4 Antropologia 2009-’10
Lezione
Capitolo I
^
Storia di una ricerca:
l’antropologia nella Bibbia
e nella Tradizione
(continua)
Lezione
^
• Capitolo I
•
•
•
•
Storia di una ricerca:
l’antropologia nella Bibbia
e nella Tradizione
(continua)
Osservazioni conclusive sull’epoca moderna:
Lo sbocco dell’epoca moderna mostra i pericoli
e le ambiguità a cui conduce la mancata
relazione tra antropologia e cristologia
l’incontro tra cultura e fede avviene:
 dal punto di vista cristiano come
indebolimento della originalità cristologica
 dal punto di vista della cultura come
autonomia nel senso di una messa tra
parentesi della fede in Cristo
il limite più forte che l’epoca moderna consegna
alla teologia contemporanea si può ricondurre
alla separazione radicale tra:
fede e ragione
 soprannaturale e naturale
 teologia e filosofia
 chiesa e mondo
superare i dualismi è la sfida che si impone
all’antropologia teologica contemporanea
 la direzione della sfida è in un deciso recupero del
fondamento cristologico  qui vogliamo arrivare!
siamo qui:
 L’epoca moderna e la manualistica
3) La vicenda dei trattati di antropologia
 Luogo concreto in cui vedere questa dissociazione
tra discorso teologico e riflessione autonoma della
ragione è la vicenda dei manuali
da essi emerge lo sviluppo dei temi che interessano
l’antropologia e la loro relazione col contesto culturale
 parecchie le questioni di AnTh affrontate nella
manualistica, disseminate però in diversi trattati:
De Virtutibus, De Novissimis, De Peccato Originali…
i principali sono due:
il De Deo creante et elevante
e il De Gratia
la cui vicenda rende ragione dello sbocco cui l’attuale
antropologia teologica è giunta.
Esempio dei trattati post-tridentini è l’opera di Francisco
Suarez: (1548-1611), influenzerà a lungo la teologia
I. Trattato
De Deo creante et elevante
Dopo il De Deo Uno e Trino il Suarez mette il
De Deo creatore
il trattato è suddiviso in:
 De Deo rerum omnium creatore
 De Angelis
 De opere sex dierum
la creazione dell’uomo costituisce un capitolo
all’interno della trattazione più ampia della
creazione
 e si concentra sulla questione dell’originario
stato di innocenza (prima del peccato)
a sé stante, il trattato relativo al De Anima,
che studia la “costituzione” della persona,
concentrandosi su questioni filosofiche
un trattato distinto è relativo ai vizi e ai
peccati, in cui si studia anche il peccato
originale (staccato dalla protologia)
dell’uomo ci si occupa anche
nell’escatologia, De ultimo fine hominis, in
cui i riferimenti antropologici sono
sostanzialmente relativi all’anima
Osservazione:
 l’attenzione all’antropologia ha un taglio filosofico
Lo conferma Suarez che parlando di Dio creatore
distingue tra:
ciò che la teologia può dire di Dio in se stesso, nella
sua natura
e ciò che se ne può affermare a partire dal suo
rapporto con la creazione (inteso nei termini filosofici
di causa-effetto)
questa distinzione rispecchia quella propria dell’epoca
tra una theologia supernaturalis, formulabile solo in
base alla rivelazione, e una theologia naturalis, che
si avvale dell’apporto della ragione
 L’intento di questa distinzione era quello di favorire,
attraverso la theologia naturalis, un incontro e un
confronto con l’umanesimo nascente, accettando
la sfida della ragione e opponendosi allo stesso tempo
al pessimismo protestante.
II. Trattato
De Gratia
 il trattato De Gratia nasce dopo Trento ed è
polarizzato sulla grazia creata e/o santificante
 in reazione all’interpretazione luterana della
giustificazione la teologia cattolica ribadisce
l’affermazione di una modificazione reale
accidentale della natura umana
 Il tridentino contro la giustizia forense, o solo
imputata, proposta dalla Riforma, insegnò il
carattere interiore della giustificazione come un
fatto che modifica realmente l’uomo giustificato
(cfr. Sessione VI: De Justificatione).
