici, psicologici ed etico sociali.
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RELAZIONE SU:
“Il vissuto dell’adolescente e del
giovane adulto di fronte alla
malattia neoplastica”
Domenico Arturo Nesci, in collaborazione
con: Viola Rinelli, Francesca Abet,
Rossella Maranò, Elena Palermo, Edith
Mincuzzi, Sandra Campanella
Il vissuto dell’adolescente e del giovane adulto
di fronte alla malattia neoplastica
Ringrazio il Prof. Leone per avermi invitato a portare il contributo della mia équipe psicooncologica ai lavori del Congresso, affidandomi la relazione sui vissuti dell’adolescente e
del giovane adulto di fronte alle malattie oncoematologiche. Prima di esporre l’argomento
ritengo doveroso spiegare le fortunate circostanze che rendono possibile questo mio
intervento, oggi, nell’auditorium dell’Universita’ Cattolica.
Dal 2000 è in atto un protocollo d’intesa tra la nostra Università ed un Istituto internazionale,
The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health
Professionals (I.I.P.R.T.H.P.), che non ha scopi di lucro e si pone l’obiettivo di formare
tutte le categorie degli operatori sanitari al metodo ed alle acquisizioni fondamentali della
Psicoanalisi al fine di promuovere l’umanizzazione delle cure.
I Corsi di Psico-Oncologia
Fin dall’inizio della sua storia l’Istituto ha promosso il respiro internazionale dei
Corsi di Formazione e Perfezionamento in Psico-Oncologia dell’Università
Cattolica, rendendoli esperienziali, clinici, interdisciplinari.
Si è così dato vita ad un’aula che resta unica in Italia ed in cui si incontrano medici,
infermieri, psicologi, e tutti gli altri professionisti della salute, inclusi i volontari ed
alcuni pazienti, da noi chiamati “pazienti/docenti” che si rendono disponibili a
portare la propria esperienza per aiutare gli operatori a comprendere a pieno il
vissuto del malato oncologico.
la Scuola Internazionale di Psicoterapia
nel Setting Istituzionale (S.I.P.S.I.)
I corsi ebbero un grande successo per cui non fu possibile mandare via gli allievi al
termine delle lezioni. Fummo costretti ad inventare altri corsi, anno dopo anno,
rendendo il percorso, di fatto, assimilabile ad una formazione permanente. Di
più. Gli allievi psicologi e medici ci dissero che avevano imparato più cose sulla
psicoterapia psicoanalitica nei nostri corsi che nelle loro scuole di
specializzazione. Nacque così, nel 2002, la Scuola Internazionale di
Psicoterapia nel Setting Istituzionale (S.I.P.S.I.) gestita dall’I.I.P.R.T.H.P.,
riconosciuta dal Ministero con D.M. 12 Febbraio 2002, e convenzionata col
nostro Policlinico Universitario per il tirocinio pratico degli allievi.
La consulenza psico-oncologica
Grazie alla presenza di questi tirocinanti, tutti ex allievi dei nostri Corsi di
perfezionamento in Psico-Oncologia, è stato possibile non limitarsi all’attività di
consulenza psichiatrica nel Reparto di Ematologia diretto dal Prof. Leone ma
offrire un vero e proprio supporto psico-oncologico qualificato ai pazienti, ai
familiari, all’équipe.
Premesso questo, e cioè che il supporto psico-oncologico è un lavoro delicato che
richiede una vocazione ed una professionalità che si costruiscono solo con anni
di formazione specifica, presenterò due vicende cliniche che esemplificano bene
alcuni dei problemi che si incontrano spesso con pazienti adolescenti o giovani
nell’iter diagnostico-terapeutico-riabilitativo delle malattie oncoematologiche.
I vissuti dei giovani pazienti
Qui c’e’ una prima sorpresa. Non presenterò delle vicende cliniche vere, scegliendole tra le
tante seguite da noi in reparto. Per molti motivi; dal rischio di rendere identificabili i nostri
pazienti, a quello di esporre noi stessi ed il nostro coinvolgimento in queste vicende che si
pongono (e ci pongono) al limite tra questioni esistenziali ed etiche estremamente
complesse. Presenterò invece due vicende mitiche, frutto cioè della rielaborazione
cinematografica di storie cliniche reali. In questo modo sentiremo insieme “a pelle” qui e
ora le emozioni (controtransfert) che si provano di fronte a quelle che i giovani pazienti ci
costringono a provare con le loro azioni e le proiezioni massive (transfert) dei loro vissuti. Il
cinema, infatti, distanziandoci dalla dimensione reale, ci protegge e ci facilita, nel prendere
contatto con le nostre emozioni.
