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L’ emancipazione della borghesia rispetto alle precedenti forme politiche e sociali
ed il conseguente esempio di libertà
Due sono gli stadi di sviluppo della potenza economica della borghesia italiana
tipicamente rurale:
terriero
capitalistico-agrario
Le differenti condizioni economiche
determinano il divario tra la fisionomia delle più avanzate borghesie europee e
quella italiana
La borghesia riflette un secolo caratterizzato da una tendenza al mutamento, dall’
interna evoluzione delle compagini sociali e riassetto gerarchico della società
Ai mutamenti d’ordine ideologico, giuridico e politico corrisponde un mutamento
nel campo economico e sociale
Sviluppo tecnico-scientifico
GLI IDEALI DI LIBERTA’
• Gli ideali di libertà, di fratellanza e uguaglianza, elaborati dalla cultura del
XVIII sec e propagati dalla Rivoluzione francese, giungono a maturazione
nel XIX sec.
• La borghesia attua riforme per prevenire il pericolo di sussulti
rivoluzionari provenienti dal basso, pur sempre nell’ambito dei suoi
interessi
• La concezione della libertà assume tre aspetti:
- liberale: valori individuali a favore della libera iniziativa
- democratico: iniziativa rivoluzionaria in nome del popolo
- sociale: esigenza socialista in relazione allo sviluppo industriale
RIFLESSI
LETTERARI
• In Italia sono chiaramente individuabili due linee di forza: da
un lato il progressivo peso che man mano vanno acquistando
le organizzazioni proletarie e l’ideologia che le sostiene,
dall’altro gli interessi e gli orientamenti che invece tentano di
spingere in senso opposto la vita del paese e si concretizzano,
nella repressione poliziesca, come soluzione delle questioni
sociali.
RIFLESSI LETTERARI
POSITIVISMO
C’è una tendenza che si ricollega ad un’ ideologia progressista
fortemente nutrita di una volontà operativa di cambiamento
della società, e fiduciosa nella funzione liberatrice del
progresso scientifico. Le plebi meridionali, il lavoro minorile, l’
emigrazione, sono argomenti che sostengono una
rappresentazione veristica. Questa corrente approda o ad un’
amara presentazione di una dolente partecipazione ma nel
contempo di fatalistica rassegnazione (Verga), oppure ad un
atteggiamento tra il filantropico e il paternalistico.
RIFLESSI
LETTERARI
PSICOLOGICO
Di fronte alla tensione esistente nel paese, scaturita dall’assetto che la
borghesia liberale aveva dato allo stato, ecco che in letteratura si
verificano “uno spostamento di interessi dal terreno storico-sociale allo
psicologico-individuale e l’abbandono di ogni accenno di protesta
avanzata a nome e per conto delle classi popolari”(V.Spinazzola).
Derivano da ciò uno sradicamento del concreto tessuto della vita
nazionale, o un morboso acutizzarsi della solitudine o dei sogni di bellezza
dell’artista, un atteggiamento di difesa, che poi era quello della classe
dominante conservatrice.
RIFLESSI
LETTERARI
NAZIONALISMO
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L’artista rimane sì in un terreno storico, ma sceglie una componente fatta
di antiparlamentarismo, di vocazione repressiva delle forze popolari, di
sogni nazionalistici. Nel 1896 esce il Mazzocco che diventa il centro di
raccolta di intellettuali nazionalisti che proclamano come valori:
La nazione e la bellezza
L’esaltazione della grandezza della patria
L’affermazione individualistica di pochi eletti
Giovanni Verga
• Tutti i personaggi verghiani
sono dominati dalla “roba”
e ogni scala sociale dal
meccanismo della “lotta
per la vita”
• Seconda fase della ricerca
verista: scomparsa degli
elementi romantici
• Analisi della dimensione
collettiva nelle sue
dinamiche sociali ed
economiche
• Bronte, 1860, in occasione della spedizione dei Mille di Garibaldi
• I fatti di Bronte costituirono la risposta più immediata e popolare al
proclama garibaldino di Marsala che invitava alla rivolta antiborbonica
• Libertà non significava monarchia costituzionale ma si identificava con il
pane e il possesso della terra
• Il racconto si divide in tre momenti: 1. sanguinosa rivolta
2. arrivo di Nino Bixio e dei garibaldini
che fucilano gli insorti
3. ritorno della situazione alla
precedente condizione
• La rivolta popolare è descritta con
violenta carica espressiva
• La ribellione è presentata come
forza naturale: di qui le immagini
“come il mare in tempesta”, “la
folla spumeggiava e ondeggiava”,
“un mare di berrette bianche”, “il
torrente gli passò di sopra”
• Nella seconda parte il registro
linguistico cambia: da un tono
drammatico ad uno distaccato e
oggettivo
• Nella terza parte pietà e ironia si
alternano
• Il motivo sociale alla base della novella, la contraddizione di classe nelle
campagne durante il processo risorgimentale, fu scelto dall’autore sia per
ragioni artistiche che personali
• Verga si era formato nel mito di Garibaldi, di Bixio, dell’unità d’Italia,
motivo per cui egli avvolge la figura di Bixio in un’aria mitica
• La conclusione della novella insiste sull’impossibilità di mutar stato e
sull’assurdità delle rivoluzioni (“Tutti in paese erano tornati a fare quello
che facevano prima”)
Ideologia politica
conservatrice
Filosofia ispirata
ai principi del
“darwinismo
sociale”
Nino Bixio
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Nell’ottica del pessimismo
materialistico verghiano, ogni
aspirazione al cambiamento nasce
da fattori puramente egoistici e
utilitaristici
L’ ideologia politica di Verga lo
induce ad una conclusione che
ricalca la morale dell’apologo di
Menenio Agrippa: “ I galantuomini
non potevano lavorare le loro terre
con le proprie mani e la povera
gente non poteva vivere senza i
galantuomini. Fecero la pace”
Non c’è un’idea di storia come
progresso né uno sviluppo
determinato dal conflitto di classe
• Non c’è spazio per la solidarietà di
classe
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« Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. »
(Tancredi, nipote del Principe Fabrizio).
