Galileo Galilei
Sensate esperienze e necessarie
dimostrazioni
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Galilei e la rivoluzione scientifica
Si chiama «rivoluzione scientifica» un avvenimento nella
storia della cultura nel quale cambia in modo relativamente
rapido il modo di considerare la realtà e si modificano i
fondamenti del sapere.
Esempio primario di rivoluzione scientifica è quello che
vede l’affermarsi con Copernico (De revolutionibus orbium
coelestium, 1543) del sistema eliocentrico, che offre
un’immagine molto diversa del sistema dei pianeti rispetto
alla precedente tradizione cosmologica aristotelicotolemaica.
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Da Copernico a Bruno
Gli studi copernicani mettono in forse alcuni fondamenti
dell’astronomia tradizionale che coinvolgono principi più
generali della scienza fisica, considerati come assodati fino
al Cinquecento: per esempio la distinzione tra mondo
terrestre e mondo celeste e l’esistenza della quint’essenza
(etere). Alle considerazioni di Copernico si associano sul
piano filosofico gli studi di Giordano Bruno (1548-600) che
arrivano a ipotizzare l’esistenza di infiniti mondi in un
universo infinito: una concezione che ancora si discosta
significativamente dal modello aristotelico di universo
chiuso e finito.
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Da Bacone a Galilei
Sotto il profilo metodologico, in contrasto con il sapere tradizionale fondato
sul ragionamento deduttivo, degradante da primi principi conosciuti tramite
un’intuizione «induttiva», si pone con Francis Bacon (1561-1626; Instauratio
magna, 1626 ) l’idea che vero sapere non vi può essere se non attraverso
un’induzione metodologicamente controllata. Questa risale progressivamente
dalla raccolta di dati ottenuti tramite l’osservazione della natura fino a verità
sempre più universali. Tali verità trovano il loro fondamento esclusivamente
nei dati osservativi e poco o nessuno spazio è riservato alle deduzioni non
controllate osservativamente. Nell’elaborazione di tale metodo Bacon elabora
una serrata critica dell’orientamento aristotelico. Malgrado le sue proposte
positive non vengano poi riprese dai successivi ricercatori, questa critica
contribuisce a creare un clima in cui si avverte che le scienze del passato
stanno crollando a favore di un nuovo modo di pensare. Sarà Galileo a dare a
questa sensazione il carattere di un evento reale ed epocale.
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La vita e le opere
• Galileo Galilei nasce a Pisa nel 1564. Nella sua città studia
matematica e legge i classici latini e greci
(particolarmente importante risulterà per lui Archimede).
• Dal 1592 al 1610 diventa insegnante di matematica
all’università di Padova, famosa per gli studi naturalistici
ad impronta aristotelica. Qui commenta gli Elementi di
Euclide e aderisce al copernicanesimo.
• Sempre a Padova perfeziona il cannocchiale, uno
strumento inventato in Olanda e da lui reso adatto agli
studi astronomici.
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La vita e le opere 2
• A Padova infine pubblica i risultati delle sue ricerche
astronomiche nel Sidereus nuncius del 1610.
• Acquisita molta notorietà viene chiamato a Pisa,
diventando primo matematico del granduca Cosimo
II de’ Medici.
• Del 1613-15 sono le Lettere copernicane su scienza e
fede, ma nel 1616 la Chiesa condanna ufficialmente il
copernicanesimo e intima a Galilei di non insegnare
tale dottrina.
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La vita e le opere 3
• Nel 1623 pubblica Il saggiatore, un testo polemico
sul tema della natura delle comete nel quale, pur
prendendo una svista notevole sul tema (nello
specifico avevano infatti ragione il gesuita Grassi e
Tyco Brahe che egli voleva confutare), espone alcune
idee fondamentali sul metodo della scienza e sulle
qualità primarie e secondarie dei corpi naturali.
• Nello stesso anno (1623) diventa papa Urbano VIII
che egli conosceva da tempo e che aveva mostrato
tolleranza e interesse scientifico.
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La vita e le opere 4
• Nel febbraio 1632, confidando nella benevolenza papale,
pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo nel
quale mette a confronto le dottrine cosmologiche tradizionali
con quella copernicana, facendo emergere, pur con la dovuta
prudenza, le sue preferenze per il prete polacco.
