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Venerdì 19 Febbraio 2010 16:29 carmela
Condannato RSPP per infortunio a lavoratore (Sentenza Cassazione
penale 15 gennaio 2010, n. 1834)
Al centro della presente sentenza si colloca un ingegnere responsabile
del servizio di protezione e prevenzione per designazione ricevuta dal
titolare di una s.p.a., condannato per il delitto di lesioni colpose gravi in
danno di un operaio-dipendente che nell’effettuare di notte “in assenza
di luce artificiale e di cinture di sicurezza le operazioni di
posizionamento dei ganci di un carrello elevatore all'estremità di un
tubo metallico per gasdotto sovrapposto ad altri in quinta fila perdeva
l'equilibrio, precipitando da un'altezza di m. 3,15 dal suolo”.
Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva che “la designazione -ai
sensi dell'art. 4, comma 4, lettera a), D.Lgs. n. 626/1994 [ripreso
dall’art. 17, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008]- dell’imputato quale
responsabile del servizio prevenzione e protezione ha posto quest'ultimo
in una specifica posizione nei confronti dei beneficiari delle norme
antinfortunistiche, competendogli l'osservanza dei compiti
dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 [ripreso dall’art. 33
D.Lgs. n. 81/2008], e, tra essi, l'obbligo dell'individuazione dei fattori
di rischio e delle misure di prevenzione da adottare”.
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Ne desume che, “nel fare ciò, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione opera per
conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di
garanzia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le
misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui
in base all'art. 4, commi 1, 2 e 6 del D.Lgs. n. 626/1994 [ora artt. 17, comma 1, lettera a), 28 e 29
D.Lgs. n. 81/2008], tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a
carico del responsabile del servizio, mentre punisce il datore di lavoro per non avere valutato
correttamente i rischi”.
Insegna che “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri
termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi
e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore
dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro
che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo delle eventuali negligenze
del consulente è chiamato comunque a rispondere”, e che “il soggetto designato
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di
garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere
ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente
riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e
segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione
avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative
idonee a neutralizzare detta situazione”.
Critica, pertanto, l’assunto difensivo “secondo cui nulla avrebbe potuto fare l’imputato per
eliminare i rischi connessi alla movimentazione dei tubi, giacchè il rischio di caduta da una catasta
di essi non era preventivabile, in quanto la manovra di aggancio non comportava la salita sui tubi e
nessuna segnalazione di rischi del genere era stata a lui comunicata”.
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E spiega che un tale assunto muove “da un'interpretazione del disposto del D.Lgs. n. 626/1994, art. 9 [ora art. 33
D.Lgs. n. 81/2008] e, più in generale, delle regole che presidiano la responsabilità per condotta omissiva in materia
di infortuni sul lavoro, assolutamente non condivisibile”, poiché “l'opzione esegetica sottesa postula invero che,
laddove non vi siano poteri di amministrazione attiva in materia di adeguamento dei luoghi di lavoro, e
segnatamente di intervento e di spesa, non possa, perciò solo, esservi responsabilità per colpa in connessione al
verificarsi di un infortunio, laddove, salvo verifiche della situazione fattuale determinatasi in concreto, può al
più essere vero il contrario”.
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Chiarisce ancora, con particolare riguardo alle funzioni riservate al responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, che “l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale
non
esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e
segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle
procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare
un'omissione ‘sensibile’ tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a
una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio”.
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Aggiunge che, “considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antifortunistico, con
la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire
con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo
assuma le iniziative idonee a neutralizzarla”.
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Ciò precisato, la Sez. IV prende atto che “la movimentazione dei tubi costituiva una fase antecedente, ma
imprescindibile, al loro avvio nelle linee di lavorazione interne al capannone industriale della azienda”, e che
l’imputato, “per la qualifica rivestita, non poteva ignorare, appunto
perché prodromica al ciclo di lavorazione e ripetuta costantemente, i
rischi connessi alla fase di movimentazione, specie qualora il
prelievo riguardava una catasta di tubi che poneva il superiore ad
un'altezza da terra tale da costituire una potenziale situazione di
pericolo per l'incolumità degli operai addetti alla movimentazione”.
