Sant’Agostino e la scoperta della
libertà
Il «De libero arbitrio»
Collocazione del saggio
• Il De libero arbitrio è un dialogo composto a
Roma tra l’inverno e la primavera del 388,
quando Agostino soggiorna nella città eterna,
dopo il suo battesimo a Milano nel 387, prima di
ritornare in Africa. Si tratta quindi di una delle
prime opere compilate dopo la conversione, in
cui un Agostino entusiasta affronta con gli
strumenti della filosofia platonica - non a caso la
forma dello scritto è il dialogo - il problema
teologico e filosofico dell’origine del male e della
libertà umana.
Chi è l’autore del male?
• Nel primo libro la domanda di partenza è l’origine del
male e se l’origine del male possa essere attribuita a
Dio in quanto origine di tutta la realtà.
• Intanto Agostino premette una explicatio terminorum
sul male:
C’è un male che si agisce, e questo non si può attribuire
a Dio.
C’è un male che si subisce come punizione giusta per gli
errori commessi, e questo è attribuibile a Dio.
Il male che si agisce, la sua origine e la
volontà
• Ma ciò che importa e fa problema è il male
che si agisce. Esso è imputabile al suo autore
solo se egli è un autore VOLONTARIO.
• Ora bisogna innanzitutto capire, cercando
l’origine del male volontario, da chi ha
imparato a peccare colui che pecca
consapevolmente.
Il male si insegna?
• Evidentemente bisognerà che chi pecca abbia
imparato a peccare, ma, dice Agostino, il male
non può essere oggetto di insegnamento. Infatti,
con ottimismo tipicamente greco, egli sostiene
che l’insegnamento è sempre di un bene,
altrimenti non è un insegnamento. I mali
eventualmente si imparano solo per evitarli. Per il
resto il male non è mai un insegnamento, ma
l’allontanamento da un insegnamento.
Perché l’insegnamento è sempre un
bene?
• Ecco il sillogismo agostiniano:
L’intelligenza è un bene.
Si impara con l’intelligenza.
Dunque non si può imparare un male attraverso un bene
(l’intelligenza).
Infatti effetto di un bene è sempre un bene e l’intelligenza
è un bene, dunque il suo esito, l’imparare è sempre un
bene. Se l’imparare è un bene, il suo correlato, cioè
l’insegnare, è sempre un bene.
Quindi non vi è un cattivo insegnante: se è cattivo non è
insegnante, se è insegnante, non è cattivo.
Problema
• Da questo ragionamento sorge un problema: se l’agire male non
proviene dall’averlo imparato, da dove proviene?
• Bisogna escludere anzitutto che provenga da Dio e questo è un
atto di fede. Bisogna tenere ferme alcune verità di fede, poiché
esse costituiscono un orientamento necessario per la ragione.
Agostino in questo caso cita Isaia: «Se non avrete creduto, non
comprenderete». Credere è condizione necessaria, diciamo che
sia lo stimolo necessario e ineludibile per comprendere, cioè per
esercitare correttamente la ragione. Siffatto motivo rappresenta
una costante metodologica del pensiero agostiniano.
La domanda sull’essenza del male
• Per capire da dove proviene, è necessario
intendere quale sia l’essenza del male.
Agostino in questo caso procede particulatim,
cioè per esempi, al fine di trarne una dottrina
quanto più possibile calata nella realtà.
Ebbene, egli si domanda perché gli omicidi, i
sacrilegi, gli adulteri sono male? In particolare
la sua analisi si sofferma sull’adulterio.
Motivi per i quali un’azione può
essere considerata «male»
• L’esame di Agostino, in relazione
all’adulterio, si sofferma su tre motivi
fondamentali per il ripudio di una
simile azione, ma in realtà li esclude
uno dopo l’altro.
La legge
• L’adulterio è male perché è punito dalla legge.
Così facendo ci si rifugia nell’autorità della
legge, mentre si è detto che qui è necessario
comprendere. Ossia ogni atto, pur sostenuto
dall’autorità, va corroborato dalla ragione,
altrimenti vengono meno i motivi stessi
dell’analisi.
Non fare agli altri ciò che non
vorresti sia fatto a te
• L’adulterio è male perché noi stessi non
vorremmo subirli. Ma, dice Agostino, vi
possono essere adulteri consensuali e
reciproci. Così la trasgressione della regola del
non fare agli altri ciò che non vorresti subire
appare solo come condizione necessaria, ma
non sufficiente alla definizione di un’azione
come maligna.
