Didattica e carceri [2] da Benelli C., 2008, Promuovere la formazione in carcere, edizioni del Cerro «una vita umana, non è una vita fino a quando non è esaminata; […] fino a quando non è veramente ricordata e assimilata; e […] questo ricordo non è qualcosa di passivo, ma attivo, la costruzione attiva e creativa della vita di un individuo, la scoperta e la narrazione della vera vita di un individuo» [O. Sacks, Prefazione a Un mondo perduto e ritrovato di A.R. Lurija, Editori Riuniti, Roma, 1991] per migrare scrittura anche sul corpo e sui muri l’esplorazione del mondo interiore; per non essere dimenticati relazione educativa scrittura autobiografica, autori del proprio racconto; rimarginare se stessi laboratorio autobiografico democratizzazione; per farsi ascoltare come strumento di autoriflessione dimensione sociale snodi fondamentali autobiografia come mappa; molteplicità un esempio parlare e scrivere la scrittura per sopravvivere spazio da vivere; non oppositivo la scrittura come catarsi finalità del percorso per sostare e ripartire • Tra i bisogni fondamentali dell’uomo vi è la relazione e la competenza prima per un educatore è la relazione; essa si basa su: contatto, ascolto, attenzione; • la relazione educativa si sviluppa su queste tre linee che continuamente si intersecano; • la rel educ. rappresenta la base sulla quale sviluppare qualunque percorso teso al recupero. • La sua efficacia sta nella lettura e nella comprensione della risonanza tra due mondi che si influenzano; • comprendere l’altro significa entrare nel suo mondo interiore; • ma comprendere l’altro significa intervenire sul proprio mondo per essere in grado di comprendere emozioni, esperienze, stati affettivi affini; • è necessario che ci si renda disponibile ad una analisi interiore autocritica che possa permettere di riconoscere gli stati dell’altro e rifuggire da analisi che dipendano da propri stati, da visioni egocentriche del mondo; • l’educatore deve essere in grado di fare ciò. • “È pertanto attraverso la costruzione di una relazione educativa che sappia sempre tener conto della soggettività dell’altro, con tutte le sue implicazioni, che possiamo, anche in carcere, realizzare precorsi di formazione e autoformazione (attraverso pratiche narrative e autobiografiche).” pag. 166 La scrittura • “La scrittura è uno dei pochi strumenti che il detenuto ha a disposizione per migrare, per andare verso terre migliori, per respirare odori buoni, profumi familiari, legati a ricordi piacevoli della propria esistenza.” • Tutti i detenuti scrivono: – producono scritture autobiografiche a carattere • personale, • intimistico come poesie e diari, – scrivono per comunicare con i propri cari, – scritture a carattere burocratico. si scrive anche sui muri e sui propri corpi • Scrivono su carta, ma anche: – sui propri corpi: sono segnati momenti apicali di vita resi visibili attraverso l’incisione sulla pelle di tatuaggi; sono anche segni di autolesionismo; – sui muri: le pareti parlano, raccontano di sofferenze di chi ha vissuto quegli spazi. «Si sottovaluta spesso il valore aggressivo del gesto di scrittura: si bada ai suoi contenuti, più che all’azione fisica intrapresa, quando il muro-carta diventa la propria storia, che si vorrebbe riscrivere prima aggredendola, come a poterla mutare […]» [Demetrio D., Crepe sul muro. Primapersona. Carceri e carcerati] si scrive per esplorare il proprio mondo interiore Esplorazione del mondo interiore • Sembra proprio che la detenzione spinga a scrivere. Probabilmente la spinta è l’esplorazione del mondo interiore e avviene per il fatto che i detenuti si trovano costretti da una pausa forzata dal mondo esterno; • la comunicazione con l’esterno avviene prevalentemente attraverso la scrittura epistolare; una scrittura nomade che viaggia oltre le mura abitando spazi di libertà desiderate, ma dirigendosi verso un paesaggio interiore; • partendo da ‘queste esigenze’, si cerca di impostare trattamenti che usino la scrittura per fini