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Costanzo Garofolo
Collaboratore tecnico – RSPP presso l’Ufficio Tecnico Territoriale
Armamenti Terresti di Nettuno (Ministero della Difesa)
Il 15.02.1996 comunico al Direttore dell’Ente (datore di lavoro) la mia
rinuncia all’incarico di Capo del Centro di Sicurezza Antinfortunistica
Locale ….
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Il 7.11.1996 presento una ennesima e motivata rinuncia all’incarico …….
In data 22.04.2002 al dipendente armaiolo Origlia accade un infortunio
durante una attività balistica in batteria di tiro. A seguito di ciò vi è una
ispezione da parte della DPL di Roma la quale conclude che le sanzioni
previste sono a carico del datore di lavoro, del dirigente (direttore del
tiro) e del lavoratore.
Invece, in data 14.09.2007, il sottoscritto senza aver ricevuto alcuna
comunicazione del procedimento penale in corso, riceve una notifica di
decreto penale di condanna.
Costanzo Garofolo
RSPP UTTAT Nettuno
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Condannato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione
per non aver segnalato una situazione di pericolo che ha portato ad un
infortunio mortale
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Si fa strada la “colpa professionale” e la “colpa tecnica” del
RSPP: Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 15226 del 17
aprile 2007
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Sempre più spesso la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi
sulla responsabilità penale del RSPP e, come si prevedeva, dopo
l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 195/2003 sulla formazione e sulla
qualificazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione
e protezione con questa sentenza, nella quale la stessa Corte di
Cassazione affronta per la prima volta il rapporto fra l’art. 9 del D.
Lgs. n. 626/1994 sui compiti del SPP ed i reati di omicidio e di lesioni
colpose di cui agli art. 589 e 590 c. p. e con la quale un RSPP è stato
condannato assieme al datore di lavoro per non aver segnalato un
pericolo che ha portato all’infortunio di una lavoratrice, si fa strada la
“colpa professionale” e la “colpa tecnica” del RSPP, le quali si
affiancano alla “colpa generica” del datore di lavoro nel caso in cui
un infortunio sul lavoro sia derivato da una carenza di misura di
sicurezza e sia legato a delle violazioni alla normativa in materia di
sicurezza sul lavoro.
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Il caso all’esame riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice dipendente di una ditta alla
quale erano stati appaltati i servizi di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti
all’interno di un ospedale. In particolare la lavoratrice che si era introdotta nella cabina di un ascensore
assieme ad un carrello portavivande, essendo il carrello finito nel corso della discesa contro una
sporgenza del muro, era rimasta violentemente schiacciata dal carrello stesso contro la parete decedendo
per asfissia.
Dell’accaduto erano stati originariamente chiamati a rispondere, oltre al datore di lavoro
dell’infortunata, il direttore generale e il responsabile di zona della AUSL nonché il responsabile
dell’ospedale ed il RSPP del presidio ospedaliero ma solo questi due ultimi venivano condannati per il
reato di omicidio colposo.
La Corte di Cassazione ha ribadito che l’assenza di una capacità immediatamente operativa da parte
del RSPP nella struttura aziendale non esclude che una eventuale inottemperanza allo svolgimento dei
compiti di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 ed in particolare una mancata individuazione e
segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni, una mancata elaborazione delle procedure di
sicurezza nonché una mancata informazione e formazione dei lavoratori possa costituire una omissione
rilevante ai fini della individuazione della responsabilità penale tutte le volte in cui un sinistro sia
oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio e ciò
specie in considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dall’art. 7 dello stesso D. Lgs. n.
626/1994, il datore di lavoro committente risponde anche dei rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i
dipendenti della ditta appaltatrice.
Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva avuto modo, con la sentenza della sez. IV n. 41947 del
21 dicembre 2006 Ric. Pittarello e altro, in questa stessa rubrica, di condannare un RSPP sostenendo che,
pur essendo questi un semplice ausiliario del datore di lavoro e privo di un effettivo potere decisionale,
potesse essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività
allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato
un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il
datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale. I
l RSPP, infatti, ha sostenuto la suprema Corte risponde insieme al datore di lavoro di
un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione
essendo a lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che può assumere anche un
carattere addirittura esclusivo.
