Lessico famigliare
di Natalia Ginzburg
Luigi Gaudio
Natalia Ginzburg (1916-1991)
Lessico famigliare è un romanzo del
1963, che riguarda la vita di Natalia
dagli inizi degli anni venti agli inizi
degli anni cinquanta.
Questa è una storia vera, come scrive
l’autrice nella prefazione.
Come un memoriale
È un diario scritto a posteriori, un
memoriale che risente di Proust per il
genere, ma non per lo stile. Del resto
la madre Lidia fu una delle prime
lettrici di Proust in Italia, e Natalìa
tradusse Alla ricerca del tempo
perduto in italiano.
Come un memoriale
Comunque, i fatti non sono narrati in
ordine strettamente cronologico, ma
seguono il flusso dei ricordi. Non c’è
quindi coincidenza tra fabula e
intreccio, in quanto presente, passato
e futuro si confondo e si
sovrappongono come nel
grande modello francese.
Come un memoriale
Ci sono continue retrospezioni (ad
esempio la morte di Leone Ginzburg,
cui accenna con un semplice “e non
lo vidi più” molto discreto, viene
narrata quando ormai Natalìa parla
del dopoguerra)…
Come un memoriale
… e anticipazioni (es. Balbo per
Natalìa e Adriano Olivetti per Paola
non acquistano subito il valore che
avranno poi nella loro vita, ma quel
ruolo viene anticipato).
Come un memoriale
Il flusso dei ricordi è continuo, tanto è
vero che il libro non è diviso in
capitoli: ci sono solo degli stacchi
narrativi, con un ampio spazio
tipografico bianco tra una riga e
un’altra.
Il titolo
Si parte da una intuizione
interessante. Tutti noi utilizziamo in
famiglia una serie di vocaboli che
hanno un significato particolare, che
solo i membri della famiglia
comprendono.
Il titolo
Quando poi ci troviamo a scrivere, o a
lavorare con le parole, dobbiamo,
ovviamente, correggere le storpiature,
normalizzare il nostro lessico, ma
forse lo impoveriamo, e rischiamo di
perdere così quel vocabolario tutto
particolare.
Stile e tecniche narrative
Come già detto, nel romanzo si
alternano piani temporali. Prevalgono
gli spazi chiusi (dalle “case” si
conosce anche la gente che le abita).
Si alterna un ritmo più veloce (scene,
ellissi e sommari) a parti più
dettagliate (pause, ricordi e
riflessioni).
Stile e tecniche narrative
A proposito di lessico, c’è da dire che
il linguaggio utilizzato da Natalìa,
anche quando non adopera i termini
tipici della sua famiglia, è sempre
molto semplice e chiaro.
Stile e tecniche narrative
Inoltre è più popolare e immediato
(anche informale) nei dialoghi, mentre
è più ricercato e formale quando la
narratrice espone le vicende e gli
episodi di vita in modo indiretto.
Romanzo autobiografico
Questo testo si inserisce all’interno
del genere del romanzo
autobiografico, in quanto Natalìa
parlando della sua famiglia parla di se
stessa, della sua formazione. Ci sono
quindi due Natalìe: una Natalìa
personaggio raccontato, e Natalìa
narratrice.
Solo storia di una famiglia?
No, questo libro rappresenta anche
uno squarcio sull’Italia a cavallo fra
due guerre (la prima e la seconda) e
due regimi (il fascismo e la
democrazia).
Solo storia di una famiglia?
Dalla casa dei Ginzburg passano
personaggi importanti della politica: i
socialisti del primo novecento (Turati,
che viene ospitato mentre scappa
dall’ Italia, Bissolati, Anna Kuliscioff, la
compagna di Turati)
Solo storia di una famiglia?
Dalla casa dei Ginzburg passano
anche uomini di cultura come Pavese,
agli industriali, come Adriano Olivetti,
uno dei primi a possedere
un’automobile, che del resto amava
condividere con chi ne aveva
bisogno.
Solo storia di una famiglia?
Sappiamo quale ruolo ha occupato poi
Adriano Olivetti nella ripresa economica
del secondo dopoguerra in Italia. Tuttavia
occorre non dimenticare che tutti gli
eventi, anche i più tragici, sono
relativizzati, sono vissuti attraverso
una prospettiva personale, la storia
pubblica è corretta, ingrandita
dalla lente della storia privata.
