Université de Fribourg
Faculté des Lettres
Domaine d’Italien
Anno Acc. 2013-2014 – SA 2013
Corso introduttivo
Avviamento all’analisi del testo poetico
Prof. Uberto Motta
MIS 3028, mercoledì 17-19h
Bibliografia (1)
• Manuale di riferimento
P. G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna, Il
Mulino, 2002.
2
Bibliografia (2)
• Opere di prima consultazione
B. Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di
figure retoriche, Roma-Bari, Laterza, 2010.
A. Menichetti, Prima lezione di metrica, Roma-Bari,
Laterza, 2013
3
Ulteriori strumenti
Bibliografia (3)
(A) Teoria
D’A. S. Avalle, L’analisi letteraria in Italia: formalismo, strutturalismo, semiologia,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1970.
L. Renzi, Come leggere la poesia, con esercitazioni su poeti italiani del Novecento,
Bologna, Il Mulino, 1985.
C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.
Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, a cura di M. Lavagetto, Roma-Bari, Laterza,
1996.
(B) Metrica
M. Martelli – F. Bausi, La metrica italiana: teoria e storia, Firenze, Le Lettere, 1993.
A. Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova,
Antenore, 1993.
G. Lavezzi, I numeri della poesia: guida alla metrica italiana, Roma, Carocci, 2002. 4
(C) Retorica
A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Milano, Mondadori, 1992.
B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2006.
B. Mortara Garavelli, Prima lezione di retorica, Roma-Bari, Laterza, 2011.
(D) Linguistica e stilistica
Dizionario di linguistica, a cura di G.L. Beccaria, Torino, Einaudi, 1994.
P. V. Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2001.
L. Serianni, La lingua poetica italiana: grammatica e testi, Roma, Carocci,
2009.
(E) Storia
P. V. Mengaldo, Attraverso la poesia italiana: analisi di testi esemplari, Roma,
Carocci, 2008.
S. Bozzola, La lirica. Dalle origini a Leopardi, Bologna, Il Mulino, 2012.
A. Afribo – A. Soldani, La poesia moderna. Dal secondo Ottocento a oggi,
Bologna, Il Mulino, 2012.
5
Calendario delle lezioni
mercoledì 17-19h, MIS 3028
•
1) 18 settembre
2) 25 settembre
3) 2 ottobre
4) GIOVEDÌ 3 ottobre, 17-19h (recupero del 20 novembre) MIS 3028
5) 9 ottobre
6) 16 ottobre
7) 23 ottobre
8) 30 ottobre
9) 6 novembre: la lezioni si terrà a PER II, aula B 130
10) 13 novembre
11) GIOVEDÌ 14 novembre, 17-19 (recupero del 4 dicembre) MIS 3028
20 novembre: lezione sospesa – recupero: 3 ottobre
12) 27 novembre
4 dicembre: lezione sospesa – recupero: 14 novembre
13) 11 dicembre
14) 18 dicembre
6
V. Sereni su E. Montale (e sulla poesia)
Montale con i suoi primi versi precorreva in noi la presa di coscienza del
mondo circostante e dei suoi stessi lineamenti fisici: nella misura in cui ci
avvertiva che lo spazio immediatamente a noi vicino e nel quale stavamo
già muovendoci con la nostra esistenza non solo poteva essere ma già
era abitato dalla poesia. Ci avvertiva al punto di determinare i nostri
passi e il nostro stesso sguardo? È probabile che sia stato così
(«Letteratura», 1966).
Montale – il fenomeno sembra oggi irripetibile – ci aveva accostati alle
sue poesie come a persone: quasi che ogni sua poesia fosse una persona
viva. Questo è il vero debito (extraletterario, occorre dirlo?) che abbiamo
nei suoi confronti: di averci, in tanto dubbio suo sulla vita, appassionati
in gioventù alla vita («Epoca», 1975).
Fin dentro gli anni della guerra la poesia di Montale ci aveva offerto la
chiave più naturale per noi, non dirò per leggere l’universo, ma per
affacciarsi sull’esistenza che era nostra, e viverla, in certi casi inventarla.
Era come se Montale ci avesse tolto la parola di bocca ogni volta che
stavamo per pronunciarla («Corriere della Sera», 1981).
7
G. Steiner sulla critica letteraria (da Tolstoj e Dostoevskij, 1960)
8
T. S. Eliot, Le frontiere della critica, 1956 (I)
Capire una poesia vuol dire gustarla pienamente
per la ragione giusta. […] Capire una poesia
travisandola significa compiacersi di una mera
interpretazione della propria mente. […] È
impossibile gustare appieno una poesia se non la si
è capita; d’altro canto è ugualmente vero che non
possiamo capirla fino in fondo se non la gustiamo.
9
T. S. Eliot, Le frontiere della critica (II)
Le fonti e i modelli “non offrono alcuna chiave per
l’intendimento di qualsiasi poesia scritta da
qualsiasi poeta”.
Capire una poesia vuol dire afferrare la sua ragione
d’essere e la sua ‘entelechia’.
10
T. S. Eliot, Le frontiere della critica (III)
Spiegazione causale: l’evento è il risultato di una
causa → critica biografica e psicologica
Spiegazione finalistica: l’evento è il suo effetto →
critica ‘reader oriented’
11
Eliot, The frontiers of criticism (IV)
“In tutta la grande poesia c’è qualcosa che deve
restare inesplicabile, per quanto completa possa
essere la nostra conoscenza del poeta, e anzi è
questo il più importante. Quando nasce una
poesia è accaduta una cosa nuova che non può
essere interamente spiegata da qualsivoglia cosa
avvenuta prima. È questo, io credo, ciò che
s’intende per creazione”.
12
Eliot, The frontiers of criticism (V)
1. Di una poesia non c’è una sola interpretazione
giusta.
2. Un’interpretazione non è giusta se e perché
corrisponde a ciò che l’autore si proponeva di fare.
3. Nessuna interpretazione deve preclude al lettore la
possibilità di continuare a gustare la poesia.
13
Eliot, The frontiers of criticism (VI)
Leggere una poesia non è solo un esercizio
archeologico, un viaggio a ritroso nel
tempo: è uno spalancamento su una
scintilla.
14
L’importante è capire?
«La poesia non si può mai spiegare come tu
vorresti. Altrimenti l’originale sarebbe la
spiegazione non il testo, un doppione inutile anche
se nato prima» (E. Montale, Lettera a S. Guarnieri,
4.III. 1975).
15
A. Zanzotto, Dietro il paesaggio, 1951
ORMAI
Ormai la primula e il calore
ai piedi e il verde acume del mondo
I tappeti scoperti
le logge vibrate dal vento ed il sole
tranquillo baco di spinosi boschi;
il mio male lontano, la sete distinta
come un’altra vita nel petto
Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio
qui volgere le spalle.
16
Contini, Filologia ed esegesi dantesca, 1965 (I)
Una apparente aporia nell’esperienza di ogni lettore
(A) l’abbandono all’incanto dell’esecuzione;
il godimento, la fruizione della poesia
(B) l’acclaramento penetrante della lettera;
lo studio, il giudizio culturale, la spiegazione
sistematica
17
Contini, Filologia ed esegesi (II)
“Leggere e godere prima di avere capito tutto”
(I) Consentire che sia la gioia della lettura a
stimolare la ricerca e lo studio (e non viceversa)
→ dall’ispirazione alla tecnica
(II) Passare dalla critica ideologica (delle idee e dei
temi) alla critica verbale (della forma e dello
stile): l’esecuzione del testo
18
Contini, Filologia ed esegesi (III)
Citazione da B. Croce, La poesia di Dante, 1921
“Proposizioni filosofiche, nomi di persone,
accenni a casi storici, giudizi morali e politici e
via dicendo, sono, in poesia, nient’altro che
parole, identiche sostanzialmente, a tutte le altre
parole, e vanno interpretate in questi limiti”.
