I gruppi multifamiliari nel Sistema della Giustizia Minorile 2009-2010 Progetto Family Roots Partner: Dipartimento Giustizia Minorile IPRS (Istituto Psicoanalitico per le ricerche sociali) CJD Eutin (Germania) Ministero della Giust.Portoghese Co-finanziato dalla Commissione Europea, DG Justice, Freedom and Security. 2011-2013 Progetto “La famiglia di fronte al reato: azioni sperimentali a supporto delle famiglie dei minori autori di reato” Partner: Dipartimento Giustizia Minorile Dipartimento Politiche per la Famiglia IPRS (Istituto Psicoanalitico per le ricerche sociali) Finanziato da accordo di collaborazione tra Dipartimento Giustizia Minorile e Dipartimento Politiche per la Famiglia Il contesto: il Sistema della Giustizia Minorile (CGM) Centro Giustizia Minorile programmazione tecnica ed economica, controllo e verifica nei confronti dei Servizi minorili da essi dipendenti (USSM, CPA, IPM, Comunità). Uffici Servizi Sociali Minorili (USSM) si attivano quando il minore entra nel circuito penale; Predispongono la raccolta di elementi conoscitivi per l’accertamento della personalità, fornendo concrete ipotesi progettuali e concorrendo alle decisioni dell’A.G.; accompagnano il m. in tutto il percorso penale progettando, sostenendo e verificando il progetto ri-educativo Centri Prima Accoglienza (CPA) assicurano la custodia dei minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento fino all'udienza di convalida (96 ore); predispongono una prima relazione informativa sulla situazione psicologica e sociale del minorenne, con l'obiettivo di fornire all'A.G. gli elementi utili (IPM)Ist. minorili penali assicurano l'esecuzione dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria quali la custodia cautelare detentiva o l'espiazione di pena dei minorenni autori di reato Progetto Family Roots Bisogni rilevati: • un’azione educativa rivolta al minore deviante non può prescindere dalla considerazione della famiglia, quale agenzia educativa primaria • la complessità dei problemi delle famiglie di minori che sono entrati in contatto con il circuito penale, interroga gli operatori nella ricerca di risposte possibili a tali difficoltà, risposte che rischiano di essere autoreferenziali se non vedono il coinvolgimento di coloro che vivono in prima persona il disagio • lavorare in rete con le famiglie permette di individuare strategie creative e condivise da tutti coloro che sono motivati a garantire il benessere dei minori, rispettando il diritto di autodeterminazione dei genitori Obiettivi: studiare (e poi intervenire) un particolare aspetto operativo della giustizia minorile: il coinvolgimento della famiglia del minore autore di reato all’interno del programma trattamentale realizzato dal sistema della Giustizia Minorile, per capire se e come sostenere le famiglie, considerate come risorse ed elementi attivi di cambiamento, durante il periodo di presa in carico del minore autore di reato. Linee di azione Attività di ricerca (Family Roots 2009-2010) - Case review - Interviste con gli operatori della GM - Interviste con le famiglie dei minori autori di reato Attività di formazione - Formazione agli operatori su 4 modelli di intervento con le famiglie (mutuoaiuto, gruppi multifamiliari, gruppi Gestalt, FGC) Attività di co-progettazione esperti-operatori - Valutazione della trasferibilità del modello al SGM - Individuazione delle modalità operative di implementazione del modello. Attività di sperimentazione - Avvio in 4 contesti territoriali (Milano, Roma, Napoli, Palermo) di gruppi con le famiglie coerenti con il modello di intervento scelto Principali risultati della ricerca (1) Case review • non vi nei fascicoli è una sistematica attenzione a descrivere, in maniera dettagliata, le modalità operative seguite nella realizzazione degli interventi con le famiglie; • scarsa possibilità di condivisione degli strumenti operativi e delle prassi utilizzate dai singoli operatori nell’intervento con la famiglia del minore; • impossibilità di verificare l’efficacia di tali interventi Principali risultati della ricerca (2) Le interviste con gli operatori • difficoltà degli operatori dei servizi della Giustizia Minorile a rispondere adeguatamente ai bisogni di una parte delle famiglie e a riformularne le aspettative in vista di interventi che prevedano obiettivi effettivamente perseguibili, in alcuni casi si viene a configurare un’impossibilità di collaborazione tra famiglia e servizi. • un numero consistente di famiglie, che gli operatori per vari motivi non riescono ad “agganciare” o che per i livelli di problematicità di cui sono portatrici necessiterebbero di un intervento più lungo e strutturato, non vengono adeguatamente seguite e sostenute durante il periodo di permanenza del minore all’interno del sistema di giustizia; • diffuso sentimento