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In passato più volte la giurisprudenza aveva considerata quella del RSPP come una figura integrativa e strumentale del datore di lavoro ed avulsa da responsabilità penali, così come
è possibile leggere in alcune sentenze riportate di seguito in questa stessa rubrica, ma ora sembra riscontrarsi nelle decisioni della Corte di Cassazione una sorta di ripercussione
della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 15 novembre 2001 e della conseguente emanazione del D. Lgs. n. 195/2003 con il quale, su espresso indirizzo della
Comunità europea, è stata introdotta in Italia la specifica qualifica professionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
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Il caso all’esame riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice dipendente di una ditta alla quale erano stati appaltati i servizi di confezionamento e di gestione dei
carrelli contenenti i pasti all’interno di un ospedale. In particolare la lavoratrice che si era introdotta nella cabina di un ascensore assieme ad un carrello portavivande, essendo il
carrello finito nel corso della discesa contro una sporgenza del muro, era rimasta violentemente schiacciata dal carrello stesso contro la parete decedendo per asfissia.
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Dell’accaduto erano stati originariamente chiamati a rispondere, oltre al datore di lavoro dell’infortunata, il direttore generale e il responsabile di zona della AUSL nonché il
responsabile dell’ospedale ed il RSPP del presidio ospedaliero ma solo questi due ultimi venivano condannati per il reato di omicidio colposo.
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Il RSPP ha inteso far ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo alla stessa l’annullamento della condanna e sostenendo che, nella sua qualità di responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, era privo dei poteri di decisione e di spesa in materia antinfortunistica. La suprema Corte ha però rigettato il ricorso stesso confermando quando già
asserito dal Giudice di merito il quale aveva ritenuto non rilevante il mancato potere di decisione e di spesa e che tale mancanza non escludeva comunque il potere dovere del RSPP
di segnalare la situazione di pericolo ai soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento. Irrilevante veniva anche ritenuto dai Giudici di legittimità il fatto, asserito dal
RSPP, che una segnalazione dello stesso sulla pericolosità dell’ascensore sarebbe stata in ogni caso inutile, perché la pericolosità era ben nota al datore di lavoro tanto da essere
stata evidenziata attraverso l’affissione di un cartello alle cui disposizioni la lavoratrice infortunata non si era attenuta.
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La Corte di Cassazione ha ribadito che l’assenza di una capacità immediatamente operativa da parte del RSPP nella struttura aziendale non esclude che una eventuale
inottemperanza allo svolgimento dei compiti di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 ed in particolare una mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle
lavorazioni, una mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché una mancata informazione e formazione dei lavoratori possa costituire una omissione rilevante ai fini
della individuazione della responsabilità penale tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio e
ciò specie in considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dall’art. 7 dello stesso D. Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro committente risponde anche dei rischi delle
lavorazioni cui vanno incontro i dipendenti della ditta appaltatrice.
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La suprema Corte ha osservato, inoltre, che l’assenza nel D. Lgs. n. 626/1994 di una sanzione penale a carico del RSPP non impedisce che questi possa essere chiamato a
rispondere per il mancato svolgimento delle proprie funzioni indicate nell’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994, il quale dispone che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi
professionali ha l’obbligo di provvedere, tra l’altro, «all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità
degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale», nonché ad elaborare le misure preventive e
protettive, i sistemi di protezione individuale e le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Assumere che il RSPP non possa essere chiamato a rispondere di delitti
colposi contro la vita e l’incolumità, sostiene ancora la Corte, equivale alla negazione dell’esistenza di un obbligo giuridicamente rilevante considerato che il D. Lgs. 626/1994 ha
voluto individuare nel sistema prevenzionistico aziendale un soggetto, il RSPP, incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di
lavoro affinché questi, informato di una situazione di pericolo, potesse intraprendere le iniziative idonee a neutralizzarla.
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Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva avuto modo, con la sentenza della sez. IV n. 41947 del 21 dicembre 2006 Ric. Pittarello e altro, in questa stessa rubrica, di
condannare un RSPP sostenendo che, pur essendo questi un semplice ausiliario del datore di lavoro e privo di un effettivo potere decisionale, potesse essere chiamato a rispondere,
anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un
suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale. Il
RSPP, infatti, ha sostenuto la suprema Corte risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione essendo a
lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.