La struttura ad anello
Da notare la “circolarità” del testo.
Infatti, sia la prima, sia l’ultima parte
del romanzo sono caratterizzate dal
“lessico famigliare”, per cui anche gli
eventi dolorosi, i ricordi drammatici
assumono una veste diversa, sono
narrati con grande serenità d’animo,
come se fossero una fiaba.
La famiglia di origine
L’autrice in questo modo vuole farci
capire che, al di là delle altre
tematiche storiche, politiche e
culturali, ciò che caratterizza questo
libro è soprattutto quel linguaggio
conosciuto e usato dai membri della
famiglia.
La famiglia di origine
Il tema della famiglia sembra centrale
nella narrativa di Natalìa, che non a
caso scrisse anche “La famiglia
Manzoni”. Il personaggio principale
del romanzo infatti non è Natalia, e
neanche suo padre, o i suoi genitori,
ma la famiglia.
La famiglia di origine
Il matrimonio rappresenta
l’emancipazione dei figli dall’autorità
piuttosto burbera del padre, lo stacco
dalla famiglia di origine e la
costruzione di una nuova famiglia, e
infatti lui non li vede di buon occhio.
La famiglia di origine
Eppure, basta una delle frasi, delle
espressioni, delle parole “segrete”, ad
esempio la frase del padre “Non
siamo venuti a Bergamo per fare
campagna” la frase della madre “Ai
piccoli una mela, ai grandi il diavolo
che li pela” per ridare unità alla
famiglia di origine, evocando la
comunità di affetti e di intenti di un
tempo.
Il tono fiabesco
Si crea quindi un codice, un insieme
di “frasi famose” che riveste di una
patina fantastica anche i fatti
realmente avvenuti.
I personaggi
Non sono rigidi, ma sono soggetti a
cambiamenti, così come spesso
cambiano i giudizi su di loro, in base
agli eventi descritti. Nell’ultima parte
del nostro contributo approfondiremo
la conoscenza di alcuni di essi.
Il padre Giuseppe Levi
Questo personaggio è molto
interessante perché pieno di abitudini
insolite come fare la doccia fredda di
mattina (anche sua moglie lo fa),
oppure mangiare lo yogurt appena
alzato, che lui chiama “mezzorado”
Il padre Giuseppe Levi
Infatti un’altra sua particolarità è di
dare dei nomi inusuali, come
chiamare le barzellette “scherzettini” o
gli sci “ski”, oppure chiama “pipite” le
pellicine delle dita. È importante
anche la sua origine triestina: come
per la moglie, si capiscono così certe
storpiature in senso “veneto” date alle
parole.
Il padre Giuseppe Levi
Giuseppe è furibondo, sanguigno, ma
sincero, perché non si vergogna mai
di dire apertamente quello che pensa:
come quando insulta le amiche di sua
moglie che chiacchierano troppo,
oppure quando torna a casa da lavoro
con dei suoi colleghi e, per la strada,
si mette a gridare il suo pensiero su
tutti e su tutto;
Il padre Giuseppe Levi
per non parlare di quando, nel treno,
si è messo a tuonare che “la madre
del mezzorado non era nella borsa”
riferendosi al lievito per fare
fermentare lo yogurt o di come non
sopportasse gli “scherzettini”
(barzellette) tranne che i suoi.
Il padre Giuseppe Levi
È in pratica un po’ burbero, critica tutti
(si sente circondato da “sempi”, cioè
sciocchi), ma a tutti, nella profondità
del cuore, vuole un gran bene.
Il lessico di Giuseppe Levi
Altri termini usati da Giuseppe Levi, il
padre di Natalìa sono: malignazzo,
sempiezzo (stupidata), le mele
carpandue, malagrazia, potacci,
sbrodeghezzi, negro, negrigura,
salame, asino, trattamento (=portare il
tè agli invitati), babare e ciaciare (=
chiacchierare), impiastro.
Giuseppe Levi in Belgio
Durante la guerra Giuseppe Levi fu
costretto ad emigrare a Liegi, in
Belgio, per sfuggire all’arresto.
La madre Lidia
Come Giuseppe di origini triestine,
ma cattolica, questo personaggio è
caratterizzato dalla tranquillità, in
contrasto con il marito. È una donna
che ama chiacchierare con le amiche
(le Babe, come le chiama il marito) e
con i Lopez e i Terni, che invita
spesso a casa.