La condanna
• Molti uomini sono stati condannati per questa
colpa, dunque l’adulterio è male. Ma ancora
l’essere condannati non appare perspicuo,
infatti, questo motivo viene subito escluso dal
vescovo d’Ippona, facendo riferimento ai
numerosi martiri cristiani, condannati durante
le persecuzioni senza essersi macchiati di
alcuna colpa.
La passione
• Dopo aver escluso i primi tre motivi, Agostino
finalmente individua la categoria decisiva per
stabilire la malvagità di un atto: la passione.
• La passione è la causa dei mali, sia che la
intendiamo come desiderio positivo di
qualcosa, sia come desiderio negativo (cioè
timore).
L’esempio
• L’esempio che Agostino utilizza per illustrare e
approfondire l’assunto che la passione è la
radice del male verte sull’episodio di uno
schiavo che uccide il padrone perché teme da
lui un’eccessiva oppressione. In questo caso lo
schiavo agire per timore di un male
imminente, il che equivale per il desiderio
negativo di vivere senza tale timore
Omicidi puniti dalla legge civile
• Perché la legge punisce questo atto come un
omicidio, pur apparendo del tutto giustificato?
E lo punisce pure con la morte?
• Agostino dice che taluni omicidi commessi in
punizione di altri reati non sono a loro volta
punti dalla legge civile e quindi sono permessi.
Questa appare semplicemente una presa d’atto
descrittiva.
Che cosa le legge non punisce?
• La legge non punisce:
-il giudice che fa uccidere il malfattore
-la donna che uccide il suo stupratore
-il soldato che uccide il nemico
-il viaggiatore che uccide il brigante
E infine colui che fa uccidere lo schiavo che a sua
volta ha ucciso il padrone per timore delle sue
sevizie.
La passione dello schiavo
• Ora bisogna chiedersi per quale motivo lo schiavo è stato
indotto a commettere l’omicidio che lo porterà a subire la
morte come punizione. Lo schiavo, dice Agostino, ha fatto ciò
per poter vivere senza timore. Così egli desidera soddisfare
una propria passione. Quest’ultima è definita come l’amore di
quelle cose che ciascuno può perdere contro il proprio volere
(nel caso dello schiavo la serenità e la vita stessa). Tra gli
oggetti della passione il filosofo individua la vita, la libertà,
l’onore.
QUESTO E’ IL DESIDERIO COLPEVOLE DELLO SCHIAVO
Come giudicare la prassi legale?
• La prassi legale appare giusta perché quando essa
consente l’uccisione di qualcuno lo fa perché non
accadano misfatti maggiori. La legge civile infatti
non punisce tutti i misfatti, ma agisce nella logica
del MALE MINORE.
• Tuttavia nei casi citati la legge civile non obbliga
ad uccidere ma lo consente. Diremmo in termini
moderni che si tratta di una lex permissiva.
Legge divina
• Chi uccide però, eccetto che nel caso del
giudice che condanna a morte, commette
egualmente peccato. Infatti, benché
consentita dalla legge civile nella logica del
male minore, l’azione è proibita dalla legge
divina che invece ha in vista il bene maggiore.
• Quindi la legge civile permette alcune azioni
che la legge divina punisce.
Legge divina e legge civile
• La legge civile è temporale e mutevole ed è emanata da un
popolo retto che si autogoverna.
• La legge divina è eterna e immutabile e si colloca ad un livello
gerarchico superiore. Infatti consente anche di togliere il
potere a quel popolo che abbandona la rettitudine. Se in base
a tale legge vi è chi spodesta un potere popolare ingiusto,
costui agisce con giustizia.
• Insomma, dal ragionamento agostiniano si evince che è la
stessa legge divina ad istituire la gerarchia, avocando a sé il
potere di giudicare le leggi civili dei popoli. Ciò in base
all’assunto che tutto ciò che vi è di giusto nella legge civile è
tratto DALLA LEGGE DIVINA.
Ordine
• La legge eterna e immutabile di Dio è quella
secondo la quale è giusto ciò che è ordinatissimo. Il
tema dell’ordine è qui strettamente legato a quello
della giustizia. Il presupposto può ritrovarsi
nell’idea per cui se la giustizia dà a ciascuno il suo,
evidentemente colloca ciascuno nella posizione e
nel ruolo che gli spetta. Ordine qui è la giusta
collocazione degli enti in una relazione fra loro in
cui ogni ente è riconosciuto per quello che è in
rapporto con gli altri enti.
L’ordine antropologicamente inteso
Il tema dell’ordine viene poi sviluppato dal
nostro filosofo in relazione al singolo e alle sue
facoltà o capacità.
Evidentemente l’intento è quello di fornire una
descrizione dell’uomo giusto secondo la
prospettiva voluta da Dio.