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CONDANNATI A SEGUITO DI UN INFORTUNIO SUL LAVORO OCCORSO
AD UN LAVORATORE DIPENDENTE SIA IL DATORE DI LAVORO CHE IL
RSPP. RIGETTATO DALLA CASSAZIONE IL RICORSO DEL RSPP CHE
SOSTENEVA DI NON AVER ACCETTATO L’INCARICO BENCHE’ IL
DATORE DI LAVORO AVESSE COMUNICATA LA NOMINA AGLI ORGANI
DI VIGILANZA COMPETENTI E TRASMESSO IL SUO CURRICULUM
FIRMATO IN CALCE.
Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza n. 41943 del 21 dicembre
2006 (u.p. 4 ottobre 2006) – Pres. Marini – Est. Campanaio – Ric.
Lestingi e altro.
Ancora al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione la
figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
di cui all’art 8 del D. Lgs. n. 626/1994. E’ una sentenza di
notevole importanza questa in quanto viene a supporto delle
considerazioni più volte espresse in merito alle maggiori
responsabilità professionali che si fanno derivare a carico delle
figure dei responsabili e degli addetti dei servizi di prevenzione e
protezione a seguito della applicazione del D. Lgs. n. 195/2003
sulla loro formazione, sulle capacità e sui requisiti professionali
agli stessi oggi richiesti.
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Il caso posto all’esame della Corte Suprema riguarda l’infortunio occorso ad un
autista che in un cantiere edile, nel quale era in corso l’attività di posa di cavi
elettrici in uno scavo della lunghezza di circa quattro metri e recintato con una
retina sostenuta da bacchette di ferro, mentre scendeva da un camion perdeva
l’equilibrio e finiva con le parti basse del corpo su uno di questi tondini che si
infiggeva nella natica sinistra in regione perianale. Ricoverato in Ospedale venivano
praticate all’infortunato delle suture per le ferite riportate ma dopo qualche
giorno a seguito di complicazioni legate ad una infezione cancrenosa lo stesso
decedeva.
Per l’accaduto venivano processati dal Tribunale di Bari per violazioni a norme antinfortunistiche e
per omicidio colposo e condannati alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al
risarcimento del danno alle parti civili, sia il legale rappresentate della società per la quale
lavorava l’infortunato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione nominato dallo
stesso ai sensi dell’art. 4 ed 8 del D. Lgs. n. 626/1994. Entrambi venivano accusati di aver posto in
opera una recinzione dello scavo pericolosa in quanto costituita da una reticella sorretta da
tondini alti circa un metro, normalmente utilizzati per armare il cemento, i quali, tra l’altro,
erano privi di protezione a tappo, oltre che in parte arrugginiti, venendo così a costituire in
sostanza dei veri e propri “offendicula” sia per i lavoratori che per i terzi.
Il Tribunale di Bari ha sostenuto in merito alla figura del datore di lavoro che “nel momento che
sceglie un professionista e lo designa come responsabile della sicurezza non si libera dalle
conseguenze connesse alla sua posizione di garanzia se non sceglie un professionista idoneo, non
elabora assieme a questi un piano di sicurezza, non gli mette a disposizione i mezzi necessari per
attuarlo e non vigila su tale attuazione” ed a carico del responsabile del servizio di prevenzione
che “deve essere capace, deve predisporre il piano di sicurezza, deve richiedere ed ottenere
dall’imprenditore i mezzi per attuarlo e non deve mettere in atto condotte elusive, impedendo la
vigilanza del titolare delegante”.
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Il caso posto all’esame della Corte Suprema riguarda l’infortunio occorso ad un autista che in un cantiere edile, nel quale era in corso l’attività di
posa di cavi elettrici in uno scavo della lunghezza di circa quattro metri e recintato con una retina sostenuta da bacchette di ferro, mentre
scendeva da un camion perdeva l’equilibrio e finiva con le parti basse del corpo su uno di questi tondini che si infiggeva nella natica sinistra in
regione perianale. Ricoverato in Ospedale venivano praticate all’infortunato delle suture per le ferite riportate ma dopo qualche giorno a seguito di
complicazioni legate ad una infezione cancrenosa lo stesso decedeva.
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Per l’accaduto venivano processati dal Tribunale di Bari per violazioni a norme antinfortunistiche e per omicidio colposo e condannati alla pena di
un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno alle parti civili, sia il legale rappresentate della società per la quale lavorava
l’infortunato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione nominato dallo stesso ai sensi dell’art. 4 ed 8 del D. Lgs. n. 626/1994.
