lezione di diritto processuale
civile pp.9bis
Anno accademico
2013/2014
Fase dinamica
Il processo a cognizione piena di rito
ordinario
I modelli
Introduzione
Nella regolamentazione dei processi a
cognizione piena, quanto alla fase introduttiva
e di trattazione, il legislatore può introdurre
quattro modelli:
- un modello senza preclusioni;
- un modello con preclusioni rigide e
concentrate;
- un modello con preclusioni diluite;
- un modello misto
Rito senza preclusioni
E’ il modello dovuto alla novella del 1950 che ha
modificato l’impianto originario del codice del 1942
prevedendo la facoltà delle parti di poter modulare le
difese (eccezioni, allegazioni e prove) lungo tutto il
corso del processo, sino alla udienza di precisazione
delle conclusioni.
Anche le domande se vi fosse stata accettazione del
contraddittorio delle parti, avrebbero potuto essere
formulate in ogni fase del processo di primo grado.
Il problema: la retrocessione del processo alla fase
iniziale per esigenze di contraddittorio
Rito con preclusioni rigide
Coincide con la riforma del processo del lavoro,
Legge n. 533 del 1973 ed è caratterizzato dalla
necessità che domande, eccezioni riservate alla
parte e prove siano dedotte tutte con gli atti
introduttivi, a pena di preclusione.
Difetto di tale sistema: la parte è costretta a
dedurre prove senza ancora conoscere se la
controparte contesterà specificamente al fine di
indurre ex art. 115, 2° comma, all’onere della
prova. La iniziativa nella prova non è previamente
assoggettata al contraddittorio.
Rito a preclusioni diluite
E’ il rito ordinario, dovuto alla riforma con
legge n. 353/1990, entrata in vigore nel 1995
e novellata con la legge n. 80/2005:
caratterizzato da una preclusione in ordine
alle domande ed eccezioni riservate con gli
atti introduttivi ed una preclusione in ordine
alle prove, solo in occasione delle memorie
autorizzate alla udienza ex art. 183, 6° comma
Rito misto
E’ l’esperienza del rito societario introdotto con
d.lgs. n. 5 del 2003 e abrogato con legge n. 69 del
2009 caratterizzato da un duplice sviluppo:
- mediante scambio di memorie, con sistema
diluito sul modello del rito ordinario;
- a seguito di istanza di fissazione di udienza, che
una qualunque delle parti può introdurre, con
sistema concentrato sul modello del rito del
lavoro.
Attuali modelli
Rito ordinario (legge n. 353 del 1990 e legge n.
80 del 2005): modello a preclusioni
progressive.
Rito del lavoro e riti speciali assimilati:
modello a preclusioni concentrate (principio di
eventualità).
Rito abbreviato ex art. 702-bis c.p.c.: modello
a preclusioni progressive.
Una spiegazione
Dovendo il rito del lavoro e i riti assimilati svolgersi in
relazione a fattispecie tipiche, ovvero disciplinate dalla
legge, come nelle controversie del lavoro e delle
locazioni, con minori oneri a carico delle parti per la
facile identificazione della fattispecie, si è adottato un
rito concentrato.
Dovendo invece il rito ordinario svolgersi per lo più in
relazione a fattispecie atipiche ovvero regolate dalla
volontà delle parti e dall’autonomia, l’onere difensivo è
più complesso perché non è sempre facile identificare
la fattispecie, donde l’adozione di un modello a
preclusioni progressive.
Una ricostruzione generale valevole
per tutti i riti
Affinità dei riti. Lo sviluppo del
processo.
A prescindere dai riti lo sviluppo del processo
a cognizione piena è identico:
- fase introduttiva (dominata dalla parte),
- fase di trattazione delle difese (dominata
dalla parte);
- fase istruttoria (dominata dal giudice);
- fase della decisione o del giudizio (dominata
dal giudice).
Segue. Le domande e le eccezioni
riservate alla parte.
Le domande e le eccezioni riservate alla parte
devono essere tutte necessariamente
formulate con gli atti introduttivi, anche se
trattasi di domande formulate nei confronti di
terzi (art. 106 c.p.c.).
