Albert Schweitzer
(1875-1965).
Medico, filosofo,
musicista e teologo
protestante.
Nel 1953 ha
ricevuto il Premio
Nobel per la pace
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Albert Schweitzer non fu semplicemente una vita illustre che il mondo ebbe la
fortuna di avere e di conoscere per ciò che era. Fu una mente libera e protesa
verso il prossimo che abbandonò un futuro certo e prestigioso in patria per
convogliare tutto se stesso nelle zone dimenticate. Fu un filosofo che lasciò ai
posteri un pensiero intelligibile e fiducioso. Fu un musicista che fece della
musica un veicolo in grado di curare le malattie dell’anima, insieme con la
scienza che lui stesso aveva studiato e messo in pratica per salvare vite e
curare malattie tropicali. Fu soprattutto un semplice uomo la cui vita –
sicuramente illustre nel senso enciclopedico del termine – va forse
interpretata come un messaggio di ispirazione per cui si possono fare cose
grandi mettendo a disposizione ciò che si ha avuto la fortuna e la capacità di
imparare non solo per se stessi.
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Albert Schweitzer nacque nel 1875 nell’Alta Alsazia (all'epoca
faceva parte della Germania).
Studiò in città, prima a Mulhouse e poi a Strasburgo dove si
laureò in teologia e in filosofia. Poi volle laurearsi anche in
medicina per conoscere l’uomo e il mistero della vita dal punto di
vista tangibile. Il suo scopo era di recarsi ad esercitare la
professione di medico in Africa per curare la parte più povera e
disagiata della popolazione umana. Aveva già dato un contributo
sostanziale agli studi su Bach, sulla filosofia e sulla teologia e le
sue idee circolavano nel mondo pensante come massime, ma
all’età di trent’anni decise di recarsi nella giungla del Gabon dove
si diede all’assistenza medica sopra ogni cosa. In Africa fondò un
ospedale di capanne e baracche dove c’era un vecchio pianoforte
che lui stesso suonava.
Imbarcatosi a Bordeaux sul piroscafo Europa, approda, il 16 aprile
1913, a Port Gentil e, attraversando l‘Ogooué, giunge sulla
collina di Andende, sede della missione evangelica parigina di
Lambaréné, dove accolto dagli indigeni appronta alla meglio il suo
ambulatorio ricavato da un vecchio pollaio, con una rudimentale
ma efficace camera operatoria, cui venne attribuito il suo stesso
nome: Ospedale Schweitzer. Ad accompagnarlo in questa sua
avventura è una giovane donna, di origine ebrea, che di
Schweitzer sarebbe diventata la moglie e la compagna di vita:
Hélène Bresslau, conosciuta nel 1901 a una festa di nozze. Albert
e Hélène si sposarono nel 1912, dopo che Hélène ebbe ottenuto il
diploma di infermiera, conseguito per realizzare il sogno comune
con il marito.
Cominciano ben presto ad arrivare ogni giorno almeno una
quarantina di pazienti. Albert ed Helene si trovano di fronte
malattie di ogni genere legate alla malnutrizione, così come alla
mancanza di cure e medicinali: elefantiasi, malaria, dissenteria,
tubercolosi, tumori, malattia del sonno, malattie mentali, lebbra.
Per i lebbrosi, molto più tardi, nel 1953, coi proventi del Nobel per
la pace, costruirà il Village Lumière.
Le tre attività che amava e che conosceva in profondità – musica,
medicina e teologia – si fusero nella sua vita come un’unica
superiore scienza in grado di aiutare i più deboli e la sua filosofia
si costruì con il tempo per poi fluire in una vera e propria scuola di
pensiero che difendeva gli oppressi e gli animali.
• Nel 1904, dopo aver letto un bollettino della Società missionaria di
Parigi che lamentava la mancanza di personale specializzato per svolgere il
lavoro di una missione in Gabon, zona settentrionale dell'allora Congo,
Albert sentì che era giunto il momento di dare il proprio contributo e, un
anno dopo, all'età di trent'anni, si iscrisse a Medicina, ottenendo nel 1911
(a trentotto anni) la sua seconda laurea, in medicina con specializzazione
in malattie tropicali.
• Egli, che sin da piccolo aveva mostrato una spiccata sensibilità nei
confronti di ogni forma vivente, sentì come irresistibile il richiamovocazione a spendere la sua vita a servizio dell'umanità più debole. Non fu
tuttavia facile, per l'organista e insegnante Schweitzer rinunciare a quella
che era stata la sua vita fino a quel momento: la musica e gli studi filosofici
e teologici. Schweitzer sapeva però di dover realizzare quanto si era
prefissato da vari anni. Scrive nel suo Aus meinem Leben und Denken ("La
mia vita e il mio pensiero"):
• «Il progetto che stavo per mettere in atto lo portavo in me già
da lungo tempo. La sua origine rimontava ai miei anni di
studentato. Mi riusciva incomprensibile che io potessi vivere
una vita fortunata, mentre vedevo intorno a me così tanti
uomini afflitti da ansie e dolori [...]
• Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una
cosa ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio [...]
• Quando mi annunciai come studente al professor Fehling,
allora decano della Facoltà di Medicina, egli avrebbe preferito
spedirmi dai suoi colleghi di psichiatria.»
