La Resistenza L’8 settembre del ’43 fu la data d’inizio della Resistenza italiana: il 25 luglio era caduto il regime fascista, che portò all’armistizio e all’occupazione tedesca. Da quel momento, in una gran confusione politica, militare e strategica, i Tedeschi occuparono l’Italia centrale e meridionale. Per tutto il mese di settembre Napoli fu in un crescente fermento. Il giorno nove vi fu una prima azione antitedesca contro il Palazzo dei Telefoni, in Via De Pretis: le truppe germaniche furono costrette ad abbandonare l’edificio per riorganizzarsi e tornare all’attacco. Fu quello il primo vero scontro con il popolo napoletano. Una minaccia in città Il comandante tedesco Scholl, il giorno del 12 settembre del ’43 fece affiggere un proclama per le vie della città, con il quale informava di aver assunto il comando delle truppe tedesche a Napoli e di essere deciso a reprimere qualsiasi atto di insubordinazione da parte della cittadinanza contro le forze tedesche. Ordinò inoltre la consegna immediata di tutte le armi; ma i napoletani fecero fronte unito contro l’oppressore ed opposero una resistenza eroica, che ancora oggi lascia stupiti. Bisogna fermare i Tedeschi In quello stesso giorno divampò un incendio all’Università e furono commessi atti terribili contro cittadini indifesi e giovani studenti. La città, già profondamente provata dalla guerra, si sentì indifesa, abbandonata dall’esercito italiano e capì che avrebbe dovuto da sola prendere l’iniziativa, per opporsi alla barbarie dei Tedeschi. E questa grande forza di ribellione, di reazione collettiva si sprigionò a poco a poco, fino ad arrivare agli atti eroici delle giornate tra il 27 e il 30 settembre, quando i napoletani furono più che mai decisi a passare all’azione. Appena due giorni prima era stato fucilato il giovane Giacomo Lettieri, finito nelle mani dei Tedeschi perché vilmente tradito. Lettieri, il giorno del 10 settembre, aveva sparato a un soldato tedesco, responsabile, a sua volta, di aver ucciso un soldato italiano disarmato. Quella di Lettieri fu una delle tante esecuzioni che si successero, sempre più drammatiche e numerose, e seminarono morte e angoscia tra i napoletani. Il 27 settembre Anche il 27 di settembre cominciò all’insegna del terrore; l’obiettivo dei tedeschi era quello di fare piazza pulita dei giovani, molti dei quali erano catturati e destinati alla deportazione e ai lavori forzati. Quelli che tentavano la fuga erano uccisi senza esitazione. Era tempo di agire: i primi scontri si ebbero in località Pagliarone, al Vomero vecchio; ma poi l’insurrezione si diffuse in tutta la città, specie intorno a Castel Sant’Elmo, dove i napoletani studiavano un sistema per entrare nel castello ed impossessarsi dell’enorme quantità di armi e munizioni che vi era custodita. Intanto, al Vomero, gli scontri continuarono tutto il giorno: al Campo Sportivo e nella Floridiana vi erano truppe tedesche; in Via Cimarosa una moto tedesca fu ribaltata e due soldati morirono. A seguito di questo affronto, la reazione dei tedeschi s’inasprì e vi furono molti morti da ambo le parti. Anche al centro della città, in Via Foria, in via Roma, ai Quartieri Spagnoli, si accese la guerriglia armata. Lunghe file di giovani, prigionieri dei tedeschi, erano in marcia sulla Via Santa Teresa verso il parco di Capodimonte, quartiere generale dei soldati di Scholl. Fu proprio all’incrocio tra Via Foria e via Santa Teresa che i napoletani eressero le prime barricate, per impedire il passaggio delle forze nemiche da e verso la città. Altri punti strategici da controllare erano la zona dei Miracoli e dell’Orto Botanico, Piazza Carlo III e la Doganella; bisognava controllare questi luoghi per impedire ai Tedeschi l’accesso alle strade provinciali. Ben presto, si arrivò a combattere contro i tedeschi in ogni punto nevralgico della città. C’erano persino postazioni napoletane munite di mitragliatrici. Ma l’episodio più importante della giornata ebbe luogo a Capodimonte, precisamente alla Salita del Moiariello, dove erano concentrati centinaia di Tedeschi. Si era pensato di sferrare un massiccio attacco simultaneo e persino di minare la Calata di Capodimonte verso il Ponte della Sanità, la via di collegamento tra la collina e il centro cittadino. Il 28 settembre Anche il 28 settembre si continuò a combattere al Vomero: i Tedeschi si erano acquartierati davanti alla Floridiana. Un vigile del fuoco di nome Francesco Pintore, sardo, riuscì a sottrarre ai nemici una mitragliatrice e la scaricò loro addosso. I Tedeschi dislocati nel quartiere risposero