MARZIA MIGLIORA www.marziamigliora.com [email protected] La ricerca di Marzia Migliora (Alessandria, 1972) si sviluppa attraverso un complesso processo di “scavo”, costituito da molteplici fasi di ricerca a cui segue un procedimento di elaborazione e sedimentazione, in cui l’artista mette accuratamente a fuoco il progetto per dargli infine forma attraverso l’uso di un’ampia varietà di mezzi espressivi, che vanno dalla fotografia al disegno, dal video all’installazione. Marzia Migliora si è formata come fotografa, realizzando principalmente progetti che riflettono sull’archivio, la memoria e la temporalità, per passare successivamente al video, come naturale continuazione e articolazione della sua ricerca. Della pratica fotografica viene mantenuta l’importanza attribuibile al punto di vista. L’uso del linguaggio, attraverso la citazione testuale, è elemento espressivo ricorrente; sviluppato nelle tre dimensioni nei neon e nelle sculture o impiegato nella sua forma più immateriale in numerose installazioni sonore, amplifica suggestioni sempre connesse alla fragilità dell’individuo, al rapporto con l’altro e ai conflitti che lo abitano, all’ossessione e alla disfunzionalità. Pur sviluppati per mezzo di media diversi, i suoi lavori presentano un’identica matrice di ricerca: l’esplorazione della “relazione tra l’ambiente interno all’individuo e ciò che lo circonda” viene affrontata sia indagando la relatività della percezione, sia lavorando sulla forzatura dei limiti, fisici o psicologici, come possibilità di estensione delle nostre capacità. Estartto da: comunicato stampa della mostra Rada, Ex3, Firenze, a cura di Arabella Natalini TRAGEDIA IN ATTO (LA TRAGEDIE SE DEROULE ENCORE ET ENCORE), 2011 istallazione sonora, voce e suono: 3’40” poltrone originali del Grand Theatre de Bordeaux con sensori di pressione 2 incisioni dalla collezione Marcel Châtillon drammaturgia: Marzia Migliora e Elena Pugliese voci: Roberta Cortese, Emmanuel Sedoni interaction design, rec e mix: Mybosswas a stasmo sound design: Minus (minus&plus) Vista dell’istallazione musée d’aquitaine , eventò 2011, bordeaux (fr) Il progetto site-specif, realizzato in occasione di Eventò 2011, utilizza oggetti della collezione del Musée d’Aquitaine per ricreare nel museo stesso un teatro immaginario negli spazi del giardino interno e del corridoio adiacente ad esso. L’installazione è costituita da una serie di poltrone originali del Grand Théâtre de Bordeaux poste davanti alle cinque portefinestre che danno sul cortile interno. Alle spalle delle poltrone sono allestite alle pareti due grafiche raffiguranti scene legate alla schiavitù. Dalla sedute gli spettatori vedono il giardino in cui una luce al neon rossa segna il perimetro di un palco scenico vuoto. Quando il fruitore prende posto su una delle poltrone una cassa acustica, grazie ad un sensore, diffonde un breve audio che introduce una riflessione sullo schema rigido ed immutabile della tragedia greca (prologo, parodo, esodo…) vista come punto di partenza per ripensare all’inevitabile ripetersi della storia e dei suoi errori. Spetta quindi al fruitore, posto innanzi ad una scena vuota, il compito di stilare l’esodo della tragedia. . RADA, 2011 mostra personale, Ex3 Centro per l’Arte Contemporanea, Firenze 9 giugno- 11 settembre 2011 a cura di A. Natalini Opere: Sospendete quello che state facendo (#B) Rada Sospendete quello che state facendo (#A) Life belt Rada ( disegni) La mostra è costituita da tre istallazioni e una serie di 21 disegni. Il progetto Rada nasce dalla suggestione offerta dalla bandiera x-ray che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo", declinata in un percorso visivo ed esperienziale che utilizza media diversi, come il neon, il disegno e l’installazione. L’intera installazione, attraverso progressivo disvelamento di codici e immagini, è un invito rivolto allo spettatore a concedersi una pausa attiva. RADA, 2011 pontile in legno, ferro, tubi innocenti, 1800 x 3400 x 50 cm scarti di lavorazione di marmo di