Le prove
Al contrario le prove devono essere dedotte
negli atti introduttivi nel rito del lavoro e
possono essere dedotte invece nelle memorie
che vengono autorizzate nell’udienza di
trattazione ex art. 183, 6° comma c.p.c. (nn. 2
e 3).
Riaperture
In tutti i riti (cfr. artt. 183, 5° e 6° comma e
420, 1° comma c.p.c.) è consentito in prima
udienza un adattamento delle difese, sino
all’ipotesi della formulazione di nuove difese:
- per esigenze di contraddittorio;
- per ius poenitendi;
- per rimessione in termini.
Esigenze di contraddittorio
•
•
•
•
Quando l’esigenza della riapertura dei termini si
pone per dare luogo al contraddittorio, la difesa
può essere espressa nella sua massima
espressione, purché consequenziale e funzionale
alla difesa avversaria o all’iniziativa del giudice,
quindi:
la parte può formulare una domanda o eccezione
nuova in replica ad una domanda;
una domanda in replica ad un’eccezione;
una eccezione in replica ad un’eccezione;
una prova in replica ad una prova.
Segue.
L’eventualità si pone quando l’attore deve
replicare alle difese del convenuto;
quando l’attore e il convenuto devono
replicare alle difese del terzo;
quando infine il convenuto deve replicare alle
difese espresse dall’attore, in replica alle sue.
Il contraddittorio in relazione alla
iniziativa del giudice
Non si deve dimenticare che la riapertura per
esigenze di contraddittorio può essere
postulata da iniziative del giudice, laddove
rilevi una questione d’ufficio (eccezione di
merito o di rito) oppure disponga una prova.
In proposito, si cfr l’art. 101, 2° comma c.p.c.
Modalità di esercizio, prima difesa
successiva
Le modalità di esercizio del contraddittorio possono
avvenire mediante due tecniche:
mediante concessione di un termine per il deposito di una
memoria (art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c. e art. 101, 2°
comma c.p.c.);
mediante il differimento dell’udienza (art. 269 e art. 418 e
419 c.p.c.), in ogni caso quando interviene un terzo o viene
chiamato; nel rito del lavoro anche quando è formulata una
domanda riconvenzionale: in tal caso il contraddittorio si
esercita con una memoria depositata anticipatamente;
all’udienza successiva nel primo atto difensivo (art. 183, 5°
comma; art. 420, 1° comma c.p.c.).
Ius poenitendi
E’ possibile un adattamento delle difese che
non sia imposto dal contraddittorio ma in tal
caso non è possibile formulare una nuova
difesa ma solo modificare le difese già
formulate, restando sempre nell’ambito della
difesa già dedotta (la formula è: “modificare e
precisare le domande, eccezioni e conclusioni”
es. art. 183, 5° e 6° comma; art. 420, 1
comma, c.p.c.).
rispetto alla domanda
In relazione alla domanda lo ius poenitendi si
può postulare:
- come modifica qualitativa del petitum (da
condanna a accertamento mero) o
quantitativa (da un credito di 100 a 50)
- - come modifica della causa petendi (nei d.
autoindividuati, l’allegazione di un nuovo fatto
costitutivo; nei diritti etero solo l’allegazione
di un fatto secondario)
Segue.
Rispetto all’eccezione:
• - allegazione di fatti secondari;
• - riduzione della portata dell’eccezione (da
prescrizione decennale a prescrizione
quinquennale).
Per errore scusabile
La rimessione in termini per incolpevole
decadenza dovuta a fortuito o a fatto
dell’avversario era originariamente concepita
per i soli termini endoprocessuali della
trattazione (art. 184-bis c.p.c.). Oggi la norma
è trasmigrata nell’art. 153 c.p.c. (legge n. 69
del 2009) e quindi applicabile non solo per
tutti i termini endoprocessuali, ma anche per i
termini extraprocessuali (es: termine per
impugnare).