 Pare precisamente questa concentrazione polemica
sul tema l’origine di un trattato autonomo sulla grazia.
Il trattato De Gratia, ridottissimo fino a S.
Tommaso, subisce uno sviluppo enorme con la
Riforma e con i dibattiti post-tridentini.
Dalle poche pagine dedicate al tema della grazia
nella Summa si passa a vari e grossi volumi:
la necessità della grazia
i suoi aiuti
l’essenza della grazia abituale
la giustificazione
aumento e conservazione della grazia
ecc…
NB:
 le controversie costringono l’approfondimento
del tema della Grazia, giustificando
indirettamente l’enfasi data al tema e lo
sviluppo di una trattazione autonoma tanto
complessa
 la nascita all’interno della teologia
controversistico-dogmatica ne condiziona
anche l’andamento, poiché sorge con un
intento polemico e negativo, teso più a
smontare le posizioni dell’avversario che a
formalizzare in modo globale il proprio pensiero
 la trattazione della grazia precede ancora la
cristologia, dunque, ne prescinde.
Suarez fa ancora da modello: Tractatus De
Gratia Dei seu De Deo salvatore,
iustificatore et liberi arbitrii adiutore per
gratiam suam (Lione 1620).
Attinge ampiamente dalla tradizione a lui
precedente:
dalla linea agostiniana riprende l’affermazione
della gratuità e della necessità della grazia,
ribadendo l’atteggiamento antipelagiano
 dalla tradizione Scolastica assume la
centralità della grazia abituale, ossia degli
aspetti ontologici della grazia.
 Di qui distingue due azioni della grazia divina,
la santificazione e la redenzione.
 Le due azioni sono chiaramente attribuite a Dio,
ma in maniera diversa:
 a Cristo, l’uomo-Dio, è attribuita solo la
redenzione
 mentre la santificazione commune est tribus
personis
 È clamorosa la  «pretesa di separare la
santificazione dalla cristologia» , poiché è un
segno chiaro che la grazia è intesa a
prescindere da Gesù Cristo.
 Il trattato De Gratia rimane sostanzialmente
stabile sino al Vaticano II
 solo con i primi movimenti di rinnovamento
biblico e patristico del secolo XX si inizierà a
ripensare l’interpretazione della grazia
 in particolare M.J. Scheeben, con il celebre
studio I misteri del cristianesimo (1865), torna a
considerare la grazia dopo Cristo e, dunque,
in relazione alla cristologia:
la grazia è data da Cristo
 Ma qual è il “contenuto” teologico della Grazia?
Da insistenza a grazia creata (modificazione
accidentale dell’anima) a Grazia increata
si recupera progressivamente la comprensione
della grazia come “divinizzazione”, ossia
come Spirito Santo
questa linea di riflessione conduce ad un
recupero del riferimento cristologico, poiché
lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo
ritornando allo Spirito si esige di ripensare la
grazia e l’uomo a partire da Cristo (non dal
concetto di natura umana o dall’uomo
peccatore), recuperando la tesi originaria della
“predestinazione”.
4) Conclusione
dell’itinerario storico:
la Neoscolastica
perché poi arriva il rinnovamento con il
Vaticano II
Constatazione di due blocchi di temi
antropologici distribuiti su due trattati:
• la protologia (creazione – elevazione –
peccato)
• e la grazia
senza preoccupazione di armonizzarli
internamente
soprattutto, manca un esplicito riferimento a
Cristo
ne è prova il fatto che, per secoli, rimangono
approfonditi in trattati separati e,
sostanzialmente, autonomi; fino al Concilio
Vaticano II
 Il De Gratia rimane sostanzialmente immutato.
 Il De Deo Creatore ha vissuto un significativo
passaggio nella neoscolastica del sec. XX:
 l’itinerario storico ha mostrato la crescente
«filosofizzazione del tema della creazione»
 sin dal Rinascimento (= seconda Scolastica),
infatti, si è imposta una più netta separazione
tra la riflessione cristologica e la dottrina della
creazione, considerata praticamente a sé
stante (ad es., Suarez)
 la teologia c’è per dirci perché / come Dio ha
creato il mondo (= Deo elevante) ma non per
dirci che Dio l’ha creato (= Deo creante). La
creazione rimane un tema filosofico “al di fuori”
del sapere teologico.
