I LAVORI ATIPICI
DIRETTIVE
n. 97/81 del 15.12.1997 sul part-time
n. 99/70 del 28.6.1999 sul lavoro a tempo
determinato
n. 08/104 del 19.11.2008 sul lavoro tramite
agenzia interinale
Con le tre direttive e con le proposte che le hanno
precedute si è progressivamente elaborato un
modello di lavoro flessibile e «adattabile» tendente a:
contemperare flessibilità per le imprese e sicurezza
per i prestatori di lavoro, riconciliare le esigenze
della vita lavorativa con i bisogni della vita familiare,
rimuovere le discriminazioni di genere, ma anche
quelle fra lavoratori standard e lavoratori flessibili
 promuovere la creazione di un lavoro flessibile di
«qualità».

Interventi normativi sui lavori flessibili
e SEO
Gli interventi sui lavori flessibili risultano trasversali a tre dei
pilastri a cui si è ispirata la SEO a partire dal Consiglio di
Lussemburgo del 1997: la promozione (1) dell'occupabilità, (2)
dell'adattabilità e (3) delle pari opportunità.
Le tre direttive assumono obiettivi tipici delle politiche
occupazionali, quali per es. l'«aumento della intensità
occupazionale » (quarto considerando dell'accordo allegato
alla direttiva 97/81/CE).
cfr. anche l‘undicesimo considerando della dir. 2008/104/CE per
il quale «il lavoro interinale (…) contribuisce (…) alla
creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato
del lavoro e all’inserimento in tale mercato»
IL METODO
dell’intervento normativo
interventi di armonizzazione legislativa di tipo hard nei
quali l’impiego del «metodo comunitario classico è
diluito nella sostanza per via della adozione di direttive
soft nei contenuti («direttive quadro»)
Le direttive contengono disposizioni alquanto generiche,
nonché, almeno prima facie, poco vincolanti, sul
presupposto che le soluzioni siano da ricercare e da
adattare flessibilmente in relazione alle diverse
esigenze regolative dei singoli Stati membri
LA PROCEDURA
retrostante le due prime direttive sui
lavori atipici:
Dalla
contrattazione
collettiva
istituzionale…
… alle due
direttive
del Consiglio
In particolare, l’applicazione degli
artt. 154 e 155 del TFUE
In tema di lavori atipici le parti sociali - previamente
consultate dalla Commissione ai sensi dell’art. 154, comma 2 –
hanno intrapreso il processo negoziale previsto dall’art. 155 e,
come già avvenuto in materia di congedi parentali (dir. n.
96/34 di ricezione dell’accordo collettivo del 14.12.1995),
hanno concluso due accordi, successivamente allegati dalla
Commissione alle due proposte di direttive indirizzate al
Consiglio e, allo stesso modo, annessi alle direttive che il
Consiglio ha successivamente adottato.
Gli accordi sul part-time e sul contratto a
termine sono segno della “vitalità politica”
della contrattazione collettiva
comunitaria e della sua capacità di
funzionare come strumento di
integrazione tra gli Stati membri e come
risorsa regolativa dell’Unione.
I precedenti normativi sui lavori
atipici
Già all’inizio degli anni ottanta la Commissione aveva formulato due proposte di
direttiva (a) sul lavoro volontario a tempo parziale e (b) sul lavoro temporaneo
(1982) che rimasero, però, senza seguito: base giuridica art. 100 TCE
ostilità delle organizzazioni imprenditoriali e veto del governo britannico
Sono conseguenza dell’ impulso fornito alle politiche sociali della Comunità dalla
Carta dei diritti sociali fondamentali, del 1989 (che ha auspicato, al paragrafo 7,
il ravvicinamento delle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori di lavoro nel
progresso, anche per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a
tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo
parziale e il lavoro temporaneo) , le due proposte della Commissione sul parttime e sul lavoro temporaneo del 1990 e la proposta relativa alla (poi adottata)
direttiva n. 91/383
ciò che all'epoca stava più a cuore alla Commissione era ancora il corretto
funzionamento del mercato comune: «visto il notevole sviluppo e le forme assai
disparate di contratti di lavoro diversi da quello a tempo indeterminato»
occorreva, infatti, «predisporre un quadro per garantire un minimo di coerenza
tra le varie forme di contratto», non solo, e non tanto, per garantire un
miglioramento delle condizioni di vita dei prestatori, quanto per evitare
«problemi in termini di dumping sociale, anzi di distorsioni di concorrenza»
[Comunicazione della Commissione sul suo programma di azione per quanto riguarda l'attuazione della
Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori», COM (89) 568 def. del 5 dicembre 1989]
La direttiva 91/383
sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori atipici
Il numero rilevante di incidenti riguardanti
lavoratori aventi un rapporto di lavoro
temporaneo ha spinto la Commissione
a presentare una specifica proposta,
finalizzata a «contenere i rischi corsi
dai lavoratori temporanei »