Scritto tra la fine del 1954 e il 1957 il
Gattopardo
venne
pubblicato
postumo nel 1958.
Nella stesura del suo romanzo
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
trasse ispirazione dalle vicende della
sua antica famiglia in particolare
dalla vita del suo bisnonno, il Principe
Giulio Fabrizio Tomasi Di Lampedusa.
Giuseppe Tomasi Di
Lampedusa
Maggio 1860: i garibaldini sbarcano in Sicilia. C’è fermento nell’isola: la nobiltà ha
presentimenti di rovina e la borghesia faccendiera si prepara ad appropriarsi delle
sue spoglie. Don Fabrizio, principe di Salina, attende la rovina della propria classe e
della propria famiglia senza reagire: pur non amando il nuovo, sa che il vecchio
non può sopravvivere e in cuor suo approva il pensiero del nipote Tancredi,
convinto che per far rimanere tutto com’è bisogna che tutto cambi. Il principe
lascia inoltre che Tancredi sposi Angelica, figlia di Calogero Sedàra, un borghese di
nobili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito ed ha fatto carriera in campo
politico. Quanto a sé , è un’altra faccenda. All’inviato di Torino, Chevalley, che gli
offre un seggio al Senato, Don Fabrizio risponde proponendo in sua vece Calogero
Sedàra. Disincantato di tutto attende soltanto la morte. La sua casta non gli
sopravvivrà a lungo.
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Nel romanzo l’autore descrive la caduta della famiglia Salina e di un intero ceto e la
conseguente persa di potere della borghesia.
“Carissimo Guido, [...] ho scritto un romanzo [...] Immagino che il libro ti piacerà:
esso è di argomento storico: senza rivelare nulla di sensazionale cerca di
indagare le reazioni sentimentali e politiche di un nobiluomo siciliano alla
spedizione dei Mille e alla caduta del regno borbonico. Il protagonista è il
Principe di Salina, tenue travestimento del principe di Lampedusa mio bisnonno.
E gli amici che lo hanno letto dicono che il Principe di Salina rassomiglia
maledettamente a me stesso. Ne sono lusingato perché è un simpaticone. Tutto il
libro è ironico, amaro e non privo di cattiveria. Bisogna leggerlo con grande
attenzione perché ogni parola è pesata ed ogni episodio ha un senso nascosto.
Tutti ne escono male: il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i
liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860.[....]” 31 marzo 1956
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il plebiscito a Donnafugata e il colloquio tra Fabrizio e Chevalley sono due degli
episodi più importanti del romanzo
Prima di esprimere il loro voto riguardo l’annessione della Sicilia al Regno di Italia,
molti cittadini chiedono un parere a Don Fabrizio, che suggerisce loro di votare
“si”. Questa indicazione è coerente con le convinzioni maturatesi nel principe circa
la necessità di non opporsi al nuovo regime. Tuttavia il suo suggerimento non è
ben accolto dai siciliani che preferiscono “un male già noto a un bene non
sperimentato”. In ogni modo qualsiasi tentativo di opporsi all’annessione della
Sicilia sarebbe stato vano infatti tutti voti negativi verranno annullati da Don
Calogero.
Dal dialogo con Chevalley, risulta evidente che il Principe ha un’idea “decadente”
della Sicilia e dei Siciliani: la Sicilia è destinata a rimanere così com’è senza che in
essa si possano verificare cambiamenti. “I Siciliani non vorranno mai migliorare
per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte
della loro miseria …”
• L’idea di decadenza espressa nel romanzo è riconducibile ad una frase
pensata ma non detta, dal Principe una volta concluso il suo incontro con
Chevalley (momento in cui il pessimismo di Fabrizio raggiunge il suo
apice): “Tutto questo non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il
sempre umano, beninteso, un secolo, due secoli ...; e dopo sarà diverso,
ma peggiore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno
saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e
pecore continueremo a crederci il sale della terra”.