Ambito dell’errore scusabile
Con la rimessione in termini per errore
scusabile la parte, similmente all’esercizio
della riapertura per contraddittorio, consente
la formulazione di nuove domande, nuove
eccezioni e nuove prove.
Dalla trattazione all’istruzione o alla
decisione
Esaurita la fase introduttiva e della trattazione
delle difese di parte, in tutti i riti il processo
vive uno snodo fondamentale, in cui il giudice
si riappropria del processo rispetto a fasi in cui
erano state prevalenti le iniziative delle parti
ed in particolare con ordinanza (artt. 187 e
420, 4° comma c.p.c.) decide se procedere
all’istruttoria oppure immediatamente
concludere il procedimento con la decisione.
Questioni pregiudiziali e preliminari
• Questo avviene quando il giudice rilevi
l’esistenza di una questione pregiudiziale di
rito (ovvero di un presupposto processuale
mancante che impedisce la decisione nel
merito del processo) o una causa di estinzione
oppure rilevi questioni preliminari di merito:
• 1. l’inesistenza di un fatto costitutivo
• 2. o l’esistenza di un fatto che costituisce
eccezione.
Questioni preliminari di merito
Infatti l’inesistenza di un fatto costitutivo priva di
senso una prosecuzione del processo per
l’istruttoria sugli altri fatti rilevanti poiché essa è
fonte di immediato rigetto della domanda.
Ugualmente l’esistenza di un fatto che costituisce
eccezione.
In entrambi i casi indagare sugli altri fatti
costitutivi o sugli altri fatti che costituiscono
eccezione, non ha senso perché il processo può
essere subito definito.
Provvedimenti anticipatori
• Un altro elemento comune nei riti è la
previsione di giudizi interinali in forma di
ordinanza con finalità anticipatorie dell’effetto
esecutivo: l’ordinanza delle somme non
contestate (artt. 186 bis e 423/1 c.p.c.);
l’ordinanza ingiuntiva (art. 186 ter); la
provvisionale (art. 423, 2° comma e 278, 2°
comma c.p.c., in quest’ultimo caso, solo per il
rito ordinario in forma di sentenza).
Ordinanze di pagamento delle somme
non contestate
Nel processo in cui le parti sono costituite (la
norma non è applicabile nel processo
contumaciale), se la difesa della parte
destinataria della domanda contesta solo una
parte del credito fatto valere in domanda, la
parte non contestata viene fatta oggetto di un
provvedimento di condanna in forma di
ordinanza (art. 186 – bis e 423, 1° comma
c.p.c)..
Ordinanze ingiuntive
• Sugli stessi presupposti del decreto ingiuntivo
(prova scritta del fatto costitutivo) nella
condanna al pagamento di somme e nella
condanna alla consegna di beni mobili, è
possibile ottenere un’ordinanza ingiuntiva (art.
186 –ter c.p.c.), esecutiva negli stessi casi in
cui può essere un decreto (artt. 642 e 648
c.p.c.)
Condanna ad una provvisionale
• Per la parte in cui il giudice ritiene già raggiunta la
prova, può emettere in forma di ordinanza la condanna
al pagamento di una somma a titolo provvisorio; ciò
avviene nel rito del lavoro (art. 423, 2° comma, c.p.c.)
ma nel rito ordinario è previsto lo stesso istituto, salvo
rendere necessaria la forma della sentenza (art. 278, 2°
comma c.p.c.).
In quest’ultimo rito è prevista anche la condanna
generica (1° comma), in forma di sentenza, quando il
giudice ritiene raggiunta la prova sull’an del diritto, ma
deve ancora istruire sul quantum. L’utilità della
condanna generica è quello di un titolo per iscrizione
ipotecaria.
Il regime delle ordinanze anticipatorie
Salvo il caso che l’anticipazione abbia luogo
con sentenza (art. 278 c.p.c.), poiché in tal
caso vale il regime relativo, le ordinanze
anticipatorie hanno un regime particolare:
non passano in giudicato ma sopravvivono alla
estinzione del processo, pur potendo essere
revocate e modificate in ogni tempo.