Il dominio umano sugli animali
Per stabilire quale sia l’ordine delle interiori facoltà
umane, Agostino utilizza un esempio tratto,
paradossalmente, dai rapporti esterni dell’uomo
con gli altri esseri viventi. Qui, ammesso che i
viventi siano esseri superiori alle singole cose inerti,
si riflette sul dominio che l’uomo, pur essendo
mediocremente dotato dal punto di vista fisico,
esercita su di loro. Che cosa permette all’uomo di
esercitare tale dominio?
La ragione
• Indubbiamente è il possesso della ragione che
consente all’uomo di dominare sui viventi e in
particolare sugli animali. Quindi ciò che rende
superiori gli uomini non è un dato fisico, ma è un
dato razionale-spirituale. Quanto detto permette di
dedurre che la ragione che domina fisici ben
superiore a quelli umani, quali sono i corpi degli
animali molto più dotati dell’uomo di forza, velocità,
aggressività, resistenza etc., a maggior ragione deve
dominare il corpo umano.
Superiorità umana e superiorità
della ragione
• Dunque se la superiorità umana è data dalla
ragione, e se l’uomo nel creato è, in virtù della
ragione situato al suo vertice, e infine se la
ragione deve consentire il dominio dell’uomo
sul suo stesso corpo, evidentemente una vita
superiore sarà una vita condotta dalla ragione.
L’uomo ordinatissimo
• L’uomo ordinatissimo è quello in cui questa
gerarchia di valore e di dominio è rispettata.
Se ciò per cui l’uomo comanda sugli animali,
comanda anche sulle altre parti di cui l’uomo
è composto allora, appunto, l’uomo è
ordinatissimo.
Lo spettro del dominio razionale
• La ragione domina su tutte le altre parti dell’uomo.
Cioè sulle sue facoltà
• vegetative, sensitive e volitive; sulle sua capacità di
ridere e giocare (elementi propri dell’uomo, ma di
livello inferiore) e sull’amore che egli può orientare
verso l’onore e la gloria.
• In sostanza l’ordine nell’uomo si esprime come un
dominio razionale di tutti i moti irrazionali.
Il regno della sapienza
• Siccome colui nel quale la ragione domina è
chiamato sapiente e colui nel quale la ragione
non domina è chiamato stolto, la sapienza è lo
spirito, la ragione che regna. Nell’uomo
ordinato regna la sapienza.
La sapienza che NON regna
• Lo spirito che, in una situazione ordinata deve
regnare, può tuttavia anche non regnare. E’
questo il caso degli uomini che chiamiamo
“stolti” o dei peccatori.
• A causa di che cosa lo spirito può non
regnare? Qui si presentano due possibilità
• O a causa del corpo stesso o a causa di
qualcosa di superiore.
Chi trascina l’anima nel vizio?
• Ma può il corpo, che per natura è inferiore, trascinare l’anima
nel vizio? Può il vizio, che per natura è inferiore, macchiare e
trascinare con sé la virtù? No, non si dà questo caso.
• Quindi solo qualcosa di superiore, una forza irresistibile
potrebbe trascinare l’anima al vizio. Ma in natura non vi è tale
forza irresistibile. Superiore all’anima infatti può essere
considerato solo un essere assoluto come Dio.
• Ma Dio non trascina l’anima nel vizio: è assolutamente empio
pensare una cosa del genere, completamente contraria alla
corretta idea che noi dobbiamo avere di Dio.
La terza possibilità
• Non il corpo, non Dio, ma l’anima è la sola a
poter trascinare se stessa nel vizio. Nell’anima
abbiamo infatti una LIBERA VOLONTA’ che fa
in modo che essa possa autonomamente
decidere di rifiutare la sapienza, anche se tale
rifiuto la rende peggiore e afflitta da ogni
sorta di timore, angoscia e disperazione.
Il sapiente che rinuncia alla sapienza
• Così lo spirito che è per natura chiamato alla sapienza, può
volontariamente rinunciarvi. Ma questo allontanamento dalla
sua natura genera la giusta pena dell’angoscia e della
disperazione. Tuttavia, dice Agostino, a partire dalla
constatazione che non tutti gli uomini mostrano di essere
sapienti, anche chi sapiente non è mai stato sarà punito
giustamente? Tale questione introduce al problema di
tradizione schiettamente platonica, della pre-esistenza
dell’anima e della sua contemplazione della verità nella vita
anteriore alla sua “caduta” nel corpo. Evidentemente una
siffatta contemplazione ci renderebbe tutti più o meno
sapienti…
• Agostino per ora lo lascia in sospeso, dedicandosi all’analisi
della volontà.