educativiterapeutici. pag. 168 si scrive per farsi leggere, per esistere …... inoltre • succede a tutti noi di pensare che ciò che si scrive si vorrebbe fosse letto da qualcuno; • probabilmente per l’angoscia di essere dimenticato, di non lasciare traccia nel mondo; • in particolare questa evidenza viene rintracciata negli scritti dei detenuti: il soggetto assicura, attraverso lo scritto, la sua presenza al mondo e a se stesso (annota se stesso attraverso le proprie percezioni, le emozioni, i gesti che compie, e il quadro spazio-temporale in cui si trova). scrittura autobiografica, riconoscimento propria soggettività …... scrittura autobiografica • Questa si offre come uno degli scenari più interessanti della ricerca e della prassi educativa (anche in carcere). • Dietro ogni scrittura autobiografica c’è un soggetto con nome proprio, che diventa l’autore, il narratore, il personaggio; • L’individuo narra se stesso e così facendo si riconosce nelle sue competenze e capacità e può così valorizzarsi. • Ciò rende possibile attribuire un senso alla propria vicenda umana e professionale, senso dal quale ripartire per una rinnovata progettazione di sé. scrivere di sé, democratizzazione …... Il detenuto sulla scena del proprio racconto • Il narratore di sé diviene protagonista della sua storia; il racconto diviene la scena sulla quale recita, della quale è regista e protagonista; • è importante riappropriarsi di sé in uno spazio che tende a togliere e spersonalizzare dove il detenuto vive in una istituzione totale che tende ad annullarlo partendo dallo spazio fisico, fino ad arrivare a quello psicologico, esistenziale; • il detenuto, sulla scena del proprio racconto, riprende contatto con se stesso e così con il mondo. con il racconto il detenuto rimargina se stesso…... rimargina se stessi • con il racconto (orale o scritto) il detenuto rimargina se stesso, colma gli squarci che ha dentro di sé; • acquisisce un metodo per dare un pieno al vuoto, stratifica la propria esperienza in modi dinamici; • questa costruzione di senso non è data una volta per tutte, ma è un divenire, è un processo che scorge continuamente nuovi scorci della propria vita; • il sé diventa un ‘lavori in corso’; così è la vita. autobiografia come mappa…... Democratizzazione della scrittura • Lo scrivere di sé rappresenta il rimettere al centro la propria soggettività; • permette l’avvio di una democratizzazione della scrittura di sé (dal basso); – la storia del detenuto è sempre raccontata attraverso le parole dello psicologo, dell’educatore, dell’avvocato, ..; invece – con una scrittura autobiografica, il detenuto reclama e si riappropria della propria presenza nel mondo. per farsi ascoltare…... per farsi ascoltare • “Molti detenuti, nella loro vita, non hanno avuto un reale diritto di parola, non hanno mai potuto esprimere veramente se stessi, i propri stati d’animo, le proprie rabbie, le proprie emozioni e riflessioni. Avere qualcuno che ascolta, con rispetto e senza giudizio, può diventare quella boccata d’aria che fa respirare profumo di nuovo, innesca fiducia e apre pertanto spazi di educabilità e per una relazione educativa. Dare voce a chi, per vari motivi, non ha normalmente titolo di esprimersi, schiude inedite occasioni a soggetti destinati al silenzio: è un contributo alla loro vita e al mondo, che si arricchisce così di nuove parole.” mappa…... autobiografia come mappa • l’autobiografia come mappa per ritrovarsi; • è una costruzione per raffinamenti o per aggiunte successive di nodi; • nasce schematica poi, rianalizzando noi stessi, particolareggiamo quelli già esistenti o troviamo altri nodi; • la costruzione è mai definitiva; • la nostra esperienza in una mappa ci rende più tranquilli (anche se mai è definitiva); • il lavoro su noi stessi, nel e per raccontarci, ci fa creare nuovi nodi, ci fa risistemare la mappa ma può farcela percorrere in modi diversi: l’orientamento non è mai definitivo; • in definitiva – “Il detenuto, ripercorrendo le tappe della