La conversione dei riti
Un ulteriore elemento comune è costituito dalla
regolamentazione della conversione del rito,
quando la parte ha introdotto la domanda con un
rito sbagliato.
In tal caso l’ordinamento sdrammatizza il vizio,
non qualificandolo come presupposto
processuale e prevedendo sempre e in ogni caso
una sanatoria, mediante ordinanza con la quale il
rito viene convertito (artt. 426, 427, 439 c.p.c. e
art. 4 d. lgs. n. 150 del 2011).
Il passaggio da rito ordinario a rito
speciale (art. 426 c.p.c.)
Il giudice fissa un termine perentorio entro il
quale le parti devono esaurire tutte le loro
difese (per il passaggio da un rito progressivo
ad un rito concentrato) e fissa l’udienza ex art.
420 c.p.c.
Le preclusioni già maturate nel rito ordinario si
conservano nel nuovo rito dopo la
conversione.
Passaggio da rito del lavoro a rito
ordinario (art. 427 c.p.c.)
In tal caso, oltre alla regolarizzazione fiscale
degli atti processuali (nel rito del lavoro vi è un
minore carico fiscale rispetto al rito ordinario),
il giudice fissa l’udienza dell’art. 183 c.p.c.
Le prove raccolte nel rito del lavoro, per le
regole che contraddistinguono il rito e non
sono applicabili al rito ordinario, conservano la
loro efficacia solo se coerenti con quest’ultimo
rito.
Il passaggio tra riti nella legge sulla
semplificazione dei riti
Quando l’errore riguarda uno dei riti speciali
regolati nel d. lgs. n. 150 del 2011, la disciplina è
leggermente differente, poiché sono considerate
ferme le decadenze e le preclusioni maturate
secondo le norme del rito seguito prima del
mutamento (ciò che non è previsto nel passaggio
dal rito lavoro al rito ordinario nell’art. 427 c.p.c.).
Inoltre il legislatore evidenzia un profilo che è
implicito, ovvero la conservazione degli effetti
della domanda in caso di conversione.
Profili di rito e competenza
Quando oltre al rito si pone un problema di
competenza, l’ordinanza di conversione fissa il
termine per la riassunzione davanti al giudice
competente e risolvendo anche un profilo di
competenza è impugnabile con regolamento
di competenza.
Le specificità del rito ordinario
L’ambito applicativo del rito ordinario
Si ricava per esclusione, ovvero è il rito di
chiusura, quando la controversia non sia
devoluta a qualche altro diverso rito speciale a
cognizione piena o rito speciale a cognizione
sommaria, come il rito camerale.
Introduzione. La citazione.
La tecnica introduttiva è quella della citazione
ad udienza fissa, art. 163, 1°comma, c.p.c.,
notificata al convenuto (artt. 163, 3° comma e
291 c.p.c.) e all’esito depositata in cancelleria,
con il fascicolo dei documenti, la procura e la
nota di iscrizione a ruolo, entro dieci giorni
dalla notifica (art. 165 c.p.c.)
Contenuto
La citazione, nei suoi elementi di forma
contenuto è stata esaminata nella trattazione
del presupposto processuale del
contraddittorio e della domanda; nei suoi
contenuti preclusivi nella disamina dei modelli
di introduzione e trattazione: a pena di
decadenze devono essere formulate in tutti i
loro elementi le domande con le relative
allegazione dei fatti costitutivi.
La costituzione del convenuto
Il convenuto si costituisce mediante deposito
entro venti giorni anteriori alla udienza della
comparsa di costituzione, ove a pena di
decadenza deve introdurre le eventuali
domande verso l’attore (riconvenzionali) o
verso un terzo (chiamate) e le eccezioni
riservate dalla parte (quelle d’ufficio possono
essere formulate in ogni stato e grado), artt.
166 e 167 c.p.c.
La contumacia
La parte che non si costituisce nei termini, sia l’attore
che il convenuto, e non si costituisca neppure alla
prima udienza è dichiarata contumace, con
l’applicazione del regime speciale di cui all’art. 292
c.p.c. (già esaminato nella trattazione del
contraddittorio).