 Proseguendo la separazione tra visione
della natura e considerazione soprannaturale
della creazione, la scolastica dell’‘800 (la neo-)
conferma l’impostazione passando dal De Deo
Creatore al De Deo creante et elevante
 il primo trattato a portare questo titolo pare
essere quello del gesuita romano D. Palmieri,
nel 1878 (l’anno precedente l’Aeterni Patris).
Il trattato si articolava in due parti:
A) De Deo Creante: la creazione del mondo, degli
uomini, degli angeli; il primo momento conferma il
prevalere dell’orizzonte cosmologico rispetto a quello
antropologico: l’uomo, dopo che è studiato insieme
con il mondo in generale, viene considerato in ciò che
lo differenzia dagli esseri animali
B) De Deo elevante: l’uomo nella condizione
originaria, studiato in due momenti successivi:
• lo stato originario, caratterizzato dall’elevazione
all’ordine soprannaturale, coi doni ricevuti da Dio
(naturali - soprannaturali)
• la caduta, con la conseguente perdita dello stato
originario. A questo punto, però, il Peccato Originale
viene definito «a partire dalla caduta di Adamo più che
in riferimento a Gesù Cristo»
•


•
Interessante la breve prefazione che il Palmieri mette
in testa al suo volume perché da essa risulta il modo
quasi fortuito con cui si è formato il trattato e quella
sua mancanza di unità suggerita dal titolo stesso (ET):
la prima parte raccoglie le tesi riguardanti l’attività
creatrice di Dio e i suoi effetti, tesi che, di per sé,
sono accessibili anche alla sola ragione
parlando di Dio creatore si tratta dell’ordine naturale
e si presuppongono temi già studiati in filosofia
in particolare si considera Dio quale causa ed
origine delle cose
la seconda parte raccoglie le tesi sul soprannaturale
fornite dalla rivelazione. Evidentemente l’elevazione
all’ordine soprannaturale appare un’aggiunta
estrinseca alla natura dell’uomo, già data e
completa in sé.
La struttura del testo e la logica che lo guida denunciano
evidentemente la mancanza di unità, anzi la
giustapposizione tra momento teologico e quello
filosofico, che rende semplicemente aggiuntiva,
successiva, la trattazione propriamente “cristiana”
dell’uomo.
Conclusione:
 si danno ormai due separate considerazioni
sull’uomo: una secondo la ragione, l’altra secondo la
rivelazione
 si abbandona la prospettiva storico-salvifica entro
cui comprendere l’uomo, per parlarne semplicemente
in termini di “natura” cioè come un essere la cui
definizione può prescindere dal rapporto storicosalvifico con il piano di Dio
 a cui aggiungere – in un momento successivo l’elevazione soprannaturale, intesa come la
chiamata ad un fine nuovo, eccedente, non dovuto
alla natura umana come tale, un fine appunto
soprannaturale.
Quale logica sottesa alla prima sezione del trattato?
sta una concezione dell’uomo come “natura”, cioè
come un essere la cui definizione può prescindere
dal rapporto storico-salvifico con il piano di Dio e può
essere fatta semplicemente sulla base di certe
caratteristiche che compongono la sua essenza, al di
là delle variabili storiche: a questa natura umana
vengono ricondotte alcune tesi proposte dalla
Rivelazione ma accessibili anche alla ragione
 è evidente l’estrinsecismo del secondo
momento: il De Deo creante rischia così di
apparire soltanto una introduzione di ibrido
carattere filosofico-teologico al De Deo elevante
e viene favorita l’idea di una pura
sovrapposizione estrinseca del
soprannaturale al naturale
è compiuto il progressivo oblio del
riferimento storico-cristologico nella
definizione dell’uomo e della creazione in
favore di una sottolineatura cosmologica ed
essenzialista.
