La «speranza dell'immortalità»
(Sap 3,4):
la morale della sapienza biblica greca
ἡ ἐλπὶς αὐτῶν ἀθανασίας πλήρης
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Sap 11,20-26
[...] tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso.
Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi si opporrà alla potenza del tuo braccio?
Tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
(ἀγαπᾷς γὰρ τὰ ὄντα πάντα)
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l'avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all'esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita (δέσποτα φιλόψυχε)
Oggi: L'uomo nel cosmo
Lezione 17:
Ll’equilibrio sapienziale dell’esistenza
Lezione 18:
Casus: la sofferenza del giusto in Sap.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Equilibrio
L’equilibrio sapienziale umano è una particolare dinamica
fra quello che è fissato nell’ordine dell’universo e fra il
momento contingente che non segue la stessa logica.
Fra i due principi (l’ordine e il momento adatto) media il
principio sapienziale del timore del Signore, il quale è
l’inizio e corona di ogni sapienza, nonché la chiave a quella
particolare rivelazione che la Sapienza può offrire a chi la
segue con un’adeguata disposizione.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Il libro della Sapienza non ricorre al principio del jirat JHWH
(timore del Signore), almeno nella sua veste semantica del
phobos. Il timore del Signore diventa ormai l’amore della
giustizia e ricerca di Dio con cuore semplice e non contorto
dai pensieri poco trasparenti.
La giustizia, immortale come Dio stesso, garantisce
l’incorruttibilità del sapiente-giusto e lo fissa nella sua
presenza, aprendo e mantenendo la relazione transtemporale (e post-temporale) dell’uomo creato con il suo
Creatore.
La Sapienza diventa disponibile tramite la preghiera, per
diventare la sua compagna “simbiotica” in tutto,
accompagnando, conducendo, educando, raddrizzando,
amando l’uomo che la scelse come sposa al di sopra di ogni
altro bene.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Equilibrio
Gli elementi che concorrono all’equilibrio sapienziale del
giusto, specialmente nella prova, sono appunto
“sapienziali”, in quanto
permettono al giusto di cogliere il mistero
del disegno di Dio, nella apparenza all’uomo contrarie,
invitandolo addirittura al
mantenimento fedele della tensione fra gli opposti
(già Qoelet)
e di aprirsi alla prospettiva oltretombale
nella speranza dell’immortalità.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Giobbe
La sofferenza può essere vista come punizione (Proverbi),
ma ciò non si può dire della sofferenza del giusto. Giobbe è
un uomo giusto e retto, timorato di Dio e alieno dal male,
eppure viene colpito da terribili calamità.
La storia di Giobbe fa da cornice a un grande problema
teologico: il rapporto fra creatura e Creatore.
Una soluzione: la creatura non può essere giusta davanti a
Dio, ne reclamare alcun diritto o chiamarlo a rendere conto
del suo operato.
Un’altra soluzione: la sofferenza può essere un atto di
grazia, che Dio manda allo scopo di suscitare pentimento e
lode nella creatura.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Giobbe
La sola ragione umana, per quanto teologica possa essere,
non è in grado di soddisfare chi soffre.
La soluzione del problema può venire solo dalla visione di
Dio e dalla contemplazione della sua sapienza.
Dio è colui che ha creato gli esseri più forti dell’universo e
controlla le forze che sono al di fuori della portata
dell’uomo.
La contemplazione del potere divino sull’universo può
rendere accettabile la sofferenza incomprensibile.
Può convincere la creatura che la sofferenza ha un senso
nel piano superiore di Dio.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Qoelet: accettare – godere - riflettere
Meditando sulla vanità dell’attività umana, si può arrivare alla
disperazione. Nessuna traccia rimane dell’attività umana né
vantaggio per chi la compie con tanta fatica sotto il sole. Questa
meditazione può portare al punto in cui sapienza e stoltezza
s’incontrano e si toccano pericolosa-mente. Il saggio non e
capace di abbracciare completamente la sapienza, né di liberarsi
del tutto dalla stoltezza.