La volontà buona
• Noi tutti abbiamo una volontà e possiamo in
noi apprezzane la bontà quando desideriamo
vivere rettamente e onestamente e giungere
alla somma sapienza. Così tale volontà buona
ci appare qualcosa di fronte alla quale sono
“vili” tutti gli altri beni esteriori.
Da che cosa dipende il possesso della
volontà buona?
• Il possesso della volontà buona non dipende da
nient’altro che dalla volontà. “Che cosa infatti è così
presente alla volontà, quanto la volontà stessa?”
(1,26). Per avere la volontà buona occorre solo
volerla. Quindi, per risolvere il problema di coloro
che sono stolti, cioè che sapienti non sono mai stati,
Agostino dice che essi, pur non essendolo mai stati,
potrebbero diventarlo se lo volessero. E questo li
rende responsabili e punibili per non possedere la
sapienza.
Implicazioni del possesso della volontà
buona: le virtù cardinali
• Chi ha una volontà buona è
-prudente: sa che cosa si deve desiderare e che cosa
no;
-forte: disprezza tutto ciò che si può perdere contro la
volontà e i danni che ne possono derivare dalla loro
mancanza;
-temperante: reprime il desiderio di ciò che è
vergognoso desiderare;
-giusto: non può volere il male di nessuno e quindi dà a
ciascuno il suo.
Amare la propria buona volontà
• La buona volontà è degna di lode come lo è colui che ama la
propria buona volontà e per questo è reso beato.
• Ma in che cosa consiste l’amore della propria buona volontà?
• A sua voltà nella BUONA VOLONTA’.
Sembra che qui Agostino voglia sottolineare l’intrinseca
autogeneratività della volontà. La volontà genera se stessa e la
sua rettitudine.
Da essa deriva il fatto che sempre volontariamente siamo
sapienti e dunque beati, mentre altrettanto volontariamente
siamo stolti e conduciamo una vita misera.
Chi vuole condurre una vita misera?
• Il problema è che se volontariamente siamo
stolti e quindi conduciamo una vita misera,
non vi è nessuno che, interrogato, risponda
che vuole condurre una vita misera. Ma chi
conduce una vita misera, in realtà vuole una
vita beata senza amare la rettitudine che di
tale vita beata è il presupposto irrinunciabile.
La volontà buona vuole i fini e i mezzi
• Solo il volere che vuole la beatitudine, volendo
anche il mezzo per raggiungerla, cioè la
rettitudine, è il volere giusto, il cui fine si può
ottenere facilmente, solo a patto di volerlo.
Chi vuole la beatitudine, ma non la
rettitudine, vuole contraddittoriamente e
questo lo conduce al fallimento.
Che cosa vogliono la volontà buona e
cattiva?
• La volontà buona vuole i beni eterni, quindi è sottoposta solo
alla legge eterna.
• La volontà cattiva vuole i beni temporali, dunque è sottoposta
sia alla legge temporale, sia alla legge eterna.
• La legge temporale comanda e punisce gli animi dei miseri
che, rivolti ai beni temporali, li tolgono agli altri con malvagità.
• La legge eterna comanda di distogliere il proprio sguardo dai
beni temporali e di rivolgersi a quelli eterni.
Se è così, il rispetto della legge temporale – oggi diremmo
legalità – non preserva dalla miseria dell’animo, poiché tale
legge regola un ambito in cui tale miseria rimane di casa e non
è esclusa a priori.
Il misero e il beato
• Il misero e il beato si distinguono per usare
rispettivamente male e bene delle stesse cose.
• Il misero usa male cioè, ama i beni temporali e se ne
rende schiavo, credendo erroneamente che tali beni
di per sé lo rendano buono.
• Il beato usa bene cioè si mantiene integro al di sopra
delle cose sapendo che esse non lo rendono buono,
ma che è lui a renderle tali.
Agire male
• Dunque i mali agiti, di cui il primo libro ha
cominciato a trattare, sono quei mali per i
quali si trascurano le realtà eterne. Ciò è
possibile in forza del libero arbitrio della
nostra volontà, al quale dobbiamo il nostro
potere di peccare.
La chiusura problematica del primo
libro
• Così si chiude il primo libro della nostra opera,
non senza per che venga posta un’ulteriore
domanda, sulla risposta alla quale si
concentreranno gli sforzi di Agostino (ed
Evodio) nel libro II. La questione è la seguente:
se noi pecchiamo in forza del nostro libero
arbitrio, e se il libero arbitrio ci è stato dato da
Dio, ciò significa che in ultimo Dio è
responsabile del fatto che pecchiamo?
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