Gli anni di piombo e
il terrorismo rosso.
1970-1980:
Compromesso storico,
gruppi extraparlamentari,
Brigate rosse.
Prof. Lucio Celot
Liceo Classico Statale «A.Pansini»
Napoli
Il quadro politico:
il compromesso storico.

Dopo una breve parentesi di centrodestra (1972-1973), la politica italiana
fu caratterizzata dall’avvicinamento del
PCI alla DC, il cosiddetto
«compromesso storico»: il progetto fu
lanciato dal segretario del PCI, Enrico
Berlinguer, in seguito al golpe dei
militari in Cile, dove Salvador Allende, a
capo di un governo socialista e
democratico, fu rovesciato e ucciso.

Enrico Berlinguer
(1922-1984).
Fu segretario del PCI
dal 1972 alla morte.
Sappiamo, come mostra
ancora una volta la
tragica esperienza
cilena, che questa
reazione
antidemocratica tende a
farsi più violenta e
feroce quando le forze
popolari cominciano a
conquistare le leve
fondamentali del potere
nello stato e nella
società.
(E.Berlinguer, Riflessioni
sull’Italia dopo i fatti del
Cile, 1973)
Per contrastare una tendenza già in
atto in Italia con la «strategia della
tensione», il PCI proponeva una
grande alleanza con DC e PSI simile a
quella antifascista degli anni ‘43-’47.
A livello sociale, l’alleanza voleva
sottolineare l’importanza di un
legame più stretto tra la classe
operaia e i settori del ceto medio, per
evitare in quest’ultimo ogni
tentazione reazionaria.
A sin. E.Berlinguer.
A ds. A.Moro (1916-1978),
cinque volte Presidente del
Consiglio e Presidente
della DC ai tempi del
compromesso storico

La gravità dei problemi del paese, le minacce
sempre incombenti di avventure reazionarie
e la necessità di aprire finalmente alla
nazione una via sicura di sviluppo […]
rendono sempre più urgente che si giunga a
quello che può essere definito il nuovo
grande «compromesso storico» tra le forze
che raccolgono e rappresentano la grande
maggioranza del popolo italiano.
Il superamento graduale del capitalismo
poteva avvenire, secondo Berlinguer,
attraverso il valore, comune ad entrambi gli
schieramenti, dell’austerità:
Una società più austera può essere una società
più giusta, meno diseguale, realmente più
libera, più democratica, più umana.
Attraverso questa strategia che mirava ad un
comune codice morale tra comunisti e cattolici,
il PCI pensava che alla lunga sarebbe emerso
un nuovo blocco storico egemonizzato dalla
classe dei lavoratori che avrebbe sventato
qualsiasi tentativo autoritario da parte dei ceti
medi.
La sinistra parlamentare italiana prese
atto dell’impossibilità di andare a uno
scontro frontale con la borghesia
perché questo avrebbe provocato una
reazione di tipo fascista: il
compromesso rappresentava una
prospettiva di «solidarietà nazionale»,
una congiunzione di tutte le forze
sociali.
Da un punto di vista teorico,
significava il passaggio, per il PCI, da
Marx a Gramsci:

Rispetto all’astrattezza
delle posizioni
rivoluzionarie di tipo
marxista-leninista, preso
atto della forza del
capitalismo e
dell’impossibilità di una
nuova rivoluzione
d’ottobre in Occidente, il
PCI vuole trovare una
via concreta al potere
politico operaio:

