MARZIA MIGLIORA
www.marziamigliora.com
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La ricerca di Marzia Migliora (Alessandria, 1972) si sviluppa attraverso un complesso processo di “scavo”, costituito da molteplici fasi di ricerca a cui segue un
procedimento di elaborazione e sedimentazione, in cui l’artista mette accuratamente a fuoco il progetto per dargli infine forma attraverso l’uso di un’ampia
varietà di mezzi espressivi, che vanno dalla fotografia al disegno, dal video all’installazione.
Marzia Migliora si è formata come fotografa, realizzando principalmente progetti che riflettono sull’archivio, la memoria e la temporalità, per passare
successivamente al video, come naturale continuazione e articolazione della sua ricerca. Della pratica fotografica viene mantenuta l’importanza attribuibile al
punto di vista. L’uso del linguaggio, attraverso la citazione testuale, è elemento espressivo ricorrente; sviluppato nelle tre dimensioni nei neon e nelle sculture
o impiegato nella sua forma più immateriale in numerose installazioni sonore, amplifica suggestioni sempre connesse alla fragilità dell’individuo, al rapporto
con l’altro e ai conflitti che lo abitano, all’ossessione e alla disfunzionalità.
Pur sviluppati per mezzo di media diversi, i suoi lavori presentano un’identica matrice di ricerca: l’esplorazione della “relazione tra l’ambiente interno
all’individuo e ciò che lo circonda” viene affrontata sia indagando la relatività della percezione, sia lavorando sulla forzatura dei limiti, fisici o psicologici, come
possibilità di estensione delle nostre capacità.
Estartto da: comunicato stampa della mostra Rada, Ex3, Firenze, a cura di Arabella Natalini
TRAGEDIA IN ATTO (LA TRAGEDIE SE DEROULE
ENCORE ET ENCORE), 2011
istallazione sonora, voce e suono: 3’40”
poltrone originali del Grand Theatre de Bordeaux
con sensori di pressione
2 incisioni dalla collezione Marcel Châtillon
drammaturgia: Marzia Migliora e Elena Pugliese
voci: Roberta Cortese, Emmanuel Sedoni
interaction design, rec e mix: Mybosswas a stasmo
sound design: Minus (minus&plus)
Vista dell’istallazione musée d’aquitaine , eventò
2011, bordeaux (fr)
Il progetto site-specif, realizzato in occasione di
Eventò 2011, utilizza oggetti della collezione del
Musée d’Aquitaine per ricreare nel museo stesso un
teatro immaginario negli spazi del giardino interno e
del corridoio adiacente ad esso. L’installazione è
costituita da una serie di poltrone originali del Grand
Théâtre de Bordeaux poste davanti alle cinque
portefinestre che danno sul cortile interno. Alle
spalle delle poltrone sono allestite alle pareti due
grafiche raffiguranti scene legate alla schiavitù.
Dalla sedute gli spettatori vedono il giardino in cui
una luce al neon rossa segna il perimetro di un palco
scenico vuoto. Quando il fruitore prende posto su
una delle poltrone una cassa acustica, grazie ad un
sensore, diffonde un breve audio che introduce una
riflessione sullo schema rigido ed immutabile della
tragedia greca (prologo, parodo, esodo…) vista come
punto di partenza per ripensare all’inevitabile
ripetersi della storia e dei suoi errori. Spetta quindi
al fruitore, posto innanzi ad una scena vuota, il
compito di stilare l’esodo della tragedia.
.
RADA, 2011
mostra personale, Ex3 Centro per l’Arte
Contemporanea, Firenze
9 giugno- 11 settembre 2011
a cura di A. Natalini
Opere:
Sospendete quello che state facendo (#B)
Rada
Sospendete quello che state facendo (#A)
Life belt
Rada ( disegni)
La mostra è costituita da tre istallazioni e una serie
di 21 disegni.
Il progetto Rada nasce dalla suggestione offerta
dalla bandiera x-ray che nel Codice Internazionale
dei segnali marittimi significa "Sospendete quello
che state facendo", declinata in un percorso visivo
ed esperienziale che utilizza media diversi, come il
neon, il disegno e l’installazione.
L’intera installazione, attraverso progressivo
disvelamento di codici e immagini, è un invito rivolto
allo spettatore a concedersi una pausa attiva.
RADA, 2011
pontile in legno, ferro, tubi innocenti, 1800 x 3400 x
50 cm
scarti di lavorazione di marmo di Carrara, spessore:
altezza variabile
vista dell’istallazione ex3, Firenze
Rada è un’installazione costituita da un pontile in
legno di colore blu oltremare che attraversa, in
larghezza e in lunghezza, tutto lo spazio espositivo
della sala principale di EX3 Centro per l’Arte
Contemporanea, e da una distesa di scarti di
lavorazione di marmo di Carrara che ricopre
interamente il pavimento.
L’opera riproduce la grafica della bandiera X-Ray,
che nel Codice Internazionale dei segnali marittimi
significa "Sospendete quello che state facendo".
Mentre per i marinai questo simbolo costituisce un
segnale preciso, interpretabile con azioni
determinate, l’artista astrae e destruttura la forma
della bandiera, proponendola qui come luogo
praticabile e invito aperto al pubblico.
L’installazione richiede una partecipazione attiva,
favorita dall’associazione del percorso fisico con il
messaggio veicolato dalla bandiera X-Ray.
SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#A),
2011
4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino
bianco, trasformatori, centralina di intermittenza a
10 movimenti
linea: 400 x 32 x 18 cm, punto: 133 x 18 cm
vista dell’istallazione ex3, Firenze
L’installazione è composta da quattro elementi neon
disposti sulle pareti della sala centrale.
L’opera riproduce la traduzione in morse della
bandiera X-Ray, che nel Codice Internazionale dei
segnali marittimi significa "Sospendete quello che
state facendo".
La trasmissione del messaggio avviene qui per
mezzo della riproduzione visiva del segnale,
l’alternarsi dell’illuminazione dei segni linea–punto–
punto–linea con la modalità convenzionale di
scansione temporale propria del codice Morse.
L’opera pone l’interlocutore al centro di una
comunicazione non verbale, ripetuta ad intervalli
regolari che scandiscono ritmicamente il messaggio.
SOSPENDETE QUELLO CHE STATE FACENDO (#B),
2011
4 elementi neon scatolati in plexiglass opalino
bianco, 915x20x12 cm
vista dell’istallazione ex3, Firenze
L’installazione è composta da quattro elementi neon
disposti sulla facciata principale di ex3 Centro per
l’arte conteporanea Firenze.
E’ anch’essa la traduzione Morse del messaggio
veicolato dalla bandiera X- Ray.
RADA, 2011
serie di 21 disegni, tecnica mista,
varie dimensioni (piccoli 31 x 31 cm), (grandi 24
x 101.5 cm)
Una serie di 21 disegni, realizzati su carte già
precedentemente usate dall’artista, vanno a
completare il progetto Rada.
Sono vedute straordinarie, popolate di barche,
oggetti, persone, bandiere, segnali, binocoli; marine
contemporanee contaminate dall’attività umana;
paesaggi sezionati che scendono in profondità,
offrendo piani simultanei, continui ribaltamenti,
sovrapposizioni e cambiamenti di scala.
I disegni, esposti in senso circolare nella piccola
saletta, ripropongono la stessa idea di circolarità del
processo comunicativo suggerita dal
posizionamento dei neon nella sala centrale, e dal
cortocircuito che si instaura tra il messaggio
linguistico, la sua visualizzazione e l’eventuale
risposta del pubblico.
QUELLI CHE TRASCURANO DI RILEGGERE SI
CONDANNANO A LEGGERE SEMPRE LA STESSA
STORIA, 2009- 2011
percorso sonoro, 44’31’’
quindici dispositivi audio dotati di cuffie stereo
vista dell’opera presso: Museo del Novecento, Milano
Voci:
Stefano Bartezzaghi, enigmista; Mara Cassiani, attrice; Matteo
Dell’Aira, infermiere di Emergency; Pippo Delbono, regista
teatrale; Francesco Dillon, violoncellista; Fabrizio Gatti,
giornalista; Mariangela Gualtieri, poetessa; Franco Malerba,
astronauta; Claudio Mencacci, Psichiatra; Deivi Dayan Moretti,
bambino di 10 anni; Alba Morino, legge e scrive; Diego Palladino,
esecutore di servizi museali; Steve Piccolo, musicista; Angje
Prenga, profuga; Stefano Velotti, filosofo; Dario Voltolini, scrittore;
Vitaliano Trevisan, scrittore.
Quelli che trascurano di rileggere si
condannano a leggere sempre la stessa
storia è un’opera sonora, per funzione simile a
un audio guida, in dotazione permanente
presso il guardaroba del museo del Novecento
di Milano. L’artista, dopo aver selezionato
ventiquattro capolavori appartenenti alla
collezione, ha chiesto a un campione di
diciassette persone, rigorosamente esterne al
mondo dell’arte, di mettersi di fronte ad essi e
di raccontare le suggestioni evocate. La visita
della collezione è così affidata al suono della
voce di un bambino di dieci anni, di uno
scrittore, un musicista, uno psichiatra,
un’attrice, un infermiere… Il titolo dell’opera Quelli che trascurano di rileggere si
condannano a leggere sempre la stessa storia è tratto da una citazione del semiologo Roland
Barthes e costituisce un’esplicita proposta per
una nuova e inusuale lettura della collezione.
QUANDO LA STRADA GUARDA IL CIELO, 2010
tappeto calpestabile in lana e seta taftato a mano,
200x 560 cm
vista dell’istallazione presso: Fondazione la
Strozzina, Firenze
Un tappeto di grandi dimensioni - percorribile dal
visitatore - rappresenta un lungo tratto di strada
asfaltata su cui si legge una citazione
dell’indimenticato ciclista Marco Pantani: Vado così
forte in salita per abbreviare la mia agonia.
Le lettere bianche ricordano le frasi d’incitamento
scritte con il gesso o la vernice sull’asfalto dai tifosi
per incoraggiare i ciclisti a superare le tappe più
ardue. Sono parole che si dissolvono in lontananza,
evocando la risposta di un grande campione
all’accelerazione di una società sempre più
esigente.
Tragico eroe moderno, Marco Pantani fu
protagonista dell’alternarsi di grandi successi
sportivi ed amare sconfitte umane. Nel 1998
raggiunse un’enorme popolarità con le prestigiose
vittorie del Tour de France e del Giro d’Italia. Nel
1999, la sua immagine fu radicalmente screditata in
seguito a uno scandalo legato al doping, da quel
momento fu abbandonato sia dal pubblico dei tifosi
sia dai mass media che lo avevano idolatrato fin che
fu un vincente. Pantani fu trovato morto nel 2004
nella stanza di un hotel a Rimini. La sua corsa finì
per abuso di sostanze stupefacenti ed un
conseguente attacco di cuore.
FOREVER OVEHEAD, 2010
mostra personale presso: Galleria Lia Rumma,
Napoli
24 gennaio- 24 febbraio 2010
Testi di F. Comisso
Opere:
Blocco di partenza
Forever overhead
Alzo l’ultimo passo che depone in cima dove non è
più suolo, è aria
Migratori senz’ali
Siamo fatti di questo d’aria e acqua come le comete
Scomparire in un pozzo senza tempo
Paura e desiderio, vita e morte, usuale e
trascendentale sono elementi contrari, ma
inscindibili che permeano la nostra vita.
L’oscillazione tra queste opposte tensioni può
essere distillata in uno spazio simbolico. Un attimo
dilatato, come sospeso “per sempre lassù” - Forever
overhead - in cui indugiano passato e presente,
conosciuto e sconosciuto, pensiero ed azione in fieri.
Forever overhead é la visione che ispira e dà il titolo
all’omonima mostra personale - Galleria Lia Rumma,
- in cui sono presentate sei opere accomunate dalla
volontà di rappresentazione del cambiamento.
BLOCCO DI PARTENZA, 2010
blocco di piombo inciso, 30x30x5 cm
parallelepipedo a base quadrata in metacrilato
trasparente, 19x19x47 cm
vista dell’opera presso: Galleria Lia Rumma, Napoli
L’opera, composta da un blocco di piombo posato
su un piedistallo trasparente, orientato verso il
visitatore, apre la mostra Forever overhead.
Il volume della scultura, ricorda la postazione di
partenza dei tuffi in piscina. Il materiale con cui è
realizzato - il piombo - per il suo colore, l’opacità,
l’alto peso specifico e la consistenza cedevole,
evoca tradizionalmente la malinconia saturnina ed il
senso di perdita. Il blocco reca un’incisione con la
formula della gravità zero, che rimanda allo slancio
in aria precedente al tuffo. Il suo peso specifico
corrisponde esattamente al peso dell’artista e
costituisce un’unità di misura ed è un elemento
autoreferenziale.
Come evidenziato dal titolo, l’opera traduce due
tensioni contrarie: l’esitazione prima del tuffo – il
blocco - e lo slancio verso il vuoto – la partenza
stessa.
FOREVER OVERHEAD, 2010
video proiezione, film 35 mm, trasferito su DVD,
suono, colore, 5’48’’
vista della video istallazione presso: Galleria Lia
Rumma, Napoli
Il video Forever overhead mostra un uomo che si
lancia da una piattaforma di dieci metri. Le immagini
e i suoni registrano le variazioni sensoriali del
tuffatore nel suo percorso dalla terra all’acqua, in
una sequenza atemporale.
L’opera si ispira all’affresco della lastra di copertura
della Tomba del tuffatore di Paestum, dipinto per
accompagnare il defunto nel suo viaggio
ultraterreno, e prende il titolo Forever ovehead
dall’omonimo racconto di David Foster Wallace in
cui è narrato il cammino iniziatico di un adolescente
verso l’età adulta.
Il tuffatore sospeso in un vacuum, ben tradotto dalla
formula Per sempre lassù, è simbolo universale
della transizione da una condizione esistenziale
all’altra.
SCOMPARIRE IN UN POZZO DI TEMPO, 2010
tappeto calpestabile, taftato a mano
diametro 200 cm
disco in acciaio specchiante, diametro 149 cm
vista dell’istallazione presso: Galleria Lia Rumma,
Napoli
Il titolo dell’opera è una citazione di David Foster
Wallace, autore che ha ispirato il tema del progetto
espositivo più vasto di cui quest’opera fa parte
(Forever overhead).
L’istallazione comprende un tappeto in lana rotondo.
Su di esso è sospeso uno specchio di uguali forma e
diametro.
Il tappeto presenta un motivo di linee concentriche
simili alle onde generate dall’impatto di un corpo
con l’acqua. Il visitatore è invitato a posizionarsi al
centro del tappeto e, guardando la propria immagine
riflessa nello specchio sopra di lui, a sperimentare
l’ambivalente tensione della caduta (suggerita dal
tappeto) e dello slancio del tuffo (evocata dallo
specchio).
IN LOVE WE TRUST, 2009
lama affilata in acciaio serie 420 con incisione
laser
10x 230x 0,5 cm
(opera edita in lingua italiana ed inglese)
Una lunga lama d’acciaio, affilata come un coltello, è
appesa orizzontalmente al muro. Riporta incise le
parole di Susan Sontag (tratte dai Taccuini e i diari
del 1958-67): Fa male allora amare. E’ come
accettare di farsi scorticare sapendo che in
qualunque momento l’altra persona può andarsene
via con la tua pelle. Sono parole che si compongono
come una formula e si offrono su una superficie
specchiante che rimanda al visitatore la propria
immagine.
DUE MINUTI E TRENTADUE SECONDI, 2009
quattro sedute mobili in acciaio cromato che
compiono una rotazione di 360°in 5’4’’
alimentazione elettrica
180x 308 cm cadauna
vista dell’istallazione presso: Horti Leonini, San
Quirico d’Orcia, (Siena)
L’istallazione è composta da quattro strutture di
grandi dimensioni, in acciaio cromato specchiante,
constano di una base circolare girevole su cui posa
un sedile protetto da un parasole.
Le sedute compiono una rotazione di 360°gradi su
se stesse in maniera lenta ed incessante, come dei
luoghi di sosta all’apparenza immobili, punti di
osservazione privilegiata della realtà. Ai visitatori è
chiesto di accomodarsi sui sedili ombreggiati, e - con
la semplice sosta - prendere atto della stasi che,
accompagnata da un movimento circolare
continuato, permette di errare con lo sguardo lungo
il panorama circostante. E’ sufficiente alzarsi per
interrompere la contemplazione della natura, il cui
riflesso è catturato dalla lucida superficie d'acciaio
della seduta mobile, e tornare alla realtà.
La rotazione completa delle sedute, avviene in
cinque minuti e quatto secondi. Il titolo dell’opera,
suggerisce un inganno sul reale scorrere del tempo.
FROM HERE TO ETERNIT, 2009
scritta luminosa, lampadine ad incandescenza da
10 watt
549,95X 49,62x 3 cm
vista dell’istallazione Collezione La Gaia, Busca,
Brusca, Cn
Una scritta luminosa di grandi dimensioni si staglia
sul muro, come un’insegna, lanciando una
promessa: From here to Eternit.
La scritta ricalca i caratteri grafici utilizzati fino al
1986 dalle fabbriche “Eternit”, i cui stabilimenti
producevano una miscela di cemento ed amianto
brevettata nel 1901 dall’austriaco Ludvig
Hatcsheck, che solo in Italia ha causato fino ad oggi
più di tremila vittime di cancro.
Il progetto dell’istallazione nasce dal connubio,
sarcastico e amaro, del devastante prodotto
industriale "Eternit" e del titolo del film From here to
eternity diretto da Fred Zinnnemann nel 1953 che
evoca una romantica promessa di matrimonio: "fino
a che morte non ci separi". In effetti, le fibre
d’amianto assorbite dagli operai della fabbrica di
Eternit e dagli abitanti delle città circostanti gli
stabilimenti di produzione, resistono tenacemente
nei loro corpi accompagnandoli lentamente fino alla
morte.
PIER PAOLO PASOLINI 2009, 2009-2010
lettere tagliate al laser in acciaio inox lucidato a
specchio
15x 800 cm e 30x 735 cm
vista dell’ istallazione presso: Castello di Rivoli,
Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli, (Torino)
Una lunga serie di lettere in acciaio lucido affisse a
parete, compongono una frase di Pier Paolo Pasolini
come un’iscrizione epigrafica in cui l’osservatore,
avvicinandosi, può riflettersi. Forse sono io che
sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in
pericolo, sono le parole pronunciate dallo scrittore
cineasta nel corso di un’intervista rilasciata il 1°
novembre 1975 tra le quattro e le sei di pomeriggio,
poche ore prima di essere assassinato.
E’ questa un’affermazione macroscopica, lapidaria
per la valenza quasi profetica che ebbe nel
momento in cui fu pronunciata: un presagio della
morte imminente di chi pronunciò queste parole e
degli anni di piombo che avrebbero investito l’Italia a
breve; e al contempo una verità microscopica,
evocando la precarietà della vita.
A più di trent’anni dalla scomparsa di Pier Paolo
Pasolini, tale dichiarazione mantiene la risonanza e
la contemporaneità di una verità svelata da un
uomo capace di guardare e comprendere prima
degli altri la realtà ed il suo evolversi.
In questo senso il titolo dell’istallazione Pier Paolo
Pasolini 2009, è un tributo al grande scrittore
riattualizzato per mezzo dell’inserzione della data di
creazione dell’opera, come se le parole citate
fossero state appena proferite.
MY NO MAN’S LAND (LA MIA TERRA DI NESSUNO),
2008
mostra personale presso: galleria Art Agents,
Amburgo, Germania
5 marzo – 4 maggio 2008
Opere :
Monitor and keep at a distance
Life belt
Io viddi la mia fortuna in alto mare
We are such stuff as dreams are made one
Alto Mare
Un aforisma, con cui Samuel Beckett usava definire
il proprio lavoro, ma anche una frase associabile al
mare, o meglio, come vuole il glossario della Marina
Militare, all’ “alto mare”. Una zona franca, che inizia
dove finiscono i confini costieri nazionali, esule da
qualsiasi sovranità e diritto statale. Una terra che
non appartiene a nessuno, in cui si perpetuano
stragi legate alla migrazione di migliaia di persone
pronte a lasciare il sud del mondo per il benessere
occidentale. Migliaia di persone per cui il mare
rappresenta l’ultimo grande ostacolo verso la
realizzazione di un sogno e di una speranza.
Da qui nasce il tema ed il titolo della mostra
personale dell’artista. Una mostra che affronta il
tema della responsabilità attraverso le cinque opere
proposte.
LIFE BELT, 2008
tre salvagenti di sapone alla glicerina bianco,
diametro 57 cm
particolare dell’istallazione, vista presso: Galleria
ArtAgents, Amburgo, Germania
Tre salvagenti, -life belt- bianchi sono disposti su un
pavimento nero. É come se galleggiassero su una
superfice nera, nell’alto mare notturno.
Realizzati come salvagenti a norma di sicurezza,
sono fatti in sapone di glicerina neutro, incolore e
inodore. Una sostanza scivolosa, soggetta a
sciogliersi a contatto con l’acqua e a dissolversi in
essa senza lasciare traccia.
L’istallazione è stata creata in reazione ad un fatto
accaduto nel 2007, quando un barca con duecento
migranti clandestini venne avvistata dalla guardia
costiera di competenza maltese. Benché in difficoltà
a causa del maltempo, la barca non venne soccorsa
dalle autorità e naufragò con i suoi passeggeri.
Traendo ispirazione da questo fatto di cronaca,
l’opera allude a tutti gli aiuti umanitari dati al
momento sbagliato, troppo tardi, o mai. Promesse di
aiuto paragonabili ai salvagente di sapone che
sciogliendosi non lasciano memoria del proprio
passaggio, ma solo la suggestione di un’intenzione.
IO VIDDI LA MIA FORTUNA IN ALTO MARE, 2008
video proiezione, film 16 mm, trasferito su DVD,
suono, colore, 2’11’’
vista della video proiezione presso: Galleria
ArtAgents, Amburgo, Germania
Il video Io viddi la mia fortuna in alto mare
rappresenta due uomini che fanno fluttuare un
sottile asticella su cui è fissata una barchetta bianca
colma di piccole sagome umane.
Il bastoncino bianco si staglia su un denso fondo
nero e disegna, come a separare il cielo dal mare,
una flebile linea d’orizzonte animata dal movimento
ondulatorio dei due attori - posti alle estremità
dell’inquadratura e quasi tutt'uno con lo sfondo - che
la sorreggono. É una scena fortemente evocativa del
destino di tante persone che si compie per il volere
e le azioni di attori esterni e potenti dei ex machina.
L’opera trae il suo titolo dal ritornello del canto
popolare che accompagna il video, che allude alla
ricerca della fortuna in alto mare.
NN, 2007
due lettere in acciaio lucidato a specchio, retro
illuminate al neon, 140x160 cm cadauna
vista dell’istallazione video presso: collezione
privata, Milano
L’installazione è composta da due imponenti
caratteri alfabetici in acciaio lucidato a specchio,
posti sul pavimento. L’opera, presentata per la
prima volta in una delle celle dell’ex-carcere di
Alcamo, compone l’acronimo latino NN: nescio
nomen, “non conosco il nome”, un’abbreviazione
utilizzata per indicare l’anonimità o l’insufficienza
d’informazioni necessarie a definire l’identità di un
individuo.
É una negazione lapidaria che si trasforma in una
domanda aperta, non appena l’osservatore si
avvicina scoprendo la propria immagine a figura
intera riflessa sulla superficie specchiante delle due
lettere. Una domanda che vuole essere un invito
all’incontro con l’altro, che sembra tanto differente
quando lo si guarda da una prospettiva lontana,
quanto familiare se avvicinato.
N.N. in matematica è anche l’abbreviazione
utilizzata per indicare i numeri. Cosa resta di un
uomo se privato della propria identità?
BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007
mostra personale presso la Galleria Lia Rumma,
Milano
21 settembre- 30 novembre 2007
Opere:
Bianca e il suo contrario
Everyman
Lei che non dormiva mai.
Senza titolo #1, dalla serie Bianca e il suo contrario
Senza titolo #2, dalla serie Bianca e il suo contrario
La metamorfosi, la relazione con l’altro, la
mancanza, la morte, la misura del tempo, sono i
temi proposti dall’artista per la mostra personale:
Bianca e il suo contrario inaugurata il 21 settembre
2007 presso la Galleria Lia Rumma di Milano.
La mostra é composta da un video – che dà il nome
alla personale – e due istallazioni.
BIANCA E IL SUO CONTRARIO, 2007
video proiezione, film 16 mm trasferito su DVD,
suono, colore, 2’56’’
vista dell’istallazione video presso: Galleria Lia Rumma,
Milano
Il video che dà il titolo alla mostra, rappresenta una
donna in piedi, l’artista.
Vestita di bianco, con in mano un bouquet di rose
dello stesso colore, è immobile e guarda in maniera
neutra l’osservatore.
La ripresa è frontale, a camera fissa, ed é
accompagnata da un canto corale, un melisma di
voci femminili privo di parole.
La staticità iniziale é interrotta dalla discesa di gocce
nere che, aumentando d’intensità, si fanno pioggia.
Una “precipitazione” liquida che viene man mano
assorbita dalla pelle e dal tessuto del vestito fino a
tingerli completamente.
La metamorfosi di "Bianca" nel suo "contrario" si
consuma in una durata temporale simbolica che
allude all’inesorabile scorrere del tempo che, simile
a un umore vischioso, sporca il candore della sua
condizione iniziale.
La scelta di proiettare la figura nella sua dimensione
reale allude al desiderio di coinvolgere direttamente
l’osservatore.
Bianca e il suo contrario, 2007
Stampa Lambda a colori 70x 100 cm
TANATOSI, 2006
mostra personale presso la Fondazione Merz, Torino
9 novembre 2006- 7 gennaio 2007
a cura di B. Merz
Opere:
Misurazione Anti-ottica dello spazio
Tanatosi
Anomma
Test optometrico
Il vuoto ad ogni gradino
La parola Tanatosi definisce lo stato di completa
immobilità assunto da alcuni animali per proteggersi
da un pericolo o da un’aggressione esterna. Una
morte simulata scaturita dalla paura.
Da questa estensione semantica prende il titolo e
trae ispirazione l’omonima mostra personale
dell’artista, inaugurata a Torino presso la
Fondazione Merz.
Un progetto che, assumendo i sensi come strumenti
primari di conoscenza del mondo, esplora il
potenziale percettivo insito in situazioni psicologiche
alterate (fobiche) ed in soggetti con handicap visivi.
Quattro istallazioni e un video compongono un
percorso sensoriale fruibile, anche da non vedenti,
creato intorno al tema della cecità sia fisica che
simbolica. Tatto, udito e abilità aptiche sono i sensi
sollecitati nel visitatore attraverso l’esposizione di
cinque istallazioni.
MISURAZIONE ANTI-OTTICA DELLO SPAZIO, 2006
tre mappe tattili in rilievo, alluminio, testi in italiano,
Braille ed inglese
due mappe 40x40 cm, una mappa 60x60 cm
collezione permanente Fondazione Merz, Torino
Tre mappe sono affisse alla parete, una per piano,
all’ingresso dei tre livelli della Fondazione Merz di
Torino. Lo spazio museale è rappresentato secondo
molteplici chiavi di lettura sensoriali: la percezione
aptica, la vista ed il tatto.
Le tre planimetrie in alluminio, sono realizzate
utilizzando il corpo dell’artista come modulor (lo
spazio è misurato in passi al posto di metri).
Indicazioni visuali, in italiano e in inglese,
accompagnano la descrizione degli spazi. Le mappe
dei tre livelli della fondazione sono riprodotte in
rilievo: basta toccarne la superficie per iniziare un
viaggio del tutto inedito, in cui, grazie ad una
descrizione tattile dei luoghi realizzata in alfabeto
braille, la vista non è più privilegiata.
Queste mappe nascono dall’impiego di questa
pluralità di segni e da una citazione di Mario Merz il
titolo dell’opera: Misurazione Anti-Ottica dello
Spazio. Un titolo che, sfidando la vista come unico
mezzo di orientamento, propone dei mezzi di
relazione e conoscenza alternativi.
TANATOSI, 2006
seicento placche ovali di ceramica bianca 9x 12 cm,
con iscrizioni in alfabeto braille e caratteri latini,
dimensioni totali dell’installazione 765x371 cm
particolare dell’istallazione, vista presso: Fondazione
Merz, Torino
Seicento placche di porcellana bianca occupano in
maniera simmetrica una parete bianca. Sono
placche ovali, abitualmente impiegate come
supporto per la riproduzione fotografica di ritratti
tombali. Sessanta di esse recano in rilievo delle
iscrizioni trasparenti in alfabeto sia braille, sia latino,
che nominano altrettante fobie legate ai cinque
sensi (vista, udito, tatto, olfatto, gusto):
cromatofobia, termofobia, acusticofobia, fagofobia.
L’opera richiede la prossimità fisica dell’osservatore
per essere pienamente percepita. Invita a
un’intimità che è innanzitutto la disposizione a un
ascolto del sé, e a ritrovare il proprio volto come
riflesso fugace nel vuoto bianco delle placche.
L’immobilità a cui rimanda il titolo dell’opera, fa
riferimento alla tanatosi, processo di simulazione
della morte attuato da alcuni animali come reazione
alla paura.
TEST OPTOMETRICO, 2006
nove light box, 160x40 cm
particolare dell’istallazione, vista presso: Fondazione
Merz, Torino
Nove light box sono allineati orizzontalmente su una
parete. Su di essi caratteri di grandezza
decrescente, dall’alto verso il basso, compongono
citazioni tratte da differenti autori (Beckett, Calvino,
Merz, McGrath, Saramago, Platz...) sul tema della
paura e della cecità.
I nove light box sono stati realizzati sul modello degli
ottotipi normalmente utilizzati per la misurazione
della vista da lontano. I caratteri illuminati che
rimpiccioliscono gradualmente e non hanno
spaziatura e punteggiatura, obbligano l’osservatore
a compiere uno sforzo visivo e cognitivo crescente
per comprendere il testo.
“...la paura acceca... eravamo già ciechi nel
momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha
accecato, la paura ci manterrà ciechi... “. (Jose
Saramago, “Cecità”).
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Diapositiva 1 - Marzia Migliora