HANDICAP & SESSUALITA’
GLI EDUCATORI
IDENTITA’ E RELAZIONE
I significati, il valore, il senso che ciascuno dà al termine sessualità, non è mai
svincolato dalla storia di ciascun individuo.
Le rappresentazioni della sessualità hanno parti conosciute e parti nascoste.
DUE DIMENSIONI:
Sessualità buona. Aspetti positivi,
giocosi e spesso idealizzati (legati al
piacere, al desiderio, all'espansione e
all'evoluzione di sé e dei legami,
energia e forza vitale creatrice)
Sessualità cattiva. Percorsi più oscuri
che evocano disorientamento,
eventuale solitudine e mancanza,
prevaricazione e aggressività
E’ opportuno partire dalla propria rappresentazione, valori e sentimenti.
IDENTITA’ E RELAZIONE
La sessualità fa sentire impotenti le più avanzate strutturazioni e conoscenze
tecniche e i più rigorosi ordinamenti.
La sessualità porta comunque con sé numerose prospettive di cambiamento e
la disponibilità nella cura dell'altro promuove facilmente l'incontro con il tema
della sessualità, con la sessualità dell'utente e inevitabilmente con la propria
sessualità.
Es. la dimensione del corpo è uno spazio comune tra due persone che si
trovano a contatto e che quindi inevitabilmente mettono in comunicazione
aspetti profondi ed emotivamente significativi.
Cosa succede nell'operatore che si trova a contatto con questo aspetto della
sessualità, con il piacere e il disagio che scaturisce dal contatto dei corpi di chi
cura e di chi è oggetto di cura?
UN ESEMPIO CONCRETO
Percorsi di autonomia rispetto alla cura di sé, del proprio corpo e dei rapporti
con gli altri (vestirsi, tenersi puliti, scegliere i propri abiti, farsi belli, conoscere
nomi e funzioni del corpo, le sue parti pubbliche e quelle più intime e private...)
rifiuti
negazione delle somiglianze
segregazioni
La paura delle espressioni della sessualità e del suo "coinvolgere" può
disorientare l'operatore che si sente oggetto privilegiato d'amore, di attenzioni,
di richieste da parte della persona di cui è chiamato a prendersi cura.
Può essere conflittuale e destabilizzante "assistere" e cogliere il desiderio, il
piacere, gli affetti che possono coinvolgere gli utenti nelle più disparate
combinazioni.
DETTI E NON DETTI
Molte richieste di consulenza, supervisione e formazione sul tema della
sessualità includono al loro interno, spesso ben nascoste agli stessi richiedenti il
bisogno di neutralizzare, deviare o sedare le espressioni in ordine ai temi
dell'affettività, dell'erotismo e di ogni altra componente.
DOMANDE APERTE
Devo dare ascolto, accoglienza, disponibilità all’espressione dell’utente?
Devo impedire, controllare, neutralizzare?
Quanto posso usufruire della quantità/qualità sessuale e relazionale dell’utente?
Devo costruire modalità appropriate per affiancare il bisogno dell’utente?
E’ sufficiente stare-con l’altro?
Devo fare-risolvere-agire comunque secondo quanto esige il mio mandato?
L’EDUCATORE COME
SUPER IO
La persona con un handicap psichico spesso non riesce ad interiorizzare le norme, le
regole sociali, non è in grado di arginare le proprie pulsioni che tendono ad ottenere
un'immediata soddisfazione. La struttura cognitiva insufficiente consente con più
difficoltà di mediare i propri bisogni e desideri legati alla sfera sessuale con interessi e
bisogni culturali e sociali.
L'educatore può dover giocare il ruolo di Super Io e quindi assumersi la responsabilità di
gratificare o di frustrare i desideri altrui, di porre dei limiti all'espressione della
sessualità. Spesso gli educatori vivono questo ruolo d'autorità esterna con sentimenti
ambivalenti: oscillano da sentirsi onnipotenti, a sentimenti di frustrazione e d'ansia per
l'eccessiva responsabilità, d'impotenza e inadeguatezza di fronte a scelte difficili da
prendere "sulla pelle" dell'utente.
Nei centri educativi si costruisce cioè un Super Io collettivo, che definisce una linea
educativa condivisa. Questa situazione amplifica una serie di dubbi: esistono delle
norme universalmente valide? Come si definiscono delle norme di riferimento rispetto
alla sessualità e alla disabilità? I valori e le norme personali sono trasferibili alla vita
dell'utente? E se all'interno di un gruppo esistono atteggiamenti e quindi valori differenti
come definire una linea operativa comune? Come porsi rispetto ai principi etici, alle
paure e alle aspettative della famiglia dell'utente?