La madre Lidia
Lidia ama molto la famiglia, per la
quale ha rinunciato a finire gli studi di
medicina.
È una donna paziente, che
accontenta sempre il marito ed è
comprensiva.
La madre Lidia
Lidia si affeziona facilmente ai luoghi,
infatti ad ogni trasferimento, per
esempio da Palermo a Torino, o da
una via di Torino all’altra, non si vuole
staccare dalla vecchia casa, anche se
poi si innamora ancora di più della
nuova.
La madre Lidia
Al collegio era una ragazza vivace e
pimpante, piena di creatività e voglia
di divertirsi “Io son don Carlos Tadrid /
e sono studente in Madrid.” Questa è
una poesia che inventò lei e che tutti i
componenti della famiglia conoscono
a memoria.
Gino
È il figlio che ha sempre soddisfatto di
più il padre, sia perché amava la
montagna, sia perché aveva
intrapreso con successo gli studi
scientifici.
Mario
Fa arrabbiare molto il padre, perché è
critico nei confronti di Turati e dei
socialisti di inizio secolo. Per questo
motivo il padre lo riteneva un fascista.
In realtà Mario non lo era affatto, e fu
ricercato come cospiratore, perché
diffondeva opuscoli antifascisti.
Mario
Fu costretto quindi a emigrare in
Francia, mentre il padre e Gino
passarono qualche tempo in carcere
solo perché padre e fratello di un
cospiratore.
Mario
Mario approfondì in questo periodo, e
confermò nel secondo dopoguerra il
suo amore per la Francia, per tutto
quello che rappresentava la Francia,
contrapposta ad un’ Italia con una
scuola male organizzata, una politica
e una cultura statica e vetusta.
Alberto
È l’ ultimo dei fratelli, ed è anche il
meno diligente a scuola. Per questo
fa arrabbiare molto il padre. La madre
Lidia però cerca di far capire a suo
marito che gli amici di cui si circonda
Alberto sono intelligenti e antifascisti,
come Pajetta.
Alberto
Suo padre si arrabbiò anche quando
Alberto fu messo in carcere e rischiò
la corte marziale solo perché non era
rientrato in tempo in caserma, dopo
essere andato a “skiare” con una sua
amica. Per questo il padre lo
chiamava sempre “Mascalzone,
farabutto”.
Alberto
Si iscrisse poi alla facoltà di medicina,
ma il padre all’inizio non aveva
grande stima di lui come medico,
anche se lo era in effetti, perché
credeva che passasse gli esami solo
perché suo figlio. Si sposa poi con
Miranda. Il padre dovette poi
ammettere di aver sbagliato nei suoi
confronti.
Paola
L’unica sorella di Natalìa,
sposerà Adriano Olivetti, che
come suo padre, aveva i
capelli rossi, particolare molto
apprezzato in casa Levi,
assieme ovviamente
all’antifascismo, e ad una certa sobrietà.
Per cui anche se erano molto ricchi, gli
Olivetti non lo davano a vedere, e
vivevano in modo semplice.
La guerra (1939-1945)
Nei primi anni a Torino non si sentono
molte ripercussioni del conflitto.
Occorre aspettare il 1942 con i
bombardamenti e l’armistizio.
Leone Ginzburg (1909-1944)
All’epoca la moglie perdeva il
proprio cognome e assumeva
quello del marito. Una volta che si
sposa con quest’ebreo di origini
russe, Natalìa è per suo padre non
più Natalìa Levi, ma Natalìa Ginzburg.
Leone Ginzburg (1909-1944)
Singolare però il fatto che lei abbia
tenuto il cognome del marito anche
quando è diventata scrittrice,
testimonianza della profonda sintonia
umana con quell’uomo.
Leone Ginzburg (1909-1944)
In questo libro i sentimenti non sono
espressi in modo romantico o
passionale, ma molto discreto e
distaccato, eppure, paradossalmente
emerge ancora di più il legame profondo
con il marito, e il dramma di un uomo
che avrebbe potuto essere, per le sue
qualità, un grande uomo politico, ma fu
travolto dalla guerra e dall’ideologia al
potere opposta alla sua.