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Schweitzer aveva le idee chiare anche sulla sua destinazione una volta
ottenuta la laurea in medicina: Lambaréné, una città del Gabon occidentale in
quella che era allora una provincia dell‘ Africa Equatoriale Francese. In una
lettera scritta al direttore della Società missionaria di Parigi, Alfred Boegner –
di cui l'anno prima aveva letto un articolo sulla drammatica situazione delle
popolazioni africane afflitte da lebbra e malattia del sonno, bisognose di
un'assistenza medica – Schweitzer spiegò la sua scelta: «Qui molti mi possono
sostituire anche meglio, laggiù gli uomini mancano. Non posso più aprire i
giornali missionari senza essere preso da rimorsi. Questa sera ho pensato
ancora a lungo, mi sono esaminato sino al profondo del cuore e affermo che la
mia decisione è irrevocabile». I missionari furono inizialmente scettici
sull'interesse dimostrato dal noto organista per l‘Africa. La risposta di
Schweitzer fu quella di impegnarsi a raccogliere fondi per conto proprio,
mobilitando amici e conoscenti e tenendo concerti e conferenze per realizzare
il sogno di costruire un ospedale in Africa.
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Nei pochi momenti liberi che aveva,
lavorando fino a tarda ora, si dedicava
alla lettura e allo scrivere, ma anche
questi avevano come scopo finale il
mantenimento del suo ospedale a
Lambaréné.
Schweitzer non volle più ritornare a
vivere nella sua terra natale, preferendo
morire nella foresta vergine vicino alla
gente a cui aveva dedicato tutto se
stesso. Ed il 4 settembre 1965 morì,
ormai novantenne, poco dopo sua
moglie, nel suo amato villaggio africano
di Lambaréné, e lì fu sepolto.
Migliaia di canoe attraversarono il fiume
per portare l'ultimo saluto al loro
benefattore, che sarà seppellito presso
l'ansa del fiume.
I giornali occidentali ne annunciarono la
morte: «Schweitzer, uno dei più grandi
figli della Terra, si è spento nella
foresta.»
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Il posto di Schweitzer sarà preso dal successore da lui designato, Walter Munz, un
medico svizzero che a soli ventinove anni, nel 1962, aveva abbandonato una vita
tranquilla e agiata in Europa per dare una mano a Lambaréné.
Dagli indigeni con cui visse fu denominato «Oganga» Schweitzer, lo «Stregone
Bianco Schweitzer»
• «Vedere un simile paradiso e allo stesso
tempo una miseria così spietata e senza
speranza era opprimente... ma costituiva un
simbolo della condizione africana.»
• «Ognuno dei miei lettori pensi a quale
sarebbe stata la storia della sua famiglia negli
ultimi dieci anni se avesse dovuto passarli
senza assistenza medica e chirurgica di alcun
genere. È tempo che ci risvegliamo dal torpore
e affrontiamo le nostre responsabilità.»
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«Vale la pena di lavorare qui solo per vedere come gioiscono coloro che sono
cosparsi di piaghe quando vengono avvolti da bende pulite e non devono più
trascinare e loro poveri piedi insanguinati nel fango. Quanto sarei contento se tutti
i miei finanziatori potessero vedere i giorni della medicazione delle piaghe, i
pazienti appena bendati camminare o venire trasportati giù dalla collina! Quanto
mi piacerebbe che avessero visto i gesti eloquenti con cui una vecchia donna
ammalata di cuore descriveva come, grazie alle cure, potesse ancora respirare e
dormire.»
«È inconcepibile che noi popoli civili usiamo solo a nostro vantaggio i numerosi
metodi di lotta contro le malattie, il dolore e la morte che la scienza ci ha
procurato. Se in noi esiste un pensiero etico, come possiamo rifiutarci di
permettere che queste nuove scoperte vadano a beneficio di coloro i quali sono
esposti a mali fisici peggiori dei nostri?»
• « Riflettere
sull'etica
dell'amore per
tutte le creature in
tutti i suoi
dettagli: questo è
il difficile compito
assegnato al
tempo in cui
viviamo ».
• In 1947 Life magazine
called Albert Schweitzer,
“the greatest man in the
world.”
• Two years later TIME
magazine wrote that he
was “one of the most
extraordinary men of
modern times.”
• TIME added, Albert
Schweitzer was “one of
the world's great
humanitarians,” and he
leaves “a life of
achievement behind him
which few contemporary
men can equal.”
• Albert Einstein (1879-1955) wrote
of him, “nowhere have I ever
found such an ideal union of
goodness and passion for beauty
as in Albert Schweitzer.”
• Einstein added, “He is the only
Westerner who has had a moral
effect on his generation
comparable to Gandhi. As in the
case of Gandhi, the extent of this
effect is overwhelmingly due to
the example he gave by his own
life's work.”
• Albert Schweitzer was a complex, astonishing, and
multifaceted man. Indeed, he was a true polymath.
He was a provocative theologian and New Testament
scholar; a gifted organist, musicologist, and a Bach
scholar; a philosopher; a tireless peace activist, a
humanitarian; and above all, a missionary-physician
who served for more than fifty years in the African
jungle.
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Albert Schweitzer (1875-1965). Medico, filosofo, musicista e teologo