di frustrazione rispetto al lavoro con le famiglie e prevalere di un sentimento di isolamento (abituati a lavorare da soli sul singolo caso). Principali risultati della ricerca (3) Le interviste con le famiglie • l’incidenza potenzialmente traumatica dell’evento reato sui nuclei familiari (in particolar modo su quelli con basso livello di problematicità interna e che non avevano avuto precedenti contatti con il sistema della giustizia); • il bisogno delle famiglie di essere ascoltate e coinvolte attivamente nel progetto rieducativo pensato per il figlio (nei casi in cui si riesce ad attivare effettivamente un intervento, le famiglie esprimono un alto livello di soddisfazione per l’intervento, un sentimento di fiducia nei confronti del servizio, che viene spesso condensato nell’affermazione “non avremmo mai potuto farcela da soli”). I bisogni specifici emersi: - un sostegno nella concettualizzazione e comprensione di quanto successo all’interno del proprio nucleo familiare a seguito dell’evento reato; - una ridefinizione del sistema di responsabilità tra i membri familiari, - un accompagnamento nel processo di “riaccoglienza” del minore in famiglia (per i minori ristretti in IPM), - un sostegno nella ricerca di nuove modalità relazionali ed educative da sperimentare nel rapporto con il figlio. Evidenze finali della fase di indagine • esigenza di un ripensamento del lavoro con le famiglie dei minori autori di reato all’interno del sistema della Giustizia Minorile; • necessità da parte del sistema della Giustizia Minorile di investire su una maggiore attenzione alla famiglia come fattore di cambiamento sostenibile, non solo nell’immediato della vicenda penale ma in una prospettiva evolutiva dell’esperienza di vita del ragazzo; • acquisire che l’intera famiglia, insieme ovviamente al minore, costituisce il destinatario dell’intervento della Giustizia Minorile durante il periodo di presa in carico del minore; • necessità di “capitalizzare” il patrimonio di esperienze e competenze sviluppato dagli operatori della Giustizia Minorile nel lavoro con le famiglie (patrimonio che appare scarsamente condiviso tra gli operatori e poco strutturato rispetto alle modalità e alle prassi utilizzate). Individuazione dei modelli di intervento con le famiglie: criteri di scelta Sulla base di tali riflessioni, si è rivelata la necessità di proporre alcuni modelli di intervento rivolti alle famiglie dei minori autori di reato che potessero essere implementabili all’interno del sistema della Giustizia Minorile. Tali modelli dovevano infatti risultare sufficientemente isomorfi alle specificità del contesto penale minorile italiano, economici in termini di impiego di riscorse e bilancio costi-benefici, flessibili rispetto alle caratteristiche e ai diversi livelli e tipologie di problematicità riscontrate tra le famiglie in carico al servizio. Dal punto di vista della metodologia, anche sulla base degli esiti incoraggianti avuti dagli incontri di gruppo realizzati con le famiglie e finalizzati alla rilevazione dei loro bisogni, è stata scelta un’opzione formativa che tendesse a valorizzare lo strumento del gruppo Tendendo conto di tali criteri, sono stati individuati i seguenti quattro modelli di intervento con le famiglie: 1) Gruppi di mutuo-aiuto 2) Gruppi multifamiliari 3) Gruppi ad orientamento gestaltico 4) Family Group Conferencing Modelli di intervento centrati sul gruppo, perché? Criterio di efficacia dello strumento del gruppo: il gruppo non ostacola nè inibisce la libera espressione delle famiglie, ma anzi le aiuta ad esprimere bisogni ed esigenze all’interno di uno spazio in cui anche gli altri hanno attraversato la stessa esperienza, proprio grazie al continuo confronto e scambio con le esperienze degli altri che il gruppo attiva e favorisce. permette alle famiglie di condividere il dolore legato ad un evento traumatico (reato) e di alleviare i sentimenti di colpa e vergogna comuni a tutte le famiglie; È lo «spazio» in cui il genitore può liberarsi dalla paura della valutazione e del giudizio, scoprendosi portatore di competenze utili ad altri. La partecipazione al gruppo crea relazioni, vicinanza, senso di appartenenza, fiducia, sviluppa conoscenze e richiede assunzione di responsabilità; tutto ciò sostiene i progetti di cambiamento volti a migliorare i comportamenti che hanno determinato il procedimento di tutela. ha aiutato gli operatori a guardare sotto una lente diversa, i bisogni e le domande posti delle famiglie, stimolando una riflessione critica sulle prassi di intervento utilizzate finora e sui limiti che esse presentano (quale ad esempio il rischio di collusione che si viene a configurare tra la delega della famiglia e la tendenza degli operatori ad assumere questa delega estromettendo la famiglia dal progetto rieducativo del