Carrara, spessore: altezza variabile vista dell’istallazione ex3, Firenze Rada è un’installazione costituita da un pontile in legno di colore blu oltremare che attraversa, in larghezza e in lunghezza, tutto lo spazio espositivo della sala principale di EX3 Centro per l’Arte Contemporanea, e da una distesa di scarti di lavorazione di marmo di Carrara che ricopre interamente il pavimento. L’opera riproduce la grafica della bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo". Mentre per i marinai questo simbolo costituisce un segnale preciso, interpretabile con azioni determinate, l’artista astrae e destruttura la forma della bandiera, proponendola qui come luogo praticabile e invito aperto al pubblico. L’installazione richiede una partecipazione attiva, favorita dall’associazione del percorso fisico con il messaggio veicolato dalla bandiera X-Ray. SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#A), 2011 4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino bianco, trasformatori, centralina di intermittenza a 10 movimenti linea: 400 x 32 x 18 cm, punto: 133 x 18 cm vista dell’istallazione ex3, Firenze L’installazione è composta da quattro elementi neon disposti sulle pareti della sala centrale. L’opera riproduce la traduzione in morse della bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi significa "Sospendete quello che state facendo". La trasmissione del messaggio avviene qui per mezzo della riproduzione visiva del segnale, l’alternarsi dell’illuminazione dei segni linea–punto– punto–linea con la modalità convenzionale di scansione temporale propria del codice Morse. L’opera pone l’interlocutore al centro di una comunicazione non verbale, ripetuta ad intervalli regolari che scandiscono ritmicamente il messaggio. SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#B), 2011 4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino bianco, 915x20x12 cm vista dell’istallazione ex3, Firenze L’installazione è composta da quattro elementi neon disposti sulla facciata principale di ex3 Centro per l’arte conteporanea Firenze. E’ anch’essa la traduzione Morse del messaggio veicolato dalla bandiera X- Ray. RADA, 2011 serie di 21 disegni, tecnica mista, varie dimensioni (piccoli 31 x 31 cm), (grandi 24 x 101.5 cm) Una serie di 21 disegni, realizzati su carte già precedentemente usate dall’artista, vanno a completare il progetto Rada. Sono vedute straordinarie, popolate di barche, oggetti, persone, bandiere, segnali, binocoli; marine contemporanee contaminate dall’attività umana; paesaggi sezionati che scendono in profondità, offrendo piani simultanei, continui ribaltamenti, sovrapposizioni e cambiamenti di scala. I disegni, esposti in senso circolare nella piccola saletta, ripropongono la stessa idea di circolarità del processo comunicativo suggerita dal posizionamento dei neon nella sala centrale, e dal cortocircuito che si instaura tra il messaggio linguistico, la sua visualizzazione e l’eventuale risposta del pubblico. QUELLI CHE TRASCURANO DI RILEGGERE SI CONDANNANO A LEGGERE SEMPRE LA STESSA STORIA, 2009- 2011 percorso sonoro, 44’31’’ quindici dispositivi audio dotati di cuffie stereo vista dell’opera presso: Museo del Novecento, Milano Voci: Stefano Bartezzaghi, enigmista; Mara Cassiani, attrice; Matteo Dell’Aira, infermiere di Emergency; Pippo Delbono, regista teatrale; Francesco Dillon, violoncellista; Fabrizio Gatti, giornalista; Mariangela Gualtieri, poetessa; Franco Malerba, astronauta; Claudio Mencacci, Psichiatra; Deivi Dayan Moretti, bambino di 10 anni; Alba Morino, legge e scrive; Diego Palladino, esecutore di servizi museali; Steve Piccolo, musicista; Angje Prenga, profuga; Stefano Velotti, filosofo; Dario Voltolini, scrittore; Vitaliano Trevisan, scrittore. Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia è un’opera sonora, per funzione simile a un audio guida, in dotazione permanente presso il guardaroba del museo del Novecento di Milano. L’artista, dopo aver selezionato ventiquattro capolavori appartenenti alla collezione, ha chiesto a un campione di diciassette persone, rigorosamente esterne al mondo dell’arte, di mettersi di fronte ad essi e di raccontare le suggestioni evocate. La visita della collezione è così affidata al suono della voce di un bambino di dieci anni, di uno scrittore, un musicista, uno psichiatra, un’attrice, un infermiere… Il titolo dell’opera Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia è tratto da una citazione del semiologo Roland Barthes e costituisce un’esplicita proposta per una nuova e inusuale lettura della collezione. QUANDO LA STRADA GUARDA IL CIELO, 2010 tappeto calpestabile in lana e seta taftato a mano, 200x 560 cm vista dell’istallazione presso: Fondazione la Strozzina, Firenze Un tappeto di grandi dimensioni - percorribile dal visitatore - rappresenta un lungo tratto di strada asfaltata su cui si legge una citazione dell’indimenticato ciclista Marco Pantani: Vado così forte in salita per abbreviare la mia agonia. Le lettere bianche ricordano le frasi d’incitamento scritte con il gesso o la vernice sull’asfalto dai tifosi per incoraggiare i ciclisti a superare le tappe più ardue. Sono parole che si dissolvono in lontananza, evocando la risposta di un grande campione all’accelerazione di una società sempre più esigente. Tragico eroe moderno, Marco Pantani fu protagonista dell’alternarsi di grandi successi sportivi ed amare sconfitte umane. Nel 1998 raggiunse un’enorme popolarità con le prestigiose vittorie del Tour de France e del Giro d’Italia. Nel 1999, la sua immagine fu radicalmente screditata in seguito a uno scandalo legato al doping, da quel momento fu abbandonato sia dal pubblico dei tifosi sia dai mass media che lo avevano idolatrato fin che fu un vincente. Pantani fu trovato morto nel 2004 nella stanza di un hotel a Rimini. La sua corsa finì per abuso di sostanze stupefacenti ed un conseguente attacco di cuore. FOREVER OVEHEAD, 2010 mostra personale presso: Galleria Lia Rumma, Napoli 24 gennaio- 24 febbraio 2010 Testi di F. Comisso Opere: Blocco di partenza Forever overhead Alzo l’ultimo passo che depone in cima dove non è più suolo, è aria Migratori senz’ali Siamo fatti di questo d’aria e acqua come le comete Scomparire in un pozzo senza tempo Paura e desiderio, vita e morte, usuale e trascendentale sono elementi contrari, ma inscindibili che permeano la nostra vita. L’oscillazione tra queste opposte tensioni può essere distillata in uno spazio simbolico. Un attimo dilatato, come sospeso “per sempre lassù” - Forever overhead - in cui indugiano passato e presente, conosciuto e sconosciuto, pensiero ed azione in fieri. Forever overhead é la visione che ispira e dà il titolo all’omonima mostra personale - Galleria Lia Rumma, - in cui sono presentate sei opere accomunate dalla volontà di rappresentazione del cambiamento. BLOCCO DI PARTENZA, 2010 blocco di piombo inciso, 30x30x5 cm parallelepipedo a base quadrata in metacrilato trasparente, 19x19x47 cm vista dell’opera presso: Galleria Lia Rumma, Napoli L’opera, composta da un blocco di piombo posato su un piedistallo trasparente, orientato verso il visitatore, apre la mostra Forever overhead. Il volume della scultura, ricorda la postazione di partenza dei tuffi in piscina. Il materiale con cui è realizzato - il piombo - per il suo colore, l’opacità, l’alto peso specifico e la consistenza cedevole, evoca tradizionalmente la malinconia saturnina ed il senso di perdita. Il blocco reca un’incisione con la formula della gravità zero, che rimanda allo slancio in aria precedente al tuffo. Il suo peso specifico corrisponde esattamente al peso dell’artista e costituisce un’unità di misura ed è un elemento autoreferenziale. Come evidenziato dal titolo, l’opera traduce due tensioni contrarie: l’esitazione prima del tuffo – il blocco - e lo slancio verso il vuoto – la partenza stessa. FOREVER OVERHEAD, 2010 video proiezione, film 35 mm, trasferito su DVD, suono, colore, 5’48’’ vista della video istallazione presso: Galleria Lia Rumma, Napoli Il video Forever overhead mostra