19
Contini, Filologia ed esegesi (IV)
A proposito di critica verbale e intenzionalità:
limitare il giudizio ai casi di flagrante
intenzionalità è arbitrario, perché spesso la
scrittura poetica ha una velocità che si sottrae
alla coscienza dell’autore.
20
V. Sereni, Il silenzio creativo, 1962
«Si convive per anni con sensazioni, impressioni, sentimenti,
intuizioni, ricordi. Il senso di rarità o eccezionalità che a
ragione o a torto si attribuisce ad essi, forse in relazione con
l’intensità con cui l’esistenza li impose, è forse la prima fonte
di insoddisfazione creativa, anzi di riluttanza di fronte alla
messa in opera, che si traduce (peggio per chi non la prova) in
nausea metrica, in disgusto per ogni modulo precedentemente
sperimentato… Si convive con le proprie invenzioni, con
spettri di poesie non scritte…»
21
V. Sereni, Il silenzio creativo, II
Non è prodotto del caso (e direi anche che è salutare) la rinunzia a
chiedersi che cosa sia, in assoluto, la poesia. Molto più senso di una
simile domanda mi pare abbia l’individuazione di un piano di sviluppo
delle emozioni che porti a raffigurare sotto un angolo specifico il
rapporto tra esperienza e invenzione: la ricerca d’un tale angolo e d’un
tale rapporto segna il passaggio dalla fase negativa del silenzio di cui
discorrevo alla fase per cui gli spettri dell’insoddisfazione prendono
corpo. Ma ci sono tanti modi d’inventare e non s’inventa una volta per
tutte. Al contrario, s’inventa volta per volta… Avere ben presenti queste
cose significa evitare per quanto possibile di fare anche dell’invenzione,
dei propri collaudati modi inventivi, una formula e un’abitudine, sapere
sempre – a rischio d’altri silenzi – che l’angolo utile, il rapporto
illuminante non è mai dato, ma è da trovare; e al tempo stesso mettersi
in grado di aderire meglio a quanto ha di vario il moto dell’esistenza. E
questo è il prezzo della comunicazione”.
22
Due ‘ipotesi’ a confronto
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
(G. Ungaretti, Commiato, 1916)
«Secondo quale criterio linguistico si
riconosce empiricamente la funzione
poetica? In particolare, qual è
l’elemento la cui presenza è
indispensabile in ogni opera poetica?
[...] La funzione poetica proietta il
principio d’equivalenza dall’asse
della selezione all’asse della
combinazione. L’equivalenza è
promossa al grado di elemento
costitutivo della sequenza».
(R. Jakobson, Linguistica e poetica,
1963)
23
Gen|ti |le
Et|to|re | Ser|ra
po|e|si|a
è il | mon|do | l’u|ma|ni|tà
la | pro|pria | vi|ta
fio|ri|ti | Dal|la | pa|ro|la
la | lim|pi|Da | me|ra|vi|glia
di un | De|li|ran|te | fer|men|to
3
5
4
8
5
8
8
8
Quan|dO | trO|vO
in | que|stO | mi|O | si|len|ziO
u|nA | pA|ro|lA
scA|vA|tA è | nel|lA | mi|A | vi|tA
co|me un | a|bis|so
4
8
5
9
5
24
Il ‘verso’
1. Ciascuna delle unità fondamentali di un testo poetico:
2. Un segmento di discorso organizzato secondo
determinate regole;
3. Derivanti dall’incontro di uno schema metrico e di una
sequenza ritmica
Es. Leopardi, Il passero solitario, vv. 1 («D’in su la vetta della torre
antica») e 59 («Ma sconsolato volgerommi indietro»)
25
Versi liberi
Montale, Forse un mattino, v. 8
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Montale, Felicità raggiunta, v. 8
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
P.V. Mengaldo: metrica libera
1. Perdita di regolarità e valenza strutturale della rima
2. Libera mescolanza di versi canonici e non canonici
3. Assenza di isostrofismo
26
Versi spezzati
Montale, La bufera, 18-20
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
27
La misura dei versi
• «di retro da Maria, da quella costa» (Purg., X 50)
• «L’amoroso pensero» (Petrarca, RVF, LXXI 91)
• «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1)
• «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8)
• «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere» (Inf.,
XXIII 32)
28
Sistole e diastole
Né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta (Inf. XXVI 94-6)
E ’l duca disse a me: - Più non si desta
di qua dal suon dell’angelica tromba,
quando verrà la nimica podèsta. (Inf. VI 94-6)
Come quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
ciò che cela il vapor che l’aere stipa (Inf. XXXI 34-6)
29
Versi piani, tronchi e sdruccioli
• «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1)
• «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8)
• «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere» ( Inf., XXIII
32)
30
I versi della poesia italiana
Mono- e Bisillabo «Qui / non si sente / altro»
(Ungaretti)
Trisillabo (2) «Si tace» (Palazzeschi)
Quadrisillabo (1,3) «sono priso» (Giacomo da
Lentini); «vuoto e tondo» (Boito)
Quinario (1/2,4) «ninfa gentile» (Pindemonte);
«bandiera bianca» (Fusinato)
Senario (2,5 o 1,3,5) «Dal core mi vene» (Giacomo da
Lentini); «non voler soffrire» (Jacopone da Todi);
«fantasma tu giungi» (Pascoli)
Settenario (1-4,6) «Meravigliosamente» (Giacomo da
Lentini); «Chiare, fresche et dolci acque» (Petrarca);
«Ei fu. Siccome immobile» (Manzoni)
31
I versi della poesia italiana
Quinario doppio (4,9) «Dal mio cantuccio, ¦
donde non sento» (Pascoli)
Senario doppio (2,5,8,11) «Dagli atri muscosi, ¦
dai Fori cadenti» (Manzoni)
Settenario doppio (alessandrino o martelliano)
(6,13) «Sui campi di Marengo | batte la luna;
fosco» (Carducci) «tra la Bormida e il Tanaro
|s’agita e mugge un bosco» (Carducci)
32
I versi della poesia italiana
Ottonario (3,7) «Quant’è bella | giovinezza» (Lorenzo
de’ Medici) «Su ’l castello | di Verona» (Carducci)
Novenario (2,5,8) «tremava | un sospiro | di vento»
(Pascoli)
Decasillabo (3,6,9) «Dilongato | mi son da la via»
(Jacopone); «Soffermati | sull’arida sponda»
(Manzoni)
Endecasillabo (4/6,10) «Nel mezzo del cammin | di
nostra vita» (2,6,10: endecasillabo a maiore, con
accenti fissi di 6a e 10a); «mi ritrovai | per una selva
oscura» (4,8,10: endecasillabo a minore, con accenti
fissi di 4a e 10a)
33
L’accento metrico
• Regola generale: accento metrico = accento
grammaticale
• Atoni:
articoli, preposizioni, congiunzioni;
pron. pers. di una sillaba seguiti da verbo
non in posizione non enfatica;
agg. poss. in posizione debole (mia vita);
agg. di una sill. + sost.;
verbi ausiliari monosill. + part. (è stato);
verbi ausiliari di 2 sill. + accento del part.