Lungi dal dettare una compiuta
regolamentazione del lavoro atipico,
la direttiva contiene soltanto misure
rivolte a garantire la salute e la
sicurezza dei lavoratori con
contratto di lavoro temporaneo (a
termine o interinale).
sancendo
il principio della parità di trattamento fra
lavoratori temporanei
e lavoratori standard «per quanto concerne
le condizioni di lavoro relative
alla protezione della sicurezza e della salute
durante il lavoro, con particolare
riguardo all’accesso alle attrezzature di
protezione individuali»

La direttiva resta dunque
lontana da una disciplina
del lavoro atipico
indipendente dall’ambito
tematico della salute e
della sicurezza
Base giuridica utilizzata per la proposta: art. 118 A TCE (ora 153) :
adozione di direttive con maggioranza qualificata
Il contenuto della dir. 91/383 - Esempi:
1) Per il lavoro interinale, responsabilità dell’impresa
utilizzatrice per la sicurezza, l’igiene e
la salute del lavoratore interinale, per tutta la durata
della “missione”;
2) il diritto di informazione dei lavoratori temporanei
sui rischi connessi all’esecuzione dell’opera al
cui svolgimento è tenuto il lavoratore
etc…
Conseguenza…
E’ scarsa, sino alla fine
degli anni ’90, la
comunitarizzazione degli
ordinamenti nazionali
in materia di lavori atipici
Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e
nuova “ispirazione di fondo”
In ordine ai contenuti:
le due direttive sono specificamente
rivolte a disciplinare il part-time e il
lavoro a termine (anche se la maggior
parte delle prescrizioni sono formulate in
modo programmatico) in tutti gli aspetti
e non solo in quello relativo alla salute e
alla sicurezza
Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e nuova
“ispirazione di fondo”
In ordine alla “ispirazione di fondo”:
Le direttive sono finalizzate al contemperamento di
“flessibilità e sicurezza”, ovvero alla realizzazione della cd.
“flessibilità mite” (o della flexicurity)
La normativa in materia di lavori flessibili appare
pervasa da una duplice anima: da una parte,
perseguendo obiettivi di politica sociale, statuisce una
rete di tutele e di diritti a favore dei lavoratori flessibili;
dall’altra, ispirandosi a finalità occupazionali, favorisce
un efficiente funzionamento del mercato del lavoro
Significato
necessità di contemperare l’esigenza del
miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro dei lavoratori con quelle di
competitività delle imprese e con il
generale obiettivo dell’incremento
dell’occupazione (tit. IX TFUE)
Si ricorda che:
promozione dell’occupazione e miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro rientrano tra i nuovi obiettivi assegnati alla Comunità dall’APS allegato
al Trattato di Maastricht del 1991
La direttiva n. 97/81 sul parttime…
…e la sua implementazione
nell’ordinamento italiano:
il d. lgs. n. 61 del 2000 (cenni)
Il d. lgs. n. 61 del 2000
E’ un esempio di comunitarizzazione diretta del nostro
ordinamento del lavoro
L’Italia, con legge comunitaria 5 febbraio 1999, n. 25, ha
previsto il recepimento della direttiva mediante decreto
legislativo, da emanarsi entro il 27 febbraio 2000
La tecnica di regolamentazione
utilizzata nella direttiva
La direttiva contiene per lo più principi generali;
abbandona l’approccio regolativo di tipo
dettagliato e formula prescrizioni di carattere
prevalentemente programmatico.
La funzione di armonizzazione risulta pertanto
ridotta al minimo a favore della previsione di principi
generali – più o meno vincolanti
E’ un tipico esempio di direttiva soft di seconda
generazione
I contenuti:
La direttiva può essere scomposta in quattro parti fondamentali:
1)
2)
3)
4)
Le finalità generali
Le definizioni e il campo di applicazione
Il divieto di discriminazione e il principio di proporzionalità
Le disposizioni relative alla attuazione della direttiva
1) Le 2 finalità generali (clausola 1)
1) Assicurare la soppressione delle discriminazioni nei
confronti dei lavoratori a tempo parziale e
migliorare la qualità del lavoro part-time
2) Facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su
base volontaria e contribuire all’organizzazione
flessibile dell’orario di lavoro in modo da tenere conto
dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori
Rispetto alla seconda finalità...
(facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale)
…va
sottolineato
il contenuto
della
clausola 5.1
per la quale gli Stati membri dovrebbero
individuare gli ostacoli di
natura giuridica o amministrativa che
possono limitare
le possibilità di diffusione del
part-time
L’interazione fra il linguaggio della
politica (occupazionale) e il linguaggio
dei diritti
In questo senso
appaiono rilevanti
alcuni “considerando”
iniziali
(in particolare, il 5°
e l’11°)
Il 5°: “considerando che le conclusioni
del Consiglio europeo di Essen (…)
hanno richiamato l’esigenza di adottare
misure volte ad incrementare
l’intensità occupazionale della crescita,
in particolare mediante
un’organizzazione più flessibile del lavoro, che
risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle
esigenze della competitività”;
l’11°:che fa riferimento allo “sviluppo delle
possibilità di lavoro a tempo parziale
su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai
lavoratori”.
2) Definizione di part-time e campo
di applicazione della direttiva

