I.T.C LUIGI
AMABILE
AVELLINO
IVB
Questo lavoro che vi presenteremo è stato
realizzato da:
•GIMMELLI ANNA
•SIBILIA RAFFAELA
•TORNATORE FEDERICO
BAROCCO AD
AVELLINO …
Il 600 fu il secolo della controriforma cattolica, in tutta Europa si combatterono
numerose guerre in nome della fede, sconvolgendo i precedenti rapporti di potere.
Tutto questo si tradusse nell'arte che si distaccò dal manierismo della fine del
cinquecento per assumere caratteri nuovi.
Il termine barocco viene applicato all'arte del seicento già a partire dal XVIII secolo
assumendo un significato dispregiativo indicando un'arte esagerata e bizzarra, soltanto in
tempi moderni si è tolto a questo termine le sue valenze negative.
L'arte di questo periodo, nata come risposta al protestantesimo, assunse un ruolo di
grande importanza per la diffusione al popolo delle idee controriformiste e venne usata
come mezzo per ricondurre il popolo alla dottrina cattolica.
L'arte barocca aveva il compito di toccare direttamente l'animo e i sentimenti della
gente e per far questo era necessario che essa assumesse forme grandiose e
monumentali.
Il gusto barocco si diffuse però non solo nei paesi cattolici, ma le sue caratteristiche si
ritrovano anche nei paesi protestanti.
Caratterizzano lo stile barocco la ricerca del movimento, dell'energia, accentuando
l'effetto drammatico delle opere attraverso i forti contrasti di luce e ombra sia delle
sculture che delle pitture. Anche in architettura è evidente la ricerca del movimento
attraverso superfici curve e ricche di elementi decorativi.
LE CARATTERISTICHE DEL
BAROCCO
L'architettura barocca risente dei cambiamenti spirituali storici e
sociali del seicento. La chiesa cattolica durante il periodo della
controriforma, intuisce l'importanza del linguaggio figurativo del
barocco come strumento di richiamo dei fedeli e arma contro la
riforma protestante. Gli stili e le forme predeterminati del
manierismo lasciano il posto a quelle che sono le caratteristiche
dello stile barocco: movimento, illusionismo, ricerca di effetti
scenici, grandiosità, abbondanza di linee curve, unione delle varie
tecniche pittoriche e scultoree che si immergono
nell'architettura.
Colui che ha caratterizzato l’arte seicentesca avellinese fu
COSIMO FANZAGO
VITA
Cosimo Orazio nacque nel 1593 in Clusone da una famiglia nobile. Da
qualche tempo lo zio paterno, Pompeo, aveva a Napoli la carica di
Ufficiale dei Gabellieri, e quando al giovane Cosimo venne a mancare,
per la prematura morte di questi, l'appoggio del padre, si trasferì con
la madre nel Regno di Napoli. Vi fu quasi sicuramente dapprima una
sosta a Chieti, dove risiedevano dei cugini. Le ragioni prime di questo
spostamento di residenza sono da lui stesso indicate in una
dichiarazione resa nel settembre del 1612, in occasione del suo
matrimonio, alla Curia Arcivescovile di Napoli. A 19 anni affermò di
essere scultore e aggiunge: "Me ne venni in Napoli per imparare l'arte
di scultura in marmo". I primi rudimenti di scultura, e pensiamo anche
di architettura, glieli diede quegli che poi ne diveniva il suocero, lo
scultore toscano Angelo Landi. Gli inizi della sua carriera furono
relativamente facili dopo qualche lavoro di modesta importanza, nel
1615 forse anche per intervento dello zio ricevette l'incarico dal
Cardinale Carafa di scolpire il monumento funebre di un suo congiunto,
Mario Carafa.
Il Conte Fogaccia, nella sua monografia sul Fanzago, scrive che "ebbe
facilitata l'ascesa da fortunata protezione dei Benedettini, del Duca di
Medina, del Principe Caracciolo, dei Certosini". E'un giudizio preciso,
che non diminuisce per nulla i suoi meriti di artista. È vero: Cosimo ebbe
la ventura di piacere alla Corte Vicereale, e per riverbero alla Autorità
Ecclesiastica, ancor prima che come artista come uomo. Mancavano del
tutto in lui , per nascita e per educazione, quegli atteggiamenti troppo
ossequienti che, alla lunga, riescono ad indisporre: e questo piacque.
Piacquero anche la sua generosità, i suoi tratti di gran signore, la sua
rettitudine, tutte doti che vogliamo credere facessero dimenticare come
per sua natura egli fosse, con poco piacere dei suoi clienti, piuttosto
confusionario nella sua amministrazione.