(avea fatto >< abbia perduto);
es. (6,10) «che di lagrime son fatti uscio e varco» (Rvf 3,11)
34
Ipermetria e ipometria
• Boccaccio, Teseida, I 38
I denti batte e rugghia e gli spediti
sen¦tie¦ri a¦ sua¦ sa¦lu¦te¦ cer¦ca e¦ pe’ ¦ro¦mo¦ri
ch’egli ha in qua in là in giù e su uditi,
non sa qua’ vie per lui sien migliori.
• Saba, Canzoniere, A mamma, v. 108
Sugli ultimi mari i naviganti [1948]
< Di su gli ultimi mari i naviganti [1911 e 1921]
35
Figure metriche (1)
Sinalefe «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono»
(RVF I 1)
Dialefe «O anima cortese mantoana» (Inf. II 58)
Sinèresi «di quei sospiri ond’io nudriva il core»
(RVF I 2)
Dieresi «Sì travïato è ’l folle mi’ desio» (RVF VI 1)
«La gola e ’l sonno e l’ozïose piume» (RVF VII
1); «Glorïosa colunna in cui s’appoggia» (RVF X
1)
36
Figure metriche (2)
• «e come albero in nave si levò» (Dante, Inf.,
XXXI 145)
• «che fece me a me uscir di mente» (Dante, Purg.,
VIII 14)
• «Io venia pien d’angoscia a rimirarti» (Leopardi,
Alla luna, v. 3)
• «O grazïosa luna, io mi rammento» (Leopardi,
Alla luna, v. 1)
37
Testo
“Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia”.
Parafrasi di I grado
Dal verso (due endecasillabi a maiore) alla prosa
Dal termine raro o desueto a quello comune
Ridisposizione delle parole
Ho incontrato spesso il male di vivere: era come un corso d’acqua che,
bloccato da un ostacolo, ribolle.
Parafrasi di II grado
Risoluzione e scioglimento delle figure retoriche
Io ho sperimentato spesso il male di vivere, e ne ho trovato
l’equivalente metaforico, per esempio, in un corso d’acqua che,
impedito nel suo scorrere naturale, ribolle.
38
Spes|so^il |ma|le| di |vi|ve|re ^ho^ in|con|tra|to:
1
2
3 4 5 6 7
8
9 10 11
e|ra ^il |ri|vo |stroz|za|to| che| gor|go|glia.
1 2 3 4
5
6 7 8
9 10 11
Cfr. Dante, Inf. VII 125, “quest’inno si gorgoglian nella
strozza”
39
La rima (1)
La rima può essere piana (amore : dolore), tronca
(sentì : compì) o sdrucciola (cantano : piantano).
Si parla di assonanza se coincidono solo le vocali,
mentre sono diverse le consonanti (campane :
celare), e di consonanza nel caso di uguaglianza
delle consonanti (ardo : morde).
40
La rima (2)
baciate (AA, es. valore : signore)
alternate (ABAB, es. bella : oro : stella : lavoro)
incrociate (ABBA, es. colore : morta : porta : valore)
invertite (ABC.CBA, es. piagenza : vertute : mostra :
nostra : salute : conoscenza, in Cavalcanti)
replicate (ABC.ABC, es. tutto : sovente : vergogno :
frutto : chiaramente : sogno, in Petrarca)
41
La rima (3)
Facili campare : andare : parlare in Inf. II 68-72
Difficili Inf., XXIX 74-78, con la serie tegghia-stregghiavegghia
Ricche regi : dispregi, in Inf. VIII e Par. XIX
Derivative parte : sparte, degna : indegna, in Inf. III
Inclusive assente : sente
Desinenziali cantando : osando; dirò : farò
Suffissali amoroso : doloroso
Antinonimiche gioia : noia
Paranomastiche strazio : spazio : sazio
Equivoche porta : porta, in Inf. XXIV 37-39
42
F. Petrarca, R.v.f. XVIII
Quand’io son tutto vòlto in quella parte
ove ’l bel viso di madonna luce,
et m’é rimasa nel pensier la luce
che m’arde et strugge dentro a parte a parte,
4
i’ che temo del cor che mi si parte,
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d’orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.
8
Così davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non sì ratto che ’l desio
meco non venga come venir sòle.
Tacito vo’, ché le parole morte
farian pianger la gente; et i’ desio
che le lagrime mie si spargan sole.
12
43
La rima (4)
Frante in Inf. XXVIII 119-123, la serie comechiome-Oh me; in Inf. XXX 83-87, la serie onciasconcia-non ci ha
Ripetute o identiche «Qui vince la memoria mia
lo ’ngegno; / ché quella croce lampeggiava
Cristo, / sì ch’io non so trovare essempro degno;
/ ma chi prende sua croce e segue Cristo, /
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, / vedendo
in quell’albor balenar Cristo» (Par. XIV 103-108)
44
La rima (5)
Rima ipermetra o eccedente
tempesta : resta(no)
«che ti lessi negli occhi, ch’erano / pieni di
pianto, che sono / pieni di terra, la preghiera /
di vivere e d’essere buono!» (Pascoli)
«Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a
se stesso amico, / e l’ombra sua non cura che la
canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!»
(Montale)
45
G. Pascoli, La voce, in Canti di Castelvecchio
(vv. 33-36 e 77-80)
Non far piangere piangere piangere
(ancora!) chi tanto soffrì!
il tuo pane, prega il tuo angelo
che te lo porti... Zvanî... che ti lessi negli occhi, ch’erano
pieni di pianto, che sono
pieni di terra, la preghiera
di vivere e d’essere buono!»
46
G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-20
- Dormi, o angelo – o angelo, déstati,
Déstati – mormora il cuore.
Tra la culla e una bara s’arresta
La mano sua rigida. Muore.
- Dor¦mi,^o ¦˅an¦ge¦lo–^o ¦ ˅an¦ge¦lo, ¦ dé¦sta¦ti,
1
2
3 4
5
6 7 8
9 10 11
Dé¦sta¦ti ¦ – mor¦mo¦ra^il ¦ cuo¦re.
1 2 3
4
5
6
7 8
Tra ¦ la ¦ cul¦la^e^u¦na ¦ ba¦ ra ¦ s’ar¦re¦sta
1
2 3
4
5 6 7 8 9 10
La ¦ ma¦no ¦ sua ¦ ri¦gi¦da. ¦ Muo¦re.
1
2 3
4 5 6 7
8
9
47
A che cosa serve la rima
• Funzione strutturante o demarcativa in
relazione alla forma del testo
• Funzione musicale: valorizzazione della
componente eufonica del segno
• Funzione semantica: attivazione di rapporti
produttori di senso
48
La rima
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono:
ABBA
del vario stile in ch’io piango et ragiono,
fra le vane speranze, e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
ABBA
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
CDE
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
12 CDE
4
8
49
La rima
Arso completamente dalla vita
io vivo in essa felice e dissolto.
La mia pena d’amore non ascolto
più di quanto non curi la ferita.
(S. Penna)
50
La rima (6)
rima interna / rima al mezzo
Leopardi, La ginestra
«Con lungo affaticar l’assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo» (vv. 209-10);
«Non ha natura al seme
dell’uom più stima o cura» (vv. 231-232)
51
G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-20
- Dormi, o angelo – o angelo, déstati,
Déstati – mormora il cuore.
Tra la culla e una bara s’arresta
La mano sua rigida. Muore.
- Dor¦mi,^o ¦˅an¦ge¦lo–^o ¦ ˅an¦ge¦lo, ¦ dé¦sta¦ti,
1
2
3 4
5
6 7 8
9 10 11
Dé¦sta¦ti ¦ – mor¦mo¦ra^il ¦ cuo¦re.