Il lavoratore a tempo
parziale è il salariato il
cui orario di lavoro
normale è inferiore a
quello di un lavoratore
a tempo pieno
comparabile

Diversamente dalle
due proposte di
direttiva del 1990 –
che richiedevano una
soglia minima di orario
(in media almeno otto
ore settimanali) – la
dir. n. 97/81 ammette
part-time anche con
orari minimi
CONSEGUENZE:
Non viene fissato
un minimo di
ore ( e di
conseguente
retribuzione) che
debba essere
comunque garantito
al lavoratore
part-time
In compenso, non
esistono soglie al di
sotto delle quali le
prestazioni di
lavoro
part-time
sono irrilevanti
per gli
ordinamenti
giuridici
nazionali (salvo il caso
dei soggetti che
lavorano su base occasionale:
clausola 2.2)
Il part-time a zero ore o “secondo il
fabbisogno” (nella legge
italiana, «lavoro intermittente»)
La sentenza Wippel (CGCE 12 ottobre 2004, C-313/02,
Nicole Wippel c. Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG)
 la sig.ra Wippel era parte di un contratto di lavoro “secondo il
fabbisogno”; il contratto si caratterizzava per la mancata previsione
di orari e di retribuzione fissi, dunque, esso non attribuiva alla sig.ra
Wippel alcuna garanzia di salario minimo
 La sig.ra Wippel chiede che le sia riconosciuto il diritto alla
differenza retributiva tra la somma dovuta per la durata massima di
lavoro che avrebbe potuto esserle richiesta e l’importo dovuto per le
ore effettivamente prestate. Sostiene di essere vittima di una
discriminazione fondata sul sesso
…segue: la decisione della CGCE
Il lavoratore secondo il fabbisogno dell’ordinamento austriaco è
lavoratore subordinato

Per la prima volta la CGCE decide un caso di discriminazione indiretta
di una lavoratrice part-time applicando la direttiva sul part-time, invece
che quella sulla parità di trattamento fra uomini e donne

La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 e gli
artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono essere interpretati
nel senso che «non ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale
dei lavoratori (…), come quello oggetto della causa principale, in forza
del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario
di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro,
determinato caso per caso, restando tali lavoratori liberi di scegliere se
accettare o rifiutare il lavoro offerto».