Queste domande spesso fanno da sfondo a molti conflitti nel gruppo di lavoro e possono
determinare periodi d'impasse oppure la ricerca di una risposta esterna, possibilmente
da parte di un tecnico vissuto come super partes.
Non è invece sempre possibile definire a priori norme, valori, atteggiamenti,
universalmente validi prescindendo dalle caratteristiche personali, dalla storia evolutiva,
familiare e sociale dell'utente, dal suo rapporto con gli operatori, dalle dinamiche
presenti all'interno del centro, dai vissuti emotivi che egli evoca in ciascun educatore.
Es. la masturbazione può avere significati molto diversi: può essere segno di noia, di
solitudine, d'aggressività ma anche contenere degli elementi più evoluti legati al rispetto
di situazioni sociali (in bagno piuttosto che in luoghi pubblici) e di rapporto intimo con il
proprio corpo. La stessa azione può essere spiegata e valutata in modo differente dai
vari operatori a seconda del proprio modo di porsi rispetto alla sessualità in generale e
in specifico rispetto ad un determinato comportamento sessuale.
La sessualità ha sempre due dimensioni: una soggettiva, personale che rende ognuno
diverso dall'altro e che quindi richiede tempo e capacità d'ascolto e d'osservazione per
conoscerla e comprenderla; l'altra relazionale, frutto dei rapporti affettivi passati e
presenti e che quindi chiama in causa l'operatore e le dinamiche affettive tra lui e
l'utente.
Per definire un'azione educativa comune occorre che ogni operatore, e quindi ogni
gruppo, sia consapevole della propria rappresentazione di sessualità, dei propri valori e
sentimenti, perché essi sono gli occhiali con cui guarda e interagisce con la persona di
cui si prende cura, ma anche che conosca la storia e le dinamiche affettive e sociali che
circondano l'utente sia fuori che dentro al centro.
L’EDUCATORE COME
SOSTENITORE DELLO SVILUPPO
I percorsi d'autonomia rispetto alla cura di sé sono un importante terreno di sviluppo
della sessualità. Esse si costruiscono nel tempo attraverso l'insieme delle sensazioni che
provengono dal corpo e da come esso è visto, vissuto, manipolato dalle altre persone.
Compito di chi fa un lavoro di cura è quindi innanzitutto essere consapevole che il corpo
a cui si avvicina non è mai asessuato e asettico, che nel contatto fisico che diverse
mansioni richiedono (dare da mangiare, vestire, accompagnare in bagno) s' instaura una
comunicazione non verbale che può facilitare od ostacolare il modo con cui l'utente vive
il proprio corpo sessuato e si sente riconosciuto in esso.
Neppure il corpo dell'operatore è asessuato, e quindi la relazione di cura è anche un
incontro tra due diverse sessualità, tra due corpi sessuati. Nell'operatività quotidiana, ciò
significa porre attenzione a chi si cura di chi, ad es. a chi, maschio o femmina
accompagna in bagno, o veste un utente uomo o un'utente donna.
Il modo di essere del corpo (l'aspetto, il movimento, la postura, l'odore) è un continuo
invito o ostacolo alla comunicazione, per questo spesso nei percorsi educativi si dà
ampio spazio alla cura degli aspetti fisici, alla scoperta di un modo nuovo di interagire
con il proprio e altrui corpo.
L’operatore si trova spesso coinvolto da questi aspetti della sessualità, dal piacere e dal
disagio che scaturiscono dal contatto dei corpi di chi cura e di chi è oggetto di cura.
Tutto ciò può evocare paure di essere troppo "materni", "intrusivi" o "di essere svuotati";
può generare atteggiamenti di iper-protezione o di rifiuto, di ricerca di un rapporto
asettico e distante per non avvertire le forti emozioni.
Le differenze fisiche e quindi le diverse possibilità di vivere la sessualità, possono
generare nell'utente rabbia e invidia nei confronti dell'operatore che a sua volta può
sentirsi in colpa, non tollerare l'attacco invidioso e tentare di assumere un aspetto
neutro, dimesso, quasi a "lutto", togliendosi di dosso tutto ciò che lo caratterizza come
persona.
Spesso della fisicità dell'utente e della corporeità del rapporto con lui è difficile parlare.
