20.00 Lettera 13 Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza; perché in altro non potremo piacere a Dio, ma perderemo il frutto delle nostre fatiche. E però c'è bisogno questa gloriosa virtù della pazienza. E se voi mi diceste, carissimo fratello: «Io ho le grandi fatiche, e non mi sento forte ad avere questa pazienza; e non so in che modo acquistarla»; io vi rispondo che nessuno è che voglia seguire la ragione, che non la possa avere. Ma bene vi confesso che noi siamo fragili e deboli per noi medesimi, secondo la sensualità, e specialmente, quando l'uomo ama molto sé, e le creature e la sostanza temporale sensualmente; onde amandole tanto d'un amore tenero sensitivo, quando poi le perde, ne riceve intollerabile pena. Ma Dio, ch'è nostra fortezza, se noi vorremo con la ragione, con la forza della volontà, e con la mano del libero arbitrio conculcare la fragilità nostra; Dio non dispregerà la forza che faremo a noi medesimi per non dolerci disordinatamente; perché egli è accettatore dei santi desideri: e ci darà questa dolce e reale virtù, e porteremo ogni fatica con vera e santa pazienza. Sicché vedete che ognuno la può avere, se vorrà usare la ragione che Dio gli ha data, e non seguire solamente la fragilità: perché sarebbe cosa molto sconvenevole che noi, creature ragionevoli, non usassimo altra ragione, che gli animali bruti. Però che essi non possono usare la ragione, perché non l'hanno; ma noi, perché l'abbiamo, la dobbiamo usare; e non usandola, veniamo in impazienza, e ci scandalizziamo nelle cose che Dio ha permesse a noi, e così l'offendiamo. Che modo dunque possiamo tenere ad avere questa pazienza, poiché io la posso e debbo avere, e senz'essa offenderei Iddio? Quattro cose principali ci conviene avere e considerare. In primo, dico che ci conviene avere il lume della fede, nel quale lume della fede santa acquisteremo ogni virtù; e senza questo lume andremo in tenebre, sì come il cieco a cui il dì gli è fatto notte. Così l'anima senza questo lume. Quello che Dio ha fatto per amore, il quale amore è un dì lucido sopra ogni luce, ella se lo reca a notte, cioè a notte d'odio, tenendo che per odio Dio gli permetta le tribolazioni e le fatiche ch'egli ha. Sicché dunque vedete che ci conviene avere il lume della santissima fede. La seconda cosa si è quella la quale s'acquista con questo lume, ciò è che in verità ci convien credere, e non tanto credere, ma essere certi ch'egli è, e che ogni cosa che ha in sé essere, procede da Dio, eccetto il peccato, che non è. La mala volontà dell'uomo che commette il peccato, non fa egli; ma ogni altra cosa: o per fuoco o per acqua o per altra morte o qualunque altra cosa si sia, ogni cosa procede da lui. E così disse Cristo nel Vangelo, che non cadeva una foglia d'albero senza la sua provvidenza: dicendo ancora più, cioè che i capelli del capo nostro sono tutti numerati; e nessuno ne cadeva che egli non lo sapesse. Se dunque così dice delle cose insensibili, molto maggiormente ha cura di noi, creature ragionevoli; e in ciò che egli ci dà e permette; usa la provvidenza sua; e ogni cosa è fatta con mistero e per amore, e non per odio. La terza cosa è questa: ch'egli ci conviene vedere e conoscere in verità col lume della fede, che Dio è somma eterna Bontà, e non può volere altro che il nostro bene; perché la volontà sua si è che noi siamo santificati in lui; e ciò ch'egli ci dà e permette, ci dà per questo fine. E se noi di questo dubitassimo ch'egli volesse altro che il nostro bene; dico che noi non ne possiamo dubitare, se noi guardiamo il sangue dell'umile e immacolato Agnello, perché Cristo, aperto, appenato e afflitto di sete in Croce, ci mostra che il sommo ed eterno Padre ci ama inestimabilmente; perché, per l'amore ch'egli ebbe a noi, essendo noi fatti nemici per il peccato commesso, ci donò il Verbo dell'unigenito suo Figliuolo; e il Figliuolo ci diede la vita, correndo come innamorato all'obbrobriosa morte della Croce. Chi ne fu cagione? L'amore ch'egli ebbe alla salute nostra. Sicché dunque vedete che il sangue ci toglie ogni dubitazione che noi avessimo, che Dio volesse altro che il nostro bene. E come può la somma Bontà fare altro che bene? Non può. E la somma eterna Provvidenza come userà altro che provvidenza? Colui che ci ha amati prima che noi fossimo, e per amore ci creò alla immagine e similitudine sua, non può fare ch'egli non ci ami, e che non ci provveda in ogni nostro bisogno nell'anima e nel corpo. Sempre Dio ama, in quanto Creatore, le creature sue; ma solo il peccato è quello ch'egli odia in noi; e però egli ci permette molte fatiche in questa vita sopra i corpi nostri, o nella sostanza corporale, in diversi modi, secondo ch'egli vede che noi abbiamo bisogno; e siccome vero medico, dà la medicina che bisogna alla nostra infermità. E questo fa o per punire i nostri difetti in questo tempo finito, acciocché meno pene proviamo nell'altra vita, o egli lo fa per provare in noi la virtù della pazienza. Siccome fece a Giobbe, che per provare la pazienza sua gli tolse i figliuoli e tutta la sostanza temporale ch'egli aveva, e nel corpo suo diede un'infermità che continuamente menava vermi. La moglie gli riserbò per sua Croce e stimolo; però che sempre