Il contumace può costituirsi sino alla udienza di
precisazione delle conclusioni (subendo le preclusioni
maturate, salva la facoltà di disconoscere la
sottoscrizione della scrittura contro di lui prodotta), art.
293 c.p.c. e può essere rimesso in termini, art. 294
c.p.c. (sulla falsariga dell’art. 153 c.p.c.)
La chiamata del terzo per iniziativa di
parte
Il terzo può essere chiamato dalle parti originarie,
la richiesta va inserita in comparsa (o l’attore in
udienza se dovuta alle difese del convenuto) e
deve contenere, a pena di inammissibilità,
l’istanza di differimento della udienza, per
consentire la chiamata e costituzione del terzo
(chiamata con citazione nel rispetto dei termini a
difesa ex art 163-bis c.p.c.; costituzione entro
venti gg anteriori alla nuova udienza, con le
formalità del convenuto), art. 269 c.p.c.
La chiamata del terzo iussu iudicis
Se invece la chiamata è indotta dal giudice,
questa - nel rito ordinario - è provocata dalla
parte mediante citazione ad udienza fissa, in
difetto è sanzionata con la cancellazione della
causa dal ruolo, art. 270 c.p.c.
Il terzo si costituisce con le formalità del
convenuto, art. 271 c.p.c.
L’intervento del terzo
Mediante comparsa (267 c.p.c.), sino alla
udienza di precisazione delle conclusioni, ma
subendo le preclusioni già maturate.
non comprensiva regola, per il caso di
chiamata innovativa, ovvero che implica la
formulazione di una nuova domanda:
interpretazione correttiva.
Art. 268 c.p.c.
Iscrizione a ruolo, fascicolo
d’ufficio
Costituito l’attore oppure, in difetto, costituito il
convenuto, su presentazione della nota di
iscrizione a ruolo, il Cancelliere iscrive la causa a
ruolo, attribuendo un numero barra anno (anche
per la identificazione del fascicolo elettronico) e
forma il fascicolo d’ufficio, che contiene copia
degli atti, i verbali, i provvedimenti del giudice e il
dispositivo delle sentenze (art. 168 c.p.c.): gli
originali degli atti con i documenti sono contenuti
nei fascicoli di parte.
estinzione
Se nessuna delle parti si costituisce, matura
una fattispecie estintiva del processo (art. 290
c.p.c.)
nomina del giudice, art.168- bis c.p.c.
Formato il fascicolo d’ufficio, il Cancelliere lo presenta
al Presidente che nomina il giudice monocratico o il
giudice istruttore (se la causa è affidata al collegio: art.
50 – bis c.p.c.):
- se il giudice tiene udienza nel giorno indicato in
citazione, questa è l’udienza di trattazione;
- se il giudice non tiene udienza nel giorno indicato in
citazione, la causa è immediatamente differita al primo
giorno utile in cui tiene udienza;
- il giudice può tuttavia differire d’ufficio la udienza (in
quest’ultimo caso la nuova udienza è il riferimento per
il termine di costituzione del convenuto, art. 166 c.p.c.)
Udienza unica di trattazione
Con gli atti introduttivi (citazione, comparsa del
convenuto e dei terzi) si chiudono i termini per la
formulazione di domande ed eccezioni.
Alla udienza fissata (art. 183 c.p.c.), che è unica udienza
di trattazione (dopo la riforma con legge n. 80 del
2005), maturano le preclusioni per le prove e si
esercitano le riaperture ai termini consentite.
La giurisprudenza ha tuttavia “inventato” un ulteriore
udienza che viene fissata dopo la prima e a seguito dei
termini per memorie, fissati su richiesta di parte e nella
quale il giudice decide/si riserva sulle istanze istruttorie
delle parti.
prove e contraddittorio rispetto alle
prove
Su istanza di parte, art. 183, 6° comma, c.p.c. il giudice
fissa tre termini per lo scambio di memorie ( 30 + 30 +
20), il secondo termine fa maturare la decadenza in
ordine alla formulazione dei mezzi istruttori riservati
alla parte e alla produzione di documenti; il terzo la
formulazione di tali mezzi in replica, quindi come
esercizio del contraddittorio.