1 2 3
4
5
6
7 8
Tra ¦ la ¦ cul¦la^e^u¦na ¦ ba¦ ra ¦ s’ar¦re¦sta
1
2 3
4
5 6 7 8 9 10
La ¦ ma¦no ¦ sua ¦ ri¦gi¦da. ¦ Muo¦re.
1
2 3
4 5 6 7
8
9
52
G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-24
- Dormi, o angelo – o angelo, déstati,
Déstati – mormora il cuore.
Tra la culla e una bara s’arresta
La mano sua rigida. Muore.
Il suo primo, il suo morto è sparito
Con lei che nell'ombra lo reca:
Piange l'altro; ella n'ode il vagito
Col bianco stupore di cieca.
(A decasillabo: 3, 6, 9)
(B novenario: 2, 5, 8)
(A decasillabo: 3, 6, 9)
(B novenario: 2, 5, 8)
v. 17, decasillabo sdrucciolo: 3, 6, 9 Dormi, o angelo – o angelo, déstati
v. 18, ottonario: 1, 4, 7 Déstati – mormora il cuore.
v. 19, decasillabo: 3, 6, 9 Tra la culla e una bara s’arresta
v. 20, novenario: 2, 5, 8 La mano sua rigida. Muore.
53
Innovazioni metriche pascoliane
• Conservazione di: rima; metri tradizionali; strutture strofiche
regolari (rifiuto del ‘verso libero’)
• Ricerca di soluzioni nuove, complesse e peregrine, ma sempre
applicate con rigore ferreo e ossessivo
1. rima ipermetra
2. episinalefe
3. sinafìa
4. mobilità degli accenti, con realizzazione di schemi assenti nella
tradizione (novenario con alternanza di accenti: 2,5,8; 1,3,5,8;
1,3,6,8; 2,4,6,8, in una stessa poesia)
5. anisosillabismo (costruzione di strofe con versi che differiscono
di una sola sillaba: anomale per la tradizione)
54
L’enjambement (1)
Molto forte
• Lessicale «Poi non vi piace ch’eo v’ami, ameraggio/ vi dunque per forza? Non piaccia unque a Deo!»
(Guittone); «così quelle carole, differente- / mente
danzando, de la sua ricchezza» (Dante)
Sintagmatico «Ma, sedendo e mirando, interminati /
spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e
profondissima quiete» (Leopardi); «che vanno al
nulla eterno; e intanto fugge / questo reo tempo, e van
con lui le torme» (Foscolo)
55
L’enjambement (2)
Forte «Ma ben veggio or sì come / al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente» (Petrarca);
«Giovin signore, o a te scenda per lungo / di
magnanimi lombi ordine il sangue» (Parini)
Debole «Amor, ch’a nullo amato amar perdona, /
mi prese del costui piacer sì forte» (Dante).
56
Petrarca, R.f.v. CCCIX, 1-8
L’alto et novo miracol ch’a’ dì nostri
apparve al mondo, et star seco non volse,
che sol ne mostrò ’l ciel, poi sel ritolse
per adornarne i suoi stellanti chiostri,
4
vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri,
Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse,
poi mille volte indarno a l’opra volse
ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri.
8
57
Strofa e metro
Definizione di strofa: sequenza di versi identificata da una
più o meno precisa struttura, che si ripete nel testo una o
più volte.
Identità e natura della strofa sono determinate da:
• Numero dei versi
• Misura dei versi
• Disposizione delle rime
Definizione di metro: l’insieme di ciò che è stato
considerato obbligatorio al momento della scrittura del
testo.
58
Schemi metrici
Sonetto ABAB.ABAB oppure ABBA.ABBA (fronte, in due
piedi) + CDC.DCD, CDE.CDE oppure CDE.EDC (sirma,
in due volte)
sonetto rinterzato o rafforzato
sonetto caudato
Terzina ABA.BCB.CDC.DED…
Sestina ABCDEF, FAEBDC, CFDABE… (A)E(C)D(F)B
Ottava AB.AB.AB.CC, oppure AB.AB.AB.AB,
AB.AB.CC.DD
Canzone stanze formate da ‘fronte’ (divisa in due ‘piedi’) e
‘coda’ (o ‘sirma’, divisibile in due ‘volte’)
59
Petrarca, R.v.f. XXII
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch' ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s' anida in selva
per aver posa almeno infin a l' alba.
A
B
C
D
E
F
Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l' ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir' col sole;
poi quand' io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disïando il giorno.
F
A
E
B
D
C
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,
che m' ànno facto di sensibil terra;
et maledico il dí ch' i' vidi 'l sole,
che mi fa in vista un huom nudrito in selva.
C
F
D
A
B
E
Non credo che pascesse mai per selva
sí aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch' i' piango a l' ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
ché, bench' i' sia mortal corpo di terra,
lo mio fermo desir vien da le stelle.
E
C
B
F
A
D
Prima ch' io torni a voi, lucenti stelle,
o tomi giú ne l' amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess' io in lei pietà, che 'n un sol giorno
può ristorar molt' anni, e 'nanzi l' alba
puommi arichir dal tramontar del sole.
D
E
A
C
F
B
Con lei foss' io da che si parte il sole,
et non ci vedess' altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l' alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch' Apollo la seguia qua giú per terra.
B
D
F
E
C
A
Ma io sarò sotterra in secca selva
e 'l giorno andrà pien di minute stelle
prima ch' a sí dolce alba arrivi il sole.
(A) E
(C) D
(E)
60 F
La stanza di canzone (R.v.f. 126)
FRONTE (se indivisibile)
1° piede 1
Chiare, fresche et dolci acque,
2
ove le belle membra
3
pose colei che sola a me par donna;
2° piede 4
gentil ramo ove piacque
5
(con sospir’ mi rimembra)
6
a lei di fare al bel fiancho colonna;
SIRMA o CODA
7
herba et fior’ che la gonna
8
leggiadra ricoverse
9
co l’angelico seno;
10
aere sacro, sereno,
11
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
12
date udïenza insieme
13
a le dolenti mie parole estreme.
vv. 6-7, concatenatio
vv. 12-13, combinatio
settenario
settenario
endecasillabo
settenario
settenario
endecasillabo
a
b
C
a
b
C
settenario
settenario
settenario
settenario
endecasillabo
settenario
endecasillabo
c
d
e
e
D
f
F
61
Il congedo di canzone (R.v.f. 126)
Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia,
potresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente
A
b
B
62
La ballata
ritornello/ripresa + strofe/stanze
[strofa = fronte (divisa in ‘piedi’) + volta]
grande, con ritornello di quattro versi (4 endecasillabi, o 3
endecasillabi e 1 settenario);
mezzana, con ritornello di tre versi (3 endecasillabi, o 2
endecasillabi e 1 settenario);
minore, con ritornello di due versi (endecasillabi, o
endecasillabi e settenari);
piccola, con ritornello di un solo endecasillabo;
minima, con ritornello di un solo settenario;
stravagante, con ritornello formato da più di quattro
versi
63
Petrarca, R.v.f. 59 (ballata)
Ripresa
Perché quel che mi trasse ad amar prima, Y
altrui colpa mi toglia,
x
del mio fermo voler già non mi svoglia. X
I Stanza
piede
Tra le chiome de l' òr nascose il laccio,
A
al qual mi strinse, Amore;
b
piede
et da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio, A
che mi passò nel core,
b
volta
con la vertú d' un súbito splendore,
B
che d' ogni altra sua voglia
x
sol rimembrando anchor l' anima spoglia. X
II Stanza
piede
Tolta m' è poi di que' biondi capelli,
A
lasso, la dolce vista;
b
piede
e 'l volger de' duo lumi honesti et belli
A
col suo fuggir m' atrista;
b
volta
ma perché ben morendo honor s' acquista, B
per morte né per doglia
x
non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia. X
64
Il madrigale
• Madrigale «antico» (Trecento):
due o più terzetti + ritornello/chiusa di due vv.