«In circostanze quali quelle di cui alla causa principale, in cui le due
categorie di lavoratori non sono comparabili, un contratto di lavoro a
tempo parziale in base al fabbisogno, il quale non fissi né una durata
del lavoro settimanale né un’organizzazione dell’orario di lavoro, non
costituisce una misura indirettamente discriminatoria». La sig.ra
Wippel è una «speciale» lavoratrice a tempo parziale rientrante, in
linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva sul parttime, cui, tuttavia, non è concretamente applicabile il principio di parità
di trattamento ivi sancito, poiché non esistono lavoratori, né a tempo
parziale, né a tempo pieno, che si trovino in una situazione
comparabile alla sua

La definizione di part-time nel d.
lgs. n. 61 del 2000
Ai sensi dell’art. 1, si intende, per "tempo parziale"
l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto
un lavoratore, che risulti comunque inferiore all'orario normale
di lavoro di cui all'articolo 13, comma 1,
della legge 24 giugno 1997, n. 196,
e successive modificazioni, o l'eventuale minor
orario normale fissato dai contratti collettivi
applicati
I “silenzi” della dir. n. 97/81


La direttiva non definisce le
diverse tipologie di parttime (orizzontale, verticale,
misto).
Il decreto legislativo
italiano sul part-time (d.
lgs. n. 61/2000) contiene,
per es., una definizione
assai più dettagliata del
part-time, specificando
queste distinzioni.

Non specifica
neanche se debbano
essere
predeterminate in
modo certo le
modalità di
distribuzione
dell’orario (problema
delle cdd. “clausole
elastiche”).
I “silenzi” della dir. n. 97/81 e le
sue conseguenze


La “volontarietà”, che la clausola 1, lett.b,
qualifica come elemento caratterizzante dell’intero
rapporto di lavoro a tempo parziale, fa pensare ad
una necessità di consenso sulla dimensione
temporale complessiva della prestazione di lavoro e
sulle sue eventuali variazioni.
La disciplina delle clausole “flessibili” ed “elastiche”
nell’art. 3 del d. lgs. n. 61/2000: tra legittimità
della flessibilità e garanzia della “volontarietà” del
part-time flessibile e/o elastico per il lavoratore.
Il consenso del lavoratore deve essere espresso attraverso specifico patto scritto
…inoltre:
…ex art. 3, c. 9, d. lgs. n. 61/2000:
Il rifiuto del lavoratore di inserire nel
contratto calusole elastiche o flessibili
«non integra gli estremi del giustificato
motivo di licenziamento»
Volontarietà del part-time e
clausola 5.2
Il part-time come
“tempo scelto”
Illegittimità del
licenziamento motivato
dal rifiuto di un lavoratore
di essere trasferito
da un lavoro full-time a part-time,
o viceversa
(conf.art. 5 d.lgs. 61/2000)
Il part-time come
“tempo scelto”
Necessità per i dat. di lav. di prendere
in considerazione le richieste di conversione e di fornire
informazioni sulle disponibilità in organico
CLAUSOLA 5
Ambito di applicazione
La possibile esclusione - da parte degli
Stati membri, a condizione di una previa
consultazione delle parti sociali e “per
ragioni obiettive” - della prestazioni su
base occasionale


Indeterminatezza dell’espressione “ragioni
obiettive”
3) Il divieto di
discriminazione
(clausola n. 4.1)
I lavoratori a tempo parziale non
devono essere trattati in modo meno
favorevole rispetto ai lavoratori
comparabili a tempo pieno per il solo
motivo di lavorare a tempo parziale, a
meno che un trattamento differente
sia giustificato da ragioni obiettive
Finalità