minore). ha mostrato in maniera evidente agli operatori che anche l’operatore che facilita/conduce un gruppo può ottenere un arricchimento dal proprio operare e un’utilità rispetto al proprio intervento. Criterio di “economicità” (possibilità di trattare contemporaneamente più famiglie); Criterio di isomorfia: il lavoro di e in gruppo è una risorsa che va ad aggiungersi agli interventi previsti dai Servizi a sostegno del minore, è compatibile con altre forme di terapia (individuale, familiare) e anzi costituisce una risorsa aggiuntiva per tali interventi terapeutici Linea di azione 2: Formazione • il livello teorico ha previsto la presentazione da parte degli esperti del modello di intervento specifico e dei criteri di scelta rispetto alla maggiore o minore adeguatezza di ciascun intervento in relazione alla specifica situazione familiare e agli obiettivi che si intende perseguire. Sono stati messi in evidenza per ciascun modello i punti di forza e di debolezza, tenendo in particolare considerazione i vincoli specifici posti dal contesto istituzionale in cui tali modelli di intervento dovranno essere implementati; • il livello esperienziale, basato sul lavoro in piccoli gruppi, sulla presentazione di casi da parte degli operatori e sulla formazione al lavoro di èquipe volto all’analisi della domanda e alla scelta del modello di intervento adeguato. Linea di azione 3: Laboratori di coprogettazione Hanno visto il coinvolgimento di esperti dei quattro modelli di intervento proposti e degli operatori della Giustizia Minorile (risultati raccolti all’interno di un manuale lasciato in dotazione alla Giustizia Minorile quale patrimonio di conoscenze e competenze rispetto all’intervento con la famiglia in ambito penale). Finalità generale: promuovere uno spazio di riflessione e co-progettazione al fine di comprendere le modalità di applicazione, in ambito penale minorile, di tali modelli, finora utilizzati in ambiti di intervento psico-sociale differenti da quello penale (ad eccezione del Family Group Conferencing che già viene usato abitualmente in area penale, in diversi contesti europei ed extraeuropei). Obiettivi specifici: delineare, esperti ed operatori insieme, modalità e procedure rispetto alla possibile applicazione di tali modelli di intervento all’area penale minorile in Italia. Se infatti la presenza degli esperti è stato utile a fornire agli operatori una conoscenza rispetto ai riferimenti teorici e alle metodologie di applicazione dei modelli di intervento con le famiglie proposti, lo spazio di co-progettazione è stato teso a verificare e definire le modalità di implementazione di tali modelli all’interno del sistema della Giustizia Minorile. Analisi dei vincoli specifici posti dal contesto istituzionale • • • • • l’intervento con la famiglia deve essere realizzato da operatori della giustizia (prevalentemente assistenti sociali ed educatori); gli interventi devono avere necessariamente una durata variabile a seconda dei casi, ma comunque limitata nel tempo, in quanto legati al periodo di permanenza del minore all’interno del sistema della Giustizia Minorile; gli interventi devono essere efficaci nel rispondere alla tipologia di bisogni rilevati tra le famiglie (coinvolgimento attivo nel percorso rieducativo del figlio, scambio di informazioni con altre famiglie che vivono lo stesso evento traumatico, sostegno alla dimensione della genitorialità, ecc.); ciascun modello di intervento deve essere opportunamente calibrato e tarato rispetto al contesto speicifco in cui deve essere implementato responsabilizzazione, ecc.); ciascun modello di intervento deve avere un buon rapporto costi-benefici (ovvero non essere troppo dispendioso da un punto di vista di impiego di risorse e di tempi, anche in considerazione della situazione di sottoorganico costante del sistema della Giustizia Minorile); I risultati di questo lavoro di co-progettazione sono stati raccolti all’interno di un manuale lasciato in dotazione alla Giustizia Minorile quale patrimonio di conoscenze e competenze rispetto all’intervento con la famiglia in ambito penale. Linea di azione 4: Sperimentazione (in corso) Il modello multifamiliare Contesti: Roma e Napoli Tempi: Febbraio 2012- Febbraio 2013 Differenze territoriali: Roma: gruppi multifamiliari all’interno degli USSM. Coconduzione interservizi (USSM, IPM, CPA) Napoli: gruppi multifamiliari all’interno dei S.S.T., coconduzione operatori GM e operatori SS Supervisione mensile o quindicinale (a seconda esigenze specifiche) Sperimentazioni: applicazione del modello multifamiliare alla GM • • • • Obiettivi di carattere socio-educativo e non psicoterapeutico (capire il significato che il reato ha avuto all’interno della famiglia, cosa e come è nato il comportamento deviante del minore;”fare esperienza e poter vedere” nel