• Nel settembre 1632 si muove il Sant’Uffizio, cioè l’ufficio
vaticano che sorveglia sull’ortodossia delle dottrine insegnate
nei paesi cattolici, chiamandolo a Roma. Recatosi a Roma nel
1633 è accusato di aver estorto fraudolentemente l’imprimatur
al suo Dialogo, tacendo del precetto di non insegnare il
copernicanesimo al cui rispetto egli era obbligato. Il processo si
conclude con l’abiura del filosofo, la ritrattazione delle sue
dottrine e la formale condanna al carcere.
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La vita e le opere 5
• Trasferito a Siena viene accolto con amicizia dal cardinal Antonio
Piccolomini e successivamente viene trasferito nella sua villa di Arcetri agli
arresti domiciliari, una pena tutto sommato molto lieve per i tempi
(anche se la notizia spaventa molti intellettuali europei, tra cui Cartesio,
che appena avutala, rinuncia alla pubblicazione di alcuni suoi testi
scientifici).
• Ad Arcetri, assistito dalla sorella suora e poi dall’allievo Vincenzo Viviani
può continuare le ricerche, nonostante le sue condizioni di salute si
aggravino. La considerazione del suo stato di salute e la morte della sorella
convincono le autorità ad ammorbidire l’ingiunzione di vivere ritirato, e a
permettergli un maggiore contatto con l’esterno.
• Del 1638 sono i Dialoghi sopra due nuove scienze. Muore l’8 gennaio 1642.
• Nel 1822 le opere galileiane vengono espunte dall’Index librorum
prohibitorum della Chiesa e nel 1979 viene riconosciuto dall’autorità
ecclesiastica il sostanziale errore nella pronuncia della condanna.
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La peculiarità galileiana
Le caratteristiche fondamentali dell’indagine galileiana della realtà
sono le seguenti:
• Il campo d’indagine: la natura. La filosofia galileiana è filosofia della
natura, improntata a ricercarne il funzionamento, la struttura e la
relazione tra i fenomeni che essa ci presenta. Essa dà l’impronta a
quella che propriamente dopo di lui diventeranno specifiche
branche del sapere distinte dalla filosofia, cioè la scienza naturale,
la fisica e l’astronomia.
• Il principio interpretativo di fondo della natura, secondo cui essa
parla un linguaggio matematico-geometrico e dunque la sua
conoscenza deve essere basata su una rigorosa misurazione
quantitativa.
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La critica agli aristotelici
Galileo conobbe molto bene la tradizione aristotelica
padovana e in generale il modo di indagare degli esponenti
della scienza ufficiale del tempo, i quali invece che
promuovere un’indagine veramente imparziale sui fenomeni
naturali, sembravano attenersi più spesso al principio di
autorità, quasi che le osservazioni di Aristotele – del quale è
riconosciuta la grandezza e genialità – fossero definitive e
incriticabili. Tutto ciò, mentre lo stesso Aristotele converrebbe
nel modificare le sue opinioni se l’esperienza – che deve
sempre guidare l’indagine – ne dimostrasse l’infondatezza.
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L’esperienza e la dimostrazione
L’esperienza guida l’indagine scientifica ma è monca senza
il ragionamento: in ciò Galileo riprende un modo di vedere
che stava facendo breccia nei ricercatori e nei filosofi
europei del tempo (cfr. per esempio Bacon), pur nelle
diverse prospettive teoriche di ciascuno.
Dunque l’esperienza è necessaria, così come è necessario il
ragionamento (diremmo è indispensabile l’induzione ma
anche la deduzione).
Ma di che esperienza si tratta e di quale
dinamica del ragionamento?
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La sensata esperienza
L’esperienza deve partire dai sensi ma deve al
tempo stesso essere metodica e scrupolosa:
questi sono i significati della parola «sensata».
L’esperienza va a costruire cioè alcune ipotesi
generali. Ma essa, come in Bacon, deve
ripudiare ogni frettolosità, perché i principi o
assiomi di una scienza devono essere ben
fondati.
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Che cosa cercare
Per garantirsi circa la bontà delle ipotesi sulla natura è
necessario limitare le nostre pretese conoscitive. Non
dobbiamo infatti ricercare l’essenza delle cose «il che
cosa è» una cosa, la baconiana ipsissima res con le sua
qualità fondamentali, cosa che ha ancora un sapore
aristotelico, bensì «certe loro affezioni o aspetti» come
il moto, il luogo, la figura».
