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Lettera 113
Al nome
di Gesù Cristo crocifisso e di Maria
dolce
Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù.
Io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo,
scrivo a voi nel prezioso sangue suo;
con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta
carità, la quale carità è un vestimento nuziale,
che ricopre ogni nostra nudità, e nasconde le
vergogne nostre, cioè il peccato, il quale germina
vergogna; lo spegne e consuma nel suo calore.
E senza questo vestimento non possiamo entrare
alla vita durabile, alla quale siamo invitati.
Che è carità?
è un amore ineffabile, che l'anima ha tratto dal
suo Creatore, con tutto l'affetto e con tutte le
forze sue.
Dico che l'aveva tratto dal suo Creatore: e così è
la verità.
Ma come si trae?
coll'amore: perché l'amore non s'acquista se non
coll'amore e dall'amore.
Ma tu mi dirai, carissima figliuola:
«Che modo mi conviene avere a trovare e
acquistare questo amore»?
Ti rispondo, per questo modo.
Ogni amore s'acquista col lume:
perché la cosa che non si vede, non si conosce;
onde non conoscendosi, non s'ama.
Si conviene dunque avere il lume, acciò che tu
veda e conosca quello che tu debba amare.
E perché il lume c'era necessario,
provvede Dio alla nostra necessità, dandoci il lume
dell'intelletto,
che è la più nobile parte dell'anima, colla pupilla, che
vi è dentro, della santissima fede.
E ti dico che, poniamoché la persona offenda il suo
Creatore,
non passa però né vive senza amore, né senza il
lume.
Perché l'anima,
ch'è fatta d'amore e creata per amore
all’immagine e similitudine di Dio,
non può vivere senza amore;
né amerebbe senza il lume.
Onde se vuole amare, si conviene che veda.
Ma sai che vedere è, e che amare è quello degli
uomini del mondo?
È un vedere tenebroso e oscuro; e per la oscura
notte non si discerne la verità:
ed è un amore mortale, però che dà morte
nell'anima, togliendole la vita della Grazia.
Ma perché è oscuro questo vedere?
Perché s'è posto nell’oscurità delle cose transitorie
del mondo, avendosele poste dinanzi a sé, fuori
di Dio;
cioè che non le ragguarda nella sua bontà, ma solo
le ragguarda per diletto sensitivo;
il quale diletto e amore sensitivo mosse l’intelletto
a vedere e conoscere cose sensitive.
Onde quest'affetto che si nutre col lume
dell'intelletto,
poniamo prima che l'affetto lo movesse, come detto
è, le dà morte,
commettendo la colpa, e le toglie la vita della Grazia;
perché nessuna cosa si può amare né vedere, fuori
di Dio, che non ci dia morte;
e però quello che s'ama, si deve amare in lui e per
lui, cioè riconoscere sé e ogni cosa dalla sua
bontà.
Sicché vedi, che questi ama e vede;
perché senza amare e senza vedere non si può
vivere.
Ma è differente l'amore degli uomini del mondo, il
quale dà morte,
dall'amore del servo di Dio, che dà vita:
perché l'amore che s'acquista dal sommo ed
eterno Amore, dà vita di Grazia.
Poi dunque, è l’occhio che ha il lume dell’intelletto,
lo deve aprire col lume della santissima fede, e
porsi per obietto l'amore inestimabile che Dio ci
ha mostrato.
Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare
che non ami quello che l’intelletto vide e
conobbe in verità.
O carissima figliuola,
e non vedi tu che noi siamo un arbore d'amore,
perché siamo fatti per amore?
Ed è sì ben fatto questo arbore, che non è alcuno
che possa impedire che non cresca,
non togliergli il frutto suo, se egli non vuole.
E gli ha dato Dio a questo arbore un lavoratore che
l'abbia a lavorare, però che gli piace;
e questo lavoratore è il libero arbitrio.
E se questo lavoratore l'anima non l'avesse, non
sarebbe libera;
non essendo libera, avrebbe scusa del peccato: la
quale non può avere;
perché nessuno è, né il mondo né il dimonio né la
fragile carne, che costringerla possa a colpa alcuna,
se ella non vuole.
Perché questo arbore ha in sé la ragione, se il libero
arbitrio la vuole usare;
e ha l'occhio dell’intelletto, che conosce e vede la
verità, se la nebbia dell'amor proprio non
gliel'offusca.
E con questo lume vede dove debba esser piantato
l'arbore:
perché, se non lo vedesse e non avesse questa dolce
potenza dell'intelletto, il lavoratore avrebbe scusa, e
potrebbe dire:
«Io ero libero; ma io non vedevo in che io potevo
piantare l'arbore mio, o in alto o in basso».
