1ª novella: Ciappelletto Giovanni Boccaccio (1313-1375), autore del Decameron Il Decameron è stato scritto nel 1348 durante il periodo della peste a Firenze da Giovanni Boccaccio, figlio di un mercante, questo lo ha influenzato molto sul modo di scrivere. Infatti i suoi personaggi hanno sempre a che fare con il mondo mercantile. il Decameron è una raccolta di 100 novelle scritte in prosa inserite dentro una "cornice" narrativa. L'opera si apre con la triste situazione di Firenze devastata dalla peste , 10 nobili giovani (Pampinea,Elissa,Lauretta,Neifile,Fiammetta,Filomena, Emilia,Panfilo,Filostrato e Dioneo)di età compresa tra i 18 e 28 anni , incontratisi per caso nella chiesa di Santa Maria Novella. Per sfuggire all'orrore della peste , decidono di recarsi per qualche giorno in campagna e di trascorrere il tempo passeggiando, cantando,scherzando e raccontando novelle. Viene deciso che ogni giorno venga eletto un re o regina , che deciderà lo svolgersi della giornata. La prima regina è Pampinea , la quale decide che ogni giorno alla stessa ora venga raccontata una novella a testa sul tema deciso dalla regina o re che sia. Il primo tema scelto e quello di aver la capacita di usare le parole per ribaltare situazioni, il primo ad iniziare è panfilo il quale inizia con la novella di Ciappelletto. Trama • Illustrazione di una ristampa inglese del Decameron (XVII Secolo circa) Musciatto Franzesi (un ricco mercante francese) doveva recarsi in Italia dal re, ma allo stesso tempo doveva riscuotere dei debiti da parte di alcuni clienti borgognoni, che però erano ladri e disonesti. L’unica persona che a Messer Franzesi venne in mente per riscuotere questi debiti era Ser Cepparello (o Ciappelletto), che di fama era ancora peggiore, ed era proprio per questo motivo che il mercante era sicuro che ce l’avrebbe fatta. Infatti Ciappelletto riuscì a riscuotere i soldi per conto di Musciatto, ma durante il viaggio di ritorno dalla Borgogna s’ammalò, e trovò rifugio presso due fratelli fiorentini. Essi fecero di tutto pur di curare Ciappelletto, non volendo che un uomo di così mala fama, perlopiù neanche assolto dai peccati, morisse sotto il loro tetto. Tuttavia, non potevano neanche cacciarlo di casa. Il terzo problema era un altro: nessun prete si sarebbe mai preso l’incarico di confessare un uomo così disgustoso come Ciappelletto, ma lo stesso convinse i due fratelli a mandargli un prete, e di farsi confessare inventandosi una vita da santo. Quando il prete arrivò per confessarlo, Ciappelletto iniziò subito a mentire riguardo alla sua vita, o più nello specifico, i peccati commessi, denunciando come orribili peccati insignificanti come lo sputare nella chiesa. Risultò talmente convincente che lo stesso confessore si sentì in qualche modo inferiore a Ciappelletto, tanto che alla sua morte non solo un’enorme folla di gente presenziò al funerale, ma lo stesso Ciappelletto venne riconosciuto e venerato come santo. Quindi non solo Ciappelletto era stato disonesto e malvagio in vita sua, ma s’era anche guadagnato il titolo di santo grazie alla sua astuzia. Ciappelletto • Franco Citti nel ruolo di Ser Ciappelletto, nel film di Pier Paolo Pasolini, “Il Decameron” (1971) • La figura di Ciappelletto è abbastanza controversa, nel Decameron. Il suo vero nome è infatti Sir Cepparello, francofonizzato in “Chapelet” a causa della permanenza dell’uomo in Francia. Ciappelletto è un uomo molto influente: non solo è un notaio (e di per sé un uomo con una certa rilevanza), ma possiede anche una fama di eccellente “riscossore”, e non certo in senso buono. Cepparello è infatti noto per essere un uomo assolutamente privo di scrupoli: fraudolento, bestemmiatore, volgare, omicida, ladro, bugiardo compulsivo, e in sintesi, citando, “l’uomo peggiore che sia mai esistito”. Totalmente irrispettoso, corrotto, volto solo al proprio guadagno personale. La vicenda di Ciappelletto narra di come sia riuscito a letteralmente gobbare un prete, facendosi non solo assolvere con la menzogna e l’inganno (o l’astuzia, a seconda dei punti di vista) da tutti i peccati (pure quelli che non aveva mai commesso), ma pure farsi venerare come un Santo. Tra l’altro, bisogna tenere conto della stessa mentalità di Boccaccio, da sempre molto critico della Chiesa. Basta fare un esempio: Ciappelletto, il protagonista, è un uomo assolutamente spregevole, mentre il suo confessore è un pio uomo di chiesa. Tuttavia, mano a mano che la novella procede, si ha come l’impressione che i ruoli si invertano: e infatti è così. Siccome Cepparello nella novella ammette i peccati più stupidi (no, davvero) che si possano mai immaginare (come lo sputare in chiesa), il confessore li liquida come bazzecole, sostenendo che i preti, e persino lui stesso li commette (ergo, pure lui ha sputato in una chiesa, il che è davvero strano a sentirsi), mano a mano il clericale appare sempre di più come il “vero” peccatore, fino a quasi auto convincersi che rispetto a se stesso, Ciappelletto è un uomo persino più pio di lui, degno di divenire un Santo onorato e riverito, tanta è l’abilità del notaio. Non solo, un dettaglio che attesta l’abilità di Cepparello di imbrogliare magistralmente praticamente chiunque è l’utilizzo da parte del prete del “tu” all’inizio della confessione, che mano a mano si trasforma in un rispettosissimo “voi”, come ad indicare che il confessore è rimasto sinceramente convinto e impressionato dalla “purezza” dell’uomo che, apparentemente, sarebbe dovuto essere ai suoi occhi comune plebaglia. Un altro elemento della novella da tenere in considerazione è, per l’appunto, il suo tema: l’utilizzo dell’astuzia per raggiungere i propri scopi. La novella in un certo senso esalta le qualità di Cepparello, pur facendoci molto presente della sua indole malvagia. Tuttavia Boccaccio pone implicitamente una questione: se grazie alla sua astuzia (o inganno, sempre a seconda dei punti di vista) sia effettivamente riuscito a farsi ammettere in Paradiso oppure no. E’ certo che in un modo o nell’altro, è stato capace di farsi venerare come un Santo, e un’impresa del genere è meritevole abbastanza da tenere la questione aperta. Che poi sia un uomo malvagio, questo è un altro paio di maniche.