• Madrigale «moderno» (Cinque-Seicento):
una strofa con vv. (max. 12) di varia misura e
varia combinazione rimica
65
F. Petrarca, R.v.f. 106 (madrigale)
Nova angeletta sovra l' ale accorta
scese dal cielo in su la fresca riva,
là 'nd' io passava sol per mio destino.
Poi che senza compagna et senza scorta
mi vide, un laccio che di seta ordiva
tese fra l' erba, ond' è verde il camino.
Allor fui preso; et non mi spiacque poi,
sí dolce lume uscia degli occhi suoi.
A
B
C
A
B
C
D
D
66
F. Petrarca, R.v.f., 12
esercizio
Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire, et dagli affanni,
ch’i’ veggia per vertù de gli ultimi anni,
donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento,
4
e i cape’ d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e ’l viso scolorir che ne’ miei danni
a·llamentar mi fa pauroso et lento:
8
pur mi darà tanta baldanza Amore
ch’i’ vi discovrirò de’ mei martiri
qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore;
et se ’l tempo è contrario ai be’ desiri,
non fia ch’almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.
12
67
Analisi di Rvf XII (1)
Parafrasi
Schema metrico
Sonetto, rime ABBA ABBA CDC DCD
Consonanza tra C e D (-ore e –iri); rima interna ai vv.
6-8 (lassar : lamentar) e (identica) ai vv. 3-11 (anni)
Rima ricca e franta ai vv. 11 e 13 (l’ore : dolore)
Enjambements
ai vv. 1-2 (con iperbato e allitterazione), 7-8, 10-11,
13-14
Effetti fonici
68
Se la mia vita | da l'aspro tormento
si può tanto schermire,^et | dagli^affanni,
ch’i’ veggia per vertù | de gli^ultimi^anni,
donna, de’ be’ vostr’occhi^il | lume spento,
4 7 10
2 3 6 10
2 6 8 10
1 4 6 8 10
e^i cape’ d'oro fin | farsi d'argento,
et lassar le ghirlande^e^i | verdi panni,
e ’l viso scolorir | che ne’ miei danni
a·llamentar mi fa | pauroso^et lento:
3 4 6 7 10
3 6 8 10
2 6 10
4 6 8 10
pur mi darà | tanta baldanza^Amore
ch’i’ vi discovrirò | de’ mei martiri
qua’ sono stati gli anni,^e^i | giorni^et l’ore;
4 5 8 10
6 10
2 4 6 8 10
et se ’l tempo^è | contrario^ai be’ desiri,
non fia ch’almen non giunga^al | mio dolore
alcun soccorso | di tardi sospiri.
3 4 6 8 10
2 4 6 10
2 4 7 10
69
Analisi di Rvf XII (2)
Il tema della poesia
La speranza di trovare in vecchiaia consolazione
delle pene amorose sofferte in gioventù.
Un artificio prospettico: posta l’incomunicabilità
che separa l’amante dalla visione e dal contatto
desiderati, ci si augura che i pensieri d’amore
possano essere rivelati e condivisi in futuro.
Rovesciamento del motivo classico (Tibullo)
dell’invecchiamento ostile agli amanti: originale è
il sogno di una vecchiaia che finalmente riunisca
gli amanti in una virtuosa reciprocità.
70
Analisi di Rvf XII (3)
Analisi linguistica e stilistica
da veggia (v. 3) dipendono (asimmetricamente:
Contini) sia un sostantivo con predicato
dell’oggetto, sia tre subordinate infinitive con
verbo medio, transitivo o intransitivo
la poesia si regge su un doppio periodo ipotetico:
Se… (vv. 1-8: PROTASI), pur mi darà… (vv. 9-11:
APODOSI); et se… (v. 12: PROTASI), non fia…
(vv. 13-14: APODOSI). NB: Protasi al presente,
apodosi al futuro
71
Analisi di Rvf XII (4)
vv. 4-7, ritratto di lei per frammenti (occhi, capelli,
panni, viso) → l’irraggiungibilità dell’intero
v. 5, e i cape’ d’oro fin | farsi d’argento:
elemento chiave della donna del Libro (i capelli
biondi) + segmento centrale allitterante ma
separato da cesura + diametralità oro/argento
NB assonanza interna che lega fin a schermire (v. 2) e
a scolorir (v. 7): con la ‘i’ tonica sempre in 6a
posizione
72
Analisi di Rvf XII (5)
v. 8, a ·llamentar mi fa | pauroso e lento
uno dei rari casi in Rvf di raddoppiamento
fonosintattico
forte cesura alla fine del primo emistichio
rima interna fa : darà (v. 9), che lega fonicamente
quartine e terzine (ribadita da qua al v. 11)
dittologia in fine verso: l’inadeguata reazione
dell’amante alle sue pene
mi fa: il cuore del sonetto; al sogno di un futuro
diverso si oppone il tempo presente del timore e
dello smarrimento (pauroso/baldanza)
73
Analisi di Rvf XII (6)
vv. 10-11, de’ mei martiri / qua’ sono stati gli anni, e i
giorni et l’ore
prolessi che enfatizza la lunghezza del tempo del
dolore
v. 13, non fia ch’almen non giunga…
perifrasi con doppia litote, che rallenta e sfuma
l’immagine del futuro
v. 14, tardi sospiri
speculare alla lentezza del poeta-amante (al v. 8)
74
Intertestualità
Analisi di Rvf XII (7)
v. 3, ultimi anni → Verg. Ecl. IV 53-54 , «O mihi tum longae maneat pars
ultima vitae, / spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!»
v. 7, e ‘l viso scolorir →
Inf. V 131, “e scolorocci il viso”
v. 8, a llamentar mi fa pauroso et lento →
Inf. V 117, “a lagrimar mi fanno tristo e pio”
la serie rimica martiri : desiri : sospiri →
Inf. V 115-120 (“Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, / e cominciai: Francesca, i tuoi martiri / a lagrimar mi fanno tristo e pio. / Ma dimmi:
al tempo de’ dolci sospiri, / a che e come concedette Amore / che
conosceste i dubbiosi disiri?-”
v. 12, tempo →
Inf. V 118 («al tempo de’ dolci sospiri»)
v. 14, alcun soccorso di tardi sospiri →
75
Inf. II 65, “Ch’io mi sia tardi al soccorso levata”
76
G. Leopardi, A Silvia (1828)
•
•
•
•
•
Canzone libera
Sei strofe o lasse (6, 8, 13, 12, 9, 15 vv.)
Rime non sistematiche e sempre piane
Endecasillabi (29) e settenari (34)
Castità espressiva
77
G. Leopardi, A Silvia, vv. 49-63
50
55
60
7
11
7
7
7
11
7
7
11
11
11
7
11
11
7
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero,
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
78
Denotazione e connotazione
significato denotativo = referenziale, oggettivo
significato connotativo = supplementare, contestuale
«Dolce color d'orïental zaffiro, / che s'accoglieva nel
sereno aspetto / del mezzo, puro infino al primo giro ,
/ a li occhi miei ricominciò diletto, / tosto ch'io usci'
fuor de l'aura morta / che m'avea contristati li occhi e 'l
petto» (Purg. I 13-18)
DOL |ce | cO| LOR ||D’O|RI|en|taL |zaf|fI |RO
1
2
3
4
5
6 7 8
9 10 11
79
I valori fonosimbolici (1).
