Dal contratto “del consumatore” al
contratto asimmetrico
 Le istanze di protezione del consumatore fatte
proprie dalla legislazione speciale si estendono al
rapporto intercorrente tra un’impresa
economicamente forte e un operatore economico
in condizioni di debolezza.
 In assenza di norme speciali (subfornitura; lotta
contro i ritardi di pagamento), la tutela
dell’imprenditore economicamente debole viene
realizzata interpretando evolutivamente norme di
diritto comune.  Sindacato sul recesso ad nutum
della banca alla luce del principio di buona fede
Recesso dal contratto di
apertura di credito
 A. c. a tempo determinato. Salvo patto contrario, la
banca non può recedere dal contratto prima della
scadenza del termine, se non per giusta causa (1845
1° comma).
 Il recesso sospende immediatamente l’utilizzazione del
credito, ma la banca deve concedere un termine di
almeno 15 giorni per la restituzione delle somme
utilizzate e dei relativi accessori (1845 cpv.)
 Se la garanzia diviene insufficiente, la banca può
chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione
del garante. Se l’accreditato non ottempera, la banca
può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito
valore della garanzia o recedere dal contratto (1844
cpv.)
 L’inciso “salvo patto contrario” non era presente nel
testo originario del libro quarto del codice. Viene
aggiunto in extremis con il r.d. 16 marzo 1942, n. 62,
che approva il codice civile.
 Dubbi sulla legittimità costituzionale della norma
sollevati dalla dottrina commercialistica (Colombo,
Teti); questione manifestamente infondata per Cass. 7
aprile 1994, n. 3291.
 Se leggiamo gli artt. 1844 cpv e 1845 1-2 comma,
risulta evidente che la banca è adeguatamente protetta
dal rischio inerente al deterioramento delle condizioni
patrimoniali dell’accreditato o di una diminuzione delle
garanzie. Risoluzione per inadempimento anticipato in
due “gradazioni” diverse.
 Se questo è vero, il recesso ad nutum della banca
rischia di pregiudicare il legittimo affidamento
dell’accreditato nella disponibilità della somma senza
incrementare la tutela del credito erogato dalla banca.
Di qui l’opinione secondo cui l’inciso surrettiziamente
inserito nel codice civile sia dovuto ad una attività di
lobbying esercitata a suo tempo dagli istituti di credito.
 Nei contratti standard, il recesso ad nutum della banca
accreditante è regolarmente previsto. Da un modello
contrattuale aggiornato al 1° aprile 2009: “la banca
ha la facoltà di recedere dall’apertura di credito,
ancorché concessa a tempo determinato, in qualsiasi
momento anche con comunicazione verbale. Per il
pagamento di quanto dovuto è dato al correntista…un
preavviso non inferiore a un giorno”.
 Nella apertura di credito a tempo indeterminato, il
recesso ad nutum di entrambe le parti è
espressamente previsto dalla legge, in sintonia con
quanto avviene, di regola, per tutti i contratti a tempo
indeterminato (recesso determinativo, o di liberazione):
“ciascuna delle parti può recedere dal contratto,
mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto,
dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni”
(art. 1845, comma 3°).
 I contratti standard predisposti dalle banche
ribadiscono il recesso immotivato già previsto dalla
legge e riducono ad un giorno il termine di preavviso.
 Anche su questo terreno, è da valutare se la
disciplina dettata dalla legge sia compatibile
con l’esigenza di tutelare l’affidamento
dell’accreditato nella disponibilità della somma,
in assenza di elementi che giustifichino il
recesso della banca.
 Certamente, se si ammette che l’apertura di
credito possa essere pattuita a tempo
indeterminato si deve accordare ad entrambe
le parti la legittimazione a recedere anche in
assenza di giusta causa.
 La questione è dunque se sia opportuno ammettere la
pattuizione del contratto a tempo indeterminato. Tale
soluzione appare incompatibile con la funzione del
contratto di apertura di credito: quella di consentire
all’accreditato di disporre di una somma di denaro e di
investirla nell’esercizio di una data attività, per poterla
poi restituire. Perché il progetto sotteso all’apertura di
credito si realizzi, l’accreditato deve poter confidare di
disporre della somma di denaro per un tempo
determinato. Per contro, il recesso immotivato della
banca rischia di vanificare i suoi investimenti.
