Il Nuovo Testamento mostra Gesù stesso
come “maestro” (didàskalos, rabbi).
Spesso non è specificato l’oggetto
dell’insegnamento di Gesù, a testimoniare
la rottura con un insegnamento a volte
divenuto specialistico e intellettuale, con
l’insegnamento “di una materia”.
L’attività di insegnamento di Gesù, che si
rivolge a dotti e a ignoranti, coinvolge la
sua persona, assumendo un aspetto
testimoniale.
Gesù insegna con le
parole, con i gesti,
con il suo modo di
vivere, con la sua
persona. La sua
persona è
insegnamento. Anzi, è
rivelazione di Dio.
Gesù è il segno del
Padre, «il sacramento di
Dio»1. «Chi ha visto me,
ha visto il Padre» (Gv
14,9), dice Gesù, e
questa forza rivelativa si
fonda sullo spossesso
radicale di sé che Gesù
vive in favore del Padre:
«Il mio insegnamento non
è mio, ma di colui che mi
ha mandato» (Gv 7,16).
1. Cfr. Edward Schillebeeckx, Cristo sacramento dell’incontro con Dio, Edizioni Paoline, Roma 1970, soprattutto
pp. 17-73.
L’insegnamento
che Gesù svolge
per i credenti di
ogni tempo è
radicale: Gesù
insegna a
vivere. Egli è
apparso per
«insegnarci a
vivere in questo
mondo»
(Tt 2,12).
L’istruzione nella fede è compito apostolico. Più volte Paolo
istruisce i cristiani di determinate comunità su punti specifici
della fede introducendo il suo discorso con l’espressione:
«Non voglio che ignoriate, fratelli ...».
 La resurrezione dei morti e la
venuta del Signore (cfr. 1 Ts
4,13 -5,11),
 il mistero dell’indurimento e
della conversione di una parte
di Israele (cfr. Rm 11, 25-26),
 il senso del battesimo e
dell’eucaristia colti alla luce
della storia del popolo di
Israele come attestata nelle
Scritture (cfr. 1 Cor 10,1-4):
questi alcuni nodi che Paolo ha
dovuto affrontare e
approfondire.
Il Nuovo
Testamento
abbozza anche
una
strutturazione
della catechesi
in tappe
successive e
progressive:
I1 panorama articolato delle comunità
cristiane del I secolo evidenzia la
funzione di maestri o dottori che si
dedicano all’approfondimento del
messaggio cristiano per trarne
conseguenze etico-morali (cfr. 1 Cor
7,1-40: matrimonio e celibato),
spirituali (cfr. Rm 12-13: la centralità
della carità nella vita comunitaria),
teologico dottrinali (cfr. 1 Cor 15: la
resurrezione di Gesù e dei cristiani).
Priscilla e Aquila, una coppia di sposi cristiani,
svolsero il ministero di istruzione nei confronti del
giudeo alessandrino Apollo, che aveva già ricevuto
una prima catechesi, esponendogli “con maggiore
accuratezza” la via del Signore (cfr. At 18,24-28).
La trasmissione della
fede come in segnamento
Questa attività di
insegnamento (da non
confondersi con il primo
annuncio destinato al non
credente) è quanto mai
necessaria oggi per la
situazione di ignoranza
circa le cose della fede
condivisa dalla maggior parte
degli stessi credenti
praticanti. Senza parlare
dell’analfabetismo di fede
delle generazioni più giovani.
Occorre porre al cuore dell’azione pastorale il
problema dell’ignoranza dei credenti. La fede
ha bisogno di conoscenza, di
approfondimento, altrimenti si isterilisce.
Ha scritto Walter Kasper in una lettera pastorale dedicata al
problema della trasmissione della fede quando era vescovo di
Rottenburg-Stuttgart:

 «Abbiamo bisogno di una fede matura, capace di affrontare le
difficoltà. Una scarsa conoscenza della fede è sempre stata il
migliore terreno per la superstizione e l’errore»2.
2. Walter Kasper, La trasmissione della fede: questione vitale per la chiesa nel nostro paese (28 agosto 1989).
La conoscenza cristiana, conoscenza non
intellettualistica ma dinamica e vitale, che diviene
amore e concreta partecipazione alla vita del Signore
Gesù Cristo, rivela la maturità della coscienza cristiana
rendendo il credente capace di dare ragione della
speranza che lo abita (cfr. 1 Pt 3,15) e di farsi testimone
credibile del vangelo.
richiede la conoscenza delle Scritture e massimamente dei vangeli,
che consegnano la conoscenza di Gesù: infatti
«l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo»3.
3. Concilio Vaticano 11, Dei Verbum 25, in Enchiridion vaticanum I, EDB, Bologna 2006, p. 941, nr. 908, che cita
Girolamo, Commento su Isaia, Prologo, PL 24,17.
Le Scritture,
sacramento della
parola di Dio, sono
destinate «alla nostra
istruzione» (Rm 15,4)
e «hanno la potenza
di istruire in ordine
alla salvezza, che si
ottiene mediante la
fede» (2 Tm 3,15).
Trasmettere la fede significa anche trasmettere le Scritture
e dare la possibilità e gli strumenti per leggerle, ascoltarle,
meditarle e pregarle nella fede e nello Spirito santo.
La conoscenza necessaria nello spazio ecclesiale
è spirituale, opera dello Spirito santo che
interiorizza nel credente la memoria di Cristo e
lo guida verso la somiglianza con lui.
Ed è una
conoscenza non
individualistica ma
personale e
comunitaria, che
trova nella liturgia
un momento
decisivo che
costruisce e nutre la
comunità cristiana.
Certo, nella società post-tradizionale in cui viviamo, la
trasmissione della fede è particolarmente problematica:
ogni gesto e ogni parola della fede devono oggi essere
rimotivati, pena la loro insignificanza.
Si tratta di riscoprire che insegnare (in-signare) significa fare
e dare segni, trasmettere simboli mediante cui orientarsi
nella vita, divenire traghettatori, segnalare l’eredità da
raccogliere, indicare una via, non imporre una legge4.
4. Cfr. Luciano Manicardi, “Punti fermi della trasmissione della fede”, in Evangelizzare 9 (2008), pp. 539-544.
Il problema è anche
politico e in tanti paesi
concerne
l’alfabetizzazione,
elemento primario di
ogni riscatto sociale e
accesso alla dignità
umana, e riguarda anche
la nostra società, in
particolare la sua
capacità di educare:
sull’educazione,
infatti, si misurano il
nostro amore per il
mondo e il senso di
responsabilità per le
generazioni future.
Come aveva ben compreso don
Lorenzo Milani, che del dare parola
agli analfabeti e del dotare delle
risorse del linguaggio chi ne era
sprovvisto fece il programma della
sua “educazione civile” e della sua
“scuola popolare”.
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