Problemi di una filosofia dell’immaginazione 2011/6
Il nostro primo problema: dell’immaginazione si deve parlare,
sapendo bene che è una capacità della mente umana che ha
ragioni evolutive e di cui si deve poter rendere conto in primo
luogo cercando di comprendere che funzione e che ruolo
svolga nella nostra vita.
Ci siamo soffermati in modo particolare su due aspetti. Il
primo riguarda l’immaginazione come forma che consente di
“mettersi nei panni degli altri” e che gioca probabilmente un
ruolo rilevante nella comprensione dell’altro come sistema di
intenzioni e di desideri e pensieri. Il secondo concerne invece
l’immaginazione come capacità di collocarsi intuitivamente in
situazioni che ascoltiamo descrivere o che semplicemente
plasmiamo quando ci disponiamo sul piano della progettualità.
Insomma: l’immaginazione sembra avere una funzione
evolutivamente utile: ci consente di porci intuitivamente in
situazioni diverse dalla nostra, cosa questa che ci permette di
simulare off-line i comportamenti che sarebbe opportuno
inscenare se ci trovassimo in mezzo agli eventi che immaginiamo.
Non si tratta di una funzione insostituibile: ci si può adattare
all’ambiente in molti modi diversi e non è detto che il modo
migliore sia quello che passa attraverso la comprensione degli
altri e la prefigurazione di situazioni che non ci appartengono.
La finzione di Condillac della statua ci guida ad un’altra analoga
finzione: possiamo immaginare una forma di vita che non sia
capace di immaginare. Una vita più povera, ma non per questo
peggiore da un punto di vista dell’adattamento all’ambiente.
140 milioni di anni
200.000 anni fa
Alla prospettiva che vede l’immaginazione alla luce della teoria evolutiva e che
ci costringe a pensare che è solo un caso se la nostra vita è illuminata
dall’immaginazione si deve tuttavia affiancare una prospettiva diversa e cioè la
prospettiva che ci costringe a sostenere che l’universo di senso che ci
appartiene – e che rende tra le altre cose pensabile per noi anche la nostra
peculiare natura di animali determinati dal gioco delle forze che consentono
l’adattamento all’ambiente – è un universo che abbraccia anche la facoltà
dell’immaginazione.
L’immaginazione fa parte della nostra vita ed anche se abbiamo ragione di
credere che la nostra vita sia quello che è per una serie di casi che avrebbero
potuto essere diversi, è opportuno rammentare che non possiamo andare al di
là della nostra vita perché non possiamo non pensare a partire dall’universo di
senso cui apparteniamo.
Dei nostri giochi linguistici (delle forme del linguaggio che circoscrivono la sfera
di ciò che ha senso) Wittgenstein diceva che stanno lì – come la nostra vita
(Ricerche filosofiche , § 559)
Il nostro primo problema: cercare di far luce sul concetto di
immaginazione e sul posto che esso occupa nel vocabolario
concettuale della nostra esperienza.
Una constatazione preliminare: noi parliamo di immaginazione in
molti e diversi modi. In un passo delle Ricerche filosofiche
Wittgenstein osserva che la robustezza di una corda dipende
dall’attrito e quindi dalla forza con cui sono state intrecciate le
molte fibre che la compongono e non dal fatto che vi sia un unico
filo che per intero l’attraversi; così stanno le cose anche alla parola
“immaginazione” che è una corda che ha molte fibre diverse.
Ora nulla ci costringe ad usare una parola diversa per ogni diversa
accezione di senso, ma questa diversità può talvolta trarci in
inganno ed è per questo che può essere utile mettere mano alla
corda e mostrare che ciò raccogliamo sotto una stessa parola può
essere ulteriormente differenziato.
Alcune considerazioni di carattere generale: noi parliamo di immaginazione per
intendere cose molto diverse. Una prima constatazione: parliamo di
immaginazione per intendere molte e diverse cose.
1.
“Immaginati il volto di un tuo amico!”
2.
Immagino il volto di un amico
3.
“Polifemo me lo immagino così”
4.
“Si immagini un triangolo rettangolo in cui il cateto maggiore sia il doppio
del cateto minore …”
5.
“Immagina di partire domani mattina all’alba: sali sul treno, quando ecco
che …”
6.
“Immagina di partire domani mattina all’alba: a che ora potresti raggiungerci
sulla spiaggia?”
7.
“Immagina che questo ramo sia una spada e fatti sotto, gaglioffo!”
8.
“Immagina che questa (e mostro un libro) sia casa mia: se la si costeggia …”
9.