Non avendo il giudice limiti temporali all’esercizio delle
sue iniziative istruttorie, le parti possono nel termine
perentorio fissato dal giudice formulare controprove
(art. 183, 8° comma, c.p.c.).
contraddittorio rispetto a domande ed
eccezioni
L’attore esercita il contraddittorio rispetto a domande
ed eccezioni del convenuto all’udienza (art. 183, 5°
comma, c.p.c.) nonché lo ius poenitendi.
Il convenuto, ed entrambi rispetto allo ius poenitendi
esercitato nella prima memoria, in occasione della
seconda memoria (art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c.).
Attore e convenuto in caso di intervento del terzo alla
udienza.
Attore e convenuto in relazione alla chiamata del terzo,
sempre in udienza, ma alla udienza differita (art. 269
c.p.c.)
contraddittorio rispetto alle eccezioni
rilevate dal giudice
Con memoria, nel termine fissato dal giudice
ex art. 101, 2° comma, c.p.c., formalismo la cui
violazione integra nullità.
Il lento cammino verso la consacrazione del
contraddittorio: dall’art. 183, 4° comma,
all’art. 384, 3° comma, c.p.c.
ius poenitendi
Si può esercitare esclusivamente:
- alla udienza ex art. 183, 5° comma, c.p.c.;
- nella prima memoria ex art. 183, 6° comma,
c.p.c.
- - non si può esercitare dopo queste fasi,
neppure alla udienza di precisazione della
conclusione all’esito dell’istruttoria, come
sarebbe stato auspicabile.
remissione in termini
Dopo la trasmigrazione dall’art. 184 – bis c.p.c.
all’art. 153 c.p.c., non vi è limite temporale o
fase che escluda la remissione, che può essere
richiesta sempre, sino alla udienza di
precisazione delle conclusioni.
lo snodo istruzione-decisione
Dopo che il giudice ha mantenuto il ruolo di
comprimario nella fase introduttiva e di
trattazione (tanto che nell’abrogato rito societario
era del tutto escluso da quella fase), limitandosi
ad avviare la sanatoria di vizi processuali (art.
183, 1° comma), a richiedere la comparizione
delle parti per il tentativo di conciliazione (artt.
185 e 185 - bis c.p.c.) ed ad emettere le ordinanze
anticipatorie se richiesto (artt. 186- bis e ter
c.p.c.), si riappropria della centralità del suo ruolo
nel passaggio successivo.
segue
Ai sensi dell’art. 187, 188 c.p.c. stabilisce se la
causa deve subito essere rimessa in decisione
dopo la trattazione oppure se debba essere
previa ammissione delle prove avviata la fase
istruttoria.
rimessione in decisione
- “senza assunzione di prove”: controversia in
diritto; controversia su prove precostituite
(documentali);
- questioni pregiudiziali di rito (presupposti
processuali).
- questioni preliminari (inesistenza del fatto
costitutivo o esistenza del fatto che costituisce
eccezione)
rimessione in istruttoria
Ai sensi dell’art. 183, 7° comma, c.p.c. il
giudice compie un giudizio di ammissibilità (di
legalità in relazione al principio di tipicità e dei
limiti previsti per ogni tipo) e di rilevanza (in
relazione all’oggetto, che deve riguardare un
fatto costitutivo, o estintivo, modificativo e
impeditivo o un fatto secondario da cui
muovere per un prova presuntiva) e fissa
l’udienza dell’art. 184 c.p.c., per l’assunzione.
Rimessione in decisione
Sino alla fase istruttoria (salvo l’accentuazione
dei poteri istruttori del giudice ex art. 281ter), le regole che presiedono alla fase
introduttiva, alla trattazione e alla istruzione
non mutano se il rito è monocratico o
collegiale.
Mutano invece le regole della decisione.