L’allitterazione
«di me medesmo meco mi vergogno» (Rvf I 11)
(Virgilio, Buc. III 76: «Phyllida mitte mihi, meus est
natalis»)
«il pietoso pastor pianse al suo pianto» (Tasso, GL,
VII 16)
«Spesso il male di vivere ho incontrATO: / era il
rivo strozzATO che gorgoOGLIA, / era
l’incartocciarsi della fOGLIA / riarsa, era il
cavallo stramazzATO» (Montale)
80
I valori fonosimbolici (2).
L’onomatopea
Dante, Paradiso, X, 139-148
Giovanni Pascoli, Arano, vv. 7-10
Indi, come orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami,
che l'una parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;
così vid'ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota
se non colà dove gioir s'insempra.
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro.
←
«Quest’ultima immagine è complessa, costruita
com’è su un doppio ordine di rapporti analogici:
esplicito il primo, fra il movimento ingegnoso e il
suono dell’orologio e il moto e il rispondersi delle
voci nel coro dei beati; implicito il secondo, fra la
liturgia conventuale del mattutino e il canto delle
anime. L’onomatopea, i vocaboli rari traducono in
preziosità di linguaggio la tensione fantastica» (N.
Sapegno)
81
Ritmo e sintassi: U. Foscolo, A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quell’isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
4
8
12
Parafrasi
[1-4] Io non potrò mai più toccare le sacre sponde (del luogo dove
sono nato), dove il mio corpo da piccolo giacque, o Zacinto mia,
che ti rispecchi nelle onde del mare greco (cioè, non potrò mai più
ritornare in patria).
[4-6] Dalle acque di questo mare nacque la dea Venere, che rese
feconde (cioè felici) quelle isole attraverso il suo primo sorriso.
[6-11] Per questo motivo, del tuo candido cielo e dei tuoi boschi
(ossia, delle tue bellezze naturali) non poté non parlare la nobile
poesia di Omero, che raccontò le avventure (di Ulisse) sul mare
governato dal fato, e l’esilio di colui, bello nella fama e nella
disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua rocciosa Itaca.
[12-14] Tu invece, o Zacinto, non avrai altro che la poesia del tuo
figlio; a noi, infatti, il destino ha riservato una sepoltura senza
lacrime (cioè lontana dalla patria).
Esercizio: FOSCOLO
Analisi metrica
ABAB ABAB CDE CED
rima ricca ai vv. 10-14
enjamb. 1-2, 3-4, 4-5, 6-7, 7-8, 8-9, 10-11, 13-14
Analisi lessicale
sacre (v. 1), giacque (v. 2)
feconde (v. 5), limpide (v. 7)
inclito (v. 8)
fatali e diverso (v. 9), bello (v. 10)
materna (v. 13), illacrimata (v. 14)
Analisi sintattica
vv. 1-11 + vv. 12-14: Periodo iniziale di inusitata ampiezza +
secchezza epigrafica della terzina finale;
Funzione strutturante dei nessi relativi;
Frequenti e vistosi iperbati ai vv. 6-11.
Esercizio: FOSCOLO
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quell’isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
Par. VII 25-33: «Per non soffrire a la virtù che vole / freno a suo
prode, quell'uom che non nacque, / dannando sé, dannò tutta
sua prole; / onde l'umana specie inferma giacque / giù per
secoli molti in grande errore, / fin ch'al Verbo di Dio discender
piacque / u' la natura, che dal suo fattore / s'era allungata, unì a
sé in persona/ con l'atto sol del suo etterno amore».
Par. XXIX 19-24: «Né prima quasi torpente si giacque; / ché né
prima né poscia procedette / lo discorrer di Dio sovra
quest'acque. / Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad
esser che non avia fallo, / come d'arco tricordo tre saette».
Esercizio: FOSCOLO
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quell’isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
M. Pagnini, Il sonetto «A Zacinto», in Semiosi. Teoria ed
ermeneutica del testo letterario, Bologna, Il Mulino, 1988
Zacinto partecipa della stessa sostanza che generò la dea; ha
praticamente la stessa genesi: sorse dal mare. […] Visto poi nella
prospettiva nostalgica del passato felice e irrecuperabile, il
complesso semico Zacinto = Venere si inscrive nell’idea archetipica
del Paradiso Perduto. […] Con che si pongono in rapporto i due
termini del viaggio esistenziale: l’inizio come grembo materno; la fine come
grembo ctonio. […] Peraltro il verbo «giacque» sembra portare con sé il
desiderio di un altro «giacersi», distante di una vita tormentosa da
quello del pargolo. Il ritorno all’isola natale sarebbe, per
«regressione», un ritorno al grembo materno, e quindi alla felicità
primeva, fonte anche del mito e della poesia.
87
Sonetto Foscolo
Allitterazione
v. 1 Né più mai toccherò le SacrE SpondE
vv. 4-5 del gReco maR, da cui VERgiNE nacque /
VENERe, e FEa quell’isole Feconde
v. 8 L’inCLito vErso di CoLui ChE L’ACQUE
v. 12-14 Tu non aLTRo che il canTo avRai deL
figlio, / o maTeRna mia TeRRa; a noi
pRescRisse / iL faTo iLLacRimaTa sepoLTuRa
Leopardi, A Silvia, vv. 1-6
Silvia, riMeMbri ancora
quel teMpo della tua vita Mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il liMitare
di gioventù salivi?
Principale (interr.) + 2 sub. temp. fra loro
coordinate
7
11
7
11
11
7
Leopardi, A Silvia, vv. 7-14
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che [all'opre femminili inteNTA ]
sedEVI, assai conteNTA
di quel vago avvenir [che in mente avEVI].
Era il maggio odoroso: e tu solEVI
così menare il giorno.
7
7
7
11
7
11
11
7
due periodi: I, principale + sub. tempor. da cui
dipendono una modale implicita e una relativa; II,
principale + coordinata
Leopardi, A Silvia, vv. 15-27
Io [gli studi leggiadri
talor lasciando E le sudate carte,
ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte],
d'in su i veroni del paterno ostello
porgEA gli orecchi al suon della tua voce,
ED alla man veloce
che percorrEA la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate E gli orti,
E quinci il mar da lungi, E quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.
7
11
7
11
11
11
7
11
7
7
11
7
7
Leopardi, A Silvia
vv. 10-12
allor che^all’opre ¦ femminili^intenta,
sedevi,^assai contenta
di quel vago avvenir ¦ che^in mente^avevi
vv. 23-25
Mirava^il ciel sereno,
le vie dorate^e gli^orti,
e quinci^il mar ¦ da lungi,^e quindi ^il monte
2 4 8 10
246
2 6 8 10
246
46
2 4 6 8 10
Le figure retoriche
Dante, Inferno, XVII vv. 16-18: «Con più coloR,
sommesse e sovRaposTe / non feR mai dRappi
TaRTaRi né TuRchi, / né fuoR Tai Tele peR
aRagne imposTe».
L. Ariosto, Satire, I vv. 226-228: «Il qual se vuol
di calamo et inchiostro / di me servirsi, e non mi
tor da bomba, / digli: Signore, il mio fratello è
vostro ».