Insomma bisogna cercare il «come», ossia una
descrizione dei fenomeni che si concentri sul loro
comportamento misurabile.
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Qualità primarie o secondarie
A tal fine bisogna distinguere nelle cose le proprietà soggettive e
qualitative, che dipendono appunto da come il soggetto si
rivolge alla realtà e dallo stato in cui il soggetto si trova, da quelle
oggettive e quantitative, che riguardano l’oggetto a prescindere
dalle condizioni personali del ricercatore.
La prime sono le qualità come il salato o il dolce, il caldo o il
freddo, il piacevole o il doloroso, il tenue o il consistente, il
chiaro o lo scuro, il silenzioso o il rumoroso; le altre sono
caratteristiche quantitative e misurabili, come appunto la figura,
il moto, l’estensione, la figura. Le prime qualità vanno studiate
solo «riducendole» alle seconde e nella misura in cui ciò è
possibile farlo.
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I due «strati» della natura
Con tale riflessione sulle qualità soggettive e oggettive si va
oltre lo strato immediatamente superficiale della nostra
percezione, cercando delle caratteristiche più profonde, uno
strato più profondo della natura che ci permette di compiere
deduzioni rigorose e ragionamenti sicuri. Questa visione
riprende in chiave moderna, l’antica concezione platonicopitagorea secondo cui la struttura profonda della realtà ha un
carattere matematico. Dunque tra Platone e Aristotele,
Galileo sceglierebbe sicuramente Platone, probabilmente
risentendo del clima di rinascita degli studi platonici che aveva
caratterizzato tutto il rinascimento fiorentino.
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La matematica
Le proprietà quantitative sono oggetto della matematica, che definisce in
modo preciso i suoi oggetti, dei quali pertanto possiamo avere concetti precisi
che non variano a seconda del nostro stato soggettivo: mentre un oggetto noi
lo sentiamo caldo se veniamo da un ambiente più freddo, ma freddo se
veniamo da un ambiente più caldo, se noi riusciamo a quantificarne la
temperatura, cioè a misurare in una scala la dilatazione di un corpo, come il
mercurio, che ha un comportamento costante in determinate condizioni di
calore, noi riusciamo ad avere un concetto stabile del calore del corpo. Così
siamo andati oltre il suo aspetto immediatamente qualitativo e abbiamo
ridotto le sua qualità a precise quantità, con cui possiamo lavorare per
valutare il comportamento dei corpi, la loro misura, il loro volume, in
diverse condizioni ambientali. In questo modo lavoriamo ora con la
matematica e non più con le nostre soggettive sensazioni.
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Conoscenza extensive e intensive
Con la matematica e la geometria noi abbiamo un concetto
delle cose che, dal punto di vista della correttezza e
precisione (intensive = intensivamente), è pari a quello
divino. Infatti la somma degli angoli interni di un triangolo è
uguale a uno piatto per tutti, uomini, angeli, Dio, così pure è
il risultato dell’addizione 2+2. La differenza tra la
conoscenza divina e quella umana sta nella sua estensione
(extensive=estensivamente): mentre Dio conosce tutto ciò
che è possibile conoscere (tutti i teoremi, tutte le figure, il
funzionamento di tutti i fenomeni), noi ne conosciamo solo
una parte.
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Dall’esperienza alla legge generale e
dalla legge all’esperimento
Dall’esperienza depurata dei suoi aspetti qualitativi, io posso trarre
induttivamente un’ipotesi di legge generale (il corpo X si comporta nel
modo Y) sempre formulata in termini matematici. Tale ipotesi va
confermata sperimentalmente: è necessario verificare di nuovo
nell’esperienza la validità dell’ipotesi fatta. In che modo si procede alla
verifica? Bisogna costringere la natura, incalzarla, in modo che essa dia le
risposte che vogliamo.
Questo è l’esperimento: una sorta di interrogatorio al quale noi
sottoponiamo la natura alle condizioni che noi decidiamo. Così noi
conduciamo la natura a rispondere in base alle conseguenza che noi
deduttivamente traiamo dall’ipotesi. Se la natura risponde producendo i
fenomeni che noi prevediamo in base all’ipotesi, allora l’ipotesi è
confermata e diventa legge.