• La frase fa riferimento al fatto che al declino dei Salina
succederanno persone di minor rango, di più infima
levatura sociale e morale (sciacalletti, pecore..) per i
quali i Salina (Leoni) rimarranno sempre una meta
inarrivabile.
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Per quanto riguarda la figura del Principe, questi non crede che l’impresa dei mille
possa modificare la sua vita ; un cambio di re significherebbe soltanto: “dialetto
torinese invece che napoletano”, è consapevole del fatto che il “diverso” che si
affaccia all’orizzonte, non è affatto per le persone come lui, ma per individui
“nuovi”, avidi di potere e di rivincita come Sedara. Si rende conto che la nuova
classe dirigente non sarà migliore della vecchia e che, nella sostanza, la situazione
non cambierà. In definitiva l’unica cosa che vede come certa è che alla monarchia
borbonica succederà “Il Piemontese, il cosiddetto galantuomo che fa tanto
chiasso nella sua piccola capitale fuor di mano.”
Da tali convinzioni derivano la profonda tristezza del principe e la tendenza a
sentire profondamente l’approssimarsi della sua fine, come se fosse sospinto a tali
pensieri dal disfacimento ineluttabile di tutte le cose nelle quali ha sempre
creduto; infatti il principe, notoriamente di indole pigra e fatalistica, nelle pagine
finali del romanzo, emerge come ieratica figura: “signore dammi la forza e il
coraggio di guardare il mio cuore e il mio corpo senza vergogna”.
• Nel 1963 Luchino Visconti,
traendo ispirazione dal romanzo Il
Gattopardo di Tomasi Di
Lampedusa diresse l’omonimo
film, vincitore della palma d’oro
come miglior film al 16° Festival
di Cannes.
Autore: Ippolito Nievo
(1831-1861)
Lingua originale:
italiano
Data di pubblicazione:
1867 con il titolo
"Confessioni di un
ottuagenario"
Genere: romanzo
storico
Epoca: vicende italiane
della fine del Settecento
• Romanzo storico oppure psicologico? Storia umana o
politica? Lento processo di vita oppure crescita di
idee sulla Nazione? Le Confessioni di un italiano sono
state scritte in nove mesi o poco meno, dal dicembre
1857 al settembre 1858. Apparentemente ci sono gli
ingredienti del romanzo storico (castello, guerra,
nazione), ma in realtà ciascuno di questi elementi ha
segni di incertezza. La storia narra le vicende di Carlo
Altoviti, un antieroe, un picaro del Risorgimento che
vive le sue esperienze fra errori, attraverso
un’esistenza in balia del caso; egli osserva come il
regionalismo estremo del Friuli si dilata verso il senso
della vera Unità nazionale
• Nievo impone nelle Confessioni i problemi del mondo
contadino. Dal suo incontro con le campagne friulane e
mantovane, nasce il lui un rapporto vitale fra lingua e dialetto,
un gusto di mescolare gli idiomi, cadenze, come se, anche la
lingua italiana fosse in una veloce maturazione ed evoluzione
e facesse parte anch’essa di una “storia” nazionale. L’unità del
romanzo sta in questa sintesi fra privata narrazione e giudizio
storico, fra lingua italiana e inflessioni venete e friulane, fra
ricordo del passato e attesa per il futuro, fra tradizioni e il
lento crescere di una famiglia italiana nazionale
• “Io nacqui Veneziano ai 18 Ottobre del 1775, giorno
dell’Evangelista San Luca, e morrò per la grazia di Dio
Italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa
misteriosamente il mondo”
• Nevio riconosceva una funzionalità pedagogica nel culto divino
presso le masse; nelle campagne poteva ancora esistere un
cristianesimo evangelico e innovatore che, senza facili
paternalismi alla Manzoni, avrebbe sostenuto il faticoso
cammino dei contadini verso un riscatto politico e sociale.
• Come De Amicis, così anche Nievo, intendeva scrivere un’opera
per l’edificazione nazionale, un libro utile ai giovani e volto alla
diffusione di buoni principi morali: è proprio a quest’intento che
va riportata la scelta di una voce narrante come quella di Carlo
Altoviti, così autorevole e ricca di esperienza; ma l’esito è assai
ben diverso da quello di Cuore. La formazione del buon cittadino
si intreccia con il cammino della formazione individuale,
soggetta a turbamenti interiori, illogicità, eccessi; per questo
l’ottuagenario, mentre ripercorre le tappe della sua vita, pare
incrinarsi e perdere l’oggettività
• Le confessioni rappresentano una via alternativa al romanzo
rimasta poco frequentata in Italia, almeno fino al Novecento:
quella del viaggio interiore, della scoperta del mondo che è
anche scoperta di sé.
• Nell’ultima rubrica il protagonista si congeda dal pubblico:
“Dopo tanti errori, tante disgrazie, la pace della coscienza mi
rende dolce la vecchiaia, e fra i miei figli e i miei nipotini,
benedico l’eterna giustizia che m’ha fatto testimone ed
autore di un bel capitolo di storia”
FRANCESCA MARTINI
FEDERICA ZANOBBI
ELEONORA AVITABILE
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