un uomo che si lancia da una piattaforma di dieci metri. Le immagini e i suoni registrano le variazioni sensoriali del tuffatore nel suo percorso dalla terra all’acqua, in una sequenza atemporale. L’opera si ispira all’affresco della lastra di copertura della Tomba del tuffatore di Paestum, dipinto per accompagnare il defunto nel suo viaggio ultraterreno, e prende il titolo Forever ovehead dall’omonimo racconto di David Foster Wallace in cui è narrato il cammino iniziatico di un adolescente verso l’età adulta. Il tuffatore sospeso in un vacuum, ben tradotto dalla formula Per sempre lassù, è simbolo universale della transizione da una condizione esistenziale all’altra. SCOMPARIRE IN UN POZZO DI TEMPO, 2010 tappeto calpestabile, taftato a mano diametro 200 cm disco in acciaio specchiante, diametro 149 cm vista dell’istallazione presso: Galleria Lia Rumma, Napoli Il titolo dell’opera è una citazione di David Foster Wallace, autore che ha ispirato il tema del progetto espositivo più vasto di cui quest’opera fa parte (Forever overhead). L’istallazione comprende un tappeto in lana rotondo. Su di esso è sospeso uno specchio di uguali forma e diametro. Il tappeto presenta un motivo di linee concentriche simili alle onde generate dall’impatto di un corpo con l’acqua. Il visitatore è invitato a posizionarsi al centro del tappeto e, guardando la propria immagine riflessa nello specchio sopra di lui, a sperimentare l’ambivalente tensione della caduta (suggerita dal tappeto) e dello slancio del tuffo (evocata dallo specchio). IN LOVE WE TRUST, 2009 lama affilata in acciaio serie 420 con incisione laser 10x 230x 0,5 cm (opera edita in lingua italiana ed inglese) Una lunga lama d’acciaio, affilata come un coltello, è appesa orizzontalmente al muro. Riporta incise le parole di Susan Sontag (tratte dai Taccuini e i diari del 1958-67): Fa male allora amare. E’ come accettare di farsi scorticare sapendo che in qualunque momento l’altra persona può andarsene via con la tua pelle. Sono parole che si compongono come una formula e si offrono su una superficie specchiante che rimanda al visitatore la propria immagine. DUE MINUTI E TRENTADUE SECONDI, 2009 quattro sedute mobili in acciaio cromato che compiono una rotazione di 360°in 5’4’’ alimentazione elettrica 180x 308 cm cadauna vista dell’istallazione presso: Horti Leonini, San Quirico d’Orcia, (Siena) L’istallazione è composta da quattro strutture di grandi dimensioni, in acciaio cromato specchiante, constano di una base circolare girevole su cui posa un sedile protetto da un parasole. Le sedute compiono una rotazione di 360°gradi su se stesse in maniera lenta ed incessante, come dei luoghi di sosta all’apparenza immobili, punti di osservazione privilegiata della realtà. Ai visitatori è chiesto di accomodarsi sui sedili ombreggiati, e - con la semplice sosta - prendere atto della stasi che, accompagnata da un movimento circolare continuato, permette di errare con lo sguardo lungo il panorama circostante. E’ sufficiente alzarsi per interrompere la contemplazione della natura, il cui riflesso è catturato dalla lucida superficie d'acciaio della seduta mobile, e tornare alla realtà. La rotazione completa delle sedute, avviene in cinque minuti e quatto secondi. Il titolo dell’opera, suggerisce un inganno sul reale scorrere del tempo. FROM HERE TO ETERNIT, 2009 scritta luminosa, lampadine ad incandescenza da 10 watt 549,95X 49,62x 3 cm vista dell’istallazione Collezione La Gaia, Busca, Brusca, Cn Una scritta luminosa di grandi dimensioni si staglia sul muro, come un’insegna, lanciando una promessa: From here to Eternit. La scritta ricalca i caratteri grafici utilizzati fino al 1986 dalle fabbriche “Eternit”, i cui stabilimenti producevano una miscela di cemento ed amianto brevettata nel 1901 dall’austriaco Ludvig Hatcsheck, che solo in Italia ha causato fino ad oggi più di tremila vittime di cancro. Il progetto dell’istallazione nasce dal connubio, sarcastico e amaro, del devastante prodotto industriale "Eternit" e del titolo del film From here to eternity diretto da Fred Zinnnemann nel 1953 che evoca una romantica promessa di matrimonio: "fino a che morte non ci separi". In effetti, le fibre d’amianto assorbite dagli operai della fabbrica di Eternit e dagli abitanti delle città circostanti gli stabilimenti di produzione, resistono tenacemente nei loro corpi accompagnandoli lentamente fino alla morte. PIER PAOLO PASOLINI 2009, 2009-2010 lettere tagliate al laser in acciaio inox lucidato a specchio 15x 800 cm e 30x 735 cm vista dell’ istallazione presso: Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli, (Torino) Una lunga serie di lettere in acciaio lucido affisse a parete, compongono una frase di Pier Paolo Pasolini come un’iscrizione epigrafica in cui l’osservatore, avvicinandosi, può riflettersi. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo, sono le parole pronunciate dallo scrittore cineasta nel corso di un’intervista rilasciata il 1° novembre 1975 tra le quattro e le sei di pomeriggio, poche ore prima di essere assassinato. E’ questa un’affermazione macroscopica, lapidaria per la valenza quasi profetica che ebbe nel momento in cui fu pronunciata: un presagio della morte imminente di chi pronunciò queste parole e degli anni di piombo che avrebbero investito l’Italia a breve; e al contempo una verità microscopica, evocando la precarietà della vita. A più di trent’anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini, tale dichiarazione mantiene la risonanza e la contemporaneità di una verità svelata da un uomo capace di guardare e comprendere prima degli altri la realtà ed il suo evolversi. In questo senso il titolo dell’istallazione Pier Paolo Pasolini 2009, è un tributo al grande scrittore riattualizzato per mezzo dell’inserzione della data di creazione dell’opera, come se le parole citate fossero state appena proferite. MY NO MAN’S LAND (LA MIA TERRA DI NESSUNO), 2008 mostra personale presso: galleria Art Agents, Amburgo, Germania 5 marzo – 4 maggio 2008 Opere : Monitor and keep at a distance Life belt Io viddi la mia fortuna in alto mare We are such stuff as dreams are made one Alto Mare Un aforisma, con cui Samuel Beckett usava definire il proprio lavoro, ma anche una frase associabile al mare, o meglio, come vuole il glossario della Marina Militare, all’ “alto mare”. Una zona franca, che inizia dove finiscono i confini costieri nazionali, esule da qualsiasi sovranità e diritto statale. Una terra che non appartiene a nessuno, in cui si perpetuano stragi legate alla migrazione di migliaia di persone pronte a lasciare il sud del mondo per il benessere occidentale. Migliaia di persone per cui il mare rappresenta l’ultimo grande ostacolo verso la realizzazione di un sogno e di una speranza. Da qui nasce il tema ed il titolo della mostra personale dell’artista. Una mostra che affronta il tema della responsabilità attraverso le cinque opere proposte. LIFE BELT, 2008 tre salvagenti di sapone alla glicerina bianco, diametro 57 cm particolare dell’istallazione, vista presso: Galleria ArtAgents, Amburgo, Germania Tre salvagenti, -life belt- bianchi sono disposti su un pavimento nero. É come se galleggiassero su una superfice nera, nell’alto mare notturno. Realizzati come salvagenti a norma di sicurezza, sono fatti in sapone di glicerina neutro, incolore e inodore. Una sostanza scivolosa, soggetta a sciogliersi a contatto con l’acqua e a dissolversi in essa senza lasciare traccia. L’istallazione è stata creata in reazione ad un fatto accaduto nel 2007, quando un barca con duecento migranti clandestini venne avvistata dalla guardia costiera di competenza maltese. Benché in difficoltà a causa del maltempo, la barca non venne soccorsa dalle autorità e naufragò con i suoi passeggeri. Traendo ispirazione da questo fatto di cronaca, l’opera allude a tutti gli aiuti umanitari dati al momento sbagliato, troppo tardi, o mai. Promesse di aiuto paragonabili ai salvagente di sapone che sciogliendosi non lasciano memoria del proprio passaggio, ma solo la suggestione di un’intenzione. IO VIDDI LA MIA FORTUNA IN ALTO MARE, 2008 video proiezione, film 16 mm, trasferito su DVD, suono, colore, 2’11’’ vista della video proiezione presso: Galleria ArtAgents, Amburgo, Germania Il video Io viddi la mia fortuna in alto mare rappresenta due uomini che fanno fluttuare un sottile asticella su cui è fissata una barchetta bianca colma di piccole sagome umane. Il bastoncino bianco si staglia su un denso fondo nero e disegna, come a separare il cielo dal mare, una flebile linea d’orizzonte animata dal movimento ondulatorio dei due attori - posti alle estremità dell’inquadratura e quasi tutt'uno con lo sfondo - che la sorreggono. É una scena fortemente evocativa del destino di tante persone che si compie per il volere e le azioni di attori esterni e potenti dei ex machina. L’opera trae il suo titolo dal ritornello del canto popolare che accompagna il video, che allude alla ricerca della fortuna in alto mare. NN, 2007 due lettere in acciaio lucidato a specchio, retro illuminate al neon, 140x160 cm cadauna vista dell’istallazione video presso: collezione privata, Milano L’installazione è composta da due imponenti caratteri alfabetici in acciaio lucidato a specchio, posti sul pavimento. L’opera, presentata per la prima volta in una delle celle dell’ex-carcere di Alcamo, compone l’acronimo latino NN: nescio nomen, “non conosco il nome”, un’abbreviazione utilizzata per indicare l’anonimità o l’insufficienza d’informazioni necessarie a definire l’identità di un individuo. É una negazione lapidaria che si trasforma in una domanda aperta, non appena l’osservatore si avvicina scoprendo la propria immagine a figura intera riflessa sulla superficie specchiante delle due lettere. Una domanda che vuole essere un invito all’incontro con l’altro, che sembra tanto differente quando lo si guarda da una prospettiva lontana, quanto familiare se avvicinato. N.N. in matematica è anche l’abbreviazione utilizzata per indicare i numeri. Cosa resta di un uomo se privato della propria identità? BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007 mostra personale presso la Galleria Lia Rumma, Milano 21 settembre- 30 novembre 2007 Opere: Bianca e il suo contrario Everyman Lei che non dormiva mai. Senza titolo #1, dalla serie Bianca e il suo contrario Senza titolo #2, dalla serie Bianca e il suo contrario La metamorfosi, la relazione con l’altro, la mancanza, la morte, la misura del tempo, sono i temi proposti dall’artista per la mostra personale: Bianca e il suo contrario inaugurata il 21 settembre 2007 presso la Galleria Lia Rumma di Milano. La mostra é composta da un video – che dà il nome alla personale – e due istallazioni. BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007 video proiezione, film 16 mm trasferito su DVD, suono, colore, 2’56’’ vista dell’istallazione video presso: Galleria Lia Rumma, Milano Il video che dà il titolo alla mostra, rappresenta una donna in piedi, l’artista. Vestita di bianco, con in mano un bouquet di rose dello stesso colore, è immobile e guarda in maniera neutra l’osservatore. La ripresa è frontale, a camera fissa, ed é accompagnata da un canto corale, un melisma di voci femminili privo di parole. La staticità iniziale é interrotta dalla discesa di gocce nere che, aumentando d’intensità, si fanno pioggia. Una “precipitazione” liquida che viene man mano assorbita dalla pelle e dal tessuto del vestito fino a tingerli completamente. La metamorfosi di "Bianca" nel suo "contrario" si consuma in una durata temporale simbolica che allude all’inesorabile scorrere del tempo che, simile a un umore vischioso, sporca il candore della sua condizione iniziale. La scelta di proiettare la figura nella sua dimensione reale allude al desiderio di coinvolgere direttamente l’osservatore. Bianca e il suo contrario, 2007 Stampa Lambda a colori 70x 100 cm TANATOSI, 2006 mostra personale presso la Fondazione Merz, Torino 9 novembre 2006- 7 gennaio 2007 a cura di B. Merz Opere: Misurazione Anti-ottica dello spazio Tanatosi Anomma Test optometrico Il vuoto ad ogni gradino La parola Tanatosi definisce lo stato di completa immobilità assunto da alcuni animali per proteggersi da un pericolo o da un’aggressione esterna. Una morte simulata scaturita dalla paura. Da questa estensione semantica prende il titolo e trae ispirazione l’omonima mostra personale dell’artista, inaugurata a Torino presso la Fondazione Merz. Un progetto che, assumendo i sensi come strumenti primari di conoscenza del mondo, esplora il potenziale percettivo insito in situazioni psicologiche alterate (fobiche) ed in soggetti con handicap visivi. Quattro istallazioni e un video compongono un percorso sensoriale fruibile, anche da non vedenti, creato intorno al tema della cecità sia fisica che simbolica. Tatto, udito e abilità aptiche sono i sensi sollecitati nel visitatore attraverso l’esposizione di cinque istallazioni. MISURAZIONE ANTI-OTTICA DELLO SPAZIO, 2006 tre mappe tattili in rilievo, alluminio, testi in italiano, Braille ed inglese due mappe 40x40 cm, una mappa 60x60 cm collezione permanente Fondazione Merz, Torino Tre mappe sono affisse alla parete, una per piano, all’ingresso dei tre livelli della Fondazione Merz di Torino. Lo spazio museale è rappresentato secondo molteplici chiavi di lettura sensoriali: la percezione aptica, la vista ed il tatto. Le tre planimetrie in alluminio, sono realizzate utilizzando il corpo dell’artista come modulor (lo spazio è misurato in passi al posto di metri). Indicazioni visuali, in italiano e in inglese, accompagnano la descrizione degli spazi. Le mappe dei tre livelli della fondazione sono riprodotte in rilievo: basta toccarne la superficie per iniziare un viaggio del tutto inedito, in cui, grazie ad una descrizione tattile dei luoghi realizzata in alfabeto braille, la vista non è più privilegiata. Queste mappe nascono dall’impiego di questa pluralità di segni e da una citazione di Mario Merz il titolo dell’opera: Misurazione Anti-Ottica dello Spazio. Un titolo che, sfidando la vista come unico mezzo di orientamento, propone dei mezzi di relazione e conoscenza alternativi. TANATOSI, 2006 seicento placche ovali di ceramica bianca 9x 12 cm, con iscrizioni in alfabeto braille e caratteri latini, dimensioni totali dell’installazione 765x371 cm particolare dell’istallazione, vista presso: Fondazione Merz, Torino Seicento placche di porcellana bianca occupano in maniera simmetrica una parete bianca. Sono placche ovali, abitualmente impiegate come supporto per la riproduzione fotografica di ritratti tombali. Sessanta di esse recano in rilievo delle iscrizioni trasparenti in alfabeto sia braille, sia latino, che nominano altrettante fobie legate ai cinque sensi (vista, udito, tatto, olfatto, gusto): cromatofobia, termofobia, acusticofobia, fagofobia. L’opera richiede la prossimità fisica dell’osservatore per essere pienamente percepita. Invita a un’intimità che è innanzitutto la disposizione a un ascolto del sé, e a ritrovare il proprio volto come riflesso fugace nel vuoto bianco delle placche. L’immobilità a cui rimanda il titolo dell’opera, fa riferimento alla tanatosi, processo di simulazione della morte attuato da alcuni animali come reazione alla paura. TEST OPTOMETRICO, 2006 nove light box, 160x40 cm particolare dell’istallazione, vista presso: Fondazione Merz, Torino Nove light box sono allineati orizzontalmente su una parete. Su di essi caratteri di grandezza decrescente, dall’alto verso il basso, compongono citazioni tratte da differenti autori (Beckett, Calvino, Merz, McGrath, Saramago, Platz...) sul tema della paura e della cecità. I nove light box sono stati realizzati sul modello degli ottotipi normalmente utilizzati per la misurazione della vista da lontano. I caratteri illuminati che rimpiccioliscono gradualmente e non hanno spaziatura e punteggiatura, obbligano l’osservatore a compiere uno sforzo visivo e cognitivo crescente per comprendere il testo. “...la paura acceca... eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi... “. (Jose Saramago, “Cecità”).