L’antropologia si definisce a prescindere da
Cristo
la definizione dell’uomo può benissimo
rimanere quella aristotelica di “animale
razionale”. Solo in seconda battuta si precisa
che è stato scelto e chiamato da Dio, tramite
una elevazione al di sopra della sua natura,
a una relazione soprannaturale
 in definitiva, rimane valido il giudizio di K. Barth,
per cui il discorso sulla creazione rimane
«l’atrio dei gentili»
 quasi una premessa, senza legame con il
seguito e priva di una lettura teologica.
Svantaggio
la giustapposizione e il dualismo che segna il limite
interno del trattato e della comprensione dell’uomo
 questa visione, indipendente dall’alleanza biblica,
risulta filosofica e dimentica ogni determinazione
cristologica
 su questo sfondo il rapporto con la grazia, benché
affermato, non può che risultare accessorio e
marginale
 incongruenza della separazione stessa dei trattati:
Deo elevante e De Gratia, in fondo, si ripetono
 l’insieme dell’analisi antropologica vede un discorso
che da un lato, afferma che Dio crea (1°) ed eleva
(2°) l’uomo e, dall’altro, gli dona la grazia (3°).
Evidentemente la trattazione della grazia appare
sdoppiata, o forse sarebbe meglio dire, duplicata,
con un immediato sospetto di ripetitività.
Osservazioni sulla panoramica storica:
critiche alla teologia manualistica
raccogliamo il contributo della ricerca sin qui
condotta dalla teologia, anche nei suoi limiti
 per comprendere poi il cambiamento e la
direzione su cui la moderna antropologia
teologica si va indirizzando
sottolineiamo il contributo positivo che la
tradizione ci consegna
ribadiamo la lacuna più macroscopica cioé
l’insufficienza cristologica
Apporti positivi
Contenuti
 Diversi temi di interesse antropologico hanno trovato
un loro sviluppo nella storia della teologia.
Progressivamente si è andato fissando un patrimonio
di tematiche di antropologia cristiana: creazione (in
questa, a se stante, l’uomo nei suoi elementi costitutivi)
– il peccato originale – la grazia, nel senso della
redenzione e dell’aiuto di Cristo per la salvezza.
Metodo
una prospettiva comune: si segue lo sviluppo
cronologico della storia della salvezza, poiché si
segue sostanzialmente l’ordine narrativo della Bibbia.
Di fatto i successivi approfondimenti non
prescinderanno dal confronto con questa eredità.
Limiti
 il cammino dell’AnTh è avvenuto senza un criterio logico né
sistematico, bensì alla luce di esigenze contingenti e
variegate
 è dipeso in gran parte da vicende contingenti = alcune
controversie o questioni dibattute
 anche la formulazione positiva è rimasta condizionata
dall’origine polemica della riflessione cristiana:
1) dal punto di vista dei temi si è limitata alle questioni oggetto
delle controversie
2) il tono polemico e negativo di tale genesi ha marcato in
senso restrittivo l’analisi e la presentazione dei temi.
L’urgenza di una diatriba impone inevitabilmente la
contrapposizione alla tesi avanzata, la negazione di un
aspetto problematico e l’accentuazione, talora, unilaterale di
una dimensione, non l’approfondimento pacato di un tema,
colto in tutte le sue valenze
 manca una presentazione unitaria dell’antropologia, uno
sguardo sintetico ed organico sul tema
 la frammentarietà della riflessione sull’antropologia, e non solo
nella cultura ambiente
 la nota più macroscopica e grave rimane l’evidente mancanza
di Gesù Cristo: o quanto meno la sua non rilevanza o
necessità per affrontare la/le questioni antropologiche
 pare che Gesù Cristo non entri nella definizione della
creazione, né dell’uomo: ma dove va a finire la «creazione in
Cristo» di Col 1? In tal senso, la creazione appare
semplicemente una tesi «filosofica» o semplicemente
«religiosa», ma non qualificata «cristianamente»
 la figura stessa dell’uomo pare descrivibile anche senza il
riferimento a Cristo che non entra nella definizione dell’uomo
 con la fatica – se non l’impossibilità – di giustificare e ribadire
la sensatezza del rapporto di Cristo con il singolo uomo
 il rapporto con Cristo anziché essere il fondamento originario
dell’umano, interviene solo in seconda battuta, quasi in forma
aggiuntiva.
Perché?
Come è stato possibile arrivare a tali estremi?
