Approccio post-razionalista al disturbo ossessivo-compulsivo: verso nuovi sviluppi D.ssa PENSAVALLI Michela Psicologa – Psicoterapeuta Coordinatore didattico S.C.Int. Scuola di Specializzazione di Roma Professore invitato presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Il DOC Il disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) è un quadro le cui manifestazioni principali sono costituite da “ossessioni” e da “compulsioni”. Attualmente, il più diffuso modello esplicativo della psicopatologia del DOC si rifà, più o meno direttamente, alla cosidetta “terapia cognitiva” standard: alla base dei diversi disturbi emozionali, vi sarebbero una o più “distorsioni cognitive” capaci di generare delle vere e proprie “convinzioni irrazionali” (irrational beliefs) . Si verifica ad esempio con convinzioni irrealistiche circa la propria capacità di influenzare gli eventi esterni (“avere certi pensieri può condurre a eventi catastrofici”) oppure con una sopravvalutazione circa la propria responsabilità (inflated responsibility) (“pensare di fare qualcosa equivale a farlo” oppure “non prevenire qualcosa equivale ad averlo causato”). La terapia cognitiva standard si propone: di correggere le presunte distorsioni alla base del disturbo (es. con un paziente ossessionato dalla paura di poter danneggiare gli altri, l’intervento terapeutico potrebbe consistere nel condurre il soggetto, tramite una serie di ragionamenti, a una valutazione più realistica del rischio tanto temuto). WARNING: Una terapia che mira a modificare soprattutto il livello esplicito del vissuto presenta un limite: egli continuerà comunque a sentirsi una persona che ospita dentro di sé istanze negative e pericolose. Per la cosidetta terapia cognitiva “post-razionalista”: alla base del DOC non vi sarebbe tanto qualche distorsione quanto piuttosto una particolare rigidità di una caratteristica configurazione personologica ravvisabile anche nei soggetti normali. Una particolare visione di sé e del mondo che, in se stessa, non è né giusta né sbagliata. In altre parole il DOC e’ un problema clinico che sorge generalmente solo nel caso questa modalità sia particolarmente rigida. L’organizzazione di significato personale “ossessiva”: la visione classica ORGANIZZAZIONE DI SIGINIFICATO PERSONALE Configurazioni personologiche ravvisabili in tutti gli esseri umani, quindi anche in persone che mai nel corso della propria vita svilupperanno una patologia La differenza tra soggetti normali e soggetti sintomatici: nei primi le modalità di elaborazione della propria esperienza si declinano in modo articolato, flessibile e generativo, nei secondi si declinano in modo più povero, rigido e ripetitivo. L’OSP “Ossessiva” (così come altre forme di OSP) prenderebbe forma in stretto rapporto con il pattern d’attaccamento che un soggetto sviluppa con le figure di riferimento. Lo stile di accudimento mostrato da almeno una delle figure genitoriali evidenzia: l’attitudine prevalentemente pedagogica (con una larga prevalenza delle spiegazioni e della comunicazione verbale sull’espansività e sull’immediatezza affettiva) l’atteggiamento estremamente esigente sul piano dei comportamenti (con la richiesta di un senso di responsabilità sproporzionato per l’età del figlio) l’enfasi sul sacrificio (con un apprezzamento più dello “sforzo” che del “risultato”) la connotazione in termini negativi delle esperienze emotive e della spontaneità (Guidano, 1987). Attitudine genitoriale “ossessiva”: l’esistenza di una sorta di “doppia facciata” per cui atteggiamenti in realtà ostili e rifiutanti sarebbero camuffati da una facciata di assoluta dedizione. (Guidano, 1991) Uno degli aspetti salienti di questa Organizzazione risiede nel fatto che già l’esperienza immediata del soggetto appaia caratterizzata dalla presenza di emozioni “antitetiche” e inconciliabili. Modalità del “tutto o nulla” Aspetto considerato centrale da Guidano nell’OSP “Ossessiva” Un soggetto con questa personalità finisce con il selezionare un’immagine di sé o completamente “positiva” o completamente “negativa”, senza gradazioni intermedie. Alcune integrazioni alla visione classica Circa la presunta natura di “inconciliabilità” di alcune emozioni che caratterizzano l’esperienza immediata in un OSP “Ossessiva”: l’osservazione clinica mostra che generalmente non si tratta di emozioni davvero intrinsecamente antitetiche o contraddittorie, quanto piuttosto che sono avvertite come tali dal soggetto come risultato di una difficoltà da parte di quest’ultimo a comporre in un quadro unitario aspetti variegati del proprio vissuto. Le diverse emozioni esperite dal soggetto non sono di per sé incompatibili ma è piuttosto quest’ultimo a interpretarle come tali. Ad es. nell’atteggiamento a “doppia facciata” di un genitore “ossessivo” bisogna considerare che il genitore di riferimento di un bambino che sta strutturando un’OSP “Ossessiva”, avendo generalmente anche egli (o ella) un’OSP “Ossessiva”, si troverà molto spesso a sperimentare un vero e proprio turbamento di fronte a certe proprie esperienze emotive. Es. una madre con OSP “Ossessiva” che avvertisse, nell’abbraccaire il figlio, un senso di piacere, potrebbe venire il dubbio di star facendolo solo per sé. E’ come se avvertire un “vantaggio personale” fosse incompatibile con il “vantaggio altrui”. Per un genitore “ossessivo” il proprio comportamento dovrebbe essere sempre non “contaminato” da emozioni che possano riflettere un “vantaggio personale”, dato che ai suoi occhi vantaggio personale e vantaggio altrui sono sentiti come incompatibili (anche quando in realtà non lo sono). Morale Kantiana (Kant, 1785) Un’azione è buona solo se ispirata dal senso del dovere e non anche da altre motivazioni. ‘Far elemosina a un bisognoso dietro la spinta anche di un sentimento di compassione o di empatia, anziché solo per puro senso del dovere, non sarebbe per Kant un atto veramente morale’.(Mannino G., 2014) Un padre con OSP “Ossessiva” potrebbe non sentirsi un “buon genitore” nel caso si lasciasse influenzare dalla tenerezza anziché attenersi a certi principi educativi che sente nel puro interesse del figlio. Non è necessario ritenere che l’atteggiamento genitoriale sia sempre intrinsecamente caratterizzato da una dedizione che occulta un’ostilità. E’ più probabile che in molti casi l’atteggiamento di un genitore con un’OSP “Ossessiva” appaia al proprio bambino come tale (“a doppia facciata”) come conseguenza di una difficoltà che il genitore stesso incontra con le proprie emozioni (“ambivalente”). L’organizzazione di Significato Personale “Ossessiva”: una visione di termini di dimensioni I field-independent hanno un approccio più impersonale, mostrandosi meno interessati alle opinioni degli altri facendosi meno influenzare. Questa dimensione si riferisce al tipo di rapporto che un soggetto ha con gli altri: i soggetti field-dependent sarebbero caratterizzati da un approccio più “interpersonale” mentre, al contrario, I soggetti field-indipendent manifesterebbero un atteggiamento maggiormente “impersonale”. L’altra dimensione, la inwardness/outwardness riferisce al rapporto con sé stessi. si I soggetti inward avrebbero un’esperienza definita “dall’interno” in quanto possiedono chiare emozioni di base (basic feelings). i soggetti outward, avendo emozioni basiche meno definite, per avere un interno stabile e accettabile, ricorrerebbero a criteri esterni. L’Organizzazione “Ossessiva” risulterà caratterizzata dalle polarità Outward e Fieldindependent. Un soggetto con OSP “Ossessiva” cercherà di interpretare la propria esistenza alla luce di standard esterni (outwardness) individuati secondo modalità cognitive e impersonali (field-independence): ad esempio, princìpi generali di ordine morale o giuridico. La dimensione “Diacronia/Sincronia” Prende in considerazione il diverso modo con cui si può articolare la dinamica tra la necessità di avvertire una “continuità” della propria esperienza (e in definitiva della propria immagine di sé) nel corso del tempo e il bisogno di avvertirne anche un’unitarietà momento per momento. Nei soggetti con attitudine “diacronica” (dal