propria esistenza, racconta il senso assegnato agli eventi passati o presenti tracciando un disegno nel quale il significato può diventare visibile” – comunque, non è definitivamente visibile allo stesso modo. • Nella recita del proprio raccontarsi il narratore assume diversi ruoli in diverse scene; ciascuna ha una propria trama e rivela un proprio mondo; • questa molteplicità vive in ciascuno e il riconoscere che esiste e riconoscere che possono o non possono esistere delle connessioni fra le diverse rappresentazioni, significa assumere la capacità di dare senso; • “non si tratta di perseguire il mito dell’integrazione e della coerenza, bensì di accettare ed accogliere la molteplicità del tessuto identitario”. “l’autobiografia diviene una mappa per ritrovarsi: in essa scopriamo una rappresentazione grafica iniziale ma poi, rivisitandola, rintracciamo nuove strade, nuove vie, così che l’orientamento non è statico ma flessibile e dinamico. I racconti che si intrecciano nel formare una vita hanno il potere di far sentire più al sicuro, per non sentirsi sperduti; così una mappa orientatrice diviene strumento necessario in un luogo dove è fin troppo facile perdere le proprie coordinate, non solo spaziotemporali. Il detenuto, ripercorrendo le tappe della propria esistenza, racconta il senso assegnato agli eventi passati o presenti tracciando un disegno nel quale il significato può diventare visibile.” la scrittura per sopravvivevere…... la scrittura fa sopravvivere • “la scrittura di sé, in particolare all’interno del carcere, acquista un valore di sopravvivenza: possiamo dire che essa manifesta, attraverso il rivivere, la voglia di vivere ancora”; • l’autobiografia tiene insieme la personalità del soggetto in un luogo che tende a frantumarla, a destrutturarla, a ‘svuotarla’ in una vita quotidiana priva di agganci con la vita, vuota di significati; questo vuoto si impossessa della persona, si distribuisce nell’arco della vita vissuta. • ciascuno può divenire tutor di se stesso attraverso una operazione che, piano piano, fa emergere la parte costruita in precedenza (si ricostruisce) e permette di aggiungerci del nuovo e, dando valore alle attuali esperienze, e dando una forma alla prospettiva di fine pena. • “lo spazio chiuso del carcere può farsi, se ben utilizzato, un momento in cui scoprire e aprire stati d’animo ed emozioni sepolte da tempo”. la scrittura come catarsi • “l’autobiografia [diviene strumento per prendersi cura di se stessi] distogliendo l’attenzione dall’urgenza dei problemi quotidiani1[…]; permette quasi una catarsi, una riparazione, oltre a offrire uno sguardo più consapevole sulla realtà”. 1. In carcere il problema quotidiano è spesso ‘l’assenza di problemi quotidiani’ • “Grazie alla presa di coscienza della propria vita, dei propri pregi e limiti, lo scrittore autobiografico è stimolato a intraprendere un cammino di crescita, a partire dalla propria storia”. Sostare e ripartire • Lo stop della vita normale, cioè il periodo di carcerazione, può essere utilizzato per ricostruire una propria identità e vedere un fine pena migliore, forse anche programmare un (dopo) fine pena; • Il vuoto quotidiano, l’inquietudine, il senso di fallimento, in definitiva il disagio può rappresentare lo stimolo per una rifondazione; • “il disagio non è oggettivo, è prima di tutto un vissuto soggettivo per cui l’unica cura possibile è la cura di sé, intesa come ascolto del dolore, dell’angoscia, di bisogni e di desideri, diventando di conseguenza momenti di comprensione attiva, riflessione, bilancio, responsabilizzazione e bilancio di vita.” Sostare e ripartire • Il sostare in carcere, vissuto insieme ad una pratica autobiografica che parte dal e riflette sul proprio disagio, diventa un sostare pensando; è una pausa (forzata) nella quale l’individuo, nel suo gruppo (compagni, educatore, ..), recupera se stesso e (forse) anche il gusto per la vita e con la consapevolezza di se stesso può vedere un dopo (fuori) con maggiore speranza. Laboratorio autobiografico • Laboratorio di narrazione e scrittura autobiografica come strumento di autoriflessione nei contesti di detenzione; *. 