è la via gramsciana
dell’egemonia, del
processo organico e
«molecolare»
attraverso cui una
classe esercita la
propria direzione
intellettuale e morale
sulla società.
Sul piano concreto, però, le cose stanno
diversamente: privilegiare l’egemonia
piuttosto che la «dittatura del proletariato»
significa privilegiare il momento istituzionale
piuttosto che quello della contrapposizione,
della lotta: per proporsi come forza di governo
credibile, il PCI assunse un atteggiamento di
difesa delle istituzioni opposto a quello del
movimento del ’68, critico e antistituzionale.
La scissione tra carica rivoluzionaria e utopica
da una parte e avvicinamento «tattico» alla DC
dall’altra determinò delusione tra molti
militanti e aprì a sinistra del PCI uno «spazio
politico» che fu riempito dai gruppi
extraparlamentari.
Il quadro economico: la crisi.
Dall’autunno del ‘73, si verificò la crisi
economica più grave dell’Occidente dopo
il ‘29, che condizionò le politiche
economiche nazionali per tutti gli anni
‘70.
Tutto inizia quando i paesi dell’OPEC
(produttori di petrolio) decidono un
aumento del 70% del prezzo del barile e
diminuiscono del 10% le quote
esportate:
aumento dei costi della produzione industriale
aumento del prezzo del prodotto finito
caduta dei profitti
diminuzione degli scambi con l’estero
contrazione mondiale della domanda
aumento della disoccupazione
aumento della marginalità sociale
La stagione dei gruppi
extraparlamentari
Come si è detto, nel panorama politico
postsessantotto, anche a causa della
politica del PCI, fanno la loro comparsa
numerosi gruppi rivoluzionari (NON
partiti: i gruppi rifiutano il
burocraticismo e l’autoritarismo dei
partiti, che vengono considerati incapaci
di rappresentare la complessità del
conflitto sociale in una società a
capitalismo maturo.)
 Lotta
Continua (19691975): la strategia del
gruppo, attenta alle
lotte operaie e
studentesche al
centro-nord, è quella di
creare una «coscienza
antagonista»
attraverso una
mobilitazione continua
e qualificata nello
scontro di classe…
…guidata da una
minoranza attiva e
combattiva nella lotta
di massa, che sa meglio
esprimere le esigenze e
indirizzarne la forza.
Adriano Sofri,
fondatore e leader di Lotta Continua
Pur nella sua
impostazione
«leninista», LC rifiuta
la logica delle
organizzazioni
partitiche tradizionali,
colpevoli di avere
tradito gli interessi di
classe.

Potere Operaio (1969-1973): fondato da
Toni Negri e Oreste Scalzone, il gruppo è
attivo a Roma e nel Veneto (Marghera).
Potere operaio per cogliere la dinamica
della lotta di massa di classe operaia…per
pianificare, guidare, dirigere le lotte
operaie di massa…lo scontro
rivoluzionario contro l’organizzazione
capitalistica del lavoro è quindi la chiave
di volta…
Molti degli aderenti a
PO entreranno nelle
fila delle Brigate
Rosse prima o subito
dopo lo scioglimento
del gruppo.
Parte dell’eredità di
PO verrà raccolto dal
movimento
dell’autonomia
operaia, un’area della
sinistra
extraparlamentare e
rivoluzionaria attiva
tra il 1973 e il 1979.