al fuoco, ma intanto arrivavano da Castel Sant’Elmo gruppi di giovani napoletani carichi di munizioni. Contro la postazione tedesca alla Floridiana furono lanciate bombe a mano; purtroppo, però, i Tedeschi non si lasciarono sorprendere e anche loro seminarono morte tra i nostri concittadini. Si combatté per due lunghissime ore, fino a che nuvoloni di fumo e una fitta pioggia non sopraggiunsero a placare temporaneamente gli scontri. Nel frattempo, molti gruppi di partigiani napoletani erano riusciti ad armarsi fino ai denti. Il primo obiettivo era quello di fermare i Tedeschi intenzionati a far saltare in aria il Ponte della Sanità. La città reagiva dappertutto all’oppressione nemica. Molti caddero sotto i colpi tedeschi, ma tutti mostrarono un gran coraggio, come il medico Stefano Fadda, che in Via Roma sbarrò la strada ad alcuni saccheggiatori tedeschi, che approfittavano della confusione per rovistare negozi e fabbriche dei dintorni. Tanti giovani persero la vita e le donne e gli scugnizzi non rimasero certo a guardare. Un esempio di eroismo fu quello di Maddalena Cerasuolo, detta anche “Lenuccia”, che distribuiva bombe a mano recuperate da una vicina caserma dei Carabinieri. Fortunatamente, una serie di temporali smorzò gli scontri tra il potente esercito germanico, dotato di macchine belliche terribili, e i poveri napoletani, ricchi solo nel cuore di coraggio, forza, rabbia e dolore per i concittadini che lasciavano esanimi lungo le strade. Il 29 settembre All’alba del 29 settembre la città era tutta una barricata: per le strade si era ribaltato di tutto: roba vecchia, macerie, persino autobus e tram. Al centro, i partigiani dovevano impedire ai Tedeschi di minare gli edifici amministrativi; al Vomero si intensificarono gli scontri e iniziò anche la caccia alle spie, ai traditori che collaboravano con i Tedeschi. Al Moiariello, i soldati germanici decisero di scatenare i loro possenti carri armati, che partirono con gran fragore, per travolgere le barricate e ogni sorta di ostacoli. Scesero da Via Santa Teresa fino al Museo e oltre, attraversando via Roma, fino a via Nardones, e distruggendo tutto al loro passaggio. Al Vomero, nel Campo Sportivo, cinquanta napoletani furono presi come ostaggi dai soldati tedeschi. L’intero stadio fu accerchiato dai partigiani e lo scontro fu talmente violento che, alla fine, i Tedeschi asserragliati nel campo chiesero allo stesso Scholl di potersi accordare con i napoletani, liberare i prigionieri e allontanarsi senza essere aggrediti. Tuttavia, l’episodio non smentiva la malvagità dei Tedeschi, che da Capodimonte continuavano a cannoneggiare la città, mirando alla cieca, anche su abitazioni civili. Sembravano giunti alle azioni disperate, ma purtroppo non era ancora finita per Napoli e i Napoletani. Il 30 settembre Al cominciare del 30 settembre, alcune colonne di mezzi e di soldati tedeschi furono viste uscire dalla città, in direzione nord; ma nei luoghi più caldi degli scontri si continuò a combattere. Quella del 30 settembre fu delle quattro la giornata più dura e dolorosa, soprattutto perché si temevano crudeli rappresaglie da parte dei Tedeschi, che forse cominciavano a masticare il boccone amaro della sconfitta. Per evitare questo pericolo, l’aggressione dei partigiani si fece davvero furiosa, ma non poté impedire l’accanimento dei Tedeschi contro civili inermi. Lasciando la città, i soldati di Scholl sfogarono la loro rabbia contro chiunque incontrassero durante la ritirata. E forse il maggior numero di vittime si ebbe proprio in quel giorno, e i napoletani proprio non sapevano se gioire, nel vedere i Tedeschi allontanarsi, o se disperarsi, nel vedere i propri cari morire ad ogni angolo di strada. Il 1° ottobre La mattina del primo ottobre gli Angloamericani fecero il loro ingresso in città; verso le undici si udirono alle porte di Napoli i cingolati delle forze alleate, accolti da un popolo stremato nel fisico e nel cuore, ma pieno d’orgoglio per aver fronteggiato, con sacrificio, la tirannia dei nemici. Una grande lezione civile si levò da Napoli e fu d’esempio per l’Italia e il mondo intero. Tra le vittime delle quattro giornate si contarono numerosi anche gli scugnizzi, agili e preziosi collaboratori di guerra, coraggiosi, pronti a donare la loro giovane vita in nome della libertà. Furono i primi a correre incontro agli Americani e a familiarizzare con loro. Prendevano di tutto dalle loro mani: cibo, dollari, sigarette; gli scugnizzi erano piccoli uomini, figli del popolo, ai quali era stato negato tutto, anche l’infanzia.