Ma questo non può dire;
però che ha l’intelletto che vede, e la ragione, la
quale è un legame di ragionevole amore,
con che può legarlo e innestarlo nell'arbore della vita
Cristo dolce Gesù.
Deve dunque piantare l'arbore suo, poi che l'occhio
dell'intelletto ha veduto il luogo,
e in che terra egli debba stare a voler produrre frutto
di vita.
Carissima figliuola,
se il lavoratore del libero arbitrio allora lo pianta là
dove debba essere piantato,
cioè nella terra della vera umiltà (perché non lo
deve porre in sul monte della superbia, ma nella
valle dell’umiltà);
allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente
produrrà quel sommo fiore della gloria e lode al
nome di Dio:
e tutte le sue operazioni e virtù, le quali sono dolci
fiori e frutti, riceveranno odore da questo.
Questo è quel fiore, carissima figliuola, che fa fiorire
le virtù vostre:
il quale fiore Dio vuole per sé, e il frutto vuole che sia
nostro.
Di questo arbore egli vuole solamente questi fiori
della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e lode al
nome suo;
e il frutto dà a noi, però ch'egli non ha bisogno di
nostri frutti, perché a lui non manca alcuna cosa.
Perché egli è colui che è:
ma noi che siamo coloro che non siamo, n'abbiamo
bisogno.
Noi non siamo per noi, ma per lui; però ch'egli ci ha
dato l'essere, e ogni grazia che abbiamo sopra
l'essere. Che a lui utilità non possiamo fare.
E perché la somma ed eterna Bontà vede che
l'uomo non vive dei fiori, ma solo del frutto (perché
del fiore morremmo, e del frutto viviamo); però
toglie il fiore per sé, e il frutto dà a noi.
E se la ignorante creatura si volesse nutrire di fiori,
cioè, che la gloria e la lode, che deve essere di
Dio, la desse a sé;
sì gli toglie la vita della Grazia, e gli dà la morte
eterna, se egli muore che non si corregga, cioè che
tolga il frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a
Dio.
E poi che l'arbore nostro è piantato così dolcemente;
egli cresce per sì fatto modo, che la cima
dell'arbore, cioè l'affetto dell'anima, non si vede da
creatura dove sia unito coll'infinito Dio per affetto
d'amore.
O figliuola carissima,
io ti voglio dire in che campo sta questa
terra, acciò che tu non errassi.
La terra è la vera umiltà, come detto è;
e il luogo, dov'ella è, è il giardino chiuso del
conoscimento di sé.
Dico che è chiuso,
perché l'anima che sta nella cella del conoscimento
di sé medesima, ella è chiusa, e non è aperta,
cioè che non si diletta nelle delizie del mondo, e non
cerca le ricchezze, ma povertà volontaria;
e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende
in piacere alle creature, ma solo al Creatore.
E quando il dimonio
le desse laide e diverse cogitazioni con molte
fatiche di mente e disordinati timori,
allora ella non s'apre, ponendoseli a investigare, né
a voler sapere perché vengano, né a stare a
contendere con loro;
e non spande il cuore suo per confusione né per
tedio di mente; né abbandona gli esercizi suoi.
Anco si serra e si chiude colla compagnia della
speranza e col lume della santissima fede,
e coll'odio e dispiacimento della propria sensualità,
reputandosi indegna della pace e quiete della
mente;
e per vera umiltà si reputa degna della guerra, e
indegna del frutto,
cioè che si reputa degna della pena che le pare
ricevere nel tempo delle grandi battaglie.
E si pone sempre per obietto
Cristo crocifisso,
dilettandosi di stare in Croce con lui:
e col pensiero caccia il pensiero.
Or questo è il dolce luogo
dove sta la terra della vera umiltà.
Poiché la cima,
cioè l'affetto dell'anima che va dietro all'intelletto,
come detto è,
ha conosciuto l'obietto di Cristo crocifisso,
l'abisso del fuoco della sua carità,
il quale conobbe in questo Verbo (perché per
questo mezzo ci è manifestato l'amore che Dio
ci ha);
e questo Verbo conobbe nel conoscimento di sé,
quando conobbe sé creatura ragionevole creata
all’immagine e similitudine di Dio,
e ricreata nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo;
allora l'affetto sta unito coll'affetto di Cristo crocifisso;
e coll'amore trae a sé l'amore;
cioè coll'amore ordinato, che leva sopra il sentimento
sensitivo, trae a sé l'amore affocato di Cristo
crocifisso.
Perché il cuore nostro, quando è innamorato
d'amore divino, fa come la spugna, che trae a sé
l'acqua.