Le figure retoriche operanti sulla costruzione sintattica
l’iperbato: Tasso, «O belle agli occhi miei tende latine»; Parini,
«La nascente del sol luce rifrange»;
l’anastrofe: Pascoli, «dalle fratte / sembra la nebbia mattutina
fumare»;
l’epifrasi: Leopardi, «dolce e chiara è la notte e senza vento»;
il chiasmo: Pascoli, «con tonfi spessi e lunghe cantilene»;
l’enumerazione: Ariosto, «Altri in amar lo [il senno] perde,
altri in onori, / altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; /
altri ne le speranze de’ signori, / altri dietro alle magiche
sciocchezze»;
l’anafora: Ariosto: «Vedete il meglio de la nobiltade… Vedete
quante lance e quante spade… Vedete che ’l destrier sotto gli
cade… Vedete gli omicidi e le rapine»;
il climax: Leopardi, «ogni stento, ogni danno, / ogni estremo
timor subito scordi»;
l’anticlimax: Leopardi, «posa per sempre… t’acqueta omai».
Tra sintassi e semantica
• l’ipallage: Foscolo, «sorgon così tue dive / membra
dall’egro talamo»; Montale, «e gli alberi discorrono col
trito / mormorio della rena»
• lo zeugma: Dante, «parlare e lagrimar vedrai insieme»;
Dante, «fuori sgorgando lacrime e sospiri»
95
Lessico e semantica
Significato denotativo (oggettivo e comune)
↓
Significato connotativo (evocativo e contestuale)
← trama fonica, ritmica e sintattica
← echi letterari (fonti): intertestualità
Lessico e semantica
• “e il naufragar m’è dolce in questo mare” (G. Leopardi, L’infinito)
→ il contesto (ultimo orizzonte, infinito silenzio, immensità, s’annega)
→ le fonti (Dante, Par. I; Mme De Staël, Corinna)
«L’infinito rimane per sua natura indefinibile, per quante precisione e varietà
lessicali siano state messe in campo; e allora ecco che Leopardi […] termina il
testo rappresentandolo non più in sé ma nella sua azione sull’io […] ed è qui
che si situa più probabilmente il ricordo del canto di Ulisse di Dante»
• «Osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di mare / mentre si
levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi» (E. Montale, Meriggiare
pallido e assorto); «Il cammino finisce a queste prode / che rode la marea col
moto alterno» (Montale, Casa sul mare)
• “Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede” (G. Ungaretti,
Sono una creatura)
cfr. Tutto ho perduto (Il dolore): “La vita non mi è più / […] / che una roccia
di gridi”; Mio fiume anche tu (ivi): “E pietà in grido si contrae di pietra”
Similitudine e metafora
• «Ella non ci dicea alcuna cosa, / ma lasciavane
gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si
posa» (Dante, Purgatorio, VI 64-66)
• «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» (Petrarca,
Rvf, XC 1)
• «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le
foglie» (G. Ungaretti, Soldati)
• «È il mio cuore / il paese più straziato» (G.
Ungaretti, San Martino del Carso, vv. 11-12)
La similitudine
Intesi ch’a sì fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga.
(Inf., V 37 -49)
La similitudine
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena.
- l’elemento comune ai due termini della comparazione
- la funzione o ragione della similitudine
(A) la gentilezza
(B) la lussuria
L’Ottimo Commento (1333): «questa comperazione induce l'Autore per mostrare la
forma di queste anime che andavano a schiera come stornelli, li quali sono uccelli
molto lussuriosi, e però se ne vanno a stare il verno in paesi molt[o] caldi; e così
queste anime diven[ute] fredde erano portate contrario alli loro desiderii».
- eventuali fonti o modelli (intertestualità)
Verg. Aen. VI 311-312, «quam multae glomerantur aues, ubi frigidus annus /
trans pontum fugat et terris immittit apricis»; Alberto Magno, De animalibus XXIII
24, 104, «sturnus… gregatim volat et compresse»
- giudizi critici
B. Lombardi (1791): «sceglie, al paragone dell’irregolare mossa data dal vento a
quelli spiriti, il volo degli stornelli, perché di fatto è irregolarissimo».
100
La similitudine
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga.
- l’elemento comune ai due termini della comparazione
- la funzione della similitudine
- eventuali fonti o modelli (intertestualità)
Verg. Aen. X 264-266: «quales sub nubibus atris / Strymoniae dant signa grues
atque aethera tranant / cum sonitu»; Brunetto Latini, Tesoro, I 5, 27: «Grue sono
una generazione di uccelli che vanno a schiera...e sempre vanno l’uno dietro
l’altro».
- giudizi critici
A. M. Chiavacci Leonardi: «La prima immagine si riferisce a tutti gli spiriti del
cerchio, travolti dalla bufera; questa indica una particolare schiera (vid’io venir ...
ombre) che si avanza verso Dante, in lunga fila. Come si preciserà più avanti (v.
69), si tratta di coloro che a causa di amore hanno subito morte violenta».
Bibliografia: Lawrence Ryan, Stornei, Gru, Colombe: The Bird Images in
Inferno V, «Dante Studies», 94 (1976), pp. 25-45
101
Montale, I limoni, vv. 1-10
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Leggere una poesia (I):
cinque passaggi elementari
1.
2.
3.
4.
5.
La lingua e lo stile
La metrica e il ritmo
I temi
L’autore
Il contesto storico
103
G. Ungaretti, Stelle
(da Sentimento del tempo)
Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.
104
G. Ungaretti, Stelle
(da Sentimento del tempo)
Tornano in alto ad ardere le favole.
11
< Tornano le favole a ardere in alto
Cadranno colle foglie al primo vento.
11
Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.
7
11
< Parrà l’incendio nuovo a un altro soffio
G. Ungaretti, Stelle
Tornano in alto ad ardere le favole.
Tor¦na¦no^in¦ al¦to^ad ¦ar¦de¦re¦ le¦ fa¦vo¦le.
1 2
3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ca¦dran¦no¦ col¦le¦ fo¦glie^al ¦pri¦mo ¦ven¦to.
1
2 3 4 5 6
7
8 9
10 11
Ma venga un altro soffio,
Ma ¦ven¦ga^un¦ al¦tro ¦sof¦fio,
1 2
3
4 5 6 7
Ritornerà scintillamento nuovo.
Ri¦tor¦ne¦rঠscin¦til¦la¦men¦to ¦nuo¦vo.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Leggere una poesia (I):
cinque passaggi elementari
1.
2.
3.
4.
5.
La lingua e lo stile
La metrica e il ritmo
I temi
L’autore
Il contesto storico
107
Leggere una poesia (II)
• Descrivere ► le caratteristiche strutturali e
formali (la lingua, lo stile, la metrica, il ritmo)
• Comprendere ► i principali contenuti (i temi)
• Valutare ► i rapporti con la storia e la cultura
(l’autore, il contesto storico, le fonti e i
modelli)
108
Contesto e intertesto
• Contesto: la situazione extra-testuale (l’extra-testo), ossia le
circostanze dentro cui avviene l’esperienza comunicativa, che ne
rendono possibile l’interpretazione.
Cotesto = il codice linguistico
Contesto = i fattori socio-culturali
Ch. Bally (Linguistique générale et linguistique française, 1932) →
enunciazione ed enunciato
• Intertesto: la dimensione culturale dentro cui un testo vive,
stabilendo rapporti (di discendenza o filiazione o dialogo) con uno
o altri testi, assunti come proprie componenti (implicite o esplicite)
Intertestualità = discendenza (nessi a livello formale)
Interdiscorsività = dialogo (nessi a livello semantico)
M. Bachtin (La parola nel romanzo, 1934-35); J. Kristeva
(Semiotica, 1969)
Intratestualità = connessione tra elementi dello stesso
insieme
109
La parafrasi
Parafrasi: processo di transcodificazione o riscrittura
del testo in una lingua più vicina a quella del ricevente
→ esplicitazione del contenuto referenziale o
denotativo
• A livello lessicale
• A livello sintattico
• A livello retorico-stilistico
► esigenza integrativa (includere nel testo gli elementi
contestuali indispensabili alla comprensione)
► esigenza sommativa (escludere dal testo gli
elementi ridondanti o accessori)
110
U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
4
8
11
14
Contestualizzazione
Lettera di U. Foscolo a V. Monti, dicembre 1801
La morte dell’infelicissimo mio fratello ha esulcerato
tutte le mie piaghe: tanto più ch’ei morí d’una
malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né
mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi
figuro i martirij di quel giovinetto e lo stato doloroso
della nostra povera madre tra le cui braccia spirò. Ma
io temo che egli stanco della vita siasi avvelenato […].