Vedremo due storie: quella di un ragazzo di origine indiana-americana, detenuto per attività
criminali, che vuole farsi curare da uno sciamano e non dalla nostra medicina tradizionale, e
quella di una ragazza che ha la passione del ballo e non vuole perdere l’occasione di un
provino importante. Un rifiuto delle cure, in entrambi i casi. Un problema frequente, nei giovani
pazienti, e particolarmente stressante, per l’équipe oncoematologica.
Verso il sole
Nel film Verso il sole di Michael Cimino
(1997) un giovane medico di successo si
confronta con un adolescente criminale
Navajo, malato di una grave forma
oncoematologica. Il medico non riesce a
comunicare subito la diagnosi (fig. 1),
esce dalla stanza per decidere con i
Colleghi, nella stanza accanto, cosa dire
al paziente. Il ragazzo usa un fonendo
per ascoltare, attraverso il muro, cosa si
dicono i medici e riesce così a “rubare” la
sua diagnosi (fig. 2).
La diagnosi “rubata”
Scopre in questo modo che non ha
nessuna speranza di salvarsi,
neppure con le cure più radicali (fig.
3). Il giovane Navajo non ha
esitazioni: decide di evadere
dall’ospedale prendendo come
ostaggio il medico per riuscire nella
fuga (fig. 4). Inizia così un viaggio
disperato in cui il paziente cerca di
trovare uno sciamano che lo curi
nelle sue montagne sacre.
La minaccia del suicidio…
Il medico cerca di convincere in tutti i modi il suo paziente a tornare in ospedale finchè, con
uno stratagemma, ci riesce. Davanti al Pronto Soccorso però il giovane Navajo si punta la
pistola alla gola e minaccia di spararsi se lo ricovererà (fig. 5 e fig. 6).
Il medico entra da solo in Pronto Soccorso e ruba i farmaci
necessari per somministrare al paziente le cure (fig. 7, 8, 9, 10) che
lo aiuteranno a sopravvivere fino alla fine del viaggio, alla
montagna sacra dello sciamano…
Il medico e lo sciamano
La storia finisce con lo stabilirsi di una forte alleanza terapeutica tra medico
e paziente, uniti nell’impresa di raggiungere la montagna sacra dei
Navajos dove avverrà il passaggio del testimone ed il medico
consegnerà il paziente allo sciamano perché questi lo conduca “verso il
sole”, in un percorso che porta all’eternità nel mistero di ciò che ci
aspetta dopo la morte…
La passione per il ballo
Nel film A Time for Dancing (2000) di Peter Gilbert, una ragazza scopre di
essere malata di una malattia oncoematologica mentre è tutta presa
dalla sua passione per il ballo e dal sogno di una brillante vita
professionale come ballerina. Affronta coraggiosamente la diagnosi, la
cura, che comporta la caduta dei capelli per la chemioterapia, e cerca di
recuperare il tempo perduto ritornando subito alla danza. Le si offre una
grande occasione: un provino per entrare in una delle più famose scuole
del mondo. Ma la malattia ritorna: una recidiva.
Il rifiuto delle cure
I medici propongono alla giovane di
riprendere la chemioterapia. La ragazza
rifiuta (fig. 11). Si sente cambiata, non
sente piu’ il suo corpo come prima, i
capelli non sono ancora ricresciuti… Ha
bisogno di riprendere a danzare per
ritrovarsi. Vuole prepararsi per il provino,
cercare di essere ammessa nel tempio
della danza, anche se capisce che non lo
potrà frequentare neppure se lo supera
(fig. 12).
Crisi d’identita’
I genitori si oppongono (fig. 13), ma poi capiscono che per la ragazza continuare a ballare è
troppo importante. E’ in gioco la sua ricerca di un’identità, il suo sentimento di esistere
come persona, la sua autonomia: tutti I fattori che spesso portano gli adolescenti al rifiuto
delle cure (Whyte, Smith, 1997; Evan, Zeltzer, 2006; Abrams e coll., 2007). Così si
arrendono, dolorosamente (fig. 14)…
A Time for Dancing
Arriva il giorno dell’esame e la ragazza lo affronta e lo supera, inseguendo il sogno
della sua vita… qualcosa che per un essere umano può essere molto più“reale”
della vita stessa…
Stress professionale e burnout
Questo tipo di comportamenti adolescenziali mettono a dura prova l’équipe
interdisciplinare dei curanti. I pazienti giovani infatti non hanno solo più problemi
degli anziani (basti pensare alle problematiche legate alla possibile
infertilità/sterilità provocata dalle cure, al blocco delle attività in un momento del
ciclo della vita che si caratterizza invece per la corsa verso degli obiettivi, al
timore di essere emarginati per la vicenda di malattia ed i suoi esiti invalidanti in
un’età in cui la socializzazione è un elemento centrale per il benessere
psicofisico del soggetto) ma li vivono in modo violento, sul piano emotivo, e
quindi angosciando e stressando familiari e curanti.