La soluzione di Qoelet: tenere insieme gli opposti in una
tensione che è però dolorosa e persino angosciante. La
sapienza ha i suoi vantaggi ma non salva dalla morte. Anche il
lavoro umano «è vanità e inseguire vento».
Cosa resta? La creatura deve accettare ciò che Dio manda:
godere quando glielo concede, quando invece è nella sventura
deve riflettere.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Qoelet: aurea mediocrità?
Il ragionamento di Qoelet: non troppa saggezza, perché anche il
saggio muore, ne troppa stoltezza, perché lo stolto muore anzi
tempo.
Una preoccupante affinità tra le due realtà opposte, e questo
stesso fatto consiglia di assumere una certa equidistanza tra
sapienza e stoltezza.
Solo il timorato di Dio riesce a tenere il giusto equilibrio in questa
dolorosa tensione degli opposti.
Così inteso, l’insegnamento di Qoelet è ben lontano dall’aurea
mediocrità dei pagani, in cui manca del tutto il senso del
peccato.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Qoelet: momenti di gioia
Nella situazione stressante dell’esistenza umana, di tensione
spasmodica tra la sapienza, vantaggiosa e tuttavia insufficiente,
e la stoltezza, che spinge a ricercare la gioia nella propria attività
anche a rischio di peccato e di morte, Dio concede momenti di
gioia.
Il saggio e consapevole che questi momenti sono fugaci e che
presto verranno sofferenza e frustrazione. Ma niente deve
impedirgli di godere il momento di gioia concesso da Dio, perché
questa è la sua parte, il suo bene sulla terra.
È edonismo? È materialismo o opportunismo etico? Per Qoelet è
sapienza, il segreto ultimo del comportamento retto. Dato che
l’uomo e limitato e mai del tutto esente da colpa, questa e la
saggezza suprema della vita.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Qoelet: importanza e vanità
Qoelet rappresenta una proposta singolare e robusta per
chi avverte la tremenda importanza del quotidiano:
importanza e insieme vanità, per chi desidera andare al
fondo delle cose, in particolare del senso del lavoro
dell’uomo sulla terra.
La soluzione proposta può aiutare ad apprezzare
pienamente la realtà materiale, vista in rapporto con
l’attività di Dio nel creato, e insieme a vederne l’inquietante
relatività, i rischi e le deficienze.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Canticum: l’amore come «sacramento»
Con sorpresa (persino scandalo) da parte di molti lungo i
secoli, la rivelazione di Dio nel creato ha scelto come
intermediario l’amore di due adolescenti che si aprono alla
vita attraverso la scoperta reciproca, nel quadro della
campagna dove sbocciano piante e fiori.
Mediante l’amore dei due si manifesta Dio che è Amore e
forza della vita. Nel suo senso letterale, il Cantico dei
Cantici non è da rifiutare o da guardare con sospetto a
motivo del suo carattere erotico.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Canticum: l’amore come «sacramento»
L’amore degli adolescenti è per ogni uomo forma speciale di
rivelazione, sacramento di Dio, amore e forza della vita
presente nel mondo.
Così l’interpretazione allegorica e spirituale sia dei rabbini di
Israele sia dei Padri della Chiesa si innesta naturalmente e
senza fratture sul senso letterale, semplicemente perché
base di tutto non è l’amore dei due ragazzi ma l’Amore di Dio.
Amore erotico e amore spirituale nelle sue varie specie non
sono forme inconciliabili, ma manifestazioni rivelatrici
dell’unico Amore per gli uomini.
Il passo chiave per l’interpretazione del Cantico: l’amore è
esaltato come forza della vita che contrasta il potere della
morte nel mondo:
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Canticum: l’amore come «sacramento»
Ponimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio,
perché forte come la morte è l’amore,
dura come lo sheol è la gelosia;
i suoi dardi sono dardi di fuoco,
fiamme divine.
Acque profonde non possono estinguere l’amore
né i torrenti lo portano via.
Se uno vendesse
tutta la ricchezza della sua casa per l’amore,
verrebbe certo solo disprezzato (Ct 8,6-7).