Si possono vivere emozioni intense, difficilmente verbalizzabili. L'utente costringe chi si
occupa di lui a fare i conti con sensazioni dirette, "di pancia", non filtrate dalla
razionalità, strettamente legate alla sessualità, all'affettività e all'aggressività.
Non è facile soffermarsi con il pensiero a riflettere e a comunicare ad altri il forte
imbarazzo, il disgusto o il piacere vissuti in certi momenti di intimità; per riuscire a
parlarne ad altri occorre riconoscerli innanzitutto a se stessi e nel verbalizzarli si apre la
strada per meglio comprenderli e farli diventare un ulteriore strumento di vicinanza e di
comprensione dell'altro e dell'interazione con lui.
L’EDUCATORE COME
OGGETTO D’AMORE
PRIVILEGIATO
A volte l'operatore si trova investito di un ruolo inatteso: diventa l'oggetto privilegiato
d'amore, di attenzioni, di richieste affettive e/o sessuali da parte della persona di cui è
chiamato a prendersi cura. Tutto ciò può essere generato da più fattori, strettamente
legati alla storia personale, familiare e sociale di ogni singola persona.
Occorre tener presente che il piacere sensoriale motorio, che viene dal corpo, dalle sue
sensazioni fa parte di quei piaceri primari che costruiscono l'essenza di sentirsi vivi, del
stare bene dentro il proprio corpo, del sentirsi amati; i primi pilastri del piacere sessuale.
A volte, senza volerlo e senza esserne consapevole, l'operatore può in maniera più o
meno diretta, essere una fonte, forse l'unica, di piacere e di contatto corporeo
significativo. Questo può facilmente generare nell'utente un sovra-investimento affettivo
e quindi determinare una serie di richieste e di desideri più o meno esplicitamente
sessuali.
Un'altro elemento che può generare questo forte investimento affettivo è dato dalla
situazione sociale della persona con un deficit: spesso i suoi rapporti sociali sono limitati
e quindi le attenzioni, i desideri, le aspettative affettive e sessuali vengono dirette sugli
educatori che sono presenti nella quotidianità.
Inoltre spesso le persone con un deficit psichico sperimentano fin dalla nascita relazioni
di forte dipendenza con le figure adulte, in cui prevale una situazione asimmetrica e la
ricerca di un maternage, e anche nell'adolescenza egli non riesce ad orientare le proprie
preferenze sessuali e affettive verso i coetanei.
Il trovarsi coinvolto in questi sentimenti, desideri e aspettative può disorientare
l'operatore perché si sente invaso nella sua sfera privata, oppure può sentirsi " cattivo"
perché non risponde alle richieste dell'utente, o ancora può provare sentimenti di colpa
perché si rende conto che usufruisce di una qualità e quantità di libertà sessuale e
affettiva molto più ampie e soddisfacenti rispetto alle persone di cui si cura
professionalmente.
Comprendere le proprie e altrui emozioni può aiutare l'operatore a costruire di volta in
volta modalità appropriate per affiancare l'altro, così come la presenza di un gruppo di
riferimento che funga da mediatore in questa relazione eccessivamente carica di
significati può aiutare entrambi i poli della relazione a scoprire nuove modalità di
comunicazione e di vicinanza.
L’EDUCATORE
COME OGGETTO
DI
IDENTIFICAZIONE
Dove esiste una buona relazione affettiva tra utente e operatore, quest'ultimo può
diventare oggetto d'identificazione, modello da imitare rispetto al modo di interagire con
le altre persone, di vivere il proprio e altrui corpo, di esprimere i propri affetti e la
propria sessualità. Ciò facilita la costruzione dell'identità maschile e femminile e
l'assunzione di comportamenti più evoluti e adeguati.
Questo ruolo richiede ulteriormente all'educatore di essere consapevole del proprio
modo di vivere la sessualità e di come la esprime nel rapporto di cura.
Le modalità di vestirsi, di muoversi, di interagire con i colleghi, di scherzare attorno alla
sessualità, di parlare delle proprie storie amorose, determinano il clima affettivo del
posto di lavoro.
Ogni centro educativo, ogni comunità di vita ha, rispetto alla sessualità, un suo codice di
comportamento e un suo linguaggio. Essi sono più o meno esplicitati e consapevoli ma
generalmente condivisi o subiti da tutti, quindi sono uno degli elementi che determinano
i modi di vivere la sessualità dell'utente dentro e fuori il centro educativo.
Le problematiche riferite alla sessualità dentro i centri devono quindi essere comprese
tenendo conto anche del contesto ambientale e organizzativo di ogni singola struttura.
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