15, 20 persone • L’operazione di dare senso (dinamica, diversa in base a quali attraversamenti e riattraversamenti si realizzano) ai nodi della propria esistenza è una operazione che permette di proiettarsi (attraverso la nuova dimensione, di se stessi, acquisita) verso una nuova vita nella quale vedere in modo diverso i fatti, le persone, le situazioni, … «una vita umana, non è una vita fino a quando non è esaminata; […] fino a quando non è veramente ricordata e assimilata; e […] questo ricordo non è qualcosa di passivo, ma attivo, la costruzione attiva e creativa della vita di un individuo, la scoperta e la narrazione della vera vita di un individuo» » [O. Sacks, Prefazione a Un mondo perduto e ritrovato di A.R. Lurija, Editori Riuniti, Roma, 1991] Dimensione sociale …. • In un laboratorio autobiografico il racconto si esplicita in oralità e scrittura e incontra – la dimensione sociale: costruire insieme qualcosa in un gruppo di partecipanti in modo che il lavoro possa essere condiviso, scambiato e i ricordi e le rievocazioni di uno possano servire da stimolo per altri. • Il lavoro nel gruppo tende a far emergere: – parti di sé dimenticate, – memorie belle e meno belle, • che permettono un rispecchiarsi l’un l’altro, un conoscere se stessi e gli altri in modo diverso e quindi • una rete di relazioni diversa fra sé e gli altri; inoltre • nel laboratorio non esiste (non deve esistere) un atteggiamento giudicante e quindi • ciascuno può raccontare liberamente le proprie esperienze e • riconoscersi in quelle di altri rassicura e rafforza coloro che hanno paura dei propri sentimenti; Parlare e scrivere • Il parlare, sapendo che si è ascoltati e non giudicati, rende liberi di pensare, di produrre idee, rielaborarle, riprenderle e collegarle in modi diversi alle altre; – si compone uno spesso tessuto dentro il quale si naviga piacevolmente e – si accresce la stima di sé; • tuttavia il solo parlare rischia di disperdere la bellezza, l’originalità, la fertilità, la profondità delle idee e pensieri se non li si ferma con la scrittura. • È la scrittura che impone riflessione dettata dal dover scrivere, lo scrivere di per sé è una operazione lenta rispetto al parlare; oltre al dover vergare le parole esiste il tempo di riflessione per la costruzione della frase; mentre si scrive si è proiettati verso il mondo della frase dentro al mondo del paragrafo, dentro al mondo del capitolo; • c’è lo sforzo interiore di trasformare il nostro pensiero in una serie di parole che esprimano il nostro senso. • Nel contesto di un laboratorio, il dover comunicare con altri impone una accuratezza maggiore, una riflessione più riflessiva, ….; • nel parlare, il senso di una frase può sfuggire; spesso si può essere anche vaghi quando si è in difficoltà, a volte non si riesce a spiegare bene; il parlare ha degli standard, della scappatoie. • Lo scrivere significa riversare il vero pensiero su carta; lo scrivere è un nostro timbro, lo scrivere ci differenzia, lo scrivere fa capire chi siamo ‘in modo indelebile’; non esiste il ‘volevo dire’; • il parlato si dimentica, lo scritto resta; • il parlare ci rende più anonimi, lo scrivere ci differenzia. Spazio da vivere ….. Spazio da vivere • Il laboratorio è una spazio da vivere, non è uno spazio costretto; • è uno spazio: – allestito con opportuni dispositivi per facilitare il raccontare , lo scrivere, le relazioni; – nel quale produrre, nel quale si lasciano segni del passaggio; • il soggetto ha libertà di azione, di movimento. • se spesso “in carcere le modalità di relazione sono di tipo oppositivo (far guerra a tutto e a tutti) oppure impermeabile (farsi scivolare le cose di dosso), nello spazio autobiografico la relazione acquista significato e diventa cura; una sorta di terza via e nuova modalità di sopravvivere e vivere il carcere, una strada che non richiede né