Perché la spugna se non fosse messa nell'acqua,
non la trarrebbe a sé,
non ostante che la spugna sia disposta dalla parte
sua.
E così ti dico che se la disposizione del cuore
nostro, il quale è disposto e atto ad amare,
se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio
non lo leva e congiunge nel fuoco della divina
carità,
non s'empie mai della grazia di Dio:
ma se s'unisce, sempre s'empie.
E però ti dissi che dall'amore e coll'amore si trae
l'amore.
Poi che il vasello del cuore è pieno, egli innacqua
l'arbore coll'acqua della divina carità del
prossimo;
la quale è una rugiada e una pioggia che innacqua
la pianta dell'arbore e la terra della vera umiltà,
e ingrassa essa terra e il giardino del conoscimento
di sé;
però che allora è condito col condimento del
conoscimento della bontà di Dio in sé.
Tu sai bene che se l'arbore non è bene innaffiato della
rugiada e della pioggia, ed è riscaldato dal caldo del
sole, non produrrebbe il frutto,
onde non sarebbe perfetto, ma imperfetto.
Così l'anima, la quale è un arbore come detto è,
perché fosse piantato, e non innaffiato colla pioggia
della carità del prossimo e colla rugiada del
conoscimento di sé, e scaldato del sole della divina
Carità;
non darebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe
maturo.
Poi che l'albero è cresciuto;
e egli distende i rami suoi, porgendo del frutto al
prossimo suo, cioè frutto di santissime e umili e
continue orazioni, dandogli esempio di santa e
buona vita.
E anco li distende, quando può, sovvenendolo della
sostanza temporale con largo e liberale cuore,
schietto e non finto cioè che mostri una cosa in atto,
e non sia in fatto;
ma schiettamente e con affettuosa carità lo serve di
qualunque servizio egli può, e che vede egli abbia
bisogno, giusta il suo potere.
La Carità non cerca le cose sue, e non cerca sé per
sé, ma sé per Dio,
per rendere i fiori della gloria, e lode al nome suo;
e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio,
in quanto è degno d'essere amato da noi per la bontà
sua;
e non ama né cerca, né serve il prossimo suo per sé,
ma solo per Dio, per rendergli quel debito il quale a
Dio non può rendere, cioè di fare utilità a Dio.
Perché già io ti dissi che utilità a Dio non possiamo
fare:
e però la fa Dio fare al prossimo suo;
il quale è un mezzo, che c'è posto da Dio per
provare la virtù,
e per mostrare l'amore che abbiamo al dolce ed
eterno Dio.
Questa Carità gusta vita eterna, consuma e ha
consumato tutte le nostre iniquità;
e ci dà lume perfetto, con pazienza vera, e ci fa forti e
perseveranti in tanto che mai non volgiamo il capo
a dietro a mirare l'arato;
ma perseveriamo fino alla morte, dilettandoci di stare
in sul campo della battaglia per Cristo crocifisso;
ponendoci il sangue suo dinanzi, acciò che ci faccia
inanimare alla battaglia come veri cavalieri.
Adunque, poi che c'è tanto utile e necessaria, e sì
dilettevole questa carità,
ché senz'essa stiamo in continua amaritudine, e
riceviamo la morte, e sono scoperte le nostre
vergogne,
e nell'ultimo dì del giudizio siamo svergognati da tutto
l'universo mondo,
e dinanzi alla natura angelica e a tutti i cittadini della
vita durabile, dove è vita senza morte, e luce senza
tenebre, dove è la perfetta e comune carità,
partecipando e gustando il bene l'uno dell'altro per
affetto d'amore;
è da abbracciarla, questa dolce regina e
vestimento nuziale della carità,
e con ansietato e dolce desiderio disporsi alla
morte per poter acquistare questa regina;
e poiché l'abbiamo, voler sostenere ogni pena
da qualunque lato elle ci vengano,
fino alla morte, per poterla conservare e
crescere nel giardino dell'anima nostra.
Altro modo né altra via non ci vedo.
E però ti dissi che io desideravo di vederti fondata
in vera e perfetta carità.
Ti prego, per l'amore di Cristo crocifisso,
che ti studi quanto tu puoi, di fare questo
fondamento;
e non ti bisognerà di temere di questo timore servile;
né di avere paura dei venti contrari delle molestie del
dimonio e delle creature,
le quali sono tutti venti contrari che vogliono impedire
la nostra salute.
Ma perché,
l'arbore posto nella valle
non potrà essere offeso dai venti,
sia umile e mansueta di cuore.
Altro non ti dico.
Permani nella santa e dolce
dilezione di Dio.
Gesù dolce
Gesù amore
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Con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta