Incontro con i genitori
dei ragazzi che si preparano alla
prima confessione
Centro Pastorale “San Michele Arcangelo”
Domenica, 18 marzo 2012
Leggiamo la Bibbia: Genesi, 1, 26-31
Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui
pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i
rettili che strisciano sulla terra".
E Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e Dio disse loro:
"Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra".
Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero
fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli
uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in
cibo ogni erba verde". E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa
molto buona.
La Bibbia ci dice:
Non come andarono le cose nel dettaglio. Il linguaggio
della Bibbia è simbolico: ad esempio, nel Cantico dei
Cantici (7, 5) si parla del naso di una donna bello
come la torre del Libano rivolta verso Damasco.
Ovviamente, non ci si riferisce alle dimensioni del
naso, che sarebbero mostruose, bensì all’effetto di
bellezza che il volto di quella donna provoca in chi la
guarda.
Nel nostro caso la Bibbia ci dice ciò che Dio fa,
non come lo fa; all’autore del testo sacro
interessa dire chi è Dio e cosa Dio compie, non
attraverso quali procedimenti (chimici, fisici,
naturali, …) Dio operi. Sant’Agostino esprimeva
questo concetto ricordando che la Bibbia vuole
fare dei fedeli non degli scienziati.
La Bibbia ci dice che:
Dio creò l’adàm, che significa non il singolo
individuo, ma l’umanità.
La Bibbia, dunque, vuole rispondere alla domanda:
che cos’è l’umanità?
Soltanto l’umanità è a immagine
di Dio, staccata dalle altre
creature, collocata al vertice del
creato, vicina a Dio e addirittura partecipe del suo
mistero. Il termine “immagine”, infatti, nella Bibbia
indica un oggetto costruito perché riproduca
un’altra realtà: questo ci fa capire la particolare
relazione che lega Dio alla creatura umana.
• A essere immagine di Dio non sono né il
maschio né la femmina presi isolatamente,
concepiti indipendentemente e senza
relazioni reciproche.
• Creando l’umanità Dio crea la coppia, che
si fa portatrice di vita.
• Secondo questa lettura, comunque non
estranea al testo biblico, la vera immagine
di Dio sarebbe dunque la famiglia.
• Fin dalla creazione Dio si riconosce principalmente
nella famiglia, cioè nella coppia che, nella fecondità
della sessualità e del lavoro, costruisce la storia e
dona la vita.
• L’uomo realizza dunque in pienezza la sua
vocazione di “immagine di Dio” quando, nella
diversità, vive pienamente unito alla sua donna
e con lei collabora al piano di Dio. Infatti,
secondo il racconto biblico, la relazione tra
Dio, l’essere umano e la terra è caratterizzata
dal tema della promozione della vita.
E la Bibbia ci dice anche che:
• L’umanità è come Dio.
• Dio affida alla coppia la sua immagine più piena, perchè è
solo la coppia che può essere feconda, donatrice di vita.
• Allora, chi si volge contro l’essere umano si volge contro Dio.
• Attenzione però a non confonderci: la somiglianza
tra Dio e la persona umana non è legata all’aspetto
esteriore. Piuttosto, Dio esercita la sua potenza
creando in maniera ordinata, cioè facendo qualcosa
di bello. Ecco, la somiglianza tra noi e Dio sta nel
fatto che anche noi possiamo fare qualcosa di bello.
Anche del nostro operato si dovrebbe dire che è
bello.
Il miglior commento a questo è il Salmo 8:
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su
tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua
magnificenza,
con la bocca di bambini e di
lattanti:
hai posto una difesa contro i tuoi
avversari,
per ridurre al silenzio nemici e
ribelli.
Quando vedo i tuoi cieli, opera
delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai
fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui
ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne
curi?
Davvero l'hai fatto poco meno
di un dio,
di gloria e di onore lo hai
coronato.
Gli hai dato potere sulle opere
delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi
piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della
campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del
mare,
ogni essere che percorre le vie
dei mari.
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su
tutta la terra!
Dunque, Dio ha creato l'umanità,
composta da uomo e donna. È
l'umanità – cioè la natura umana – a
essere a immagine di Dio, ciò significa
che sia l'uomo che la donna sono, in
quanto esseri umani, creati a immagine
di Dio. Entrambi di fronte a Dio sono
sullo stesso piano.
Dio è relazione e il nostro essere a sua immagine e
somiglianza si esprime nella nostra capacità di essere in
relazione, con Dio e tra di noi.
La relazione più profonda è quella tra i coniugi: da questa
relazione nasce la famiglia, Chiesa domestica e cellula della
società. La Chiesa è ben consapevole di questo, tanto che il
Concilio Vaticano II afferma chiaramente: "Dio stesso è
l'autore del matrimonio" (Gaudium et Spes, 48). Il
matrimonio, infatti, così come si capisce dal brano che
abbiamo letto è iscritto nella natura della persona umana. La
famiglia nasce direttamente dalla volontà di Dio, come
elemento costitutivo del suo disegno creativo (CDA1981, p.
411).
La Bibbia ce lo dice chiaramente: il testo sacro,
infatti, si apre con la creazione dell'umanità,
maschio e femmina a immagine di Dio, e si chiude con
la visione delle "nozze dell'Agnello" (Apocalisse
19, 7.9).
Dio, che ha creato l'essere umano per
amore, lo ha anche chiamato
all'amore, vocazione fondamentale
einnata di ogni persona. Come
abbiamo letto, l'umanità, e ogni
persona umana, è creata a immagine
e somiglianza di Dio che è amore.
Avendo Dio creato l'umanità come
uomo e donna, il loro reciproco
amore diventa un'immagine dell'amore
con cui Dio ama l'umanità. E questo
amore è destinato a essere fecondo
Leggiamo ancora la Bibbia: Vangelo di Luca, 15, 11-32
Gesù disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre:
"Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le
sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose,
partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo
dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande
carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le
carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in
sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui
muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio".
Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo
indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far
festa.
Commenta don Giovanni Berti:
Ma il padre misericordioso della parabola è solamente Dio? Noi siamo
chiamati a identificarci solamente nei due figli?
La scrittura ci ricorda fin dall'inizio che siamo a "immagine e somiglianza"
di Dio.
Quindi questa parabola del Vangelo di Luca ci indica che anche nel
padre siamo chiamati a specchiarci. La sua misericordia, la sua capacità
di perdono accogliente, la sua insistenza nel ricomporre le fratture in seno
alla famiglia, sono un invito per noi a fare altrettanto.
Il padre misericordioso siamo noi, ogni volta che facciamo del perdono
un nostro stile di vita. Questo padre della parabola siamo noi quando
non ci accontentiamo della semplice tolleranza di chi è diverso e straniero,
ma quando andiamo incontro a chiunque, con l'obiettivo di ricostruire
come possiamo la famiglia di Dio.
Nella capacità di questo padre di riconoscere il figlio perduto anche se reso
irriconoscibile fisicamente dalla lontananza e dalla povertà, c'è un invito chiaro a
vedere oltre le apparenze delle persone, ma di scorgere sempre un fratello e una
sorella che chiede il nostro abbraccio e la nostra stima.
La parabola del padre misericordioso (o del figliol prodigo, come viene
comunemente chiamata) contiene dunque un messaggio che va oltre la riflessione
sul sacramento della riconciliazione, ma si propone come modello di vita.
Siamo come il figlio minore che fugge di casa e si allontana da Dio.
Siamo anche spesso come il figlio maggiore, che rimane nella casa ma con un
atteggiamento di giudizio e di accusa nei confronti di chi si è allontanato.
Ma siamo soprattutto come il padre misericordioso che ama, perdona e
riaccoglie.
Questo commento ci aiuta a capire che quella
particolare e profonda relazione umana che è
la famiglia deve diventare luogo di
misericordia, riconciliazione, accoglienza. E
deve diventarlo perchè può essere tutto
questo, in quanto composta da esseri umani
creati a immagine e somiglianza di un Dio
che ama, perdona e accoglie nuovamente.
Il Catechismo degli Adulti del 1981 scriveva:
Nella famiglia, i cristiani, come operatori di carità, sono chiamati a
manifestare il disegno di Dio, la ricchezza del suo dono, il valore
sacramentale del Matrimonio. La famiglia viene così a costituirsi
come segno della comunione tra Dio e l'uomo, tra Cristo e la
Chiesa; e nella storia opera come fermento evangelico per l'unità
dell'intera famiglia umana. In una società che fa fatica a vivere
la dimensione della riconciliazione la famiglia può trovarsi in
due situazioni, tra loro opposte: o assorbe la mentalità del
"mondo" fino al punto di disgregarsi (oggi viviamo in una
società individualista che porta a chiuderci in noi stessi più che
ad aprirci agli altri) oppure diventa nel "mondo" testimonianza
di un modo diverso di essere, di fare, di stare insieme. Un modo
non disgregante, ma di comunione, non distruttivo, ma
costruttivo: l'ambiente sociale oggi non favorisce i compiti della
famiglia. Di fronte a queste difficoltà le famiglie cristiane sono
chiamate a dare una testimonianza di carità vissuta e
comunicata, per rendere più umana la vita sociale.
Ancora altre difficoltà incontra la famiglia, non più
legate alle situazioni esterne, ma alla condizione
stessa dell'uomo segnato dal peccato. Ogni
persona fa l'esperienza del male, attorno a sé e
in se stessa. Questa esperienza si fa sentire
anche nelle relazioni tra l'uomo e la donna. Da
sempre la loro unione è stata minacciata dalla
discordia, dallo spirito di dominio, dall'infedeltà,
dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare
fino all'odio e alla rottura.
Secondo la fede cristiana questa situazione di
disordine non deriva dalla natura dell'essere
umano, né dalla natura delle relazioni di uomo e
donna, ma dal peccato che, essendo una rottura
dei rapporti con Dio, ha come conseguenza la
rottura della comunione originale dell'uomo e
della donna.
Scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica:
Il disegno di Dio sulla famiglia è esigente. Molti, a
causa della loro debolezza si sentono incapaci di
attuarlo. Non è l'angoscia, la paura, lo
scoraggiamento, la reazione del cristiano, ma la
fiducia, l'umiltà, la speranza, che riposano nella
misericordia di Cristo che salva e rinnova. In
questo, Dio non lascia soli l'uomo e la donna.
Proprio il matrimonio aiuta a vincere il
ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca del
proprio piacere e ad aprirsi all'altro, all'aiuto
vicendevole, al dono di sé.
La chiave per entrare in questa logica nuova, che è
logica evangelica, è la chiave della riconciliazione.
La famiglia, cellula elementare di ogni società, è punto di
incontro profondo e radicale delle persone, nel quale le
diverse inclinazioni, necessità e aspirazioni sono
destinate o a plasmarsi, compenetrarsi e riformularsi
nell'amore, o a scontrarsi, soffocarsi, ignorarsi a vicenda.
Qui si toccano con mano espressioni come "dare la vita" o
"morire per gli altri"; o si può, al contrario, sprofondare
nell'indifferenza e nell'inferno se è vero, come sosteneva
qualcuno, che chiunque, almeno una volta nella vita, ha
segretamente desiderato di strozzare il suo coniuge, suo
padre o suo figlio.
Nella sua apparente ordinarietà la vita
familiare è perciò, per i cristiani, una
difficile e permanente palestra di
amore, riconciliazione e perdono,
un’inesorabile cartina al tornasole
della gioia e dell’autenticità
evangelica, molto piú significativa e
impegnativa dei grandi gesti "una
tantum", che invece fanno colpo e
vanno in prima pagina.
Gesú ci ha detto ad esempio che, se
nostro fratello ha qualcosa contro di
noi, dobbiamo noi, prima di portare
l'offerta all'altare, andare a cercare il
fratello e riconciliarci con lui, ma il
fatto che un cristiano cerchi di offrire
per primo la mano a chi gli ha fatto un
torto grave continua ad apparire,
anche nel nostro Paese dalle radici
così cristiane, come un'eroica
stravaganza.
• La vita familiare è piú che
sufficiente a far emergere con
chiarezza il nesso fra perdono e
correzione fraterna, fra amore e
verità, fra pace e giustizia.
• Il cristiano sa di amare perché
Dio per primo lo ha amato, e la
prima lettera di S. Giovanni gli
ricorda che chi non ama suo
fratello che vede, non può
amare Dio che non vede. In una
comunità piccola e affiatata, se
le cose vanno bene, è
sicuramente merito anche degli
altri; se qualcosa non va, è
probabilmente anche colpa
nostra. Insomma la certezza
dell’amore di Dio e del proprio
peccato non può che indurre ad
un atteggiamento di umiltà e
gratitudine anziché di giudizio e
condanna verso gli altri.
• Però chiunque abbia vissuto
in una comunità piccola o
grande, in particolare in una
famiglia, sa che le
responsabilità, nel bene e nel
male, sono alla fine
strettamente personali; e
talvolta, per ragioni
educative, di rispetto della
verità e di equilibrio della
comunità, risulta addirittura
necessario farle emergere
con chiarezza. Il perdono
non può diventare un alibi
per l'annacquamento e la
confusione delle
responsabilità. L'esame di
coscienza, i bilanci e i
progetti personali, di coppia e
di famiglia sono un dovere,
non un optional. Che fare se
nei bilanci qualcosa non
quadra?
In ogni comunità, in particolare se piccola e
intensa come la famiglia, non ci si può
esimere (come genitori ma anche come
coniugi) da qualche verifica a muso duro.
Attenzione: la pace, il perdono e la giustizia
possono essere conciliate solo da persone e
comunità non solo bene intenzionate, ma
anche non sprovvedute, informate sul piano
educativo, affettivamente mature,
sentimentalmente e fisicamente affiatate:
scemenza, superficialità e malesseri latenti
fanno a volte più danno della cattiveria.
Anni fa un saggio prete suggerì a un uomo un
criterio molto umano: se un certo giorno
raggiungi la certezza di dover correggere
qualcosa d'importante nella vita di qualcuno dei
tuoi familiari, aspetta altri dieci giorni. Se dopo
dieci giorni te ne ricordi ancora, prendi l'iniziativa
e parlane con franchezza, pur con tutto l'amore
e la responsabilità del tuo ruolo di padre o di
marito. Se invece te ne sei già scordato, beh, è
segno che non era così importante come ti era
sembrato.
Lasciare accumulare rancori e scontentezze per
un malinteso amore di pace può, in una
cornice di formale concordia, far marcire e
deteriorare qualunque rapporto. Se questa
"politica" poteva avere un senso in un diverso
contesto socio-culturale, essa pare
improponibile oggi.
Nella nostra società sempre più liquida, di cui parla
Zygmunt Bauman nei suoi libri, dove a legami
forti e stabili sembrano progressivamente
sostituirsi legami sempre meno forti e definitivi,
dove una possibilità di comunicazione senza
precedenti regala rapporti molteplici e intensi,
non bastano rassegnazione e routine, ci
vogliono entusiasmo e chiarezza nelle priorità.
Non bastano impegno nei doveri, rispetto o
addirittura sopportazione, bisogna restare
innamorati.
Anche una coppia inizialmente affiatata, anche una famiglia
solidale e cristiana, se lascia accumulare pressioni
interne ed esterne oltre il livello di guardia, è destinata a
esplodere. Bisogna sempre dirsi tutto. Ma con pazienza,
con misericordia, con un sorriso, nello stile di Gesù, che
dice la verità, anche quando è dura, abbracciando,
accarezzando, accogliendo.
Come fare?
Tutto questo è bello a dirsi, ma è molto difficile a viversi.
Come fare, allora?
Ripartiamo dalla parabola del Padre misericordioso e
riscopriamoci tutti oggetto della misericordia di Dio:
il perdono di Dio ci rende capaci di impostare relazioni
di perdono e riconciliazione.
E poi, ricordiamoci che siamo creati a immagine e
somiglianza di un Dio che è relazione e che
perdona. Se non siamo sicuri, proviamo a perdonare
…: forse ci sorprenderemo di noi stessi!
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Incontro famiglie 18 marzo 2012