Il Manifesto (1969): il gruppo progetta
e realizza una rivista, oggi quotidiano,
il cui convincimento è che …la lotta del
movimento operaio sia entrata in una
fase nuova ; che molti schemi
consacrati di interpretazione della
realtà siano saltati senza rimedio; che
la crisi sociale e politica non possa
essere vissuta e fronteggiata con la
normale amministrazione…
Da sin: Rossana Rossanda
Luigi Pintor, Lucio Magri,
gli «eretici» fondatori
del Manifesto.
La via proposta dal Manifesto è quella di una dialettica
aperta all’interno di tutta la sinistra, di una
circolazione delle idee e di un lavoro collettivo che
unisca la sinistra «storica» e i nuovi movimenti e
gruppi rivoluzionari per superare la debolezza della
sinistra rispetto al capitalismo. Il PCI, orientato al
compromesso con la DC, non solo non raccoglie l’invito
ma i membri della redazione vengono radiati dal
partito.
Sul piano concreto, l’adesione numerosa
degli operai ai gruppi rivoluzionari tra il ‘68
e il ‘69, portò a nuove forme di
coordinamento e di lotta nelle fabbriche
(svincolate dai sindacati), come lo sciopero
a gatto selvaggio (nella catena di
montaggio le sezioni scioperano in tempi
diversi, con minimo danno per gli operai ma
massimo per i padroni), lo sciopero a
singhiozzo (interruzioni brevi, ad es. 10
minuti ogni ora), lo sciopero a scacchiera
(differenti settori della fabbrica si fermano
per brevi periodi in momenti differenti).
I gruppi ebbero vita breve e difficile: non tanto
per la repressione e il controllo operati dallo
stato, quanto perché non furono in grado di
diventare «di massa» e anziché cercare forme
nuove e alternative di organizzazione, finirono
per assumere l’atteggiamento «centralista»
tipico dei partiti operai, in cui le responsabilità
delle scelte si accentravano sempre al vertice
della piramide.
Pur forti soprattutto nelle scuole superiori e
nelle Università, a metà degli anni ‘70 si erano
già sciolti: i transfughi scelsero spesso la
clandestinità e l’illegalità della lotta armata.
La lotta armata
In questo clima, in cui erano diffusi
la pratica del sabotaggio, il
pestaggio dei capi-reparto, la
distruzione di auto dei dirigenti, i
cortei interni, i «processi proletari»,
si inseriscono le prime azioni delle
BR nel 1970 che utilizzano la lotta
armata come forma di lotta contro i
padroni sul loro stesso terreno.
Renato Curcio, Margherita Cagol, Alberto
Franceschini sono i fondatori delle BR. La
lotta sostanzialmente legale che era stata
praticata contro il potere e il capitale fino
ad ora appare ai brigatisti come una via
senza sbocchi:
un’azione violenta,
illegale, armata
«portata al cuore
dello stato»
avrebbe inasprito le
contraddizioni del
capitalismo e reso
inevitabile lo
scontro tra
sfruttatori e
sfruttati.
La provenienza sociale e ideologica dei
brigatisti è diversificata: università di
sociologia di Trento (voluta dalla DC),
FGCI, cattolicesimo, gruppi
rivoluzionari, famiglie operaie o piccoloborghesi.
I modelli di riferimento sono quelli dei
movimenti di guerriglia sudamericana,
in particolare i Tupamaros in Uruguay, e
i partigiani italiani: esempio di una
minoranza giovanile (tradita nel
dopoguerra) che usava le armi per scopi
giusti.
Quali sono i fattori che determinarono il
fenomeno del terrorismo?
1) La crisi e lo scioglimento dei gruppi
rivoluzionari, con la conseguente
delusione dei militanti;
2) La frattura tra PCI e ceto giovanile
urbano e universitario: i giovani di
sinistra erano delusi dall’avvicinamento
del PCI alla DC e al suo trasformarsi in
un partito difensore dell’ordine e della
repressione;
3) L’inspiegabile incapacità e debolezza
delle forze dell’ordine, che allentarono
la vigilanza attorno alla metà degli anni
‘70 pensando che il fenomeno fosse
ormai finito; o forse si preferì alimentare
un clima di violenza che condizionasse
pesantemente il clima politico;
4) La netta sensazione che fosse alle
porte un progetto reazionario di destra,
se non addirittura un colpo di stato: si
avvertiva a sinistra la necessità di
dotarsi di strutture di difesa politicomilitari;
5) La strage di piazza Fontana e la
strategia della tensione vengono
interpretate dalle BR come la decisione
della borghesia di porre lo scontro sul
piano militare: Nel collettivo si cantava, si
faceva teatro, si tenevano mostre […] Era una
continua esplosione di giocosità e invenzione.
Con la strage il clima improvvisamente
cambiò. Siamo arrivati a un livello di scontro
molto aspro, ci dicemmo. Si tratta di una
svolta che ci lascia aperte solo due strade:
mollare tutto, oppure andare avanti, ma
attrezzandoci in modo del tutto nuovo.
(R.Curcio, A viso aperto, 1993)
Le prime azioni delle BR, dal
1970 in avanti, ebbero come
obiettivi sindacalisti di
destra, amministratori e
capisquadra delle fabbriche
milanesi della Pirelli e della
Siemens. Poi iniziarono i
rapimenti: il primo fu Idalgo
Macchiarini (1972), un
dirigente Siemens; poi toccò
al giudice Mario Sossi
(1974), a Genova, tenuto
prigioniero per 35 giorni. Le
BR iniziarono ad avere
notorietà a livello nazionale.
Il Movimento del ‘77
A partire dalla crisi della militanza, sia
dentro il PCI sia dentro i gruppi
extraparlamentari, una nuova
«generazione movimentista» appare a
partire dal 1975: è la cosiddetta area
dell’autonomia, un movimento variegato e
differenziato al proprio interno ma
accomunato dal desiderio di fare politica
in modo nuovo, opponendo lo scontro
violento alle politiche riformiste e
all’inasprimento delle leggi sull’ordine
pubblico:
Famiglia e sesso, condizione giovanile e
femminile, repressione affettiva e intellettuale,
emarginazione di chi non è «normale» sono la
concretezza quotidiana in cui si manifesta la
schiavitù di fabbrica e di vita imposta dal
capitale […] Basta con la società del vivere per
lavorare […] E’ necessario un salto qualitativo
dalla logica del gruppo alla logica del
movimento. La critica e l’abolizione della
ideologia della sinistra extraparlamentare ne
sono una condizione […] Formazione di
organismi autonomi di fabbrica e di scuola […]
movimenti autonomi di giovani, delle donne, di
strati sociali emarginati, repressi e sfruttati dal
capitale […] (doc. di scioglimento del Gruppo Gramsci, 1973)
giovani studenti,
disoccupati, proletari,
donne, strati sociali
emarginati in genere,
rifiutando interpretazioni
della realtà
ideologicamente
precostituite, si
immergono nelle tensioni
della realtà giovanile e
operaia italiana: una vera
politicizzazione di massa
che trova nella famiglia e
nella scuola i due
obiettivi da combattere…
Il ‘77 non fu come il
‘68. Il ‘68 fu
contestativo, il ‘77 fu
radicalmente
alternativo […]
(Balestrini-Moroni,
L’orda d’oro).
Ovvero: nel ‘68 il
sistema è contestato
da chi ne fruisce; nel
‘77 da chi è escluso,
emarginato, umiliato
dalla ristrutturazione
del capitale.
L’Italia è percorsa da nord a sud da un
movimento di massa antistituzionale, la cui
composizione è prevalentemente di «precari»,
«non garantiti», figure sociali escluse dal
mercato del lavoro, che sindacati e partiti non
seppero o vollero capire.
La protesta del ‘77 non è più solo
politica, ma anche sociale, economica,
esistenziale: se il ‘68 ha preso avvio
dall’invivibilità della «condizione
studentesca», il ‘77 nasce
dall’invivibilità della «condizione
urbana» complessiva, fatta di
alienazione, mancanza di spazi di
aggregazione, periferie degradate in
balìa di droga e spacciatori:
Riprendiamoci la vita! era lo slogan del
movimento che poneva il problema
globale di una vita diversa.
Questo movimento, «autonomo e di
massa», aveva al proprio interno diverse
anime:
- Autonomia Operaia: autonomia dalla
egemonia del capitale, dalle politiche
riformiste, dai sindacati attraverso lo
scontro diretto con le centrali del
monopolio economico. Da qui,
l’autoriduzione, l’esproprio proletario,
«più salario meno lavoro»…E’ l’ala
fautrice della militarizzazione dello
scontro;
- Indiani metropolitani:
sono l’area creativa del
movimento, quella
irriverente, ironica, poco
legata ai collettivi
politici…
-Basta col vizio di
mangiare, vogliamo
produrre e lavorare!
-Presto presto tutto il
potere a Paolo VI!
-I carabinieri sono solo
biricchini, siamo noi i
veri assassini!
-Meno case popolari, più
centrali nucleari!
Il 2 febbraio 1977, a
seguito di scontri a
fuoco tra polizia e
autonomi a Roma,
uno studente resta
ferito: ecco
l’immagine nella
quale il ragazzo
ferito viene soccorso
da un compagno
armato di pistola.
E’ l’inizio della
grande rivolta…
Da febbraio a maggio, a Roma, Bologna e Milano gli scontri
tra forze dell’ordine e autonomi sono all’ordine del giorno e
sempre più violenti, e culmineranno con la morte di
Francesco Lorusso (11 marzo) a Bologna e Giorgiana Masi
(12 maggio) a Roma uccisi dai carabinieri che spararono lo hanno stabilito i giudici - senza necessità.
Poliziotto in borghese durante
gli scontri che terminarono
con la morte di Giorgiana Masi
(foto di Tano d’Amico)
Una vignetta di Forattini: Cossiga,
Ministro degli interni (qui a ds.),
vestito come il poliziotto infiltrato
nella foto di Tano d’Amico.
Milano, 14 maggio 1977.
Le due foto «icona» degli anni di piombo
Maggio 1977.wmv
Nel ‘77 divampò la generalizzazione
quotidiana di un conflitto politico e
culturale che si ramificò in tutti i luoghi del
sociale, esemplificando lo scontro che
percorse tutti gli anni settanta, uno scontro
duro, forse il più duro che si sia mai
verificato dall’unità d’Italia. Quarantamila
denunciati, quindicimila arresti, quattromila
condannati a migliaia d’anni di galera, e poi
morti e feriti da entrambe le parti. Questo
scontro fu un appuntamento obbligato […]
un conflitto diretto e frontale per la
rideterminazione di nuove regole di potere.
(N.Balestrini e P.Moroni, L’orda d’oro 1968-1977)
Le BR e l’»operazione Fritz».
Il rapimento e l’omicidio
di Aldo Moro.
Le BR pensavano che il movimento del
‘77 avrebbe esteso e generalizzato la
lotta armata. Nonostante lo spegnersi
graduale dell’esperienza del movimento
già dal settembre ‘77, le BR
continuarono a reclutare uomini e donne
e a intensificare le proprie azioni: tra il
‘77 e il ‘78 misero in atto la «strategia
dell’annientamento»:
furono colpiti
indiscriminatamente
«servi dello stato»
(giudici, poliziotti,
secondini, magistrati)
e giornalisti.
Obiettivo principale
non era solo la DC
come forza di
governo ma anche il
PCI colpevole di
«socialdemocrazia»,
cioè di tradire la
causa rivoluzionaria.
Sopra: Indro Montanelli, direttore del
«Giornale», «gambizzato» dalle BR
nel giugno del 1977.
A fianco:
Carlo Casalegno,
Vicedirettore de
«La Stampa»,
ucciso dalle BR nel
novembre del
1977
Il 16 marzo 1978, il giorno in cui
Andreotti avrebbe presentato alla
Camera il nuovo governo con i comunisti
inseriti nell’»area di governo», le BR
rapirono, dopo avere ucciso i cinque
uomini della scorta, Aldo Moro, il
Presidente della DC. Per 54 giorni le BR,
sotto la direzione di Mario Moretti,
tennero in scacco le forze dell’ordine e
sottoposero il prigioniero, in un
nascondiglio segreto, ad un «processo»
davanti ad un «tribunale del popolo»…
Roma, 16 marzo 1978:
alcune immagini di via Fani
dopo l’uccisione della scorta
e il rapimento di Aldo Moro.
Una delle tante
immagini di
Moro che le BR
recapitarono ai
giornali insieme
ai «comunicati»
con cui
informavano
sull’andamento
del «processo»
al prigioniero…
Moro-interrogatorio.wmv