greco dia cronos=attraverso il tempo) l’immagine di sé sarebbe ancorata soprattutto a singoli ingredienti esperenziali che sono avvertiti come persistenti nel tempo. Nei soggetti con attitudine “sincronica” (dal greco sin cronos=nello stesso tempo) l’immagine di sé poggerebbe soprattutto sull’unitarietà dell’esperienza momento per momento, piuttosto che sulla continuità nel tempo di singoli ingredienti. Polarità diacronica Bisogno di continuità nell’immagine di sé Monitoraggio di singoli ingredienti esperenziali Enfasi sulla previsione Evitamento di situazioni potenzialmente perturbanti Turbamento di fronte a una percepita discontinuità Verifiche su di sé L’Organizzazione “Ossessiva” risulta individuata dalle polarità Outward, Fieldindependent e Diachronic (Mannino G., 2014). Per comprendere l’attitudine diacronica in un’OSP “Ossessiva” può essere utile pensare all’atteggiamento esistenziale di un noto filosofo del secolo scorso: “Quando uno crede di aver trovato la soluzione del “problema della vita” e vorrebbe dire a se stesso: “adesso è tutto semplice”, per confutarsi gli basterebbe ricordare che c’è stato un tempo in cui la soluzione non era stata trovata; eppure anche in quel tempo vivere doveva essere possibile”. (Wittegenstein, 1980) Per un soggetto con una rigida diacronia ossessiva, una soluzione esistenziale, per essere considerata valida, deve, a rigore, essere stata “presente da sempre”: vale a dire, non deve essere stata contemplata la possibilità del cambiamento, della novità o di qualcosa che può rivelarsi efficace solo a un certo momento. E’ come se ciò che cambia non fosse un’attendibile espressione di sé. Il disturbo Ossessivo-Compulsivo in termini di dimensioni Secondo la veduta post-razionalista all’origine dello scompenso psicopatologico vi sarebbe soprattutto una difficoltà da parte del soggetto a integrare all’interno della propria immagine di sé esperienze inedite e perturbanti. La difficoltà consisterebbe in una sorta di squilibrio tra il carico emotivo di un’esperienza perturbante e le capacità di assimilazione del soggetto, dall’altro (Mannino G., 2014). Un soggetto andrebbe incontro a uno scompenso quando, trovandosi a fronteggiare esperienze intense e inedite, che per essere assimilate richiederebbero in realtà un incremento della “articolazione” e della “flessibilità” narrativa, non appare in grado di compiere questo ulteriore passaggio. Lo scompenso psicopatologico avviene di fronte ad inedite situazioni esistenziali, verso le quali la persona ricorre, per gestirle, in modo troppo rigido e ripetitivo alle abituali strategie del passato al punto che queste, da funzionali che erano in precedenza, diventano perfino disadattive. Ossessioni secondo il post razionalismo Le “ossessioni”: sono il risultato dell’emergenza di temi emotivi inediti che il soggetto non riesce ancora ad assimilare all’interno della propria immagine di sé. Essi risultano discrepanti rispetto a certi criteri esterni (outwardness) selezionati in modo cognitivo e impersonale (fieldindependence) e, per di più, considerati immutabili e immodificabili nel tempo (diachrony). Proprio per questo loro carattere di discrepanza e ingiustificabilità (outwardness e field-indipendence) e contemporaneamente, di discontinuità (diachrony) sono avvertiti come egodistonici. Inoltre, data l’inevitabile persistere dell’attivazione (conseguenza della mancata integrazione), malgrado il tentativo del soggetto di allontanarli, i temi, sotto varia forma, si riaffacciano continuamente in coscienza venendo esperiti come fenomeni intrusivi. Caso clinico 1 Uomo di 40 aa, con OSP “Ossessiva”. I problemi iniziano quando comincia ad avvertire una crescente attrazione per una donna in cui riconosce una dolcezza che gli sembra sconosciuta alla moglie. Dapprima, cerca di svalutare questi sentimenti come “capricci” passeggeri, mantenendo così un senso di padronanza di sé e di integrità. Tuttavia, allorchè il coinvolgimento diventa più profondo, inizia ad avvertire l’attivazione emotiva come estrenea e disturbante, al