Entrambi venivano accusati di aver posto in opera una recinzione dello scavo pericolosa in quanto costituita da una reticella sorretta da tondini alti
circa un metro, normalmente utilizzati per armare il cemento, i quali, tra l’altro, erano privi di protezione a tappo, oltre che in parte arrugginiti,
venendo così a costituire in sostanza dei veri e propri “offendicula” sia per i lavoratori che per i terzi.
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Il Tribunale di Bari ha sostenuto in merito alla figura del datore di lavoro che “nel momento che sceglie un professionista e lo designa come
responsabile della sicurezza non si libera dalle conseguenze connesse alla sua posizione di garanzia se non sceglie un professionista idoneo, non
elabora assieme a questi un piano di sicurezza, non gli mette a disposizione i mezzi necessari per attuarlo e non vigila su tale attuazione” ed a
carico del responsabile del servizio di prevenzione che “deve essere capace, deve predisporre il piano di sicurezza, deve richiedere ed ottenere
dall’imprenditore i mezzi per attuarlo e non deve mettere in atto condotte elusive, impedendo la vigilanza del titolare delegante”.
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Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso dapprima alla Corte di Appello di Bari e poi alla Corte di Cassazione adducendo il primo, quale motivo a
sua discolpa, di aver regolarmene nominato e comunicato sia all’Ispettorato del Lavoro che alla Asl competente per territorio il nominativo del
Rspp lamentando altresì che il giudice di appello, pur avendo affermato la colpevolezza di quest’ultimo, non aveva sollevato il datore dì lavoro
dalle responsabilità inerenti alla sua posizione di garanzia. Il RSPP, dal canto suo, ha sostenuto invece di non aver mai assunto la posizione di
delegato alla sicurezza non essendogli mai stato comunicato l’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di non aver mai
accettato sostanzialmente l’incarico stesso. Quest’ultimo, a sua difesa e con memoria aggiuntiva, ammetteva inoltre di avere firmato il curriculum
(circostanza che aveva però negata in ricorso) ma affermava di “avere sconosciuto la circostanza che lo stesso sarebbe servito alla società per
designarlo come responsabile della prevenzione e che pertanto la firma apposta non corrispondeva alla coscienza e volontà di accettare tale ruolo”
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Nel rigettare il ricorso, così come richiesto dal Procuratore Generale, la Sez. IV della Corte di Cassazione ha confermata la condanna di entrambi
gli imputati sostenendo che agli stessi siano addebitabili le omissioni loro contestate e che poi hanno reso insicuro il cantiere dove lavorava
l’infortunato. La stessa Sez. IV ha altresì sottolineato che “se la protezione fosse stata eseguita a regola d’arte e soprattutto se non fosse stato
utilizzato materiale arrugginito ed appuntito, l’incidente non si sarebbe verificato e che pertanto era questa presenza pericolosa, inidonea ad ogni
effetto ed insidiosa, che radicava la responsabilità del datore di lavoro e del preposto alla sicurezza” e che inoltre “la rete posta a delimitazione
dello scavo era assolutamente inidonea ed essa stessa un grave pericolo presentando dei tondini “rizzati come tante baionette”.
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La Corte di Cassazione ha inoltre precisato che “correttamente e secondo i principi più volte affermati da questa Corte entrambi i giudici di merito
hanno affermato che la delega delle funzioni non solleva da responsabilità il datore di lavoro se questi non conferisce l’incarico a persona idonea,
non gli fornisce i mezzi per approntare e attuare il piano di sicurezza e non sorvegli che ciò sia predisposto”.
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Per quanto riguarda poi la posizione del RSPP la Sezione IV della Corte di Cassazione ha posto in evidenza che il datore di lavoro nel comunicare agi
organi competenti la sua nomina inviava anche un curriculum firmato dallo stesso RSPP ed ha precisato inoltre che “nonostante le diverse
affermazioni dello predetto l’apprestamento di tale documento e la sottoscrizione non poteva che significare l’accettazione dell’incarico” e che
per di più “nello stesso curriculum l’imputato dichiarava di svolgere già per l’azienda il compito di addetto alla sicurezza”.