L’affermazione del principio – confermato anche
dalla successiva direttiva sul contratto a termine
– risponde all’esigenza di evitare il proliferare di
statuti giuridici differenziati nei confronti dei
lavoratori atipici, privilegiando, al contrario, la
riconduzione delle pur diverse tipologie
contrattuali ad un unico paradigma regolativo
Il divieto di discriminazione:
ratio
Prevalente utilizzo del part-time da parte
della manodopera femminile - per questo
profilo, la direttiva sul p.t. va collocata
nell’alveo della tutela del lavoro femminile e
della promozione delle pari opportunità
(art. 157 TFUE; dir.
n. 75/117; n. 76/207; n. 79/7; 2002/73;
2006/54)
L’indebolimento del divieto di
discriminazione
Sono possibili
eccezioni
al divieto
Anche qui “per ragioni obiettive, gli
Stati membri, previa consultazione
delle parti sociali (o le parti sociali,
autonomamente), possono
subordinare l’accesso a condizioni
d’impiego particolari
…ad una durata del lavoro (clausola 4.4)
La direttiva contempla
anche il principio di
proporzionalità (o del
“pro rata temporis”)
“Ove opportuno” è applicabile
ai lavoratori part-time la regola della
riduzione proporzionale
dei trattamenti.
La regola del riproporzionamento come
corollario dell’accezione positiva del principio
di non discrimianzione, cioè della regola
della parità di trattamento
Come è stato trasposto, dal d. lgs. n.
61/2000 (art. 4), il divieto di
discriminazione
L’inderogabilità del divieto di
discriminazione
(anche ad opera delle parti collettive)
Nessun riferimento è presente, nel d. lgs.
n. 61/2000 alla possibilità di derogare al
divieto di discriminazione per ragioni obiettive
Le lett. a) e b) dell’art. 4 del d. lgs. n.
61/2000:
Lett. a):
l’applicazione ai
lavoratori part-time
dei medesimi
trattamenti normativi
previsti per il full-time
(importo della retrib. oraria,
durata del periodo di
prova, ferie, periodo
di comporto etc…)
Lett.b):
(il riproporzionamento
dei soli trattamenti
economici
(retribuzione globale,
retribuzione
feriale, trattamenti
economici per malattia,
infortunio, malattia
professionale e
maternità)
4) Disposizioni relative all’attuazione
della direttiva
(clausola 6)
Generale apertura verso
integrazioni e adattamenti successivi
della disciplina.
Ciò rende
ancora più soft l’intervento
comunitario sul part-time
In particolare:
A) Gli Stati membri e/o le
parti sociali possono
mantenere o introdurre
disposizioni più favorevoli
rispetto a
quelle contenute
nella direttiva
B) Le parti sociali - anche a
livello europeo - possono
concludere accordi che
adattino o integrino le sue
disposizioni in
modo da tener conto
dei bisogni specifici delle
parti sociali interessate
C) Le parti firmatarie, su richiesta di una
di esse, potranno rivedere l’accordo e
la direttiva sul part-time, dopo cinque anni
dalla sua adozione da parte del Consiglio
La novità sotto il profilo
giuridico-istituzionale
In modo del tutto
innovativo,
una direttiva del Consiglio
legittimava le parti che hanno
stipulato l’accordo
retrostante ad avviare
autonomamente
la procedura di
revisione dell’Accordo
Valorizzazione della contrattazione
collettiva europea
Le parti sociali possono agire senza il previo
input della Commissione.
Viene, in tal modo, individuato uno spazio di
intervento normativo riservato
preliminarmente ratione materiae alla
autonomia collettiva
Direttiva 99/70/CE del 28.6.1999
sul contratto a termine
I precedenti normativi
comunitari sul contratto a
termine
Il progetto di direttiva
avanzato dalla
Commissione nel 1982
(conteneva una
indicazione analitica
dei casi in cui era
legittima la stipulazione
dei contratti a
termine)
L’art. 7 della Carta
comunitaria dei diritti
sociali fondamentali
(impegnava gli Stati al
miglioramento delle
condizioni di vita e di
lavoro dei
lavoratori atipici e, tra
questi, dei lavoratori
a termine)
La direttiva n. 99/70 segue lo stesso iter
procedurale della direttiva sul part-time
Già nel preambolo dell’accordo quadro sul lavoro a
tempo parziale le parti
(Unice,Ceep e Ces) avevano
annunciato di considerare
necessari simili accordi
per altre forme di lavoro
flessibile
Le parti sociali, consultate
dalla Commissione, hanno