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Le condizioni dell’esperimento
Nell’esperimento si ricreano artificialmente delle condizioni in cui
si fa accadere il fenomeno studiato. L’artificio sta nell’aumentare le
possibilità di osservare il fenomeno, escludendo la maggior parte
degli eventi che non interessa conoscere e che, in condizioni
naturali, disturberebbero l’osservazione, oppure controllandone la
stabilità (ma questa è una clausola esplicitamente definita dopo
Galilei, la clausola ceteris paribus secondo cui è possibile stabilire
una connessione precisa tra un fenomeno e un altro quando si è
sicuri che tutte le altre condizioni non si sono modificate e quindi
che non sono altre le cause del mutamento del fenomeno oltre
quelle da noi osservate).
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Lo strumento
Nell’esperimento ha funzione importantissima la strumentazione
che concorre a creare le condizioni migliori di osservabilità del
fenomeno. Essa è utilizzata per aumentare e moltiplicare le
capacità dei sensi, in modo da poter condurre osservazioni
altrimenti impossibili. La scienza è dunque legata alla tecnica,
perché dalle capacità tecniche di produrre strumenti sempre più
raffinati, dipende il suo progresso. Viceversa le conoscenze
scientifiche contribuiscono a migliorare gli strumenti. Dunque tra
scienza e tecnica vi è stretta interdipendenza, pur rimanendo a
Galilei ben chiaro che le due discipline appartengono ad ambiti
diversi: la scienza costruisce modelli teorici della realtà, la
tecnica li applica al mondo naturale.
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Le condizioni perfette
A volte non è possibile ricreare artificialmente un ambiente
ideale, perché gli strumenti a disposizione non lo
consentono. Per esempio per Galilei era molto difficile
ricreare il vuoto per sperimentare esattamente la caduta
dei gravi o l’oscillazione di un pendolo. In questo caso
sarebbe stato necessario eliminare «mentalmente»
l’impedimento, dopo avere riprodotto condizioni il più
possibile vicine a quelle ottimali, integrando con una
prudente e rigorosa astrazione quanto nell’esperimento
non era possibile costruire.
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La legge
Una volta verificata l’ipotesi, cioè ottenuta la
conferma che il fenomeno studiato effettivamente
si comporta nel modo descritto dall’ipotesi, si può
formulare la legge generale, la quale permette di
prevedere il comportamento futuro di fenomeni
analoghi,
senza
ulteriormente
ricorrere
all’esperienza per verificarli, perché la legge,
confermata dall’esperimento, ha un valore di
necessità matematica assolutamente irrefutabile.
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Metodo e ricerca
La consapevolezza metodologica di Galilei procede di
pari passo con le sue scoperte scientifiche. Non
accade cioè che egli prima elabori il metodo e poi lo
applichi, ma il metodo viene consolidandosi
progressivamente nel corso delle sue ricerche sulla
natura, tanto che non abbiamo un testo «Sul metodo
scientifico» in Galilei, ma una serie di considerazioni
metodologiche sparse nei vari scritti in cui egli
comunica e giustifica i risultati delle sue indagini.
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La nuova immagine del mondo di
Galilei
Le indagini galileiane portano a conclusioni rivoluzionarie
rispetto alle convinzioni scientifico-naturalistiche del
tempo, in armonia con le scoperte copernicane che dallo
studioso italiano vengono confermate.
Nel Sidereus nuncius del 1610, per esempio, grazie
all’applicazione dello strumento del cannocchiale, Galilei, si
accorge dell’irregolarità della superficie lunare, cosa che
mina la teoria aristotelica secondo cui i corpi celesti sono
fatti di una materia speciale, l’etere, diafana, regolare,
perfetta, e quindi diversa dalla materia del mondo terrestre.
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Sidereus nuncius
Come la Luna ha una superficie irregolare, gli altri pianeti sono per loro
natura tenebrosi, quindi sono probabilmente composti della stessa
materia della Terra. Ciò appare confermato dallo studio delle fasi di
Venere, condotto dal Pisano
Accanto a ciò, Galilei scopre quattro satelliti di Giove (da lui chiamati
«pianeti medicei») dimostrando che la Terra non è l’unico centro di
moti planetari, come sosteneva Aristotele.