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Responsabilità del legale rappresentante di una s.r.l., e, quindi, quale datore di lavoro, per aver fatto utilizzare
al proprio dipendente C.C. in un percorso in salita, un rullo compattatore, senza che il mezzo fosse dotato di
misure che ne garantissero il pronto ed automatico arresto qualora la leva del cambio fosse mandata in folle, di
tal che il guidatore, in data 10.05.2000, posizionando in folle la leva per cambiare marcia, provocava lo
scollegamento della trasmissione idraulica dal motore. In conseguenza dì ciò il rullo iniziava a retrocedere, con
velocità sempre crescente, capovolgendosi e schiacciando il C., che decedeva.
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Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.
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La Suprema Corte afferma che il profilo di colpa evidenziato a carico dell'imputato, e rimasto provato, è
rappresentato dal fatto d'aver messo a disposizione del C. una macchina che presentava un rischio intrinseco
molto elevato: quello di non essere più governabile se, in un percorso inclinato, per una qualunque ragione
(rottura meccanica od errata manovra del conduttore) si fosse verificato -come appunto è accaduto nel caso di
specie - lo scollegamento della trasmissione dal motore con messa in folle del mezzo.
"A carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al d.P.R. 547/1955 (art.391-392-6 ) e di quella
generale in materia di sicurezza aziendale (art.4 D.L.G.S. 626/1994) ed anche in riferimento alla norma cd. "di
chiusura del sistema" ex art. 2087 C.C., sussiste un obbligo di predisporre le misure idonee a rendere sicuro
l'espletamento dell'attività lavorativa dei dipendenti ed il controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori
delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è
costituito garante dell'incolumità fisica del prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non
ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo
reattivo previsto dall'art. 40 C.P.P. comma 2."
Quanto all'eccepita insussistenza del nesso causale la critica risulta infondata.
"E' indubbio, essendo dato pacificamente acquisito, che il capovolgimento del compattatore, con il conseguente
schiacciamento del C. che lo guidava, è stato determinato dalla sua ingovernabilità per il disinserimento del
freno motore e, quindi, per la eccessiva velocità raggiunta dal mezzo in discesa ripida.
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Responsabilità del datore di lavoro e del RSPP di una spa per un infortunio occorso ad un dipendente. L'addebito
era basato sull'omesso posizionamento della griglia di protezione di una macchina assemblatrice dei profilati di
alluminio.
Tale omissione aveva posto le cause dell'infortunio, giacché il lavoratore infortunatosi, mentre era addetto al
taglio termico dei profilati di alluminio, nell'accompagnare il profilo con la mano destra per farlo entrare nella
macchina, subiva il "risucchiamento" dell'arto all'interno del macchinario.
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Condannati, ricorrono in Cassazione - Inammissibile.
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Innanzitutto, afferma la Corte, con riferimento ai primi due motivi, in modo soddisfacente e correttamente la
Corte di merito ha esclusa l'abnormità del comportamento del lavoratore.
In caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne
discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p., comma 2), la legittima aspettativa della diligenza
del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa,
impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in
condizioni di pericolo
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Non può trovare accoglimento inoltre il motivo basato sulla pretesa sussistenza di una delega implicita in favore
del RSPP.
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Responsabilità del legale rappresentante di una srl per infortunio in danno di un
lavoratore dipendente che subiva l'amputazione del terzo e quarto dito della
mano sinistra: la colpa veniva individuata, oltre che sui profili di colpa generica,
anche sull'inosservanza all'obbligo cautelare specifico di dotare la macchina ove
si era verificato l'infortunio di adeguata protezione della catena di trasmissione e
degli ingranaggi: per l'effetto, proprio in ragione di tale carente protezione, il
lavoratore, intento a raccogliere un attrezzo, rimaneva impigliato, con la mano,
negli ingranaggi, subendo le lesioni contestate.
Ricorso in Cassazione - Inammissibile
La Corte afferma che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può
spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che
si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia
antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità
unicamente nei casi in cui sia provata l'"abnormità" del comportamento del
lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato
causa all'evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento
che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni
possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle
misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però,
che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che
abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle
sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli da ultimo.
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
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Responsabilità del capo cantiere di una s.r.l. per il reato di
lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa
antinfortunistica in danno di un lavoratore che, durante i
lavori di manutenzione della colonna di assorbimento
dell'acido solforico, durati per circa due ore, non faceva uso
dell'apposita maschera protettiva inalando così i vapori nocivi
che gli procuravano una insufficienza respiratoria.