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Canticum: l’amore come «sacramento»
La preziosità dell’amore richiama i passi di Proverbi che
esortano a vendere tutto per acquistare la sapienza (4,7;
16,16), e l’affermazione di Giobbe che nessun tesoro può
essere scambiato con essa (28,15-19).
La convergenza tra amore e sapienza è significativa e
importante: sono due realtà divine seminate nel mondo, due
veri tesori tra molti falsi, due rivelazioni che interpellano
l’uomo tramite le creature.
Il lettore e chiamato a costruire da sé, poco a poco, il mosaico
della concezione del mondo, della vita, di Dio che deriva dai
singoli insegnamenti. L’unità delle diversità si fa all’interno
della casa della sapienza, con il timore di Dio e con la
rivelazione tramite il creato.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Un etica «flessibile»
Nel linguaggio biblico, timore non si oppone ad amore, e un
rapporto di timore non è un rapporto di sudditanza per paura
della punizione.
Solo i patiti della libertà ad ogni costo possono pensarlo.
La sapienza biblica, con il suo principio del timore di Dio,
insegna la somma libertà e la somma dipendenza,
la somma creatività e la somma remissività,
la somma grandezza e la somma piccolezza.
Sapienza è tenere insieme gli estremi.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Un etica «flessibile»
L’etica della sapienza è l’etica del tempo adatto.
È un’etica che conosce un atteggiamento costante,
quello del timore di Dio, ma nessun comportamento fisso,
definito una volta per tutte.
Il timore di Dio è uno stimolo a vivere
costantemente aperti all’imprevedibile Dio:
occhi, orecchi e cuore, esterno e interno.
Siccome Dio è imprevedibile, il comportamento dell’uomo
non sarà mai univoco. Dovrà sempre adattarsi
alla circostanza o alla rivelazione di Dio per quel momento.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Un etica «flessibile»
È un’etica che impegna tutte le facoltà dell’uomo,
soprattutto il cuore, scrigno interiore dove l’individuo ritrova
se stesso e insieme sperimenta la presenza sovrana di
Dio, crogiolo di ogni esperienza, sede della rivelazione e
luogo dell’incontro (cf. la coscienza).
Chi non sa impegnarsi fino al livello del cuore, non
raggiungerà mai la sapienza, perché non incontrerà mai
Dio, per quanto sapienza e Dio siano in ogni cosa, lo
circondino e quasi lo avvolgano.
Morale del tempo adatto, ma non opportunismo, perché il
criterio non è il tornaconto dell’uomo ma la volontà di Dio
nella situazione.
L’equilibrio umano
nella corrente sapienziale
Un etica «flessibile»
La sapienza è dunque profondamente teologica, benché
essa non si richiami alla rivelazione del Sinai. Anche nella
fase più antica, la sapienza biblica ha una teologia, una
morale, una spiritualità e una soteriologia proprie.
La sapienza interpella l’uomo nelle situazioni concrete,
piccole o grandi, dell’esistenza.
È una fede che affronta i problemi dell’individuo e della vita
sociale, non toccati quasi dal resto dell’AT.
È una morale laica che, senza rifiutare il tempio e il culto, è
orientata in senso mondano. Il suo tempio è il mondo. Dal
mondo viene la volontà di Dio che si rivela e va incontro
all’uomo. Nel mondo si dispiegano il compito dell’uomo e
della donna: in se stessi, nella famiglia e nella società.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
In Sap 2,12-20 rileggiamo il discorso degli empi:
Insidiamo il giusto, perché ci è scomodo:
si oppone alle nostre azioni,
ci rinfaccia le colpe contro la legge,
ci rimprovera le colpe contro l’educazione ricevuta;
dichiara di conoscere Dio
E si dice figlio del Signore;
è diventato accusatore delle nostre convinzioni,
il solo vederlo ci dà ribrezzo;
conduce una vita diversa dagli altri
e va per un cammino a parte …
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Sap 1,1–6,21 si apre con un invito rivolto ai governanti a
ricercare il Signore, a evitare i pensieri e i discorsi malvagi,
perché nulla sfugge allo Spirito del Signore e verrà fatta
un’indagine sui piani dell’empio (1,1-12).