l’essere agguerriti né mostrarsi impermeabili, ma presenti, più autentici e comunicativi”. Finalità del percorso • È quella di ricostruire la propria vita passata attraverso nuovi riattraversamenti, nuovi sguardi, per dare un senso e/o un senso nuovo, attraverso: – creazione di uno spazio di riflessione, – rafforzamento dell’identità e dell’autostima, – cura di sé, – cura dell’intelligenza e delle capacità di pensare, – riprogettarsi oltre le sbarre. In definitiva • Il laboratorio autobiografico rappresenta un momento formativo/trasformativo che, partendo dalla considerazione che il detenuto non è il reato, lo identifica come persona in cammino verso una nuova prospettiva di fine pena. Snodi fondamentali[1] Alcuni snodi fondamentali: 1. l’inizio: tempo utilizzato per creare un clima di fiducia, la percezione di uno spazio di benessere, una relazione positiva con se stessi, con gli altri del gruppo e con chi conduce; 2. il riconoscimento della persona: il detenuto non è il reato, non è il deviante, il tossicodipendente, il …, ma una persona con la sua storia; 3. il rispetto e l’attenzione: essenziali nei confronti della storia di vita dei soggetti; occorre stabilire fin da subito un patto formativo centrato sul non giudizio, sul rispetto, sulla cura dei racconti e delle scritture; inoltre il detenuto deve sentirsi riconosciuto: quindi sono importanti l’ascolto e l’attenzione; l’educatore deve fidelizzare il detenuto, deve fargli capire che lo ha ascoltato evidenziando, durante momenti di discussione, passi della sua storia; il detenuto deve capire che è stato pensato, che quello che ha raccontato è stato preso in considerazione; Benelli C., Promuovere formazione in carcere Snodi fondamentali[2] 4. 5. 6. Il ritmo: non fornire troppi momenti di analisi autobiografici; nei momenti del racconto, occorre cogliere degli input in numero adeguato, in modo tale che il detenuto possa tornarci a riflettere e a scrivere; il ritmo deve essere lento; non occorre inseguire un programma; la progettualità: dopo il fine pena? È importante razionalizzare il dopo, ancorarlo al passato, alla vita vissuta, alle fondamenta private e sociali dell’individuo per evitare improprie collocazioni; partire dagli spazi di benessere: il carcere e anche la vita usata per annientarsi appiattiscono nel nulla della vita quotidiana anche pezzi e spazi di vita piacevole del passato. Sono segmenti legati a luoghi idilliaci dell’infanzia (monti, campagna, mare) o ad affetti: genitori, nonni. Occorre ripartire da lì per poter impostare un percorso autobiografico; il detenuto deve riconoscersi in quello che era prima della deviazione, deve rintracciare i momenti nei quali si è sentito persona e da lì ripartire; Snodi fondamentali[] • E dopo? una volta terminato il percorso autobiografico, a volte, si presenta l’esigenza di continuare il percorso; alcuni detenuti chiedono di approfondire: seguitare a lavorare su di sé con la scrittura autobiografica; si può attivare un percorso individuale di colloquio epistolare per approfondire tematiche emerse durante il laboratorio. Esperienza Titolo: puzzle di vita. La costruzione di sé tra passato, presente, futuro Luogo: istituto penitenziario ….. operatori interni esterni ……………. ……… Tempi: 15 incontri di 2 ore ciascuno, nell’anno … a partire da ….., incontri settimanali Per quale motivo: Trasformare il periodo di stasi in carcere in opportunità per ripercorrere la propria storia; ri-pensandosi, ri-scoprendosi, per riprogettarsi. Offrire uno spazio di riflessione sul periodo della carcerazione per capire il senso che ha avuto per il soggetto e per individuare cambiamenti, prospettive e possibilità future. Il laboratorio è anche occasione di conoscenza reciproca, scambio, confronto e condivisione con gli altri sui vissuti individuali Metodi e strumenti Metodi: Narrazione orale e scritta integrata con altre proposte espressive (acquarelli, collage, pittura, musica). Strumenti: diari, memorie e scritture private, poesie di grandi