Come tutti quelli del suo casato, Cosimo dei Fanzago aveva una innata
fierezza, ed una dignità poste ancora più in rilievo dall'aspetto
esteriore, dall'alta statura. Scriveva di lui il Dominici: "Fu Cosimo alto a
maraviglia della persona.... Fu di aspetto che movea riverenza in
vederlo". Un affresco di sua mano, nella Chiesa dell'Abbazia di
Montecassino lo ritraeva di fronte a San Benedetto: egli neppure pensò
di doversi raffigurare in un diverso atteggiamento, anche davanti al
Santo come osserva il Fogaccia - e senza alcun atteggiamento di
prostrazione.
Anche il suo tratto di gran signore ci é, del resto, rivelato da vari episodi.
Il pittore Francesco Solimena poté brillantemente iniziare a soli diciotto
anni la sua carriera con lavori nella Chiesa del Gesù Nuovo, perché il
Fanzago, che aveva intuito il valore del giovane artista, si era fatto garante
presso i committenti dei buoni risultati della sua opera. Altra volta, ai padri
della Chiesa di Santa Maria la Nova che gli chiedevano di scolpire due
statue per sostituirle a quelle di mano d'altro artista, che erano in legno,
rispondeva di lasciarvele, "perché di marmo, ancorché tutte di mia mano,
non si potranno mai veder migliori". Giuliano Finelli, per una certa sua invidia
di artista, non era molti gradito al Fanzago: non pertanto si vide aggiudicati
vari lavori, tra di questi la statua di San Gennaro sulla guglia del Duomo, per
intervento di Cosimo. E quando il Tribunale popolare all'epoca della
rivoluzione di Masaniello condannò a morte il Finelli, egli poté essere salvato
unicamente dietro intercessione proprio del Fanzago, che anche dal popolo
era rispettato ed amato.
OPERE …
 IL
PALAZZO DOGANA
 L’OBELISCO
 LA FONTANA DELLE BELLEROFONTE
La Dogana ha avuto una funzione molto importante nell' economia e nella vita civica
dell' Avellino del '600.
Le dogane si diffusero un po’ dappertutto tra il X e l'XI secolo e avevano compiti
fiscali, economici e protettivi ma soprattutto ebbero la funzione di assicurare
l'accumulo di provviste per fronteggiare carestie ed altre calamità.
Oltre a quello che pagavano i Baroni ed i cittadini, e oltre ai Donativi che facevano le
Comunità al re, vi erano i tributi pagati attraverso le Dogane e le Gabelle. Le Dogane
facevano parte dei regi diritti con le quali i cittadini non venivano tassati rispetto ai
nuclei familiari ma erano tributi per chi comprava, vendeva, pesava e misurava; e per
chi vi introduceva cose soggette a Dogana o a Gabella .
Da quanto detto si può ben valutare l'importanza economica e sociale che aveva per
la città, in sé e in relazione con la piazza in cui è collocato, l'edificio della Dogana;
piazza che nel '600 era il cuore della città e dove vi era anche la sede
dell’Università, l’ente che all’epoca si occupava dell’amministrazione pubblica della
città. Pertanto non ci può sorprendere il fatto che proprio la Dogana, simbolo della
florida economia cittadina, fu tra quei monumenti interessati all'abbellimento
cittadino iniziato da Marino II Caracciolo-Rossi e continuato dall'erede Francesco
Marino; anche perché doveva essere una delle principali fonti di guadagno del
principe e quindi, era tutto interesse di quest'ultimo mantenerla in efficienza.
Dopo la pestilenza del 1656-57 Francesco Marino cominciò il restauro della Dogana.
Il restauro che ha dato alla Dogana grossomodo l'aspetto attuale, fu effettuato da
Cosimo Fanzago.
Cosimo Fanzago nacque a Clusone (BG) nel 1591 e trasferitosi poi a Napoli nel 1608
presso lo zio. La sua educazione avvenne quindi a Napoli ma lavorò anche in altri
luoghi. Ad Avellino la sua presenza è documentata intorno al 1667-68. Cosimo
Fanzago è stato il più importante scultore ed architetto della Napoli barocca.
Semplice ma elegante nel suo aspetto la facciata della Dogana, così come si vede
nelle stampe antiche, fonda la propria estetica nella decorazione con statue, forme
geometriche ricavate nel paramento di stucco, e altri elementi architettonici. Tutto
disposto su questo unico piano rispecchia il gusto che aveva Fanzago per il
decorativo e per le tarsie marmoree.
Al primo piano la Dogana è ripartita da cinque arcate di cui tre, la centrale e quelle
delle estremità laterali, incorniciano dei portali, mentre gli archi pieni hanno una
decorazione che richiama quella dei riquadri superiori.