Due sono le questioni fondamentali che stanno alla
base del percorso e rendono ragione delle
conclusioni cui si è giunti in campo antropologico:
a) La teologia del duplice ordine: la distinzione
natura-soprannatura
b) Il modello amartiocentrico: la centralità del peccato
Esse mettono in gioco non anzitutto i contenuti, bensì il
metodo stesso, il modello teologico che, anziché
venir impostato a partire da Cristo, ha assunto
altri criteri di riferimento, compromettendo la
comprensione cristiana delle cose.
a) La teologia del duplice ordine:
la distinzione natura - soprannatura
 la perdita del riferimento cristologico risale sin
nell’impostazione patristica con la
separazione tra il Cristo redentore e il CristoLogos creatore (= la questione anti-ariana)
 la tendenza si è consolidata in epoca
moderna, fino a fissarsi rigidamente nella
separazione tra fede e ragione, tra
rivelazione e comprensione razionale o
“naturale” del mondo.
 tale separazione fede-cultura viene
esplicitamente formalizzata con la cosiddetta
teologia del duplice ordine o del duplice fine
(naturale e soprannaturale), che ha trovato,
poi, una sua consacrazione sia nel Vaticano I
(1870) che nell’enciclica Aeterni Patris (1879)
 la teologia del duplice ordine riconosce
all’uomo due possibili fini:
a) uno puramente naturale = la felicità
b) e l’altro soprannaturale, la visio beatifica.
Il primo raggiungibile con le sole forze della
natura, il secondo solo tramite la grazia.
si pensa che, di fatto, ci sia un livello
puramente naturale dell’esistenza, un “primo
piano” che tutti possono cogliere con la ragione
e che si può descrivere bene anche senza
Cristo. L’uomo può realizzarsi ad un livello
puramente umano, inteso come un minimo
comune denominatore riconoscibile da tutti
rispetto a questo, invece, si differenzia un
livello ulteriore: una felicità superiore,
soprannaturale, la comunione con Dio. Qui
si inserisce la novità dell’annuncio cristiano: un
dono che oltrepassa la natura, totalmente
gratuito ed inatteso.
Semplificando, questo è il ragionamento sotteso:
in un primo momento Dio ha creato l’uomo
 poi, successivamente, lo ha elevato ad un fine
soprannaturale, chiamandolo alla comunione
personale con Lui
 questo è un fine superiore alla natura: l’uomo
con le sue sole forze non potrebbe mai arrivarci.
Anzi, non potrebbe neppure sperarlo.
Il vantaggio di una simile distinzione sta nel
fatto che permette di cogliere più
efficacemente la “superiorità” della proposta
cristiana e la sua “gratuità”: è una possibilità di
pienezza ulteriore non necessaria, non
esigibile da parte dell’uomo e che appare
unicamente come dono.
 I limiti sono evidenti ed hanno lasciato un
notevole strascico sulla tradizione teologica.
Specie la questione della cosiddetta “natura
pura” che si impone per due ragioni storiche:
a) La polemica con Baio
b) Il confronto con la cultura moderna
a) L’ipotesi della natura si impone in seguito alla
controversia con Baio. Per la teologia era pacifico
affermare che la grazia è gratuita per l’uomo dopo il
peccato. Baio conferma tale convinzione, ma sostiene
che per Adamo, prima del peccato, la grazia
costituiva un dono “naturale”. Si pone così per la
teologia il problema di confermare la gratuità (e non
la con-naturalità) del fine soprannaturale nello Stato
Originario
Al di là della discussa interpretazione del pensiero di
Baio, l’esito obiettivo fu quello di elaborare l’ipotesi
della «natura pura» per tutelare la gratuità della grazia.
Si pervenne alla convinzione che:
la situazione originaria era gratuita, perché orientava
l’uomo a un fine nuovo, eccedente, non dovuto alla
natura umana, un fine soprannaturale appunto.
l’ipotesi della natura pura afferma, in linea
meramente teorica, che Dio avrebbe potuto
creare l’uomo solo con un fine puramente
naturale, per poter far meglio risaltare la
gratuità del fine soprannaturale a cui, in
realtà, è stato chiamato.
