A silvia Giacomo Leopardi Parafrasi by Mattia Bisello Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno, al tuo perpetuo canto, allor che all’opre femminili intenta sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi. Silvia, ricordi ancora quel periodo della tua vita terrena, quando la tua bellezza splendeva nei tuoi occhi felici e furtivi e tu, felice e pensosa, ti avvicinavi all’età della giovinezza? Le stanze silenziose e le vie intorno risuonavano del tuo canto ininterrotto e spontaneo, quando eri seduta intenta a svolgere i tuoi lavori femminili molto felice Pensando e facendo progetti per il futuro Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il giorno. Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte , Era un maggio profumato di primavera: e tu trascorrevi così le tue giornate. Io abbandonavo a volte le mie passioni e i libri in cui studiavo, Dove impiegavo il mio tempo e di me si spendea la miglior e la miglior parte di me e parte, della mia vita d’in su i veroni del paterno dai balconi della casa ostello paterna porgea gli orecchi al suon ascoltavo il suono della tua della tua voce, voce, ed alla man veloce e quello della mano che che percorrea la faticosa scorreva veloce sulla tela. tela. ove il tempo mio primo Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno. Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi? ammiravo il cielo sereno, le strade soleggiate e gli orti, il mar che all’orizzonte e le montagne. Non ci sono parole per esprimere quello che io sentivo nel mio cuore. Quanti pensieri dolci, quante speranze, quanti sentimenti, o Silvia mia! Quanto felice ci sembrava allora la vita umana e il suo destino! Quando mi ricordo quanta speranza avevamo Mi si stringe il cuore in modo acerbo e inconsolabile, e torno a soffrire per la mia sorte sventurata. O natura, o natura, perché non ci dai “da grandi” ciò che prometti durante la giovinezza? Perché inganni così i tuoi figli? Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta, perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi; non ti molceva il core la dolce lode or delle negre chiome, or degli sguardi innamorati e schivi; né teco le compagne ai dì festivi ragionavan d’amore. Tu, prima che l’inverno inaridisse i campi, tormentata e sconfitta da un male incurabile, morivi giovanissima. E non potevi così vedere i migliori anni tuoi; Non ti rendevano più felice la lode dei tuoi capelli scuri o gli sguardi innamorati e imbarazzati; né se con te le compagne dei giorni di festa Parlavate d’amore Anche peria fra poco la speranza mia dolce: agli anni miei anche negaro i fati la giovanezza. Ahi come, come passata sei, cara compagna dell’età mia nova, mia lacrimata speme! In modo simile moriva poco a poco la mia dolce speranza: il destino ha negato anche a me la giovinezza. In che modo sei morta, cara compagna della mia gioventù, mia speranza fonte di lacrime, Questo è quel mondo? Questi i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero tu, misera, cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano. È questo il mondo che avevamo sperato? Questi i piaceri, l’amore, le opere, gli eventi di cui tanto discutevamo insieme? Questa è la sorte dell’umanità? Alla fine la verità è che tu, misera, sei caduta: e con la tua mano indicavi da lontano la morte fredda e la tomba nuda.