informato quest’ultima
della loro volontà di
avviare il procedimento
previsto dall’art. 154
del Trattato.
La Commissione ha
acconsentito alla
richiesta, assegnando alle
parti sociali un termine
per la conclusione delle
trattative
...Segue
Il 18 marzo 1999 le
organizzazioni
intercategoriali hanno
sottoscritto l’accordo
quadro sul lavoro
a tempo determinato
...hanno dunque trasmesso
l’accordo alla Commissione
chiedendo che ad esso
venisse data attuazione
con decisione del Consiglio, su
proposta della Commissione,
ai sensi dell’art. 154, paragrafo
2 del Trattato
Il Consiglio, su proposta
della Commissione, ha,
infine, adottato la direttiva
99/70, ai sensi
della norma richiamata.
Anche l’ispirazione di fondo della
direttiva 99/70 è identica a quella della
direttiva sul part-time
Nel preambolo
dell’accordo è espressamente
enunciato il fondamentale ruolo delle
parti sociali in ordine:
a) alla attuazione della strategia
europea per l’occupazione, adottata
col vertice di Lussemburgo
b) alla realizzazione dell’equilibrio tra
“flessibilità e sicurezza”
…Segue
mentre fra i “considerando” iniziali della
direttiva vengono richiamati gli orientamenti
in materia di occupazione formulati dal
Consiglio nel 1999 con i quali le parti sociali
venivano invitate a negoziare accordi per
modernizzare l’organizzazione del lavoro,
comprese forme flessibili di lavoro, al fine di
rendere imprese produttive e competitive e
di realizzare il necessario equilibrio tra la
flessibilità e la sicurezza
Altre significative enunciazioni
del preambolo
1) Si riconosce che i
contratti a tempo
indeterminato sono e
continueranno ad
essere la forma
comune dei rapporti
di lavoro
2) Si escludono
espressamente
dall’ambito di
applicazione
dell’accordo
(e, dunque,della
direttiva) i rapporti di
lavoro interinale (per
i quali le parti sociali
già pensavano ad un
successivo
specifico accordo)
Segue…
3) Si prefigura, per i sindacati nazionali, un
ruolo di primo piano nella attuazione
della direttiva, richiamando la necessità
che le parti sociali “siano consultate prima
di qualunque iniziativa di ordine
legislativo, normativo o amministrativo
assunta da uno Stato membro”
(cfr. anche le clausole
2.2.; 4.3; 5.1; 5.2; 7.2; 8.1)
I contenuti della direttiva
1) L’enunciazione delle sue finalità:
A) Migliorare la qualità
del lavoro dei contratti
a tempo determinato,
garantendo
l’applicazione del principio
di non discriminazione
B) Prevenire gli abusi
derivanti dall’uso
di successivi contratti
a tempo determinato
Alla rinuncia ad
un approccio regolativo di
tipo dettagliato consegue
l’abbandono della tecnica
normativa (presente
nella proposta del 1982)
fondata sulla
individuazione delle ipotesi
di liceità del termine
(di difficile armonizzazione)
I lavoratori a termine vengono
piuttosto tutelati al
momento del rinnovo
(cfr., più in dettaglio, la
clausola 5)
Clausola 5
Propone 3 possibili soluzioni:
a) la fissazione di esplicite ragioni obiettive per il rinnovo
b) la fissazione della durata massima dei rapporti a termine
successivi
c) la fissazione del numero dei rinnovi
CGCE – caso Impact (sent. 15.4.2008): la disposizione impone
agli Stati l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle
misure elencate in tale disposizione dirette a prevenire
l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo
determinato (conf. sent. Angelidaki 23.4.2009)
La sentenza Adeneler (CGCE 4/7/2006)
La sentenza Angelidaki (CGCE 23/4/2009)
Adeneler: La Corte ha ritenuto contrastante con la
direttiva la normativa greca che giustificava di diritto
e senza ulteriore precisazione il rinnovo dei contratti
a tempo determinato senza stabilire «criteri
oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il
rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente
ad un’esigenza reale» (punto 74).
Abgelidaki: sfavore dell’ordinamento dell’U.E. verso
successivi contratti a termine utilizzati per
soddisfare “bisogni permanenti e durevoli” del
datore di lavoro.
La proroga del contratto a termine
nell’ordinamento italiano
(art. 4, d. lgs. 368/2001)
La direttiva comunitaria 99/70:
l’ esigenza di prevenire gli abusi derivanti
dall’uso di successivi contratti a tempo
determinato