autori per sollecitare ricordi e narrazione; storie e testimonianze scritte di detenuti. È prevista la realizzazione di un documento finale come ‘restituzione’ del laboratorio. da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato esperienza Fase I° I° incontro II° incontro III° incontro IV° incontro V° incontro Conoscenza Distribuzione della scheda di presentazione del laboratorio (motivazioni, finalità, obiettivi). Esercitazione autobiografica di presentazione. Esercitazione autobiografica di presentazione. Riflessione sulle dinamiche di inclusione ed esclusione in carcere: ‹‹Come sopravvivere in carcere››. Scrittura rievocativa: ‹‹Mi ricordo quella volta …››. Letture e condivisione delle scritture sui diari Letture e condivisione delle scritture sui diari Letture e condivisione delle scritture sui diari Dichiarazione delle proprie motivazioni. Definizione del patto formativo Strumenti Diario per scrivere riflessioni post laboratorio da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato esperienza Fase II° VI° incontro VII° incontro VIII° incontro IX° incontro Inizia l’autobiografia Laboratorio su pensieri e parole; i partecipanti produco delle immagini di sé (‹‹Io sono … ….. ……››). Rivisitazione delle storie raccontate. Ricordi di storie di famiglia; i sensi e le emozioni che hanno attraversato le fasi della propria vita. Scrittura dei talenti personali e degli eventi familiari; percorsi di costruzione personale (‹‹ Come mi sono costruito e cosa ho ereditato dalla famiglia››). Strumenti Indirizzare verso storie di famiglia. Diario per scrivere riflessioni post laboratorio; Brani di canzoni, immagini, articoli di giornali; attrezzatura multimediale per realizzare collage digitali da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato esperienza Fase III° X° incontro XI° incontro XII° incontro Autobiografia (ci si orienta maggiormente sulla scrittura) Esercitazione autobiografica sulla storia di formazione; cosa e chi ha contribuito alla propria crescita: i maestri di vita. Rivisitazione delle storie di formazione. Esercitazione autobiografica sulle tappe e svolte della propria vita. Strumenti Testi di testimonianze di detenuti e di gente comune da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato esperienza Fase IV° XIII° incontro XIV° incontro XV° incontro Interviste individuali e riflessione retrospettiva del Laboratorio. Analisi di gruppo e valutazione finale per una rilevazione dei guadagni del percorso autobiografico. Interviste finali di fine corso. Costruzione della valutazione finale e restituzione degli elaborati ai partecipanti. Strumenti Strumenti per costruire la relazione finale da: Benelli C., Promuovere formazione in carcere, modificato Interviste ai detenuti Interviste ai detenuti Interviste ai detenuti “A un certo punto, nelle Confessioni, Agostino si pone una domanda semplice e cruciale: ‹‹Perché mi confesso a Dio, che sa tutto?›› In effetti, confessarsi a un onnisciente è una attività un po’ bizzarra, eppure lui lo sta facendo da un bel po’. Perché? Agostino ha una risposta potente e vera: si confessa per fare la verità non solo nel suo cuore, ma anche con la penna, e di fronte a molti testimoni. Come se la verità - nella fattispecie, della vita e dei sentimenti – non esistesse se non viene esposta e scritta, messa in piazza […] . In effetti è proprio così: quante volte ci chiariamo con noi stessi mettendo per iscritto il nostro stato d’animo, o almeno parlandone con altri. […] le scritture proliferano […] e rivestono una funzione di confessionale pubblico, spesso involontario e inconsapevole. […] gli scriventi pensano semplicemente di comunicare e di stabilire un rapporto sociale più o meno esteso; e invece si confessano – e sono confessioni parossistiche, se si considera che sono dette cose estremamente private. […] La verità […] non esiste se non registrata, espressa e trasmessa. Scrivendo la manifestiamo e costruiamo, e insieme costruiamo noi stessi” [Ferraris M., 2011, Anima e iPad]