punto che comincia a cercare di scacciare dalla mente le immagini a essa connesse, immagini che però cominciano a riaffacciarsi sotto forma di ossessioni. Ruminazioni Oscillazione ricorsiva tra due o più alternative, ciascuna delle quali conduce (così sente il paziente) comunque a un senso di sé inaccettabile. Caso clinico 2 Uomo di 30 aa, di professione informatico, affetto da DOC. In un’occasione il paziente, mentre era in ufficio, si era posto il problema se chiedere lo straordinario per finire un lavoro importante. Presto, però, era iniziata una ruminazione costituita dall’oscillazione tra due alternative entrambe avvertite come inaccettabili. Infatti, quando pensava di chiedere lo straordinario (che in fondo gli appariva un suo diritto), non appena avvertiva la contentezza per il relativo riconoscimento economico, subito si vedeva in modo inaccettabile, cioè come una persona “attaccata alle cose materiali”. Se, invece, pensava di fermarsi oltre l’orario senza chiedere lo straordinario (perché in fondo quel lavoro lo interessava comunque), nell’avvertire un senso di sollievo all’idea di evitare la seccatura burocratica, ecco che si sentiva “falso con sé stesso”. Perché il paziente si sentirebbe “falso con sé stesso?” Il paziente non sente ugualmente autentici i due ingredienti della sua esperienza. Dapprima l’interesse incondizionato per il lavoro gli appare “autentico”; ma non appena, subito dopo, avverte anche il sollievo alla prospettiva di scansare l’incombenza con il capoufficio, ecco che vede solo il secondo ingrediente come “vero”, mentre il primo gli appare “falso”. E’ per questa ragione che il paziente finisce con il vedersi come uno che sta barando. Guardando da fuori e in modo cognitivo e impersonale alla propria esperienza non riesce a far corrispondere contemporaneamente agli stessi prìncipi gli ingredienti diversi della propria esperienza: ad esempio, il paziente avverte, come compatibile con la propria severa concezione del lavoro, la soddisfazione nell’esercizio di un proprio diritto, ma per nulla la gratificazione per un riconoscimento economico extra. In ragione dell’attitudine diacronica non riesce ad accettare l’apparente mutevolezza del proprio vissuto: ed ecco che, alla luce di un ingrediente che si affaccia successivamente, considera ingannevole l’ingrediente esperito subito in precedenza. Compulsioni secondo il post razionalismo Il coinvolgimento dell’attitudine diacronica è piuttosto evidente da subito dato che le compulsioni possono essere interpretate, innanzitutto, come il tentativo di salvaguardare una continuità minacciata o di ripristinare una continuità ormai compromessa. Compulsioni Le conpulsioni comprendono due principali categorie: - rituali di “controllo” (messi in atto dai cosidetti checkers) - rituali di “lavaggio” (eseguiti dai cosidetti washers) I due tipi di compulsione hanno una genesi diversa. Controlli Consistono in una sorta di contina sorveglianza, eseguita in un ambito esperenziale circoscritto, con lo scopo di salvaguardare una coerenza dell’immagine di sé che il soggetto sente minacciata dall’emergenza di emozioni non assimilate (e per questo considerate inaccettabili): sono quindi un modo per accertarsi che la coerenza non sia andata perduta o che non vada perduta in futuro (Mannino G., 2014). Le compulsioni di “lavaggio” Hanno a che fare con una delle funzioni dei rituali tra gli esseri umani di ogni cultura: quella di “segnare” un passaggio, la chiusura di un’epoca o l’inizio di un’altra. Sono eseguiti quando il soggetto sente irrimediabilmente compromessa la coerenza dell’immagine di sé, malgrado i suoi strenui tentativi di conservarla, allo scopo di creare, almeno da quel momento in poi, una nuova e intatta coerenza. Naturalmente il tentativo sarà comunque destinato al fallimento perché la nuova coerenza sarà presto intaccata dall’inevitabile riemergere delle emozioni perturbanti non assimilate, che produrranno così un nuovo senso di discontinuità: da qui il bisogno di effettuare ulteriori rituali. Implicazioni per la terapia