…
Si tratta di usi della parola “immaginazione” che sembrano legittimi, ma ciò non
toglie che sia possibile riformulare queste proposizioni lasciando da canto il
verbo “immaginare”.
In certi casi l’immaginare si rivela così prossimo al ricordare, in altri all’assumere,
in altri ancora al raffigurare.
Carattere sfuggente di questi usi linguistici. Una prima constatazione: in alcuni
casi, sembra che il parlare di immaginazione voglia soprattutto mettere il
carattere intuitivo dell’atto. A chi mi chiede di immaginare di partire domani
all’alba per sapere a che ora potrei raggiungerlo, potrei rispondere che se
assumo di partire alle 5, arriverò a destinazione … Insomma, una prima
caratteristica sembrerebbe essere questa: si immagina se e solo se ci si raffigura
intuitivamente qualcosa, se lo si rende visibile agli occhi della mente.
Dubbi: quando un bambino gioca con un ramo “vede” davanti a sé una spada?
La visualizza? Naturalmente no.
Riformulazione di questa tesi: si parla di immaginazione in un
senso lato del termine quando si ha a che fare con forme di quasi
esperienza.
Non è necessario il rimando ad immagini mentali (che non
sembrano per esempio accompagnare il gioco infantile), ma
sembra essere invece
necessario il carattere della quasi
esperienza: il bambino che gioca (proprio come chi si visualizza un
volto) pone se stesso in un conteso nuovo: è come se fosse uno
spadaccino o come se si trovasse dio fronte alla città che si rende
presente, visualizzandola
Forme calde – ego dirette
Visualizzazioni
Descrizioni
Forme dell’immaginazione
finzioni del
possibile
Far come se ludico
Finzioni narrative
assunzioni
È vero nel gioco
che ….
È vero
nell’universo del
racconto che ….
Forme obiettive
Forme fredde
La
prima
rilevante
caratteristica
dell’immaginazione: il suo creare una
scissione tra l’io reale che immagina e
l’io rispetto a cui l’immaginazione
diviene accessibile.
E. Mach,
Die Analyse der Empfindungen
und das Verhältnis des
Physischen zum Psychischen ,
Wien, 1886
Una seconda constatazione: l’immaginazione non
sembra rapportarsi al proprio contenuto,
asserendolo. Non dice che le cose stanno così, ma ci
pone di fronte ad un mondo senza affermare che
così stanno le cose. Una ipotesi molte volte
sostenuta: l’immaginazione come facoltà del
possibile.
Necessità di correggere questa tesi:
l’immaginazione non pone necessariamente
qualcosa come possibile.
Immaginazione in senso proprio
Atti che
danno
l’oggetto in se
stesso
percezione
Atti presentificanti
a.
Raffigurazioni
temporali
b.
Raffigurazioni
atemporali
Vere o false
Vere o false
Verificabili
Verificabili
Atti del possibile
ipotesi
controfattuali
Possibilità
aperte
Possibilità radicate in un
contesto di mondo
Atti che asseriscono l’esser così di qualcosa in un
tempo determinato (a) o indeterminato (b)
-----
Finzioni
narrazioni
Finzioni
ludiche
acontestuali
-----
Forme calde
non posizionale
mediate
immediate
posizionale
Forme fredde
Lo schema precedente mostra lo spazio che
l’immaginazione occupa, ma non fa luce sulla
differenza tra le forme contestuali e acontestuali.
Non tutte le forme dell’immaginazione si
riferiscano a possibilità di questo nostro mondo,
né tanto meno a mondi possibili. Un racconto
non narra una vicenda possibile di questo
mondo, né dice come stanno le cose in un
mondo possibile: i racconti sono appunto
narrazioni assolute e lo stesso vale per i giochi. È
necessario quindi articolare ulteriormente lo
spazio dell’immaginazione.
Immaginazione
contestuale
Alternative
al reale
Finzioni del
possibile
Immaginazione
assoluta
Fantasticherie
Finzioni
narrative
L’immaginazione e
il suo rapporto
con il mondo
Modificazioni
del reale
Immaginazione
tecnologica
Immaginosità
Finzione
ludica
Le forme dell’immaginazione assoluta e la loro specifica chiusura. Le forme
dell’immaginazione assoluta creano il loro oggetto e lo creano nella misura
stessa in cui lo immaginano così e così.