 Di fatto, poi, l’affermazione della natura pura
passò – inconsapevolmente - da ipotesi
teologica a “realtà storicamente realizzata”,
che venne assunta per definire l’uomo dopo il
peccato (poiché aveva perso i doni
“soprannaturali” della grazia originale),
dando così un ulteriore punto di appoggio alla
teologia del duplice ordine
b) la necessità di dialogare con la cultura
moderna, da cui la teologia assume la
visione “naturalistica” dell’uomo per
aggiungervi, in seconda battuta, la specificità
cristiana.
La teologia dei due ordini/fini appare, dunque,
strumento efficace – per quanto riduttivo, ai
nostri occhi – con cui cercare di instaurare un
rapporto con la cultura ambiente (a cui, in
realtà, si adegua).
• Queste veloci indicazioni suggeriscono la
complessità dei fattori che convergono nel dare
origine e consistenza a questo modello
teologico. Per quanto non condivisibile, si può
perlomeno comprendere il motivo per cui,
nell’impostazione dei trattati, si è potuto
parlare dell’uomo (sua creazione, origine,
struttura e fine) a prescindere da Gesù Cristo.
• L’uomo, infatti, poteva essere adeguatamente
definito dalla sua natura. Un simile
procedimento, però, non può essere accettato
ed occorre evidenziarne i limiti interni ed i
possibili esiti.
Esito?
Va constatato, infatti, che con un linguaggio
suggestivo (molte affermazioni sono in se
stesse buone e necessarie – anche se la loro
giustificazione rimane problematica)
si è prodotta una reale separazione nella
visione dell’uomo:
 un livello solo naturale
 ed uno successivo soprannaturale.
La radicalità di questo esito impone un
interrogativo: esiste veramente questa
distinzione?
Un simile dualismo è possibile grazie alla
cosiddetta “antropologia dei due fini”,
la novità di questo periodo che si impone come
comodo schema interpretativo
per la teologia cattolica:
«introducendo un fine naturale a fianco di quello
tradizionale soprannaturale F. Suarez e T. de Vio,
detto il Cajetano, modificheranno radicalmente il
paradosso medioevale di una creatura orientata a un
fine soprannaturale, eccedente le sue possibilità.
In ordine a questa antropologia, la grazia è pensata
come mezzo, come aiuto gratuito e necessario
insieme, per quel fine soprannaturale che supera
comunque l’uomo»
(G. Colzani)
In realtà, una distinzione logica (fatta per capire) è
stata elevata a livello sistematico
• l’ordine cronologico dello sviluppo storico (= «è
avvenuto così»: da creazione a peccato a grazia)
viene sovradeterminato a livello ontologico (= «la
realtà è così»: creazione + grazia)
 in questo modo, natura e soprannaturale sono
arrivate ad indicare due realtà distinte, addirittura
separate
 si è progressivamente imposta una separazione (non
più ad una semplice distinzione logica) tra un primo
livello umano, naturale, autosufficiente ed autonomo,
ed un secondo livello soprannaturale, dono divino,
che risalta nella sua gratuità, che resta indebito ed
indeducibile
 problematicità di tale scelta per la giustapposizione e
la non-necessità del legame tra i due momenti:
 la giustapposizione:
il soprannaturale resta letteralmente sopra-la natura,
è aggiunto, accostato ad una realtà che è già
consistente e completa in se stessa, dunque le rimane
estrinseco; il termine stesso evidenzia questa
distanza (sta “sopra”)
Che tipo di rapporto rimane tra i due momenti?
Sostanzialmente natura e soprannatura, fede e
ragione sono pensate come realtà separate e
definibili autonomamente: di qui l’estrinsecismo
che viene giustamente criticato a questo modello
teologico.