Pensare in termini di dimensioni: outwardness / inwardness field-dependence/field- indipendence diachrony/synchrony è utile ai fini dell’intervento terapeutico. Così come non è possibile che un soggetto cambi nel tempo la propria OSP, allo stesso modo è impossibile che cambi le polarità possedute circa le tre dimensioni psicologiche. Ciò che invece è possibile è di rendere le attitudini di un soggetto (outwardness, field-independence, diachrony) più flessibili e articolate e di conseguenza di nuovo funzionali. Si tratterà di “compensare” la naturale tendenza diacronica del paziente, cercando, per quanto possibile, di sviluppare anche l’attitudine “opposta” cioè quella sincronica. Es. mentre il paziente tende a prestare attenzione soprattutto a singoli ingredienti esperenziali, (di cui sorveglia l’andamento) trascurando il contesto nel quale essi sono inseriti, bisognerà guidarlo ad allargare il suo punto di vista a tutta la restante esperienza in modo da fargli guadagnare finalmente una visione d’insieme. Caso clinico 3 Uomo di 35 aa affetto da diversi anni da DOC. In un’occasione, mentre la moglie è fuori città ospite di suoi parenti, rimane turbato, mentre sta facendo colazione da solo, dal fatto di star mangiando più biscotti del solito. Gli sembra, infatti, che il fatto di superare la sua abituale razione mattutina sia il segno evidente di un ingiustificato cedimento all’ingordigia. In questa circostanza inizia una lunga ruminazione sul suo presunto problema. In questo caso si tratta di allargare la scena raccontata dal paziente, cercando di ricostruire il più ampio contesto emotivo del momento. Bisogna cogliere il significato di quella colazione appena un po’ più abbondante del solito: viene messo a fuoco lo sfondo emotivo del momento, e cioè il sentimento di solitudine (per la lontananza della moglie) e il bisogno di qualche gratificazione alternativa in cui cercare calore e conforto. Dato che il paziente non potrà comunque prescindere dal suo atteggiamento prevalentemente diacronico, si tratterà anche, almeno per il momento, di “assecondare” il suo bisogno di coerenza, mostrandogli come essa di fatto sia ancora riconoscibile se solo si adotta un punto di vista più astratto e che non prenda in considerazione un solo ingrediente esperenziale. In terapia, si tratterà di ricostruire con il paziente il contesto emotivo dell’episodio che gli ha suscitato il senso di discontinuità e di aiutarlo a riconoscere la presenza di un “filo conduttore” tra l’episodio esaminato e la sua precedente esperienza; in questo modo il vissuto che prima l’aveva turbato gli sembrerà decisamente meno allarmante. A tranquillizzare il paziente sarà il fatto di aver rintracciato di nuovo una “coerenza” nella propria esperienza e nell’immagine di sé: non abbandonando la propria attitudine diacronica (cosa che in senso stretto non è possibile), quanto piuttosto utilizzando la sua attitudine diacronica (e quindi la sua ricerca di continuità). Si tratterà di far notare al paziente la presenza di un “filo conduttore” che non è mai venuto meno, vale a dire il suo sentimento per la moglie. Considerando questo sentimento si comprende come l’episodio che in superficie gli suscita un senso di discontinuità sia sotteso da un più profondo senso di continuità che mai si è interrotto. L’intervento terapeutico dovrà prendere contemporaneamente in considerazione l’attitudine field-independent che andrà resa più astratta e flessibile. Un approccio solo cognitivo e impersonale non permetterà al paziente di cogliere le sfumature emotive del momento o gliele farà giudicare come improprie. Bisognerà rendere più flessibile l’attitudine outward del paziente, cioè la propria esperienza alla luce di soli criteri esterni e di uniformarla a questi ultimi. Certi ingredienti esperenziali verranno finalmente percepiti, non più in termini di estraneità, ma come assolutamente propri e personali. Grazie per l’attenzione! D.ssa PENSAVALLI Michela Via Ravenna, 24 – Roma Recapito: 328/9446432 [email protected] http://pensavallimichela.blogspot.it