Che così stiano le cose si mostra nell’impossibilità che la storia sia diversa da
come è narrata. In questo l’immaginazione assoluta è ben diversa dagli atti
posizionali: se credo che le cose stiano così, non per questo posso escludere
che le cose stiano diversamente. Tutt’altro: credere che p sia vera significa
allo stesso tempo accettare che possa essere falsa, poiché la verificabilità di
una credenza implica nel suo stesso senso l’indipendenza dello stato di cose
che funge da giudice della credenza dal fatto del mio crederlo. Al contrario,
chi narra una storia non può in linea di principio sbagliarsi – può al massimo
raccontare una storia diversa da quello che ci aspettavamo. Proprio perché la
storia sorge nella narrazione, non ha senso chiedersi se la storia può essere
diversa da ciò che narriamo.
Una storia non può essere diversa da come la
raccontiamo e, in un certo senso, non può avere lacune:
non ha senso chiedersi che cosa sia accaduto dopo il
felice matrimonio e quali eventi siano accaduti durante
l’anno in cui Ulisse si è fermato da Circe – non ha senso,
perché l’Odissea non li narra, anche se naturalmente
potremmo raccontare una storia diversa in cui raccontare
queste ed altre cose.
In questo senso il narratore implicito di un racconto è
sempre onnisciente – anche se possono esservi narratori
interni che non sanno molte cose.
Una prima difficoltà: comprendiamo bene le ragioni che ci
spingono ad affermare che le forme dell’immaginazione assoluta
hanno una loro necessaria chiusura e tuttavia queste ragioni che
ci sembrano così forti e chiare si scontrano con una constatazione
ovvia: leggere un racconto, giocare e persino immergersi in una
fantasticheria vuol dire anche necessariamente spingersi qualche
passo più in là di ciò che esplicitamente si immagina. Le mosse di
un gioco creano ogni volta una realtà nuova intorno a sé, ma
questa realtà che cresce ad ogni nuova decisione ludica
appartiene comunque ad uno sfondo che la rende accettabile e
prevedibile. Ne segue che ogni immaginazione si dipana
all’interno di uno sfondo che è in qualche misura presupposto. Di
qui il problema cui alludevo: se ogni immaginazione implica uno
sfondo a che titolo parlare di chiusura dei processi immaginativi?
Una seconda difficoltà: qualche volta si può fare fatica a immaginare
qualcosa e ci si può imbattere in una serie di difficoltà – si parla allora
di resistenza immaginativa.
Anche in questo caso sembra che ci si imbatta in qualcosa di
inspiegabile, e ad essere chiamata in causa è ancora una volta la
chiusura dell’immaginazione. L’immaginazione è assoluta ed è quindi
separata dai presupposti di mondo su cui poggiano le nostre
credenze.
Chi legge l’Iliade deve accettare l’universo dei valori che la sorregge:
fa parte del nostro compito di lettori il non provare pietà per Tersite
che è percosso perché ha paura e non ha né la tempra né l’aspetto
dell’eroe. Ma allora, se le cose stanno così, perché può sorgere
qualcosa come la resistenza immaginativa?
Si tratta di due difficoltà che sono in realtà connesse l’una all’altra.
La prima ci costringe a tracciare una distinzione su cui ci siamo
soffermati a lungo: la distinzione tra testo e progetto immaginativo.
Ogni testo immaginativo presuppone un progetto immaginativo che
lo integri, ma il progetto immaginativo non è qualcosa che è
preesista al testo, ma è costruito come l’orizzonte dei presupposti de
testo.
Due forme possibili di integrazione: (a) l’integrazione coerente con
la prassi immaginativa e (b) l’integrazione a modificazione zero.
Un esempio: (a) se fingiamo che un ramo sia una spada, allora un
coperchio sarà uno scudo.
(b) Se il ramo è una spada, può ferire solo se tocca il nemico
Questa presenza di testo e progetto immaginativo può
costringerci talvolta a dibatterci in contraddizioni che ci rendono
difficile, se non impossibile l’immaginare – e questo ci riconduce
alla seconda questione.
Che cosa intendo dire è presto detto: perché un testo non sia
concretamente immaginabile è necessario che sia esplicitamente
contraddittorio. Talvolta, tuttavia, la contraddizione che non è
esplicita nel testo, si fa avanti perché sorge nel rapporto con il
progetto immaginativo. Di per sé il testo è coerente, ma la trama
dei presupposti fa sì che nell’immaginazione si insinui il pensiero
destinato a dissolverla.
E tuttavia il problema della resistenza immaginativa va in linea di
principio al di là del problema delle integrazioni discordanti tra testo
e progetto immaginativo.