qui e ora le modalità relazionali genitori – figli in atto; comprendere l’importanza del sostegno e del supporto del nucleo familiare al percorso del minore all’interno del circuito penale minorile; preparazione di un clima accogliente per il minore nel periodo della pena e/o successivo ad essa, permettere al minore di sperimentare un contesto familiare in cui non si percepiscano emozioni come rabbia, frustrazione, vergogna, giudizio, ecc., riflessione ed elaborazione dell’esperienza vissuta all’interno del circuito penale minorile Ruolo dei conduttori (non è quello di osservatori delle dinamiche gruppali o del percorso trasformativo del singolo, nè della presa in carico degli aspetti “psicologici” dei componenti del gruppo, ma quello di osservatori partecipi, facilitatori della comunicazione, contenitori della fiducia e della conoscenza delle dinamiche istituzionali…e sarà la costituzione del gruppo stesso ad avere una forte connotazione terapeutica e di esperienza trasformativa); Cadenza quindicinale; Numero di famiglie per gruppo (limitato) Tematiche ed emozioni emerse nei gruppi MF • • • • • • • • Significato e funzione delle regole e della legge, influenza del contesto sociale Ricostruzione dei fattori che hanno potuto influenzare l’evento reato (confronto passato-presente-futuro) Reazioni della famiglia di fronte al reato Difficoltà della comunicazione e delle relazione genitori-figli nel contesto domestico Tipo di aiuto richiesto/atteso al servizio Le verità dei figli e le verità ei genitori Senso di fallimento e sensazione di avere sbagliato come genitori … dalla colpa alla “doppia meraviglia”: una prima meraviglia legata al dover constatare che il figlio reo non era il figlio che loro conoscevano, la seconda meraviglia, resa possibile proprio dallo spazio di gruppo, poter vedere i figli non solo come rei ma come adulti in grado di riflettere su quanto accaduto; Prime evidenze della sperimentazione (1) Elementi di forza: Operatori - Abbassamento della percezione di isolamento e instaurarsi di un clima di maggiore condivisione del lavoro con le famiglie; - strutturazione embrionale di un lavoro di équipe - Comprensione della natura di alcune difficoltà incontrate nella costruzione della relazione con le famiglie - Facilitazione del lavoro con le famiglie (migliore progettualità) perché alcune “resistenze” possono essere trattate meglio nel gruppo - Riposizionamento della famiglie nei confronti dei Servizi della Giustizia Minorile, riposizionamento rilevato e testimoniato dagli operatori che hanno in carico i singoli nuclei familiari -Famiglie Buon livello di soddisfazione, in particolare alle famiglie il gruppo multifamiliare ha permesso di: - conoscere pensieri del proprio figlio, in genere non comunicati, attraverso il confronto con gli altri ragazzi; - comprendere meglio se stessi, gli errori del passato, e le modalità-strategie per il futuro - esprimersi più apertamente con i propri figli e con il coniuge - sentirsi sostenuti, sensazione di aver trovato un “punto di riferimento”. In particolare, operatori e supervisori registrano….. I gruppi multifamiliari stanno favorendo: • la mobilitazione di emozioni che sono state spesso vissute in solitudine (vergogna, senso di fallimento, colpa) e che ora possono rispecchiarsi nella relazione con altri; • di sbloccare e riavviare forme di comunicazioni intrafamiliari (genitori-figli e genitore-genitore) “giocando” sulla possibilità di rivolgersi indirettamente al proprio figlio/genitore parlando con il figlio/genitore dell’altro; • il superamento della paura di essere giudicati dagli operatori della Giustizia Minorile, paura che genera consequenziali atteggiamenti di oppositività, compiacenza, e quindi il superamento degli elementi di contrapposizione che impedivano un intervento sinergico tra servizio e famiglie; • Il potenziamento delle capacità della famiglia di incidere positivamente sul percorso socio-educativo del minore: il gruppo MF può rappresentare la base da cui partire per progettare interventi rieducativi insieme alla famiglia Prime evidenze della sperimentazione (2) Elementi di debolezza: Operatori - - Acquisizione permanente del modello di intervento sperimentato (bisogno di ulteriore formazione, necessità di strutturare tempi e spazi stabili di confronto-condivisione, coinvolgimento allargato degli operatori dei singoli servizi e una disponibilità delle Direzioni, difficoltà di conciliare sovraccarichi di lavoro, tempi stretti, ecc Difficoltà nel compito di co-conduzione Individuazione dei criteri di selezione delle famiglie (es. reato violenza sessuale) Fase di motivazione e invio delle famiglie ai gruppi Famiglie - Motivazione alla partecipazione ai gruppi (individuaz. del momento adatto per proporre il gruppo) - Brevità dell’intervento (tempi giudiziari)