Cesare Pavese (1908-1950)
Le sue qualità, di grande
conversatore e uomo di compagnia,
emergono ancora di più in contrasto
con l’ isolamento e la scarsa capacità
di comunicazione di Pavese.
Cesare Pavese (1908-1950)
Si capisce così anche il suicidio di
Pavese, dovuto alla sua profonda
solitudine, alle paure angosciose e
mortali: Pavese, lo si capiva sin da
quegli incontri serali con Leone, non
amava la vita.
Giulio Einaudi (1912-1999)
Fonda la casa editrice negli
anni del fascismo, con la
collaborazione di Leone Ginzburg, tra
mille difficoltà. Frequenta casa Levi,
ma è sempre molto timido e riservato.
Giulio Einaudi (1912-1999)
Utilizzerà poi questa sua
caratteristica comportamentale per
mortificare le proposte editoriali che gli
vennero fatte nel secondo dopoguerra,
quando la sua casa editrice divenne una
delle più importanti.
Giulio Einaudi (1912-1999)
Del resto, diceva sempre Pavese,
“noi non abbiamo bisogno di nuove
idee, dal momento che già ne avevano
loro di idee”. Natalìa diventò poi
collaboratrice della casa editrice nel
secondo dopoguerra. Singolare il fatto
che nel romanzo non sia chiamato con il
suo nome, Giulio Einaudi, ma con il suo
appellativo di editore (editore anche di
“questo” libro).
Rognetta
È un personaggio quasi
complementare ai Levi, poiché
mentre loro si spostano molto
raramente da Torino, il Rognetta
invece viaggia frequentemente. I Levi
hanno spesso una visione distorta,
quasi paesana delle città, delle
nazioni, o comunque dei luoghi
lontani dall’ Italia.
Abruzzo
È la terra del confino della famiglia di
Natalia e di Leone: qui sono
ambientati gli ultimi momenti di
riunione dei genitori con i figli, prima
che Leone sia arrestato e portato a
Roma, dove poi sarà ucciso dai
tedeschi.
Le donne di servizio
La Natalina è per decenni la
domestica in casa Levi, e la Martina
in casa Ginzburg. Entrambe sono
trattate con molto rispetto. In
particolare Natalìa quando si sposa e
ha dei figli, riconosce il valore del
lavoro, e quindi si vergogna di
chiedere di lavorare alla Martina.
Lo zio demente e Silvio
In realtà chiamano così lo zio perché
curava i dementi, non perché fosse
demente lui. Silvio era un fratello della
mamma che si era tolto la vita, e che
viene spesso in mente a Lidia.
Barbison (Perego)
È uno zio materno, un personaggio
decisamente secondario, eppure il
romanzo si chiude con il suo nome. Se il
padre di Natalia dice “Ah non
cominciamo adesso col Barbison!
Quante volte l’ho sentita contare questa
storia!”. Sembra quasi alludere appunto
a quella struttura circolare della storia,
che può ricominciare daccapo, come un
ciclo che non finisce.
La formazione letteraria di
Natalìa
Natalìa inizia a scrivere novelle, che
fa leggere a Pitigrilli, uno scrittore di
successo all’epoca, che però faceva
praticamente da spia del regime. Fu
però Felice Balbo a guidare la
maturazione letteraria di Natalìa, con
le sue critiche pazienti e i suoi giudizi
illuminanti.
La formazione letteraria di
Natalìa
Balbo aveva una moglie che non
condivideva le sue idee, Lola, che
aveva lavorato nella casa editrice
Einaudi ed era stata incarcerata per
due mesi dai fascisti. Balbo e la
moglie si trasferiscono poi a Roma,
dove dimostrano di non sapere
educare i loro figli. Natalia si
trasferisce anche lei a Roma, e si
risposa.
La formazione letteraria di
Natalìa
La sua scrittura deve emanciparsi
dalla famosa ansia di scrivere che
sembrava cogliere tutti nel secondo
dopoguerra, dopo l’epoca del
“silenzio” del fascismo.
La formazione letteraria di
Natalìa
Ad un certo punto “Era necessario
tornare a scegliere le parole, a
scrutarle per sentire se erano false o
vere, se avevano o no vere radici in
noi”.
La formazione letteraria di
Natalìa
Da sottolineare questa urgenza di
verità della scrittura, e anche queste
radici, da contrapporre alla “comune
illusione”, e questo testo si pone in
questa prospettiva.
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