La proroga è ammessa:
solo quando la durata iniziale del contratto è inferiore ai
tre anni
 una sola volta
 per ragioni obiettive
con riferimento alla stessa attività lavorativa per la quale
il contratto è stato originariamente stipulato
(segue…) La proroga del contratto a
termine (art. 4)

In ogni caso la durata complessiva del rapporto a
termine non potrà superare i tre anni
Conseguente divieto di proroga per tutti i contratti
il cui termine iniziale già oltrepassi il triennio
La riforma legislativa del rapporto a
termine in Italia (l. 247/07):
1.
2.
Il ripristino del principio secondo cui il rapporto di
lavoro si presume a tempo indeterminato (art.
1, comma 0, d. lgs. 368/01)
In caso di successione di contratti a termine che
superi i 36 mesi (comprensivi di proroghe e
rinnovi), il contratto si considera a tempo
indeterminato sin dall’inizio (art. 5, c. 4 bis, d.
lgs. 368/01 come modificato dalla l. 247/07)
3.
Così anche se due assunzioni a termine
avvengano senza soluzione di continuità (e, cioè,
senza far intercorrere tra il primo ed il secondo
contratto un lasso temporale di 10 o 20 giorni)
2) La definizione di lavoratore a tempo
determinato (clausola 3)
E’ lavoratore a tempo determinato “una persona con un
contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente
fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine
è determinato da condizioni oggettive, quali il
raggiungimento di una certa data,
il completamento di uno specifico compito o
il verificarsi di un evento specifico”
3) Il campo di applicazione della direttiva
(clausola 2)
Sono possibili
esclusioni
ad opera
degli Stati
membri,
previa
consultazione
della parti
sociali
a) per i rapporti di formazione
professionale
e di apprendistato;
b) per i contratti definiti
nel quadro di programmi
specifici di formazione,
inserimento e
riqualificazione
professionale pubblico
o che usufruisca
di contributi pubblici
4) Il principio di non discriminazione
(clausola 4)
Diversa enunciazione rispetto alla proposta di direttiva
del 1982:
- quest’ultima assicurava ai lavoratori
a termine una tutela pari a quella dei lavoratori a
tempo indeterminato solo “nella misura del possibile”;
- la direttiva n. 99/70, più decisamente, sancisce
il principio della parità di trattamento, prevedendone
l’applicazione a tutti gli aspetti del rapporto
4) Il principio di non discriminazione
(segue)
In maniera analoga alla direttiva sul part-time,
l’enunciazione del principio è però attenuata:
a) dalla possibilità che gli stati membri
introducano eccezioni al divieto per ragioni obiettive
b) dalla possibile applicazione del principio
di proporzionalità (pro rata temporis)
5) La clausola di non regresso
(clausola 8.3)
gli Stati membri e le parti sociali "possono
mantenere o introdurre disposizioni più
favorevoli per i lavoratori, di quelle
stabilite nel presente accordo", la cui
applicazione peraltro “non costituisce un
motivo valido per ridurre il livello generale
di tutela offerto ai lavoratori”
Il contratto a termine e la CGCE
Il caso Mangold (CGCE 22.11.2005)
La legge tedesca del 2002: “Non è richiesta una
ragione obiettiva per stipulare un contratto di
lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore
all’inizio dell’accordo abbia già compiuto 58 anni.
(…). Fino al 31 dicembre 2006 l’età di 58 anni
indicata nella prima frase è sostituita con quella di
52 anni».


in occasione della trasposizione della direttiva 1999/70, la legge
tedesca ha abbassato l’età oltre la quale i contratti di lavoro a tempo
determinato possono essere conclusi senza restrizioni da 60 a 58
anni, prima, e da 58 a 52, poi.
La sentenza Mangold della CGCE