BR, «Campagna Moro», comunicato n.2,
25 marzo 1978:
L’interrogatorio […] verte: a chiarire le
politiche antimperialiste e antiproletarie di
cui la DC è portatrice; a individuare con
precisione le strutture internazionali e le
filiazioni nazionali della controrivoluzione
imperialista, a svelare il personale politicomilitare sulle cui gambe cammina il
progetto delle multinazionali, ad accertare
le dirette responsabilità di A.M. per le quali,
con i criteri della giustizia proletaria, verrà
giudicato.
Lo Stato doveva trattare
con le BR per salvare la
vita di Moro o scegliere la
via della fermezza
rifiutando ogni
patteggiamento? Fu
questo il dilemma che
divise opinione pubblica e
mondo politico: i socialisti
di Craxi si dichiararono
favorevoli ad un atto
umanitario; DC e PCI, pur
tra divisioni interne,
rifiutarono ogni cedimento
e non trattarono.
I processi e le indagini hanno messo in evidenza che i
servizi segreti italiani contrattarono con le BR non per
la salvezza dell’ostaggio ma per entrare in possesso
delle trascrizioni e, forse, delle riprese video degli
«interrogatori» di Moro (mai ritrovati), durante i quali
egli rivelò nomi e segreti scottanti della politica
interna della DC in oltre trent’anni di governo.