La prevenzione del burnout
Come prevenire la sindrome del burnout negli operatori sanitari? Come evitare che
questi si “brucino” per l’esposizione continua ai vissuti emotivi incontenibili che
questi pazienti trasferiscono (transfert) sui curanti? Come aiutare i curanti a
riconoscere ed elaborare le emozioni (pathos) che i pazienti (per definizione
coloro che, a causa di una malattia fisica o psichica, provano affetti violenti e
incontenibili) inducono in loro generando emozioni reattive, che chiamiamo
controtransfert?
Nessuno da solo può pensare di essere in grado di contenere queste emozioni,
nessuno deve pensare che la Psico-Oncologia sia qualcosa che si pratica da
soli.
Lavorare in équipe
L’idea dei Corsi in Psico-Oncologia, nati nel 1993, proprio per formare operatori che
potessero aiutarmi nel lavoro con i malati di cancro, l’idea della Scuola di
Specializzazione in Psicoterapia, sempre per migliorare ed approfondire la
formazione del gruppo di allievi che mi aiutava a contenere le emozioni
incontenibili (pathos) dei malati di cancro e dei loro familiari, hanno prodotto le
risorse umane necessarie a svolgere questo difficile lavoro psico-oncologico, per
cui oggi, accanto a me, nel reparto di Ematologia, siamo un gruppo costituito da
psichiatra e psicologi a lavorare insieme. Ma questo non basta. Bisogna
imparare a lavorare in équipe con tutte le altre categorie di operatori sanitari.
Il linguaggio delle emozioni
Per far questo bisogna trovare un punto di incontro ed un linguaggio comune: quello
delle emozioni. Come fare a comunicare ai nostri Colleghi, medici, infermieri,
fisioterapisti, tecnici di radiologia, eccetera, cosa significa riconoscere l’esistenza
di processi mentali inconsci, di una realtà psichica che prescinde da quella
condivisa, dell’esistenza di meccanismi di difesa che influenzano il nostro
comportamento (negazione, rimozione, disconoscimento)? Come far capire e
“sentire” che transfert e controtransfert sono il pane quotidiano di tutti coloro che
si dedicano alla cura dei pazienti, e cioè di persone che avendo un vissuto
emotivo incontenibile devono proiettarlo su qualcun altro?
Il workshop cinema e sogni
Abbiamo inventato così nuovi strumenti per condividere la nostra cultura
psicoanalitica con tutte le categorie degli operatori sanitari. Il workshop
associativo, nel 2000 (Nesci, 2006a), il workshop cinema e sogni, nel 2002
(Nesci e Coll., 2006b). Oggi vi parlerò solo di questo, brevemente.
Da alcuni anni riuniamo un grande gruppo di operatori sanitari, al termine dei Corsi
di Psico-Oncologia e dell’anno accademico della Scuola di Psicoterapia,
nell’aula “Brasca” del Gemelli. Proiettiamo un film sul tema della malattia
oncologica. Poi andiamo tutti a dormire. Il giorno dopo ci ritroviamo in aula per
condividere il racconto dei sogni della notte, stimolati dalla visione del film.
Conclusione
Il gruppo costruisce una catena associativa legando insieme sogni, ricordi di scene
del film e di scene cliniche realmente vissute dagli operatori sanitari. Si sviluppa
una matrice comune che costruisce e rafforza il senso di lavorare insieme, di
essere un’équipe multidisciplinare. E’ anche per questo che ci è sembrato
naturale presentare oggi delle sequenze cinematografiche per comunicare i
vissuti che vengono provati nello scenario in cui i tumori oncoematologici
colpiscono pazienti giovani.
Spero di essere riuscito a comunicare qualcosa del modo in cui l’équipe psicooncologica del reparto di Ematologia si rapporta con I nostri giovani pazienti, e vi
ringrazio per l’attenzione.
Bibliografia
Abrams A.N., Hazen E.P., Penson R.T.: Psychosocial Issues in Adolescents with
Cancer. Cancer Treatment Reviews 33, 622-630, 2007.
Evan E.E., Zeltzer L.K.: “Psychosocial Dimensions of Cancer in Adolescents and Young
Adults”. Cancer 107 (7 Suppl) 1663-71, 2006.
Nesci D.A. L’imago placentare nello studio etnopsicoanalitico delle comunità suicide: il
leader come “filtro” del gruppo. Doppio Sogno, 2, Giugno 2006. www.doppiosogno.it
Nesci D.A., Poliseno T.A., Abet F., Mariani G.: La malattia oncologica nell’immaginario:
alcune riflessioni sui Workshops Cinema e Sogni del 2002. Doppio Sogno, 2, Giugno
2006. www.doppio-sogno.it
Whyte F., Smith L.: “A Literature Review of Adolescence and Cancer”. European
Journal of Cancer Care 6, 137-146, 1997.
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Il vissuto dell`adolescente e del giovane adulto di fronte alla malattia