Per quanto, ci si sforzi di giustificarne la necessità, il
soprannaturale rimane un «di più», qualcosa
aggiuntivo e se ne potrebbe tranquillamente fare a
meno. Al limite, persino “inutile”.
 accettata come presupposto la separazione tra natura
e sopra-natura come recuperarne il nesso?
 conseguenza della giustapposizione è che il
soprannaturale appare anche non-necessario
 se ci arrivo, bene! Ho raggiunto una pienezza di vita
superiore, la felicità più grande; altrimenti, non importa:
dovrò accontentarmi di una felicità «minore», solo
naturale
 l’uomo può pensarsi e definirsi anche a prescindere
da Dio e da Gesù Cristo
 la giustapposizione di fede e ragione che ha condotto
solo all’estrinsecismo tra teologia e cultura
compromette anche la comprensione della persona
da una parte la persona è pensata in ordine al cosmo
e alla nozione di essere, più o meno come natura
(perdendo la sua chiamata originaria alla alleanza,
cioè alla comunione con Dio
dall’altra il riferimento cristologico non tocca
più la profondità della persona finendo per
mantenere il dono della grazia in termini
esteriori e accidentali.
In definitiva, si comprende sempre più la
ragione della lacuna cristologica, in questa
antropologia: il rapporto con Gesù Cristo
rimane un «di più», un qualcosa si separato
rispetto all’umano, e difficile da giustificare.
 si può ormai cogliere la ragione di questa teologia
impostata sulla categoria di «natura pura» che ha
elaborato una visione astratta, astorica dell’uomo,
dimenticandone l’originario riferimento a Gesù Cristo.
Le istanze in essa racchiuse erano e restano valide.
Ne è prova l’impegno profuso da numerosi teologi
nella celebre controversia de auxiliis, impegnata nella
difficile - ed apparentemente irrisolvibile conciliazione tra grazia e libertà.
Da un lato, infatti, si deve salvaguardare il primato e
la gratuità della grazia, ma dall’altro anche la
consistenza e l’autonomia della libertà: si ha la
preoccupazione che la grazia non pre-determini la
vicenda della libertà, ma neppure che la libertà
possa fare a meno della grazia.
Simili istanze sono corrette e necessarie per la teologia
cattolica, che rifiuta a più riprese la scelta unilaterale
per l’una o per l’altra, senza però arrivare ad elaborare
una proposta che le sappia tenere insieme
armonicamente.
A questo punto, è corretto pensare che il problema non
stia tanto né nelle esigenze né nelle critiche avanzate
dalle due differenti linee, bensì dal presupposto
iniziale. Entrambe le linee, infatti, hanno assunto come
punto di partenza – accettandolo acriticamente, però –
la separazione tra grazia e libertà, così come tra
natura e sopranatura, trovandosi poi nella difficoltà di
ricostruire e giustificare il loro rapporto.
Se, invece, si mettesse in questione la premessa?
 Se il punto di partenza non fosse la
separazione?
Una volta definite separatamente – non solo
“distinte” –, grazia e libertà, natura e
sopranatura, occorre trovare un punto di
unione: ma resta sempre l’impressione di un
legame estrinseco, se non aggiuntivo.
Efficace in questo la critica di Rahner che
evidenzia la “pretesa” di poter definire, da un
lato, ciò che è naturale e, dall’altro, ciò che è il
soprannaturale da aggiungere.
 Ma come definire il limite tra l’uno e l’altro?
Sopra-natura?
?
natura
Dove porre il limite?
Sono realmente circoscrivibili?
 Questi due interrogativi, per quanto elementari,
mettono in luce la contraddizione insita nel
presupposto iniziale.
 All’opposto, Rahner critica l’assunzione di questo
punto di partenza, accettato acriticamente dalla
teologia di fronte alla cultura moderna.
 Al suo posto propone una visione “unitaria” tra
grazia e libertà: all’inizio non si dà una natura a cui,
poi, in seconda battuta, si aggiunga il dono della
grazia. Piuttosto l’uomo esiste da sempre nella
grazia, è un «esistenziale soprannaturale».
 Questa è la categoria sintetica proposta da Rahner,
con la quale intende indicare la convinzione che la
libertà umana non si dà mai se non all’interno di
un contesto di grazia, anzi questa ne è il
fondamento originario.
Così il problema si trova impostato
diversamente ed apre le contraddizioni del
precedente modello a nuove soluzioni
lo sbocco definitivo si avrà nel momento in cui
natura e soprannaturale saranno definiti non a
partire da qualche precomprensione esterna
alla rivelazione, ma da Gesù Cristo stesso.
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