La decisione da prendere è terribile,
perché si tratta di sacrificare la vita di
un uomo o di perdere la Repubblica.
Purtroppo, per i democratici la scelta
non consente dubbi.
(E.Scalfari, «La Repubblica» del 21 aprile 1978)
A fianco, il dattiloscritto
dell’ultimo comunicato delle
BR che annuncia il termine
del «processo» a Moro e la
condanna a morte.

BR, «Campagna Moro», comunicato n.9, 5
maggio 1978.
[…] la battaglia iniziata il 16 marzo con la
cattura di Aldo Moro è arrivata alla sua
conclusione. Dopo l’interrogatorio ed il
Processo Popolare al quale è stato
sottoposto, il Presidente della DC è stato
condannato a morte […] Per quanto
riguarda la nostra proposta di uno scambio
di prigionieri politici perché venisse sospesa
la condanna […] dobbiamo soltanto
registrare il chiaro rifiuto della DC, del
governo e dei complici che lo sostengono
[…]
Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16
marzo eseguendo la sentenza con cui Aldo Moro
è stato condannato.
Moro -via Caetani.wmv
Roma, via Caetani, 9 maggio 1978:
il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro
Sono, ancora oggi, molti i punti oscuri della vicenda:
 i mai tutti identificati membri del gruppo di fuoco di
via Fani, compreso il misterioso sparatore di
precisione (un killer o un malavitoso prezzolato?)
 il percorso di allontanamento da via Fani verso la
prigione;
 la prigione era davvero a via Montalcini, alla periferia
di Roma?
 come mai le condizioni fisiche generali di Moro al
momento della morte erano buone, nonostante le
dichiarazioni dei BR (prigione angusta, poca aria,
Moro non camminò mai, non c’era acqua corrente,
etc)?
 quando e chi sparò a Moro il 9 maggio e come fu
possibile portare un cadavere al centro di una città
presidiata da migliaia di poliziotti?
La crisi del terrorismo prese l’avvio
proprio dall’uccisione di Moro: le BR
furono lacerate da dissensi al loro
interno, anche se continuarono gli
assassinii negli anni successivi:
Vittorio Bachelet,
docente universitario,
1980
Guido Rossa,
operaio, 1979
Walter Tobagi,
giornalista, 1980
L’approvazione della legge sui pentiti
approvata nel 1980, unitamente
all’offensiva anti-terroristica messa in
atto dal generale Dalla Chiesa, contribuì
a smantellare progressivamente le
colonne BR.
Nonostante la diffusa sfiducia nei
confronti dei governi, le BR non
riuscirono a convincere più di qualche
centinaio di persone sull’utilità della
lotta armata nelle condizioni dell’Italia
contemporanea.
Bibliografia essenziale







N.Balestrini-P.Moroni, L’orda d’oro 19681977, Milano 20116;
P.Casamassima, Il libro nero delle Br, Milano
2012;
G.Galli, Piombo rosso, Milano 2007;
L.Sciascia, L’affaire Moro, Milano 1994;
G.Bianconi, Eseguendo la sentenza. Roma,
1978, Torino 2007;
C.Vecchio, Ali di piombo, Milano 2007;
L.Annunziata, 1977. L’ultima foto di famiglia,
Torino 2007.
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Gli anni di piombo e il terrorismo rosso. 1970-1980