La macchie solari, osservate da Galilei dimostrano inoltre, con il loro
apparire e sparire, che i corpi celesti sono soggetti a mutamento e che
quindi sono corruttibili, a differenza di quanto pensava Aristotele circa
l’etere.
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Copernico contro Aristotele
Le nuove idee di Galilei vengono approfondite nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo in cui l’Autore, mette a confronto il sistema aristotelico-tolemaico con quello
copernicano, finendo per sostenere, pur con molta prudenza (una prudenza che non gli
risparmierà gli attacchi del Sant’Uffizio), il secondo.
Il dialogo è impostato in modo che i tre partecipanti rappresentino ciascuno una posizione
cosmologica diversa. I personaggi più importanti sono Salviati (Filippo Salviati 1582 – 1614,
scienziato appartenete alla nobiltà fiorentina) , portavoce delle nuove teorie copernicane e
Simplicio (nome di fantasia, con un riferimento commentatore aristotelico e matematico
bizantino Simplicio di Cilicia, 490-560, ma forse anche nome evocativo da un lato alla
semplicità di coloro che non vogliono approfondire le dottrine tradizionali, dall’altro alla
falsa semplicità delle osservazioni naturalistiche basate sui soli sensi) difensore della
tradizione. A mediare tra i due vi è Sagredo (Giovan Francesco Sagredo, 1571 – 1620, nobile
veneziano, medio intenditore di scienze), il quale ha la funzione di rappresentare il lettoretipo del dialogo, le sue domande e le sue curiosità.
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Lo sviluppo del Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo
Il Dialogo si sviluppa in quattro giornate.
1) Nella prima si delineano le posizioni in campo (Copernico e Aristotele) e si
comincia a criticare la distinzione aristotelica tra mondo terrestre e
celeste.
2) Nella seconda si tratta del moto di rotazione giornaliera della Terra sul
proprio asse, e si dimostra in base al principio della relatività del moto –
secondo il quale in un ambiente che si muove di moto uniforme, e in cui
tutti i corpi sono solidali con il moto uniforme dell’ambiente, i corpi si
comportano come se l’ambiente fosse fermo – che tale movimento
avviene, malgrado le persone al suo interno non l’avvertano (per esempio
non avvertono il «vento» che si percepisce quando ci si sposta, o non
vedono che i corpi in caduta giungono a terra spostati rispetto alla
perpendicolare). Ovviamente anche questa dimostrazione va nella
direzione contraria alle idee di Aristotele, secondo cui la Terra era
immobile al centro dell’universo.
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Il Dialogo 2
Nella terza giornata si discute del moto di rivoluzione
della Terra attorno al Sole, cominciando a citare come
sostegno dell’ipotesi il fenomeno delle maree. Anche
tale idea, introdotta originariamente da Copernico,
sconfessa la dottrina aristotelico-tolemaica secondo cui
il Sole ruotava intorno alla Terra e non viceversa.
Nella quarta giornata si cerca di sostenere che la
dinamica delle maree è dovuta alla combinazione dei
moti di rotazione e di rivoluzione della Terra.
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La nuova fisica
Ovviamente se bisogna abbandonare la cosmologia
aristotelica, è necessario riformulare anche la fisica che
fondava il discorso cosmologico. In particolare viene meno
con Galileo la dottrina dei luoghi naturali e dei cinque
elementi, quattro sublunari e uno celeste, costitutivi
dell’universo. I luoghi naturali spiegavano il moto dei corpi e la
loro direzione: secondo Aristotele proprio perché il luogo
naturale della Terra, data la sua composizione appunto
terrestre, è il basso, essa è al centro dell’universo e le sfere
dei pianeti girano attorno… e proprio perché è nel suo luogo
naturale la Terra è ferma.
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Il luogo e il vuoto
Con il concetto di luogo naturale cade anche quello
di luogo come terminus primus continentis
immobilis, cioè come primo contenente immobile
di ciò che è contenuto. Al posto del luogocontenitore che presuppone sempre un contenuto
e che semplicemente situa il contenuto senza
differenziarsi da esso, si impone l’idea di luogo
come spazio vuoto in cui si muovono i corpi.
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I Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze
In particolare nei Discorsi viene criticata l’impossibilità
aristotelica del vuoto, adombrando una soluzione
atomistica per quanto riguarda la costituzione della
materia. Questo attiene alla nuova scienza che egli
chiama statica.