La morte sola finalmente poté decidere la battaglia che
le sue grandi virtù, e i suoi grandi vizj manteneano da
gran tempo in quel cuore di fuoco.
Catullo, Carmina, CI
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
Per molte genti portato e per molti mari/ arrivo a queste misere,
fratello, esequie, / per donarti l'ultimo tributo di morte/ ed
invano parlare con le tue mute ceneri, / dal momento che la
sorte mi ha tolto proprio te,/ ahi, misero fratello indegnamente
sottrattomi./ Ora tuttavia, intanto, queste offerte, che secondo
l’antico rito / degli avi sono state rese con triste tributo alle
esequie, / accogli stillanti di fraterno pianto, / ed in perpetuo,
fratello, salute e addio.
Parce, per inmatura tuae precor ossa sororis:
Tibullo, Elegie, II 6, vv. 29-40
sic bene sub tenera parva quiescat humo.
Illa mihi sancta est, illius dona sepulcro
et madefacta meis serta feram lacrimis,
illius ad tumulum fugiam supplexque sedebo
et mea cum muto fata querar cinere.
Non feret usque suum te propter flere clientem:
illius ut verbis, sis mihi lenta, veto,
ne tibi neglecti mittant mala somnia Manes,
maestaque sopitae stet soror ante torum,
qualis ab excelsa praeceps delapsa fenestra
uenit ad infernos sanguinolenta lacus.
Risparmiami, ti prego, per le ossa di tua sorella morta anzitempo: / riposi la piccola in pace
sotto la terra morbida. / Lei mi è sacra: al suo sepolcro porterò offerte / e corone intrise
delle mie lacrime; / accanto al suo tumulo mi rifugerò, sedendo supplichevole, / e col suo
cenere muto compiangerò il mio destino. Lei non permetterà che il suo protetto pianga di
continuo per causa tua: / in nome suo ti proibisco di mostrarti indifferente con me, / se
non vuoi che i suoi Mani trascurati ti mandino sogni terrificanti / e nel sonno non ti /
appaia davanti al letto la sorella afflitta, / com'era il giorno in cui, precipitata dall'alto di una
finestra, / sanguinante raggiunse gli stagni infernali.
Alfieri, Rime, CLXXV 1-4 e 12-14
Misera madre che di pianto in pianto
vai strascinando la tua triste sera;
e ad uno ad uno i figli amati tanto
vedi acerbi ingoiar da morte fera.
[…]
E per me mai non stringerai tu al seno
un pargoletto, che a te sia richiamo,
a sperar quaggiù ancor un dì sereno.
La matrice petrarchesca
v. 4: Rvf CCLXVIII 39, «al fior degli anni suoi»
v. 5: Rvf XVI 5, «Indi trahendo poi l’antiquo
fianco»
vv. 10-11: Rvf CCCLXV 9-10, «Sí che s’io vissi in
guerra, et in tempesta, / mora in pace, et in
porto»
v. 12: Rvf CCLXVIII 32, «Questo m’avanza di
cotanta speme»
v. 11, prego anch’io nel tuo porto quiete
Seneca, Ep. ad Lucilium 19, 2-4:
«In freto viximus, moriamur in portu. Neque ego suaserim tibi nomen ex otio petere,
quod nec iactare debes nec abscondere; numquam enim usque eo te abigam generis
humani furore damnato ut latebram tibi aliquam parari et oblivionem velim. […] In
medium te protulit ingenii vigor, scriptorum elegantia, clarae et nobiles amicitiae; iam
notitia te invasit; ut in extrema mergaris ac penitus recondaris, tamen priora
monstrabunt. Tenebras habere non potes; sequetur quocumque fugeris multum
pristinae lucis: quietem potes vindicare sine ullius odio, sine desiderio aut morsu
animi tui?»
Trad. it.: Abbiamo vissuto fra i rischi del mare aperto, ora vogliamo morire in porto. Ma
io non ti consiglierei di cercare notorietà con una vita ritirata, di cui non ci si può né
vantare né vergognare. Mai infatti sarebbe mio proposito metterti in guardia dalla
disperata frenesia dell’umanità fino al punto di desiderare che tu ti ritiri nell’ombra e
nell’oblio. La forza dell’ingegno, l’eleganza degli scritti, le nobili e illustri
amicizie ti hanno spinto avanti; ormai la notorietà ti ha raggiunto; e anche se ti
nasconderai nei posti più oscuri, il tuo passato ti continuerà a rendere celebre. Non puoi
vivere nell’ombra; ovunque fuggirai, ti raggiungerà un raggio dell’antica luce. Puoi
rivendicare la quiete senza alcun rimprovero; senza rammarico o rimorso dell’animo.
117
G. Leopardi, Alla luna
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!
5
10
15
Alla luna, vv. 12 ss.
I red. (1819)
del mio dolore. Oh come grato occorre
il sovvenir delle passate cose,
ancor che triste, e che il pianto duri.
II red. (1835-36)
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!
G. Leopardi, Le ricordanze, vv. 50-60
Viene il vento recando il suon dell'ora
Della torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sè; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
120
La redazione definitiva
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri
Le varianti genetiche
l’anno < un anno
colle < poggio
Io venia pien < Venia carco
selva < prato < bosco
luci < sguardo
volto < viso travagliosa < dolente
ricordanza < rimembranza
rimembrar < sovvenir
e che l’affanno < e ancor che ’l pianto
U. Saba, La capra
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
5
10
Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
«Qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me
la vita è male. / O greggia mia che posi, oh te
beata, / che la miseria tua, credo, non sai! /
Quanta invidia ti porto!» (vv. 103-107);
«O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte,
il mio pensiero: / forse in qual forma, in quale /
stato che sia, dentro covile o cuma, / è funesto a
chi nasce il dì natale» (vv. 139-143) .
Biograficamente, il tempo in cui Saba compose questo idillio è quello in
cui l’uomo attivo sente più vivace l’obbligo di assumere nel mondo una
figura che lo renda necessario. Invece, in Saba, si conferma a questo
punto l’assoluta insensibilità ad ogni impulso d’agire: a giustificare la sua
vita gli basta il desto e delicatissimo sentimento delle cose; in cui si
obblia. E, se tutta la sua personalità non si dissolve passivamente nelle
cose, ciò proviene dall’intensissimo amore che egli porta ad esse e che è
già, da solo, una sufficiente e originale ragion di vivere. […] C’è una
devozione seria ed assorta per gli aspetti in cui il mondo si rivela. […] La
malinconia che Saba ha musicato trae forse le sue confuse ragioni
dall’instabilità di un centro morale; in luogo del quale è un succedersi di
stati d’anima, tutti facenti capo ad una certezza del dolore umano, più
garantita dalle affermazioni degli altri che da una autentica ricognizione;
e la logorante insidia di questo caos è mantenuta dall’assenza di ogni
travolgente iniziativa: donde il gusto di starsene a ruminare in un ozio
faticoso la propria atonia (G. Debenedetti, La poesia di Saba, 1923) .
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