 Sarebbe stato preferibile, dunque, che il legislatore
avesse previsto la pattuizione di un termine quale
elemento necessario del contratto di apertura di
credito, in analogia con quanto previsto per il mutuo
(art. 1817 c.c.).
 In definitiva, la disciplina dettata dal codice civile, se
interpretata in stretta aderenza al suo tenore letterale, non
tutela adeguatamente l’affidamento dell’accreditato nella
disponibilità della somma di denaro messa a sua
disposizione dalla banca. In quanto contraente debole, che
necessita di una linea di credito, il cliente è propenso ad
accettare le condizioni contrattuali imposte dalla banca: a.c.
a tempo indeterminato (con la conseguenza del recesso ad
nutum di entrambi i contraenti); a.c. a tempo determinato
con la previsione del recesso immotivato della banca
 A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, la giurisprudenza
tutela l’accreditato, quale parte debole del rapporto
contrattuale, sindacando alla luce del principio di buona fede
il recesso discrezionale della banca. Chiara la finalità di
correggere un assetto normativo sbilanciato a favore della
banca. Si tratta di un orientamento già consolidato nella
giurisprudenza francese.
Sindacato sul recesso discrezionale dal
contratto di apertura di credito…
 La prima sentenza di merito risale ai primi anni ‘80:
Trib. Roma, 28 dicembre 1983 (Caso ICCRI-SIR,
società del gruppo Caltagirone). Affermata la
responsabilità della banca che aveva esercitato
improvvisamente il recesso dal contratto di apertura di
credito in assenza di una giustificazione plausibile (la
società accreditata era sottocapitalizzata, ma aveva
fornito adeguate garanzie, che non erano venute meno
nel corso del rapporto; lo stesso istituto aveva
reiteratamente concesso credito ad altre società del
gruppo, senza che queste ultime avessero mai
mancato di restituire le somme accreditate; gli altri
istituti di credito avevano confermato gli affidamenti
concessi alle società del gruppo).
 Nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 21 maggio
1997, n. 4538. Viene affermato il principio di diritto
secondo cui il recesso discrezionale è sindacabile ex
fide bona, ma nel caso di specie sussistevano elementi
che giustificavano la scelta di interrompere il rapporto
(richieste di proroga e mancato pagamento di ricevute
bancarie).
 La stessa sentenza considera il termine di preavviso,
ridotto ad un giorno. Lo qualifica espressamente come
inadeguato, ma conferma l’orientamento
giurisprudenziale prevalente secondo cui i termini di
preavviso previsti dall’art. 1845 per il recesso dal
contratto di apertura di credito sono derogabili.
 Più di recente, Cass.6 agosto 2008, n. 21250: cassata
la sentenza di merito secondo cui il recesso
discrezionale della banca non può essere sindacato dal
giudice.
Sindacato sul recesso dell’istituto di credito
in presenza di una giusta causa tipizzata
dal contratto
 Caso Sieni – Credit Swiss. Il contratto di apertura di
credito legittima la banca a recedere qualora risulti che
l’accreditato abbia reso “dichiarazioni non veritiere e
fuorvianti”. Emerge che, contrariamente a quanto
dichiarato contestualmente alla conclusione del
contratto, l’accreditato è stato socio accomandatario di
una s.a.s. Il recesso della banca è senz’altro legittimo ?
 Lunga vicenda processuale. La Cassazione riafferma
la necessità di un sindacato ex fide bona sulla
legittimità del recesso e su questa base cassa due
volte sentenze rese dalla Corte d’Appello di Milano:
Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; Cass. 2 aprile 2005, n.
6923.
 Quali rimedi a favore dell’accreditato che subisce il
recesso illegittimo? In dottrina, opinioni diverse:
qualcuno sostiene che l’accreditato avrebbe solo diritto
al risarcimento del danno. Altri ipotizzano l’inefficacia
del recesso, e il conseguente mantenimento del
rapporto contrattuale.
 In giurisprudenza, si esclude che l’accreditato possa
ottenere la consegna della somma di denaro mediante
un provvedimento d’urgenza (Trib. Catania, 18 gennaio
2004). Per contro, quando la banca esige la
restituzione delle somme sulla base di un recesso
contrario a buona fede si afferma a chiare lettere che
l’accreditato ha diritto a ritenere le somme messe a sua
disposizione (Cass. 4538/1997; Cass. 13823/2002).
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