L’autore continua ricordando, sulla base di Gen 1–3, che
Dio non vuole la morte dell’uomo, che questa non viene da
Dio, ma dal diavolo.
Dio incvece ha creato l’uomo per l’immortalità, per
l’incorruttibilità, che viene concessa alle anime pure (1,1315; 2,21-24).
Questa tesi dell’autore inquadra un discorso fittizio messo
sulla bocca degli empi (2,1-20), che si può dividere in due
parti. Nella prima, essi espongono innanzitutto la loro
filosofia della vita:
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Breve e triste è la nostra vita;
irrimediabile la fine dell’uomo;
nessuno risulta tornato dall’abisso.
Per caso nascemmo,
e passeremo poi, come chi mai è esistito;
fumo è il nostro respiro;
il pensiero, scintilla del cuore che batte;
quando essa si spegnerà, il corpo tornerà cenere
e svanirà lo spirito come aria sottile…
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
È meglio allora approfittare al massimo della felicità
presente:
Su, venite! profittiamo dei beni presenti,
godiamoci ansiosamente le cose, come la giovinezza;
riempiamoci del vino migliore e di profumi;
non ci sfugga il fiore primaverile.
Cingiamo corone di boccioli di rose,
prima che avvizziscano;
nessuno di noi sia assente alla nostra orgia;
lasciamo ovunque ricordi della nostra allegria:
ecco la nostra parte, il nostro destino (Sap 2,6-9).
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
La seconda parte del discorso degli empi mostra che per
loro non basta approfittare della vita; essi passano
bruscamente a propositi aggressivi:
Soverchiamo il povero innocente;
nessuna pietà per la vedova,
né rispetto per la venerabile canizie dell’anziano.
Norma del diritto sia la nostra forza:
la debolezza – è chiaro – non serve a nulla
(Sap 2,10-11; cf. Gb 12,5-6).
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il fatto che gli sventurati siano giusti irrita gli empi, perché,
secondo loro, la miseria rende inutili. La giustizia o la
santità dei poveri non deve dunque sussistere davanti alla
forza degli empi, regola della loro giustizia.
In 2,12-16 gli empi sono esasperati di fronte
all’atteggiamento del giusto, che li rimprovera per le loro
colpe contro la legge e contro l’educazione ricevuta,
pretende di vivere in una relazione privilegiata con Dio, si
tiene lontano da loro e assicura che la felicità attende i
giusti al termine della loro esistenza.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il discorso degli empi, schematicamente:
I. 2,1-9
2,1-5: il senso della vita e della morte per gli empi;
2,6-9: intenzione di approfittare al massimo della vita
presente;
II. 2,10-20
2,10-11: la decisione di opprimere i poveri;
2,12-16: il proposito di perseguitare il giusto
dalla cui vita e dalle cui pretese essi sono irritati;
2,17-20: il proposito di spingere il giusto a una
morte ignominiosa, per verificare la fondatezza
delle sue affermazioni.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
In 5,4-13: un nuovo discorso degli empi, l’eco fedele del loro
primo discorso in 2,1-20.
Ora viene pronunciato nell’aldilà, dove, secondo la dottrina
dell’autore, essi si trovano faccia a faccia con il giusto
glorificato.
In questo nuovo discorso (5,4-13) gli empi riprendono, in
senso inverso, le grandi linee del discorso che hanno
pronunciato in 2,1-20, per confessare il totale insuccesso del
loro empio progetto.
In forma schematica, i rapporti tra questi due discorsi si
presentano così:
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Sap 5,4-13: l’eco fedele del loro primo discorso 2,1-20.
5,4
5,5
5,6-7 -
2,17-20:
2,12-16:
2,6-9:
5,8-13 -
2,1-5:
la morte ignominiosa del giusto;
il giusto è figlio di Dio;
il comportamento degli empi;
il fallimento del loro progetto;
la concezione empia della vita
e le sue conseguenze.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
L’identità degli empi:
1)
2)
3)
4)
5)
Qoelet?
