L’ALLEGORIA DELLE Λιται E L’ABILITÀ ORATORIA DI FENICE Siamo nel libro IX dell’Iliade dove, dal verso 432 al verso 552, Omero presenta la scena del dialogo tra Fenice e Achille. Il valoroso guerriero aveva deciso di abbandonare le armi a causa dell’ira per l’offesa subita. Lo scopo di Fenice è quello di convincere Achille a tornare a combattere nonostante l’astio verso Agamennone. Fenice non era il primo ambasciatore che cercava di persuadere Achille, poiché Agamennone aveva già inviato altri soldati, creando così una sorta di climax ascendente: dall’ambasciatore meno legato ad Achille a quello a lui più vicino, ossia Fenice. Achille Achille, potente semidio nato dal re Peleo e dalla titanide Teti, rappresenta perfettamente l’idea dell’ eroe nell’antica Grecia. Egli è infatti bello e valoroso in battaglia (καλος και αγαθος), temuto da tutti i soldati, sia troiani che greci. Risulta inoltre evidente che egli rappresenta la punta di diamante degli opliti Achei, poiché nel momento in cui abbandona il campo di battaglia, questi vengono sopraffatti dai Teucri. Achille… tra i Troiani Questo valoroso eroe viene tuttavia percepito dai due schieramenti in maniera diversa. Egli, infatti, viene quasi divinizzato dai Troiani, che lo considerano « semplicemente» un guerriero formidabile ed invincibile, che non prova ελεος ( come evidenziato in moltissimi passi dell’ Iliade, quando, tornato a combattere, non si ferma neanche davanti alle λιταί dei soldati che sconfigge ), atarassico e che punta solo al κλεος. Per questo la percezione che essi hanno di questo personaggio è distante, come se Achille non potesse essere affatto ritenuto un umano. Achille…tra gli Achei Sebbene apparentemente i Greci abbiano la possibilità di conoscere più a fondo l’animo dell’eroe, in realtà solo pochissimi tra loro hanno accesso al suo cuore. Gli altri infatti lo vedono semplicemente come la forza del loro esercito, mentre Patroclo e Fenice, che lo conoscono da quando era bambino, sanno dell’esistenza di un suo lato sensibile nascosto sotto l’armatura. Achille è in realtà capace di commuoversi come chiunque altro e Fenice, cosciente di questa sua debolezza celata, utilizza tutta la sua abilità retorica per realizzare una captatio benevolentiae in grado di suscitare il suo παθος. IL DISCORSO DI FENICE Il primo aspetto che la captatio benevolentiae sottolinea è l’intenzione supplice di Fenice, non cogente. Il suo λογος è quindi una preghiera (ευχη). Già con i gesti, tenta di commuovere Achille, piangendo per il triste destino a cui andranno incontro gli Achei. I parte – l’invocazione L’invocazione consiste principalmente nell’apostrofe «oh Achille glorioso », in cui già nell’epiteto è insito il motivo della preghiera di Fenice. A livello tematico viene esaltata la mancanza di ελεος di Achille: II parte – l’argomentazione Dopodiché Fenice, nei versi successivi, fa riferimento all’ira di Achille: Nella preghiera troviamo una sorta di εμπορικη τεχνη (dare avere) : infatti Fenice prima di avanzare le sue richieste ad Achille gli ricorda tutto quello che gli ha donato. Troviamo questo aspetto della preghiera soprattutto nelle suppliche rivolte agli dei, nelle quali l’orante ricorda alle divinità i sacrifici che ha compiuto in loro onore. Segue poi un prolisso flashback, in cui Fenice ripercorre tutta la sua vita. Per soddisfare la richiesta della madre di giacere con l’amante di suo marito (e qui troviamo già un piccolo riferimento alle Λιται), ottiene il rifiuto di suo padre, che recide ogni legame affettivo. Ma Fenice trova conforto a Ftia: In particolare, Fenice, per suscitare il παθος di Achille, insiste molto sul legame affettivo, quasi paterno, che lo lega al suo allievo. Ciò si può evincere dall’apostrofe che utilizza: «caro figlio». Ma la vera e propria dichiarazione d’affetto, che ci trasmette appunto l’intensità dei sentimenti sinceri di Fenice, è questa: III parte- La richiesta La richiesta, espressa con l’imperativo, esprime però un comando dolce, assimilabile ad un congiuntivo esortativo o ad un ottativo desiderativo. Fenice riprende lo stesso elemento tematico dell’invocazione (ελεος) , costituendo così una ringkomposition (composizione ad anello) Quindi Fenice fa valere la sua autorità di precettore, mantenendo però sempre un tono supplice e affettuoso. Secondo gli studi di Yagamata, e come possiamo evincere anche dal testo, ci troviamo di fronte ad un nuovo tipo di preghiera che richiede il perdono per qualcuno che ha commesso un’azione ingiusta e non per il fautore della preghiera. LE Finalmente arriviamo al fulcro del λογος di Fenice: l’allegoria delle Λιται. La presenza di queste Preghiere, non fa che aumentare l’importanza dei poemi omerici, poiché, in tutta la letteratura greca e latina, esse compaiono solo tre volte: in questo passo ilidiaco con la tecnica della prosopea (fare riferimento in un dialogo ad una figura astratta), in un canto orfico e nell’Antologia Palatina, una raccolta di poesie di età ellenista, in cui però le Preghiere vengono sminuite, perché paragonate da Automedonte alle sue mule fidate. Le Λιται sono caratterizzate dalla tipica lentezza degli anziani, proprio perché le preghiere, per essere efficaci, devono essere prolisse e persuasive. Difatti, nel De Elocutione di Demetrio, per la loro estensione, vengono contrapposte alla laconicità degli Spartani. Sono poi strabiche, sia perché hanno la visione sul passato e sul futuro, sia perché possono rivelarsi benevole o funeste. L’inseguimento di Ατη simboleggia il percorso unidirezionale della preghiera (dall’orante al destinatario). Fenice mette in guardia Achille dal pericolo che corre ignorando le Λιται e tenta di persuaderlo a non rendere vane le parole degli ambasciatori, soldati scelti dell’esercito acheo, che lo hanno preceduto. Lo esorta anche a non peccare di υβρις, poiché si è piegato alle Λιται. Inevitabile è il riferimento alla pietas di Enea, tematica principale del poema dedicatogli da Virgilio. L’eroe troiano è molto devoto ai numi e i suoi sacrifici e le sue libagioni gli forniscono la salvezza nello scontro con Achille. IL MITO DI MELEAGRO Fenice riporta come esempio il mito di Meleagro. Egli era figlio di Oineo e di Altea e dopo 7 giorni dalla sua nascita, le Moire si presentarono alla madre portando dei doni al piccolo: un’indole nobile, la gloria e l’avvertimento che avrebbe vissuto fin quando il tizzone, che in quel momento ardeva nel camino, non si sarebbe consumato del tutto. Un giorno il padre Oineo offrì un sacrificio a tutte le divinità, tranne Artemide che, adirata, mandò contro il popolo un gigantesco cinghiale. Meleagro si sentì perciò in dovere di difendere il paese. Uccise la bestia e ne offrì la pelle all’amata Atalanta. Ma i suoi zii, contrariati, la rubarono e furono puniti con la morte da Meleagro. Altea, affranta per l’assassinio dei suoi fratelli, bruciò il già noto tizzone, causando la fine di Meleagro. Tuttavia ella per il rimorso si impiccò. Dall’analisi del λογος di Fenice possiamo apprezzare la sua grande abilità retorica. Essa è ancor più encomiabile se consideriamo la sua capacità di improvvisazione e il suo estro. Oggi le nostre preghiere sono stereotipate, mentre invece nella Grecia antica, come ci dice lo studioso Parker, non esiste «una religione del libro». Per comporre una λιτη gli oranti si dovevano attenere allo schema tripartito (invocazione, argomentazione, richiesta), ma dovevano anche scegliere il lessico adatto alla situazione. IL LESSICO DI FENICE Esso rimanda continuamente alle Λιται: Osserviamo infatti che il verbo λισσομαι è ripetuto ben 4 volte Il sostantivo λιται viene invece utilizzato una sola volta (=hapax legomenon). Per questo è ancora più straordinaria l’abilità retorica di Fenice, poiché tutto il suo λογος si basa sulle λιται, ma le nomina solo al verso 502. Difatti: a) La sua orazione è una preghiera ed è molto estesa; b) Utilizza atteggiamenti e vocaboli da supplice; c) Fenice stesso racconta di aver accolto la λιτη di sua madre; d) Riporta il mito di Meleagro. Le Λιται quindi sono il nucleo da cui nasce e si evolve tutta la struttura del discorso di Fenice, come dalle radici di sviluppa e si struttura tutto l’albero. 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