Per rendersene conto è necessaria una riflessione ulteriore. Il
progetto immaginativo si costruisce come sfondo del testo, ma è
vera anche la reciproca: un testo immaginativo sorge a partire da
una molteplicità di idee dell’immaginazione – quelle idee che
convergono in un progetto immaginativo e che sostengono quel
nostro coerente immaginare che ci accompagna quando leggiamo un
racconto o siamo immersi nel gioco.
Immaginazione
contestuale
Alternative
al reale
Finzioni del
possibile
Immaginazione
assoluta
Fantasticherie
Finzioni
narrative
L’immaginazione e
il suo rapporto
con l’origine dal
mondo
Modificazioni
del reale
Immaginazione
tecnologica
immaginosità
Finzione
ludica
figuratività
immaginosità
Questo passaggio implica innanzitutto un mutamento
di senso complessivo: non ci limitiamo ad avere
esperienza di una figuratività, ma le attribuiamo
immaginativamente una presenza e una dimensione
attiva. Il rimando si traduce in una sorta di giudizio
dell’immaginazione.
Il sole nel cielo è come un occhio che manda i suoi
raggi sulla terra. Questa figuratività, tuttavia, può
essere presa alla lettera immaginativamente e nel mito
il sole può diventare lo sguardo cui non si può sfuggire.
Che cosa vuol dire attribuire ad una figuratività il carattere di un
giudizio immaginativo?
Il sole diventa l’occhio del cielo quando ci sentiamo guardati e
spiati e giudicati dal suo sguardo.
Prima conclusione: il sole diviene immaginativamente l’occhio
del cielo quando gli attribuiamo immaginativamente la capacità
di vedere, di guardare, di scrutare – quando cioè passiamo dalla
dimensione della mera figuratività (ci vediamo una sorta di
occhio) alla dimensione di una quasi realtà, quando ci sembra
possibile attribuire a quell’occhio nel cielo una serie di funzioni
e di attività che sono proprie di un autentico sguardo.
Mosaico di Cristo Pantocratore, Duomo di Cefalù, XII secolo
Seconda conclusione: la figuratività accede alla dimensione
immaginativa non soltanto quando la soggettività aderisce alla
scena immaginativa e si dispone nel mondo che essa dischiude
per lui.
Posso attribuire al Sole uno sguardo se mi sento scrutato dal suo
occhio o se sono certo che veda e giudichi quello che mi sta
intorno.
Perché la figuratività che è implicita nelle raffigurazioni del
Cristo pantocratore assuma il carattere di immagine il fedele
deve sentirsi scrutato da quello sguardo che cade dall’alto.
È necessario mettere sullo sfondo l’adesione e la partecipazione
al mondo reale per disporsi in un rapporto di adesione al mondo
immaginario.
Si tratta di due aspetti di uno stesso problema.
Il trapasso immaginativo avviene quando smetto di cogliere il
rimando figurativo come qualcosa che appare nel mio mondo
reale e gli attribuisco immaginativamente una presenza ed
un’efficacia sul terreno del mondo immaginativo.
Attribuire una presenza ed un’efficacia che si situa al di là del
rapporto reale con il mondo vuol dire tuttavia disporsi sul
terreno di un rapporto nuovo con ciò che finzionalmente si
manifesta: debbo disporre me in un contesto finzionale, in un
mondo immaginativo in cui il Sole è un occhio che guarda e
scruta – e questo mondo è il mondo che fa da controcanto al
mio ego immaginato.
Costruire un progetto immaginativo significa dunque orientarsi
in una mappa e prendere posizione in essa.
Non si tratta di una metafora: disporsi in un insieme di immagini
vuol dire anche prendere una certa posizione rispetto al mondo.
Le immagini si comprendono, ma non sempre si condividono.
Sulle immagini si può discutere e questo ci deve far pensare. Un
nesso figurativo c’è – anche se può essere più o meno
persuasivo. Un progetto immaginativo ci propone un certo modo
di pensare e di adattarci al mondo – un modo che potremmo
sentire più o meno consono al nostro
Immaginare vuol dire disporsi in un universo
immaginativo e possiamo fare fatica ad accettarlo –
possiamo trovarlo troppo diverso dal nostro.
Un testo immaginativo può così costituirsi solo a
partire da un progetto immaginativo che sia
relativamente coerente con le forme e i modi in cui si
costruiscono i progetti immaginativi di cui
disponiamo.
Immaginare in un certo modo vuol dire anche prendere
posizione nel mondo ed è per questo che talvolta non ce la
sentiamo di immaginare in un certo modo – non vogliamo
infatti condividere il terreno comune da cui l’immaginazione
sorge.
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