Sadducei?
Epicurei?
Giudei?
Pagani greco-romani?
Sembra che Sap 2 voglia delineare un quadro i cui tratti sono
generalizzati e tipicizzati. Il suo testo non fa allusione a
nessun fatto concreto, ma evoca atteggiamenti spinti
all’eccesso. Essi comunque aiutano a ricordare avvenimenti
allusi, noti in Egitto, e forse ancor più in Palestina.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Chi è il giusto?
È impossibile dire a quale personaggio l’autore avrebbe potuto
pensare nella sua descrizione del martirio del giusto
progettato dagli empi.
- Non si può pensare al Maestro di giustizia di Qumran,
perché, oltre tutto, non si sa nulla di sicuro sulle circostanze
della sua morte.
- Lo stesso si deve dire per i farisei perseguitati da Alessandro
Janneo: i motivi di tali persecuzioni furono essenzialmente di
ordine religioso. Alessandro Janneo non ha perseguitato i
farisei per prenderli in parola (cfr Sap 2,17).
- La stessa difficoltà s’incontra per il caso di coloro che furono
massacrati da Erode.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il giusto
L’autore di Sap 2 procede in maniera diversa:
In Sap 3–4 presenta di nuovo delle figure di giusti, messi di
fronte ad altri aspetti dolorosi o paradossali dell’esistenza
credente. In
In Sap 3,1-9 evoca i giusti che muoiono nella prova che però
non sembra essere la conseguenza di una persecuzione:
semplicemente anche i giusti sono raggiunti dalla sofferenza.
In Sap 3,13-15 e Sap 4,1-2 presenta la sposa sterile e
l’eunuco, entrambi fedeli e puri.
In Sap 4,7-14 descrive la morte prematura del giusto.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il giusto – una nuova tipicizzazione
Tre casi di vita fedele al Signore, ma paradossali:
la virtù non arreca la felicità, né una discendenza,
come era promesso, e neppure lunghi giorni.
I tre casi vengono presentati sia al plurale (Sap 3,1-9) sia al
singolare (Sap 3,13-15; 4,7-14). Si tratta di casi non
puramente astratti, ma non si può dare un nome preciso a
questi giusti sofferenti.
Non è però soltanto pura fantasia: l’autore ha presentato delle
figure in modo schematico; ha fatto dei suoi personaggi senza
nome dei tipi, i quali, nella loro generalità, evocano la realtà
vissuta da tanti fedeli in ogni tempo.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il giusto – una nuova tipicizzazione
Lo stesso accade per Sap 2,12-20.
Più ancora che in Sap 3–4, l’autore spinge qui la sua
descrizione all’eccesso, caricando al massimo le tinte del
ritratto, accumulando le malversazioni e le provocazioni a cui
gli empi progettano di sottomettere il giusto
e, d’altra parte,
tutti gli aspetti possibili di fedeltà e di fede
da parte del sapiente.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il giusto – una nuova tipicizzazione
Sap 2,12-20
è una generalizzazione aperta ad applicazioni concrete.
Quando l’autore carica al massimo le tinte del ritratto,
egli non si riferisce a un caso storico determinato.
L’espressione iniziale «il giusto», con l’articolo (Sap 2,12),
fa di questo personaggio una figura ideale, eminente:
il giusto per eccellenza.
Il giusto che soffre
nel libro della Sapienza
Il giusto – una nuova tipicizzazione
Sap 5,1-5 || Is 52,13 - 53,12 || Sap 2,12-20:
- in entrambi i testi si tratta di un pais
(figlio o servo) del Signore (Sap 2,13 e Is 52,13; 53,11),
- sia al giusto perseguitato sia al Servo sofferente
venga riservato lo stesso destino: una morte infame.
- l’esaltazione del giusto avviene dopo la sua morte:
questa esaltazione non è terrena, ma celeste.
L’immortalità come prospettiva di soluzione del dolore…
Salvifici doloris - vocatio
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