Sia in primo che in secondo grado viene riconosciuta la
responsabilità dell'imputato e nello stesso tempo il concorso di
colpa dell'infortunato nella misura del 50%.
Ricorre in Cassazione la parte civile - Rigetto.
Va rilevato, afferma la Corte, che nel caso in esame il concorso
di colpa della parte offesa è stata correttamente ricondotta
all'omesso utilizzo della maschera antigas, la cui messa a
disposizione del lavoratore è stata oggetto di puntuale
accertamento da parte dei giudici di merito.
Questa conclusione è coerente con gli obblighi che gravano sul
lavoratore in quanto anch'egli destinatario iure proprio della
normativa antinfortunistica.

Responsabilità dell'amministratore unico di una srl (P.) per infortunio mortale
occorso ad un lavoratore (Pa.): accadeva che altro lavoratore, B. F.,
nell'utilizzare un muletto elevatore Hyster per estrarre un braccio stabilizzatore
di un autocarro Fiat 100 azionava inavvertitamente la marcia avanti del mezzo e
così schiacciava il capo del Pa. che era intento a controllare l'operazione di
estrazione frapponendosi tra il muletto e l'autocarro.
Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.
La Corte territoriale e prima ancora il Tribunale hanno fornito un'adeguata e
corretta risposta agli interrogativi sollevati dal ricorrente, laddove, da un canto,
si è rilevato che era stata erroneamente consentito da parte del P. ai dipendenti
l'uso dell'autocarro con bracci estraibili difettosi e, dall'altro, che non era stato
spiegato cosa fare in caso di mal funzionamento e sul rischio derivante
dall'interposizione di una persona dinanzi alle forche del carrello, concludendo
per la sussistenza del
.
Di certo la condotta della vittima Pa., chiamato dal B. a svolgere un compito
estemporaneo e non rientrante nelle sue mansioni (assunto con un contratto di
formazione individuale), che si pose tra il carrello e l'autocarro, non fu affatto
oculata e prudente, ma comunque non al punto da potersi qualificare come
eccezionale nè fu, tanto meno, frutto di una sua autonoma iniziativa.

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Responsabilità del dirigente di un punto vendita (C.) per lesioni personali gravissime occorse
alla dipendente L.M. che, nell'aprire il cancello di accesso carrabile, ne era rimasta travolta
poichè, a causa della mancanza del fermo di fine corsa, detto cancello era uscito dalla sua
guida, si era ribaltato ed era precipitato per terra.
Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.
Si sostiene nel ricorso che al C. non poteva riconoscersi alcuna posizione di garanzia, poichè
lo stesso era privo di poteri di gestione e di spesa e non era emerso che fosse stato
destinatario di deleghe che lo autorizzassero ad intervenire.
La Corte afferma invece che i giudici del merito non hanno neanche posto il tema della
titolarità, in capo all'imputato, di una formale posizione di garanzia a tutela della sicurezza
del luogo di lavoro e della salute dei lavoratori, nè al riconoscimento di tale posizione gli
stessi giudici hanno fatto riferimento per affermare la responsabilità dell'imputato. Al
contrario, essi hanno dato atto del fatto che l'imputato non era mai stato destinatario di
deleghe o incarichi in materia di sicurezza, essendo certamente altra la persona a ciò
deputata. Ciò che invece quei giudici hanno considerato e ritenuto significativo - ed è questo
che li ha determinati a riconoscere la responsabilità del C. - è che l'assenza di specifica delega
non poteva giustificare l'atteggiamento passivo assunto dall'imputato davanti al ripetersi di
incidenti che mettevano a rischio la sicurezza di quanti, dipendenti e non, si fossero trovati a
transitare nei pressi del cancello durante le operazioni di apertura dello stesso.
In realtà, hanno sostenuto gli stessi giudici, l'accertata e non contestata posizione di
responsabile dell'esercizio commerciale, sia pure solo con riguardo all'organizzazione interna
del lavoro ed alla commercializzazione dei prodotti, poneva l'imputato certamente in una
posizione sovra ordinata rispetto agli altri dipendenti, che a lui facevano riferimento, e quindi
di responsabilità nei confronti degli stessi.