1)
La clausola 8, punto 3, dell’ accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato (…) dev’essere interpretata nel senso che NON OSTA ad
una normativa quale quella controversa nella causa principale, la
quale, per motivi connessi con la necessità di promuovere
l’occupazione e indipendentemente dall’applicazione del detto
accordo, ha abbassato l’età oltre la quale possono essere stipulati
senza restrizioni contratti di lavoro a tempo determinato.
2)
Il diritto comunitario e, in particolare, l’art. 6, n. 1, della direttiva
del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro
generale per la parità di trattamento in materia di occupazioni e di
condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che
OSTANO una normativa nazionale, quale quella controversa nella
causa principale, la quale autorizza, senza restrizioni, salvo che esista
uno stretto collegamento con un precedente contratto di lavoro a
tempo indeterminato stipulato con lo stesso datore di lavoro, la stipula
di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore abbia
raggiunto l’età di 52 anni.
È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del
principio generale di non discriminazione in ragione dell’età
disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale, anche
quando il termine di trasposizione della detta direttiva non è ancora
scaduto.
Le pronunce della CGCE (2006)
Adeneler 4.7.2006; Marrosu e Sardino 7.9.2006;
Vassallo 7.9.2006
La successione di contratti a termine nel
pubblico impiego


la direttiva 1999/70/CE e l'accordo quadro si
applicano anche ai contratti e rapporti di lavoro a
tempo determinato conclusi con le amministrazioni e
altri enti del settore pubblico
l'accordo quadro non osta, tuttavia, all'applicazione
di una normativa nazionale che vieta, nel solo
settore pubblico, di trasformare in un contratto di
lavoro a tempo indeterminato una successione di
contratti a tempo determinato
L’art. 36 d. lgs. n. 165/01 (T.U.P.I.)
Prevenzione degli abusi:
Comma 3: Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile , le
amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure , rispettano principi di
imparzialità e a trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del
medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio
superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio
Comma 4: In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti
l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a
tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma
restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto
al risarcimento del danno
Trib. Siena 27.9.2010
Ritiene implicitamente abrogato il comma 5 dell’art. 36 e
dispone la conversione di più contratti a termine in
contratto a tempo indeterminato, immettendo in ruolo la
lavoratrice ricorrente
6) I doveri di informazione
(clausole 6 e 7)
L’informazione dei lavoratori a tempo determinato sui
posti di lavoro disponibili nell’impresa.
Non esiste, tuttavia, un diritto di precedenza
L’informazione degli organismi di rappresentanza
aziendali sul lavoro a tempo determinato nell’impresa
7) Disposizioni relative alla attuazione della
direttiva (clausola 8)
Del tutto analoghe a quelle
contenute nella direttiva
sul part-time
A) Gli Stati membri e/o le
parti sociali possono mantenere
o introdurre
disposizioni più favorevoli
rispetto a quelle
contenute nella direttiva
...Segue
B) Le parti sociali - anche a
livello europeo - possono
concludere accordi che
adattino o integrino le sue
disposizioni in
modo da tener conto
dei bisogni specifici delle
parti sociali interessate
C) Le parti contraenti
verificano l’applicazione
dell’accordo entro
cinque anni dopo la data
della decisione del
Consiglio, se richiesto
da una delle
parti firmatarie
dello stesso
La direttiva sul contratto a
termine: valutazioni conclusive
Sul contenuto della direttiva
I
La direttiva non
è nella
logica della
deregolazione
neo-liberista
del mercato
del lavoro
II
Riconferma,
piuttosto,
la centralità
dell’impiego
stabile
III
Lo spazio che viene
assegnato al
lavoro a termine
è soprattutto in
vista dello sviluppo
dell’occupazione
Anche nella disciplina europea si
afferma, dunque, la specialità
del rapporto di lavoro
a termine rispetto al prototipo
standard del
rapporto
di lavoro a tempo indeterminato
... il contratto a termine viene tuttavia
considerato uno strumento di politica
attiva
del lavoro, ovvero uno strumento
di flessibilità (in entrata) del mercato
del lavoro
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Dir lav UE 2010 11 (4) I lavori flessibili