tribolava Giobbe con molta villania e rimprovero. E poiché Dio ebbe provata la pazienza sua, gli restituì a doppio ogni cosa. Giobbe mai in queste cose non si lagnò: anco diceva: «Dio me le diede, e Dio me l'ha tolte; sia sempre benedetto il nome suo». Alcuna volta Dio ce le permette acciocché noi conosciamo noi medesimi, e la poca fermezza e stabilità del mondo; e perché tutte le cose che noi possediamo, e la vita e la sanità, moglie e figliuoli, ricchezze e stati del mondo e delizie del mondo, tutte le possediamo come cose prestate a noi per uso da Dio, e non come cose nostre: e così le dobbiamo usare. Questo ci è a noi manifesto ch'egli è così, perché nessuna cosa possiamo tenere che nostra sia, che non ci possa esser tolta, se non sola la Grazia di Dio. Questa Grazia né dimoni né creatura né per alcuna tribolazione ci può esser tolta, se noi non vogliamo. Quando l'uomo conosce questo, cioè la perfezione della Grazia, e l'imperfezione del mondo e della vita nostra corporale; gli viene in odio il mondo con tutte le sue delizie, e la propria fragilità sua, che è cagione spesse volte (quando ama sensitivamente) di toglierci la Grazia: e ama le virtù che sono strumento a conservarci nella Grazia. Sicché vedete dunque che Dio per amore ce le permette, acciò che con cuore virile ci stacchiamo dal mondo con santa sollecitudine, e col cuore e coll'affetto, e cerchiamo un poco i beni immortali, e abbandoniamo la terra con tutte le puzze sue, e cerchiamo il cielo. Perché noi non fummo fatti per nutrirci di terra; ma perché noi siamo in questa vita come pellegrini che sempre corriamo al termine nostro di vita eterna, con vere e reali virtù: e non ci dobbiamo restare fra via per alcuna prosperità o diletto che il mondo ci volesse dare, né per avversità; ma correre virilmente, e non volgersi a loro né con disordinata allegrezza né con impazienza, ma con pazienza e santo timore di Dio tutte trapassare. Di grande necessità v'era questa tribolazione; perché Dio vi dava il desiderio di sciogliervi dei molti legami, e sviluppare la coscienza vostra; onde dall'uno lato vi tirava il mondo, dall'altro Dio. Ora Dio, per grande amore che egli ha alla salute vostra, vi ha sciolto, e datavi la via, se voi la sapete pigliare. A loro ha dato vita eterna; e voi chiama col tesoro della tribolazione, perché voi non né siate privato, ma perché in questo punto del tempo che v'è rimasto conosciate la bontà sua e i difetti vostri. La quarta cosa che ci conviene avere per poter venire a vera pazienza, è questa: che noi consideriamo i peccati e difetti nostri, e quanto abbiamo offeso Dio, il quale è Bene infinito; per la qual cosa seguirebbe (non tanto che delle grandi colpe, ma d'una piccola) pena infinita; e degni siamo di mille inferni, considerando che siamo noi miserabili che abbiamo offeso il nostro Creatore. E chi è il dolce Creatore nostro che è offeso da noi? Vediamo ch'egli è colui che è Bene infinito; e noi siamo coloro che non siamo per noi medesimi: però che l'esser nostro, e ogni grazia che è sopra l'essere, abbiamo da lui; però che noi per noi siamo miseri miserabili. E nondimeno che noi meritiamo pena infinita, egli con misericordia ci punisce in questo tempo finito; nel qual tempo portando le fatiche con pazienza si sconta e si merita. Che non avviene così delle pene che sostiene l'anima nell'altra vita. Perché se ella è alle pene del purgatorio, sì sconta, e non merita. Bene dobbiamo dunque portare questa piccola fatica volontariamente. Piccola si può dire questa e ogni altra per la brevità del tempo; perché tanto è grande la fatica, quanto è grande il tempo in questa vita. Quanto è il tempo nostro? È quanto una punta d'ago. Adunque bene è vero ch'ella è piccola; perché la fatica ch'è passata, io non l'ho, perché è passato il tempo; quella che è avvenire, anco non l'ho, perché non son sicura di avere il tempo, con ciò sia cosa che io debba morire, e non so quando. Solo dunque questo punto del presente c'è, e non più. Adunque bene dobbiamo portare con grande allegrezza; però che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita. E Paolo dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che riceve l'anima che porta con buona pazienza». Or a questo modo potrete portare, e acquistare la virtù della vera pazienza; la quale pazienza, acquistata per amore col lume della santissima fede, vi renderà il frutto d'ogni fatica. In altro modo perdereste il bene della terra e il bene del cielo. Però che altro modo non c'è. E però vi dissi che desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza; e così vi prego che facciate. Abbiate memoria del Sangue di Cristo crocifisso; e ogni amaritudine vi tornerà in dolcezza, e ogni gran peso vi tornerà leggero. E non vogliate eleggere né tempo, né luogo a vostro modo; ma siate contento nel modo che Dio ve le ha date. Vi ho avuta compassione del fatto che vi è avvenuto. Secondo l'aspetto pare molto forte, e nondimeno egli è fatto con gran provvidenza, e per vostra salute. Vi prego che vi confortiate, e che non veniate meno sotto questa dolce disciplina di Dio. Altro non vi dico, se non che sappiate conoscere il tempo mentre voi l'avete. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce Gesù amore