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Responsabilità del dirigente di una s.p.a. esercente l'attività di produzione saccarifera (C.), in
particolare, quale direttore dello stabilimento di (OMISSIS) e responsabile per la sicurezza
nonchè committente dei lavori di facchinaggio appaltati dalla società cooperativa a r.l. "F. F.",
e del presidente della predetta società cooperativa (V.), esercente attività di facchinaggio
presso detta unità produttiva, e datore di lavoro della vittima, socio della stessa cooperativa,
per la morte del S. che, trovandosi all'interno di un grande silos di zucchero (alto 44 metri ed
altrettanto largo), è rimasto vittima di un moto franoso della parete di zucchero presso la
quale lavorava, dal quale è rimasto sepolto.
Il S. si trovava all'interno del silos, unitamente al collega Si.Fr., intento a rimuovere
manualmente la massa di zucchero posta sul costone sinistro per favorirne il deflusso e l'uscita
attraverso la bocchetta centrale posta alla base del silos; tale procedura operativa veniva
adottata in sostituzione di quella meccanica, alla quale avrebbe dovuto procedere la coclea
interna di scarico che risultava, invece, bloccata.
Condannati, il solo C. ricorre in Cassazione - Rigetto.
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"I giudici del gravame hanno ampiamente esaminato ogni questione sottoposta al loro giudizio
e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso
rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive." Essi hanno dunque ribadito la
responsabilità del C., nell'avere lo stesso messo a disposizione della "F.F." un impianto di
deposito e di lavorazione dello zucchero che non rispondeva alle norme di sicurezza vigenti
per l'inadeguatezza dell'impianto di condizionamento e climatizzazione, fondamentale per
tenere sotto controllo la temperatura e l'umidità dell'ambiente e per consentire allo zucchero
di mantenere la propria friabilità. Proprio il cattivo funzionamento di detto impianto
determinava la formazione di masse di zucchero fortemente compatto ed addensato che
creava alte pareti di prodotto e costringeva gli operatori ad intervenire manualmente
all'interno del silos con strumenti metallici per consentire il deflusso dello zucchero verso il
basso e l'uscita dello stesso attraverso le bocchette poste alla base del silos. Operazione ad
alto rischio per il pericolo di seppellimento dell'operatore in conseguenza del crollo di taluno
dei cumuli di zucchero presenti nel silos, come in effetti accaduto al S., rimasto travolto e
seppellito dallo zucchero franatogli addosso.
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Giovedì 09 Febbraio 2012 14:08
Cassazione Penale, Sez. 3, 23 gennaio 2012, n. 2694 - Mancanza di una procedura di sicurezza
per il taglio di alberi e requisiti di una delega di funzione: concorrente responsabilità del
delegante
Responsabilità di un datore di lavoro che, in relazione allo svolgimento delle operazioni di
taglio degli alberi, non aveva effettuato una adeguata valutazione del rischio e non aveva
individuato ed organizzato una procedura di sicurezza che mettesse i lavoratori dell'azienda
al riparo dal rischio di caduta degli alberi durante il taglio (tanto che uno dei soci lavoratori in
data 13.2.2007 aveva riportato nell'operazione gravi lesioni).
Il tribunale si è poi fatto carico di considerare la delega di funzione conferita ad altra persona
e ha osservato che, al di là delle ragioni che facevano dubitare della serietà della delega e
anche a voler ritenere valida ed efficace tale delega, le risultanze istruttorie avevano
comunque evidenziato una concorrente responsabilità dell'imputato in ordine alla
commissione dei fatti come accertati.
Condannato, ricorre in Cassazione - Inammissibile.
Quanto al primo motivo, in cui il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver
tenuto conto della delega fatta in materia di misure di prevenzione, deve considerarsi,
afferma la Suprema Corte, che il tribunale ha puntualmente tenuto conto della delega dedotta
dal ricorrente; ma nondimeno è pervenuto all'affermazione della penale responsabilità dello
stesso osservando che comunque l'imputato, in quanto datore di lavoro, era tenuto a porre
rimedio al delegato che era palesemente inadempiente rispetto agli obblighi di sicurezza.
Precedente giurisprudenza ha infatti affermato che gli obblighi di prevenzione, assicurazione
e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono sì essere delegati, con conseguente
subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro; ma da una
parte l'atto di delega deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie
cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento; d'altra parte rimane fermo
comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi,
concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.
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