Sempre al primo livello, ma nella parte alta, ai lati della lunetta centrale, vi sono due
statue non collocate in nicchie. Il secondo livello si raccorda molto bene al primo
risultandone una diretta conseguenza per l'allineamento dei riquadri all'ampiezza
degli archi, e delle nicchie con statue ai pilastri. Questo secondo registro è diviso
rispettando le corrispondenze con le arcate inferiori. Si hanno pertanto due grossi
stemmi all’estremità e quattro riquadri che circoscrivono ognuna una nicchia
circolare le quali contengono i busti di antichi personaggi. Tra un riquadro e l'altro vi
sono due grandi nicchie simmetriche agli elementi del livello inferiore e contenenti
delle statue.
Più in alto, poste in assoluta simmetria, per dare slancio a tutta la struttura, vi sono
altri elementi ornamentali tra cui due statue. Alla base l'edificio è circondato da un
rivestimento in pietra e, sempre in maniera simmetrica ai lati del prospetto e su alti
basamenti come a guardia di due urne, vi sono due leoni in pietra realisticamente
resi come nella scultura fanzaghiana.
Proprio di fronte alla Dogana, quasi al centro della piazza, sorge il monumento di
Carlo II d’Asburgo.
Questo è un obelisco eretto al sovrano all’ora regnante nel 1668.
L'obelisco di Carlo II d'Asburgo ad Avellino fa parte di quella straordinaria
invenzione dell'elemento urbano costituito dalla guglia.
Le guglie derivano da una parte dagli obelischi romani e in altra parte dalle
strutture effimere in legno delle feste (basta pensare ai Gigli di Nola o al Carro di
Fontanarosa) molto diffuse al tempo dei viceré.
Meno fastoso delle guglie napoletane, l'obelisco di Avellino è molto semplice ma
elegante nella sua struttura in marmo alla quale sono accostati bronzi di vario
genere e di preziosa fattura.
L'obelisco si eleva sopra una larga base di pavimentazione degradante verso i bordi
e, in corrispondenza dei quattro angoli dello stesso vi sono altrettante colonnine in
pietra con in cima delle sfere di capitelli.
Fanno parte dell'obelisco i bronzi e cioè il medaglione con il ritratto di Fanzago, i
rosoni e la statua di Carlo II.
Sulla sommità dell'obelisco vi è la statua di Carlo II, rappresentato all’età di sette
anni, sempre in bronzo.
La fontana del Bellerofonte è frutto del restauro di una vecchia fonte.
La data del suo restauro si ricava dalla lapide in marmo scuro ancora in sito, 1669.
Le nicchie della fontana, gli elementi decorativi al suo apice e la simmetria
compositiva, oltre a ricordarci gli aspetti stilistici della Dogana richiamano, insieme
ad altri, i caratteri stilistici tipici delle fontane di Fanzago.
Si tratta di una composizione assai semplice ed armoniosa con un arco centrale pieno
che nella parte inferiore ospita una nicchia tonda, e quindi un vuoto. Le due nicchie
laterali in origine ospitavano sculture. La ripartizione a tre prosegue nell'alto
basamento dove le paraste ed il tondo ritrovano le proprie basi.
Nella parte terminale troviamo due tondi con busti e di bellissimo effetto plastico
sono le volute laterali.
A dare slancio alla struttura vi sono degli elementi decorati, di forma chiaramente
ispirata alle conchiglie, che fungono da capitelli. Mentre, come sottolinea Fogaccia, i
disegni di bardiglio nel marmo bianco di Carrara richiamano il Chiostro di San
Martino e il loggiato Maddaloni sempre di Fanzago.
Le sculture all'origine erano cinque, di cui due statue nelle nicchie grandi, due busti
e al centro il gruppo del Bellerofonte che uccide la Chimera.
RIFLESSIONI PERSONALI
• Nonostante il grande successo ottenuto tra i contemporanei,
la critica successiva (a partire dagli arcadici) ha sempre
svalutato la letteratura barocca, accusandola di eccessi
stilistici e retorici, nonché di eccessiva lascivia, definendola
decadente. L'800 e buona parte del '900 hanno proseguito
lungo questa scia critica, ma nella seconda metà del '900 si è
assistito a un progressivo recupero della letteratura barocca,
ad opera di alcuni importanti critici come Giovanni Getto,
Marzio Pieri e Giovanni Pozzi.
• La crisi che contraddistingue questo periodo non va però intesa
come decadenza, ma come tensione verso una nuova idea del mondo,
come preparazione di una nuova civiltà
... molto spesso, la nostra città viene vista
povera di forme e di contenuto …
… ecco, solo approfondendo e valutando il
nostro centro, possiamo smentire ogni
singola critica …
Solo ai notevoli contenuti …
… possiamo ammirare meravigliose forme.
FINE …
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