La possibilità del vuoto è la condizione «ideale» che
permette di sperimentare la caduta dei gravi
constatando che la loro velocità non dipende dalla
massa ma è costante per ogni corpo.
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I Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze 2
Nella seconda parte del testo Galilei parla della
dinamica, cioè specificamente dello studio dei
moti uniforme e uniformemente accelerato o
ritardato, giungendo ad una prima formulazione
del principio d’inerzia secondo cui un corpo
permane nel suo stato di moto o di quiete fino a
quando non intervenga una qualche forza a
modificarlo.
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L’inizio della scienza moderna
Tutto ciò costituisce un passo decisivo in
direzione della specializzazione della scienza e
della sua consapevolezza che Newton porterà
poi alla sua compiutezza classica, quale ancora si
studia nelle scuole.
Tale sviluppo non è stato, nel caso galileiano,
privo di difficoltà, come si è visto, con la Chiesa
cattolica.
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Scienza e fede: la questione
Il problema dello scontro tra le nuove dottrine
copernicane e galileiane e la fede è da ritrovarsi
nell’enorme sforzo compiuto dalla riflessione cristiana per
dimostrare, in origine, la compatibilità della nuova fede
con il sapere elaborato dai filosofi greci e latini. Questo
sforzo di dare una dignità filosofica al cristianesimo,
dimostrando la sua razionalità, aveva comportato
l’assunzione entro una medesima immagine del mondo
non solo della metafisica, ma anche della fisica greca,
cioè della sua «scienza naturale».
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Scienza e fede: la questione 2
L’itinerario per dimostrare la piena compatibilità della ragione
con la fede si era concluso dunque con un esito positivo ma
era anche andato al di là di quanto strettamente necessario.
Ciò significa che non solo si era riusciti a esibire l’armonia tra
la concezione metafisica del mondo propria dei greci e dei
cristiani, relativamente cioè al senso complessivo della realtà
e alla necessità di un suo fondamento ultimo che fosse
all’origine dell’armonia, bellezza, ordine delle cose, ma si era
giunti fino ad acquisire le conclusioni della scienza fisica nei
suoi particolari come se fosse essa stessa parte integrante e
indispensabile di una visione cristiana delle cose.
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Scienza e fede: la questione 3
Per tale motivo nel crollo del sistema della fisica aristotelica
si è potuto vedere il crollo dell’immagine del mondo
cristiana.
Per questa ragione un uomo come Giovanni Calvino può
affermare: «Chi avrà l’ardire di anteporre la dottrina di
Copernico a quella dello Spirito Santo?» e un raffinato
intellettuale come Roberto Bellarmino, che conosceva Galilei
e non era insensibile agli stimoli intellettuali della scienza dice:
«Consideri hora lei, se la Chiesa può sopportare che si dia alle
Scritture (accettando le dottrine copernicane, n.d.r.) un senso
contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci et latini».
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La soluzione galileiana
Anche per Galilei, che era sinceramente cattolico, il problema non è
di poco conto. Il suo tentativo di soluzione è quello di mantenere
come veri e corrispondenti alla realtà delle cose i risultati della
nuova scienza fisica, ma di separare gli ambiti di interesse. La
Bibbia non è un trattato di astronomia, dice Galilei: gli autori della
Scrittura non hanno mai preteso di insegnare la costituzione dei
cieli e i movimenti delle stelle.
Quando ne hanno parlato, lo hanno fatto dando alle parole una
finalità didattica, ossia scopi morali o soteriologici, non una finalità
descrittiva dei fenomeni fisici, per i quali Dio ha dato all’uomo
l’ingegno e la voglia di ricercare. Ciò vale per qualsiasi altra scienza
dei fenomeni naturali.