Remissione in caso di rito collegiale
Il giudice istruttore, chiusa l’istruttoria o in caso di
rimessione immediata, invita le parti a precisare le
conclusioni ad un udienza fissata e fissa il termine per il
deposito delle comparse conclusionali e delle repliche,
artt. 189 e 190 c.p.c.
Previa camera di consiglio, il collegio decide con sentenza
da depositare entro sessanta giorni (art. 275 c.p.c.),
Le parti possono chiedere la discussione orale innanzi al
collegio, in sede di conclusioni e al momento del deposito
della comparsa conclusionale, in tal caso le repliche sono
sostituite dalla discussione orale ad un udienza fissata.
Rimessione in caso di rito monocratico
Il giudice monocratico, sugli stessi presupposti, invita le
parti alla precisazione delle conclusioni e fissa i termini
per gli atti difensivi finali (art. 281 – quinquies c.p.c.) e
la sentenza viene depositata nei trenta gg successivi
all’ultimo dei termini; è prevista su istanza di parte una
discussione orale.
Ma secondo questo rito il giudice può invitare
direttamente le parti alla discussione orale o su
richiesta in un’udienza successiva, e all’esito
pronunciare sentenza “a verbale” ovvero trascritta sul
verbale come fosse un ordinanza (art. 281 . sexies)
Esiti
-
Art. 279.
Con sentenza il giudizio viene definito:
se decide per la sua carenza di giurisdizione;
se decide la mancanza di un presupposto
processuale;
se decide sulla esistenza di una questione
preliminare di merito;
se decide integralmente il merito
segue. rimessione sul ruolo
Art. 279 c.p.c.
Rimette sul ruolo con ordinanza:
- se ritiene insussistente la carenza del
presupposto processuale;
- o la questione preliminare di merito.
- Ma in questi casi emette sentenza non
definitiva, con la quale giudicato sulla
questione di rito o di merito.
segue
Rimette altresì sul ruolo (279 n. 5 c.p.c.):
- se separa due cause cumulate per ragioni di
economia o perché richiesto da tutte le parti,
decide alcune con sentenza parzialmente
definitiva (perché definitiva per quella
particolare cause in cui è dettata) e rimette in
istruttoria le altre.
L’ordinanza a chiusura dell’istruttoria
Ai sensi dell’art. 186-quater c.p.c., a seguito della
chiusura dell’istruttoria, in caso di condanna al
pagamento o alla consegna o al rilascio, su istanza
di parte, il giudice può dare il giudizio finale in
forma di ordinanza esecutiva e, solo su istanza
dell’altra parte che subisce la condanna, da
esprimere entro trenta giorni dalla
comunicazione della ordinanza, è tenuto a
pronunciarsi nelle forme della sentenza
(l’ordinanza diventa una sentenza anche se il
processo si estingue)
il giudizio di fatto
Il giudice conduce, liberamente apprezzando
le prove libere e vincolandosi alle risultanze di
quelle legali, il giudizio di fatto sulla regola
dell’onere della prova ex art 2697 c.c.:
- l’attore deve provare i fatti costitutivi;
- il convenuto i fatti che costituiscono
eccezione.
il giudizio di diritto
Il giudice giudicato traendo la regola dalle
fonti primarie e secondarie del diritto positivo
(art. 113, 1° comma, c.p.c.).
Eccezionalmente facendo uso della regola
equitativa (artt. 113, 2°comma e 114, c.p.c.):
- per legge: giudice di pace sotto la soglia di un
certo valore;
- per volontà delle parti in materia disponibile
equità
L’equità non deve intendersi come richiamo ad una
regola soggettiva ed arbitraria, ma ad una regola
oggettiva che il giudice trae dalla società civile come
migliore regolamentazione rispetto al caso concreto
(obbligo di motivazione delle ragioni di equità, art. 118,
2° comma, disp. att. c.p.c.).
Trattasi di equità che sostituisce la regola di diritto
positivo, non che la integra (l’uso dell’equità nella
determinazione del danno ex art 1226 c.c.), ché
quest’ultima perché richiamata dal diritto positivo.
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Lezione 9 bis – Il processo a cognizione piena di rito ordinario