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38
La soluzione galileiana2
Insomma la Bibbia ci ha spiegato COME si vada in cielo, non il modo in cui il
cielo (materiale) sia fatto e quali leggi lo regolino. Anche perché essa mai
sarebbe «entrata in un dibattito scientifico», laddove le proposizioni possono
essere contraddette da nuove esperienze, mentre nel campo proprio della
Bibbia, cioè la salvezza dell’uomo, non vi è possibilità che le sue affermazioni
siano mai falsificate. Per tale motivo le affermazioni cosiddette scientifiche
della Bibbia vanno interpretate in senso figurato, a causa del fatto che il
linguaggio biblico utilizza a volte per farsi capire dai popoli non acculturati,
cognizioni del loro senso comune molto lontane dai risultati di una ricerca
rigorosa sulla realtà. E il senso figurato ritrova dietro le immagini
«scientifiche» della Bibbia il loro significato morale o salvifico, nel quale
risiede l’intenzione ultima dell’autore sacro. Dunque la Bibbia non è
strumento con cui valutare la scienza, ma per mezzo del quale giungere a
salvezza, dimodoché le affermazioni scientifiche risultano indifferenti alla
sua autorità.
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La soluzione galileiana 3
Pertanto Galilei stabilisce l’autonomia della
scienza dalla fede, separando quegli ambiti che
lo
sforzo
riflessivo
medievale
aveva
indebitamente unito. In tal maniera egli può
affermare la verità di entrambe: verità della
scienza nel descrivere i fenomeni secondo un
metodo matematico; verità della Scrittura per
indicare all’uomo la via per la salvezza.
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La soluzione di Bellarmino
Diversa è la soluzione proposta da Bellarmino. Egli riprende quanto
l’intellettuale protestante Osiander aveva scritto nella prefazione del De
revolutionibus orbium caelestium di Copernico, sostenendo che si possa
benissimo dire che il sole è al centro e la Terra gira intorno al fine di «salvare
le apparenze meglio che con il porre gli eccentrici et epicicli», ma che tale
parlare può essere solo ex suppositione e non deve affermare che le cose
stiano esattamente così. Io posso supporre che, con un determinato modello
scientifico-matematico, la descrizione dei moti dei pianeti funzioni meglio, ma
mi rivolgerei contro i Padri e le Scritture se sostenessi l’opinione che questa
fosse la vera e assoluta rappresentazione dei fenomeni «reali», cioè
realmente esistenti nella natura creata da Dio. Dunque lo scienziato
«copernicano» deve parlare «come se» le cose stessero nel modo da lui
descritto, lasciando invece alle Scritture e alla filosofia classica che le
interpreta il compito di indicare la vera realtà delle cose. Tale impostazione è
stata chiamata strumentalistica.
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Strumentalismo o realismo
Per strumentalismo si intende una dottrina che ritiene le teorie
scientifiche modelli strumentali per rappresentare il mondo in modo
da poterne prevedere i fenomeni e calcolarne l’andamento, senza la
pretesa di dire come i fenomeni veramente funzionino e che cosa essi
siano.
Lo strumentalismo di Bellarmino si scontra con il realismo di Galilei
che, malgrado abbia prudentemente adombrato un’ipotesi
strumentalistica su consiglio dei revisori del suo Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, sempre ha fatto capire, nel corso delle sue
ricerche, che egli si affidava ai loro risultati come ad una verità reale
sulle cose, e non come ad un modello interpretativo più agile e
funzionale.
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Modernità dello strumentalismo
Nel corso dello sviluppo della scienza si è tuttavia giunti alla consapevolezza che i vari
e sempre più numerosi modelli di interpretazione della realtà fenomenica da essa
offerti non potevano sempre essere decisi in modo sicuro da esperimenti che
confermassero definitivamente un modello piuttosto che l’altro. La soluzione molto
spesso poteva venire da altre suggestioni come la funzionalità, semplicità, eleganza,
applicabilità tecnica di una teoria, piuttosto che dalla sua aderenza alla realtà. Questi
ultimi fattori, insieme talvolta anche agli interessi sociali, economici, politici ruotanti
attorno alla scienza hanno pesato molto nella scelta di una teoria scientifica piuttosto
che di un’altra. Per tale motivo nel Novecento si è proposta anche la soluzione
strumentalistica come una possibilità di capire quale fosse il criterio che doveva usare
la scienza per progredire: la dottrina che meglio funzionava, che appariva più
coerente e convincente, e soprattutto più capace di fare previsioni e più utile agli
copi dell’uomo, doveva essere scelta, senza interessarsi necessariamente alla sua
verità (qualcuno dice: “Lasciando la questione della verità nelle mani di chi, filosofo o
teologo che sia, ha tradizionalmente maggiore dimestichezza con il concetto”).
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